ANDREA Corsini, santo
Nacque in Firenze all'inizio del sec. XIV, uno tra i dodici figli di Niccolò Corsini e Gemma degli Stracciabende.
La prima menzione che si ha di lui è del 3 ag. 1338: in un mandato di procura egli èdiciottesimo tra cinquantadue religiosi del convento del Carmine di Firenze. Nella seconda metà dell'aprile 1343 (il doc. è datato 1344, secondo lo stile pisano) lo troviamo in Pisa, in un contratto tra i religiosi e la compagnia dei Battuti. Nel capitolo della provincia toscana del 1344 fu destinato consigliere del convento di Firenze e baccelliere: e tale ci appare dal i giugno di quell'anno sino al maggio 1347, mentre nel'capitolo del successivo 15 giugno, oltre a esser confermato consigliere, fu istituito lettore del medesimo convento. Nell'anno 1348 si recò in Francia per il capitolo generale dell'Ordine a Metz: vi fu istituito superiore della provincia toscana, carica che ricoprì sino ai primi giorni del 1350, anche dopo la designazione a vescovo di Fiesole. Gli atti del suo provmcialato meno che biennale dovettero tener conto della grave situazione venutasi a creare a causa della peste nera: il Necrologio del Carmine di Firenze ricorda più di cento morti negli anni 1348-49. Ciononostante non subì sosta la fabbrica della chiesa del Carmine; ed è proprio un rendiconto di danari per detta fabbrica l'ultimo atto registrato del suo provincialato, il 9 genn. 1350. Intanto, con bolla del 13 ott. 1349, Clemente VI lo aveva nominato vescovo di Fiesole, sede rimasta vacante per la morte di "Filignus Oliveri Carboni". Contemporaneamente, il papa aveva comunicato la nomina al capitolo della cattedrale, al clero e al popolo della diocesi, e dava l'indulto per la consacrazione. La iscrizione sepolcrale dirà che "fu rapito dal Carmelo alla Chiesa ed alla mitra flesolana": da qui forse è nata la leggenda della fuga presso la Certosa e della successiva accettazione della nomina a vescovo, in seguito ad una visione. Non sappiamo quando arrivasse la lettera di nomina, ma troviamo A. nel convento di Firenze il 29 ott., 27 nov. e 6 dic. 1349, come provinciale; quindi non era possibile che si ecclissasse troppo a lungo: ingiustificata, oltre che vana, fu perciò la fretta dei canonici a eleggere un altro candidato (senza dire che tale diritto di elezione era stato loro revocato dal papa).
Non sappiamo quando avvenisse la consacrazione né l'insediamento in Fiesole: il primo atto di episcopato conservatoci porta la data del 28 marzo 1350. Egli ruppe la tradizione invalsa da oltre un secolo secondo cui i vescovi di Fiesole risiedevano in Firenze presso la chiesa di S. Maria in Campo. Volle esser sempre vicino al suo popolo e alla sua cattedrale, che pur minacciava rovina, nel suo palazzo episcopale, anche se bisognoso di restauri e di arredamento. Limitò al minimo indispensabile le sue esigenze, ridusse a sei il numero dei familiari, insieme con i quali e con due religiosi del Carmine condusse vita monastica, vestendo l'abito dell'Ordine, portando una catenella di ferro ai fianchi (ancor oggi conservata). Di scrupolosa esattezza, teneva egli stesso i registri di amministrazione della casa, della mensa vescovile, dei contributi al papa; controllava e dirigeva le varie opere delle chiese e degli ospedali; gli stessi domestici affidavano a lui le somme raggranellate nel tempo del loro servizio. Rivendicò a sé la collazione dei benefici ecclesiastici, svincolandoli da ogni specie di mercatura; volle che i beneficiati avessero gli ordini; teneva abitualmente