FACINI, Santo Bernardo
Figlio di Benedetto e Antonia, nacque a Venezia nel 1665 da un casato di antica origine bolognese. Nulla si conosce sui suoi studi giovanili, ma le conoscenze scientifiche di cui dette prova nelle sue invenzioni fanno ritenere che avesse studiato matematica e astronomia, forse in qualche collegio monastico locale.
L'11 dic. 1681 sposò Francesca Pedrini, figlia di Antonio, da cui ebbe cinque figli: Giambattista, Giorgio, Laura, Maria e Antonia. Verso il 1690 aprì a Venezia una bottega di riparazione e costruzione di strumenti nautici: il primo esempio documentato della sua produzione è un "goniometro per rilevamento con bussola", datato 1694 (Venezia, Museo storico navale). L'anno seguente pubblicò un breve trattato, Anatomia del circolo nella sua quadratura manifestata da B. Facini veneto (Colonia 1695), dedicato al re di Francia Luigi XIV, ma di scarso rilievo scientifico: in esso il F. dichiara il suo debito verso il matematico veneziano G. Querini per la soluzione dell'atipico problema e descrive una sua nuova invenzione, il "ciclometro proporzionale", ideato per semplificare qualsiasi operazione matematica e ogni problema di calcolo di aree curvilinee; nessun esemplare dello strumento è stato finora rinvenuto, come pure sembra non sia mai stato pubblicato il Trattato di meccanica annunciato dal F. nell'Anatomia e nel quale egli si riprometteva di fornire maggiori dettagli sul ciclometro e sui suoi usi (Anatomia, p. 2).
Nel 1697 ideò un "compendio nautico", alla cui realizzazione collaborò anche il padre benedettino V. Coronelli (il cosmografo sotto la cui guida è probabile che il F. avesse appreso in gioventù l'arte dell'incisione): l'apparecchio, attualmente conservato all'Ermitage di San Pietroburgo, è essenzialmente un misuratore orario composito corredato di bussola e di indicatore delle fasi lunari, atto a determinare latitudine, longitudine e ora durante la navigazione. Alcune bussole per tavoletta pretoriana, due quadranti astronomici e un grafometro (ora perduto, ma che compare al n. 7 dell'inventario degli strumenti posseduti dall'osservatorio astronomico di Padova, compilato da G. Toaldo nel XVII secolo: "Graphometrum cum optima pyxide nautica, acu quattuor digitorum ... Opus diligentis artificis Faccini"), costituiscono altrettanti esempi dell'attività del F. in questi anni (1698-1710).
Degna di nota è una serie di quindici strumenti di rilevamento e misurazione per uso militare, messa a punto nel 1710 per il margravio Guglielmo Federico di Brandeburgo-Ansbach, in cui, all'usuale dotazione, il F. aggiunse il "trigonometron", una sua invenzione per calcolare la lunghezza dei lati di un qualsiasi triangolo senza dover ricorrere alla misura dell'ampiezza degli angoli (Chicago, Adler Planetarium and Astronomical Museum).
L'ultimo strumento che il F. realizzò a Venezia prima del suo trasferimento a Piacenza è un calcolatore logaritmico, "spire logaritmiche", datato 1714 e anch'esso conservato all'Adler Planetarium di Chicago.
Il F. corredò questa sorta di regolo calcolatore di un manualetto dì sedici pagine - Informazione delle spire logaritmiche di B.Facini - dove, oltre alle istruzioni per l'uso, vengono elencati alcuni pregi dello strumento: l'estrema maneggevolezza (il tutto occupa lo spazio di un disco di ottone di cm 12 di diametro, con due indici imperniati nel centro), la possibilità di disporre di tavole logaritmiche in forma grafica e quindi più facilmente e velocemente fruibili, ma soprattutto otto esempi di problemi (che il F. chiama "pratiche") rapidamente risolvibili con il suo calcolatore.Intorno al 1714 un evento, apparentemente di ordinaria amministrazione, coinvolse il F. a tal punto da condizionare gran parte degli avvenimenti successivi: P. Rombechi - l'allora console facente funzione del Regno di Napoli presso la Repubblica veneta - lo incaricò di stimare un orologio astronomico di proprietà del veneziano G. B. Santirota che, avendo contratto un forte debito col Rombechi e trovandosi nell'impossibilità di onorarlo nei tempi stabiliti, aveva depositato lo strumento presso il creditore quale garanzia. Il F. esaminò l'orologio e, trovatolo seriamente danneggiato, lo stimò del valore di almeno 3.000 piccoli ducati. Nonostante le insistenze del Santirota per ottenere una proroga, il Rombechi vendette lo "sferologio" (lo strumento in questione, infatti, altro non doveva essere che la sfera meccanica realizzata nel 1683 da Bartolomeo Ferrari per Giovanni Gonzaga) per 3.000 piccoli ducati ad uno sconosciuto intermediario. La questione fra il Santirota e il Rombechi degenerò ben presto in una vera e propria lite, nella quale venne chiamato in causa lo stesso F. come responsabile della valutazione dello sferologio.