due vicari che lo coadiuvassero nel governo della diocesi, mentre un terzo fu istituito per il Casentino, troppo distante da Fiesole; si rendeva personahnente conto della situazione religiosa per mezzo delle visite canoniche. C'era bisogno di vigilanza, specialmente sulla condotta del clero che lasciava a desiderare: ignoranza, cattivi costumi, giochi, abito secolare; parecchi venivano obbligati a presentarglisi entro uno spazio di tempo per esser riesaminati; in nessun modo sopportava i chierici mancanti ai doveri della castità; brevi scadenze di tempo erano assegnate anche a coloro che non risiedevano nelle loro parrocchie, e se non ubbidivano venivano puniti con la revoca del benefizio. Allo scopo di avere per l'avvenire chierici migliori, nel 1372 istituì una confraternita di sacerdoti i quali con, l'esempio e con l'opera contribuissero alla formazione scientifica e morale dei futuri leviti. Al suo esempio personale aggiungeva il ministero della predicazione, sì che una delle lodi scolpite sul sepolcro poté dirlo "meraviglioso per l'esempio della vita e l'eloquenza". Né minore fu la cura posta nel soccorrere i bisognosi. Definì se stesso "padre ed amministratore dei poveri". Questi non mancavano, specialmente nei primi anni in cui fu vescovo: eredità della peste del 1348-49; ed è proprio una disposizione in loro favore il primo atto documentato del suo episcopato del 28 marzo 1350. Era esigente nel rivendicare i proventi dei pii legati, perché necessari per i poveri (ai quali dava "per amore di Dio") e per il restauro e l'arredamento di varie chiese. Severa vigilanza esercitava anche sui proventi destinati agli infermi e ai pellegrini. Per quanto riguarda lo stato degli edifici sacri, egli continuò il restauro della cattedrale, già iniziato dal suo predecessore. Restaurò la facciata, rifece, ahneno in parte, il tetto; fece eseguire il nuovo coro dal maestro Pietro Lando di Siena, spendendoci 144 fiorini d'oro: oggi rimane solo la cattedra episcopale. Restaurò e abbellì anche il palazzo vescovile, forse con la speranza che i suoi successori si invogliassero a rimanervi. Restaurò varie altre chiese, tra cui quella- di S. Maria in Campo in Firenze (appartenente al vescovo di Fiesole); ebbe particolare cura della chiesa di Figline Valdarno: qui volle una stanza per sé ove potersi trattenere, essendo una frazione lontana da Fiesole; il 10 giugno 1368 consacrò l'altare maggiore e il 25 marzo seguente quello della Madonna nella Badia fiesolana. Istituì un monastero che poi si trasferì in Firenze e fu detto delle Romite di S. Maria del Fiore, o di Lapo. Al convento del Carmine donò ventiquattro volumi di argomento vario.
L'ultima partita segnata di suo pugno è la donazione di una ricca pianeta al capitolo della cattedrale: 28 dic. 1373, nove giorni prima della morte.
Rimangono inoltre attestati dell'opera da lui svolta per la pacificazione degli affinii: ecclesiastici e ricchi mercanti di Firenze e Fiesole, potenti cittadini di Prato, Pístoia e altre città ricorrevano a lui come ad arbitro imparziale e incorruttibile. Non ugualmente documentata è la missione di pace di cui sarebbe stato incaricato dal papa nella città di Bologna, ricondotta all'obbedienza della S. Sede contro le mene dei Visconti di Milano. Ne riferisce il Del Castagno dal racconto avutone in Firenze dal card. Albergati. Non se ne conosce però l'anno, ed il P. Caioli opina che si tratti di una confusione con la missione, ben nota, di un altro santo carmelitano, s. Pier Tommaso, nel 1364.