Tra il 1716 e il 1717 il veneziano G. Anzeloni, a nome del duca di Parma, Francesco Farnese, offrì al F. la possibilità di lavorare per questo; la natura del lavoro non venne precisata, ma il F. fu incoraggiato ad accettare dal conte I. Vezzi, membro della corte parmense, con la promessa di un'ulteriore ricompensa in denaro se non avesse svelato a nessuno il vero prezzo pagato per lo sferologio. Il F. accettò e, ritenendo si trattasse di un incarico di breve durata, chiuse temporaneamente il suo negozio di Venezia; partendo per Piacenza, condusse con sé soltanto il primogenito Giambattista, allora poco più che sedicenne e di natura turbolenta, non fidandosi di lasciarlo a Venezia sotto il controllo della sola madre. Giunto a Piacenza, il F. si presentò al conte I. Rocca, ministro delle Finanze e consigliere personale del duca, con una lettera di presentazione di Anzeloni. Rocca mostrò al F. lo sferologio, gravemente danneggiato, chiedendo se fosse possibile restaurarlo e rammaricandosi di aver pagato ben 2.000 luigi per un oggetto tanto mal ridotto. Pur rimanendo stupito dalla notizia, ben sapendo che lo sferologio era stato venduto dal Rombechi per un prezzo molto inferiore (3.000 piccoli ducati = 526 luigi), il F. decise di tacere e di accettare l'incarico; su consiglio del Rocca si trasferì insieme con il figlio in casa dell'orologiaio C. Cavagnola, che gli promise l'assistenza nel lavoro e la completa disponibilità di tutti gli strumenti di cui avesse avuto bisogno.
Le vicende relative al suo lungo soggiorno piacentino sono narrate con dovizia di particolari dallo stesso F. in un memoriale da lui fatto pervenire al duca Francesco Farnese; il documento, non datato, risale molto probabilmente al 1719, allorché gli fu sottratto il testo di B. Ferrari Descrizione dello sferologio (Bologna 1683), indispensabile per portare a termine il suo lavoro. Nel documento il F. denuncia tutti gli ostacoli che l'invidia e la malevolenza della corte avevano frapposto fra lui e il compimento del suo lavoro - era stato accusato di copernicanesimo, di aver compromesso l'onore della figlia più giovane dell'orologiaio piacentino G. Bassi e, non ultimo, gli era stato confiscato il manuale del Ferrari - col solo scopo di screditare la sua integrità morale e la sua abilità tecnica agli occhi del duca. E tutto ciò, continuava il F., solo perché egli era a conoscenza del vero prezzo pagato per lo sferologio e si voleva impedire che lo rivelasse al duca, smascherando così una frode perpetrata dai suoi stessi collaboratori e cortigiani. In conclusione il F. chiedeva che gli venissero accordati altri venti giorni di tempo per completare il restauro dello strumento, oltre ad implorare la protezione del duca contro altre malevole azioni che la corte avesse tentato di mettere in atto. Le sue richieste furono accettate ed il duca ordinò che gli fosse immediatamente restituito il manuale sottratto.
Terminato il restauro dello sferologio, il F. ottenne la nomina di "meccanico" personale della duchessa Dorotea Sofia di Neuburg, moglie di Francesco Farnese, la quale pose lui e la sua famiglia sotto la sua personale protezione e provvide ad una loro adeguata sistemazione, tanto che nel 1720 il F. affittò la casa e il negozio di Venezia e si trasferì definitivamente a Piacenza; inizialmente alloggiato nelle vicinanze del palazzo Farnese, si spostò ben presto all'interno del palazzo su invito della stessa duchessa e qui visse per il resto della sua vita.
Per i primi tempi il F. si occupò della manutenzione dei gioielli e degli oggetti di orologeria di proprietà della duchessa, fin quando quest'ultima non espresse il desiderio di veder realizzato qualcosa che superasse in bellezza e complessità tecnica lo sferologio del Ferrari: il nuovo strumento doveva essere un "universo in miniatura", un "orologio cosmico", tanto originale da non assomigliare a nessun altro.