A. morì il 6 genn. 1374 (1373 secondo lo stile fiorentino).
Il Del Castagno racconta che dalla Vergine fu preavvertito del trapasso la notte di Natale 1373 e riferisce altri fatti prodigiosi. Il clero fiesolano, nonostante la disposizione testamentaria del santo di voler esser sepolto al Carmine di Firenze, lo seppellì nella propria città. Ma i religiosi di Firenze non si diedero per vinti: forse con l'assenso del nuovo vescovo, Neri Corsini, fratello di A., nominato il 17 gennaio, la notte del 2 febbraio si recarono a Fiesole, trafugarono il corpo e lo portarono a Firenze, ove fu accolto da tutto il clero osannante, esposto tre giorni alla vista del popolo e poi sepolto. Dodici anni dopo, ancora incorrotto, fu messo nel monumento erettogli dai familiari nella chiesa del Carmine: monumento distrutto in un incendio nel 1771 (si riuscì però a salvare il corpo), ma in tutto simile a quello del fratello Neri, ancor oggi conservato nei chiostri di S. Spirito. Vi fu apposta l'epigrafe latina attribuita dal Del Castagno a Coluccio Salutati.
La più antica memoria biografica di lui è quella del Catalogo dei Santi carmelitani, della fine del XIV o inizio del XV sec., contenente l'affermazione di santità, il vescovato flesolano, la morte e sepoltura, i miracoli, ricordati in generale, e la trascrizione dell'iscrizione sepolcrale - posta nel 1385 - ove si parla della sua carità verso i poveri, della sua facondia oratoria e si riferisce il giorno preciso della morte. Bisogna poi arrivare alla metà del sec. XV per avere una prima Vita. È quella, assai discutibile, attribuita al carmelitano Piero Dei Castagno, che tessé il panegirico del santo nel 1440 davanti a numeroso popolo fiorentino desideroso di ascoltare le gesta del suo illustre concittadino dal quale proprio in quei giorni si diceva avesse ottenuto la grazia segnalata della vittoria di Anghiari contro le truppe del Piccinino. La Vita è nel cod. Vat. lat. 3813, ff. 28v-47v, della fine del sec. XV pervenuto alla Biblioteca Vaticana il 21 ag. 1601. Un sunto (con qualche particolare più sviluppato) in latino, di anonimo, trovavasi in un ms. di Giov. Gilleman (m. 1484) e fu edito da L. Surio, De probatis SS. historiis, I, Coloniae 1570, pp. 143-148; lo stesso sunto, ma in italiano, forse coevo, fu edito da un codice di Casa Corsini in Firenze nella Riv. stor. carmelitana, I (1929-30), pp. 8-20: era già stato pubblicato da un codice della Magliabechiana, ma adattato l'italiano alla moderna, dal p. Santi Mattei, Vita di s. A.C., Firenze 1872. La Vita di Del Castagno fu pubblicata la prima volta dal p. Domenico di Gesù, Acta canonizationis s. A.C., Parisiis 1639, pp. 171-224, e le note pp. 225-244; non però direttamente dal cod. Vat., bensì da una trascrizione fornitagli da R. Berthelot, carmelitano e vescovo suffraganeo di Lione. Dal p. Domenico, premettendovi una introduzione, la ripubblicarono i Bollandisti, Acta Sanctorumn, Ianuarii, II, Antverpiae 1643, pp.1061-1073. Un confronto col cod. Vat. mostra delle varianti non solo nel latino (generalmente migliorato), ma che toccano la sostanza del testo. Di seguito a tale Vita i Bollandisti ripubblicarono anche la latina dell'anonim (ibid., pp. 1073-1077).