Abituato a realizzare strumenti nautici destinati ad essere adattati ad un piano, il F. ideò una nuova forma, non più sferica, ma planisferica (da cui il nome di "planisferologio"). Benché non si abbia notizia di altri orologi precedentemente realizzati dal F., il restauro dello sferologio e l'assidua frequentazione con alcuni dei migliori orologiai piacentini (soprattutto i già citati Cavagnola e Bassi, quest'ultimo incaricato della manutenzione dell'orologio del duomo) gli fornirono l'adeguata preparazione per poter realizzare quello che doveva essere il suo capolavoro. D'altra parte non è da escludere che alcuni pezzi dello strumento siano stati realizzati da orologiai locali su disegno dello stesso Facini.
Lo strumento, conservato nei Musei Vaticani, non può considerarsi un orologio, bensì un vero e proprio apparato astronomico funzionante attraverso un dispositivo ad orologeria. Ben ventiquattro sono le indicazioni fornite dal planisferologio, tra cui i minuti e le ore astronomiche, le eclissi del Sole e della Luna, i tempi dell'alba e del tramonto regolabili secondo varie latitudini, il passaggio dei pianeti allo zenit, i tempi degli equinozi e dei solstizi, e così via. Molto originale e in anticipo sui tempi la struttura di uno dei due pendoli, romboidale a compensazione bimetallica di acciaio e argento. Sul retro dello strumento il F. incise in sintesi le caratteristiche della sua invenzione: "Ut in hoc Opere mobile ducat Solem, Lunam, et Firmamentum / in veris motibus, iuxta ac-curatum Ephemeridum / rigorem, et ne pendulum geminum frigoris, / calorisque causa, ullam patiatur alterationem, / minusque verticalitati Machinae sit obnoxium, / plurima peculiaria novissime Deo dante / extruendo invenit Bernardus Facini Venetus, / Mathematicarum Professor, / atque Executor Piacentiae".
Il planisferologio, completato nel 1725, fu grandemente apprezzato dalla duchessa; come più tardi (1894) scrisse padre G. B. Embriaco in una relazione sul capolavoro del F.: "Pare incredibile come l'autore abbia potuto immaginare, e mettere insieme in uno spazio relativamente piccolo, un sistema di tante ruote, e rocchetti, e leve, e molle, ed eccentrici, ed altri organi diversi - un vero portento di meccanica e di cinematica" (Vat. lat. 12946 B, f. 33r). Il dubbio, più tardi espresso da alcuni studiosi, che il F. avesse realizzato uno strumento ideato in realtà dal celebre astronomo bolognese G. Montanari (1633-87), non trova alcuna conferma nei fatti. Nell'inventario dei beni stilato dopo la morte del F., si trova un elenco dei libri da lui posseduti, dal quale ben risultano i suoi principali interessi - matematica, geometria, meccanica e astronomia - e il grado di competenza che egli raggiunse in tali scienze. Notevole è il numero dei volumi, una cinquantina, di cui trenta stimati di un certo valore ed interesse dal libraio A. Bosonis, che redasse l'elenco il 29 apr. 1733: insieme con le opere classiche di Euclide, Erone Alessandrino e Tolomeo, si trovano quelle di Piccolomini, Sacrobosco, Magini, G. Biancani ed altri ancora, il che conferisce alla biblioteca un carattere inequivocabilmente specialistico, ad ulteriore conferma che il F. possedeva le competenze scientifiche necessarie per realizzare il suo capolavoro.
Il primo ad attribuire l'ideazione del planisferologio a Montanari fu Scipione Maffei nelle Osservazioni letterarie e la sua autorità influenzò gran parte degli studi posteriori sullo strumento, nonostante Vallisneri avesse gia fornito, ancora in vita il F., una dettagliata descrizione del planisferologio, lodando l'abilità dell'ideatore da lui stesso personalmente conosciuto durante una visita a Piacenza nel 1727. In quell'occasione il F. aveva dichiarato di avere in preparazione un manuale sul funzionamento dello strumento, corredato da una serie di tavole ad illustrazione dei singoli pezzi, opera questa mai rinvenuta.
Alla morte della duchessa Dorotea Sofia (1748), il planisferologio fu trasferito a Caserta e di qui a Napoli, alla corte del re Ferdinando IV. Nel 1796 Nicola Anito, ingegnere camerale del Regno di Napoli, presentò al re Ferdinando una petizione nella quale chiedeva per il proprio figlio Basilio una sistemazione come ingegnere di Stato. In tale occasione egli presentò al re una serie di ventiquattro tavole ad acquarello, in cui venivano dettagliatamente riprodotte le singole parti del planisferologio; le tavole erano accompagnate da un manuale manoscritto di trentasette pagine, datato 1796 e intitolato Spiegazione di quello si contiene nelli disegni, delineati in num.0 24 tavole, del Planisferologio di Parma; acciocché se ne considerino li di loro rapporti, di quanto in se si racchiude (Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 12946 A e B).
Sebbene tutte le tavole siano firmate da Anito, come pure il frontespizio e l'ultima pagina del manuale, il Bedini, nel suo ampio studio sul planisferologio, ha motivo di ritenerle opera del F.: la sua abitudine di fornire un manuale d'istruzione per ogni invenzione, la testimonianza sopra riportata di Vallisneri in tal proposito e alcune differenze di mano rintracciabili nel testo del manoscritto, fanno pensare ad un'indebita appropriazione del lavoro da parte di Anito per impressionare favorevolmente il re ed ottenere l'incarico per il figlio (Bedini, pp. 147-72).L'ultimo strumento realizzato dal F. fu, nel 1727, l'"horometrum", ideato per indicare i tempi dell'alba e del tramonto e la lunghezza di ogni giorno dell'anno: regolabile su un periodo di quattro anni (da un anno bisestile all'altro), esso stabiliva il giusto rapporto tra ora solare, astronomica e italiana (Oxford University, Museum of History of Science).
Nell'iscrizione presente sull'horometrum, come in quella del planisferologio, il F. si fregia del titolo di professore di matematica; non essendo stato ritrovato il suo nome tra i professori dell'università di Parma, si può ritenere che avesse insegnato in quella di Piacenza riattivata agli inizi del sec. XVIII dopo una lunga pausa) dopo essere stato nominato "meccanico" ufficiale della duchessa. È da escludere, comunque, qualsiasi attinenza con il "Comes Faccinus", ricordato nei Fasti Gymnasii Patavini come professore di filosofia ordinaria (fisica) per l'anno 1666.
Nel 1730 F. si ammalò gravemente e morì a Piacenza il 10 ag. 1731; fu tumulato nella chiesa di S. Maria degli Speroni (ora chiesa di S. Fermo) con esequie solenni, per diretto interessamento della duchessa Dorotea Sofia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Piacenza, Fondo notarile, Notaio F.M. Pantrini, busta 16698, filza I, nn. 24, 26, 27; Ibid., Raccolte di manoscritti, busta 51 (spoglio di filze correnti): Memoriale di B. Facini al duca di Parma, s.d.; Piacenza, chiesa di S. Spirito, Arch. di S. Maria degli Speroni, Obituari, 10 ag. 1731; Arch. di Stato di Parma, Fondi di casa e corte Farnesiana, busta 37, fasc. 5 (lettera alla duchessa Dorotea Sofia), s.d.; A. Vallisneri, Informazioni e usi del novissimo planisferologio, in A. Calogerà, Raccolte d'opuscoli scient. e filol., I, Venezia 1728, pp. 101-126; S. Maffei, Osservazioni letterarie, I, Verona 1737, pp. 135-140; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, III, Modena 1783, p. 273; L. T. Belgrano, Degli antichi orologi pubblici d'Italia, in Arch. stor. ital., s. 3, VII (1868), p. 44; M. Tono, Del planisferologio di B.F. veneto, in Atti della Pont. Acc. rom. dei Nuovi Lincei, LVI (1903), pp. 91-95; S. Fermi, Un capolavoro di orologeria astronomica a Piacenza, in Boll. stor. piacentino, XXXVI (1941), pp. 110-113; A. Lipinsky, Un capolavoro di orologeria alla Biblioteca Vaticana, in L'Osservatore romano, 13-14 genn. 1941; G. H. Baillie, The Farnese planisphere: the wonder clock of the Vatican, in Horological journal, LXXXIII (1941), pp. 46-48, 7880, 114-116, 146-148, 176-178, 212-214, 238 s., 270-275, 311-314, 343-345; LXXXIV (1942), pp. 14 s., 38 s., 87 s.; E. Morpurgo, Dizionario degli orologiai italiani, Roma 1950, pp. 73-75; H. A. Lloyd, Some outstanding clocks over 700 years (1250-1950), London 1958, pp. 101-104; G. Brusa, L'arte dell'orologeria in Europa, Busto Arsizio 1978, pp. 132, 427; G. Righini-M.L. Righini, Nota su un calcolatore logaritmico di B. F., in Annali dell'Ist. e Museo di storia della scienza, V (1980), I, pp. 61-74; L. Oechslin, Die FarnesianischeUhr. Der astronomische Automat B. F. und die Zeichnungen Nicola Anitos in der Vatikanischen Bibliothek, Città del Vaticano 1982; S. A. Bedini, La biblioteca di B. F. fabbricante di strumenti scientifici a Venezia e Piacenza, in Boll. stor. piacentino, LXXIX (1984), pp. 75-84; Id., Clockwork Cosmos. B. F. and the Farnese planisferologio, Cittàdel Vaticano 1985; L. Oechslin, Die Uhr als Modell des Kosmos und der astronomische Apparat B. F., Città del Vaticano 1985.