Praticamente, tutte le Vite dipendono dal Del Castagno, fonte per altro di scarsa attendibilità. Del resto, l'attribuzione al Del Castagno della Vita del cod. Vaticano non è del tutto certa, almeno nel significato pieno della parola. Nel testo si parla di lui come panegirista del santo nel 1440 e si afferma che "quasi tutto ciò che è stato detto lo predicò pubblicamente avanti ai cardinali", ecc., ma vi si parla più volte anche dello scrittore che ha estratto racconti di miracoli dalle imbreviature notarili: "ego scriptor extraxi"; parole che vengono prese come segno di modestia di Del Castagno a non volersi dire autore, ma che invece possono significare che il redattore fu un altro, anche se si servì per la maggior parte degli appunti della predica di Del Castagno. Detto redattore peraltro sarebbe contemporaneo, o comunque anteriore al 1466. In tale ipotesi si capirebbero più facilmente nel Del Castagno le molte lacune ed errori che con facilità si sarebbero potute evitare. Egli, infatti, trovandosi all'improvviso a dover predicare davanti a un popolo convinto dell'intervento del santo nell'esito della battaglia, e in mezzo a straordinari preparativi di festa, non ebbe il tempo o il modo di informarsi come avrebbe dovuto, consultando almeno quei libri di amministrazione che pur aveva nella libreria del suo convento. Libri che non si preoccupò nemmeno di consultare chi (egli stesso o altri) con più calma trovò pur modo di indagare tra gli atti notarili per trovarvi i miracoli: al popolo questi interessavano di più, e l'agiografo fu pronto a soddisfarlo. Il carattere di panegirico della compilazione è evidente, specialmente là ove prende a guida le parole dell'inno dei Confessori. Non si vuol dire con questo che l'autore abbia inventato i racconti, possiamo anzi supporre che essi siano l'eco della tradizione orale, più ricca per il periodo episcopale della vita del santo. Ma è pur vero che era necessario, alla luce di una indagine critica, rifondere tutte le notizie in un corpo organico. Soltanto nel 1929, però, per merito del p. Paolo Caioli, gli studi agiografici su A. hanno compiuto un notevole progresso. In occasione della recensione del suo libro si sono udite tuttavia delle voci che reclamano una indipendenza ancora maggiore dal Del Castagno: e non a torto.
In realtà, il Del Castagno può essere accettato (e nemmeno sempre) quando riferisce cose da lui personalmente viste o udite; per il resto - specialmente per il periodo di vita religiosa del santo - molti elementi sono da accogliersi come topoi di una tradizione agiografica. Tra questi sono, ovviamente, la sterilità della madre e il conseguente voto di offrire il primogenito alla Vergine, nonché la vita sregolata del giovane sino ai 15 anni; non sono confermati: il sogno della madre che credette di partorire un lupo; la data di nascita (30 nov. 1301); i particolari dell'ingresso in religione e della professione; i prodigi operati prima e dopo il sacerdozio; la celebrazione della prima messa nella cappella di S. Maria delle Selve presso Firenze e l'apparizione della Madonna in tale occasione; la fuga alla Certosa per non accettare il vescovato; la missione di pace a Bologna; l'attribuzione della iscrizione sepolcrale a Coluccio Salutati.
È, per altro, accertato che la madre non si chiamava Pellegrina, ma Gemma (e inutilmente si è pensato a due mogli di Niccolò Corsini); il priore generale dei carmelitani, al cui nome il santo emise la professione religiosa, non fu certamente Giovanni Ballester. Non è vero inoltre che il santo studiò tre anni a Parigi né che passò per Avignone per visitare suo cugino Piero, divenuto cardinale nel 1369; non fu priore dei convento del Carmine di Firenze; l'elezione a vescovo di Fiesole non avvenne nel 1362, ma nel 1349, né fu quello descritto il modo di elezione (cioè da parte dei capitolo); assurdo che il corpo del santo, trasportato da Fiesole circa un mese dopo la morte, fu tenuto seduto in cattedra, come se fosse vivo, sino al 1440: ciò che peraltro non si sa come accordare con l'altra notizia, falsa anch'essa, che gli fu costruito il sepolcro nel 1375. Inoltre il Del Castagno mostra di ignorare completamente che il santo fu anche priore provinciale di Toscana.
L'entusiasmo suscitato dalle virtù di A. non si spense dopo la sua morte, anzi venne alimentato dai favori che il popolo attribuiva ai suoi interventi miracolosi, tra i quali il più celebre sarebbe stato quello della battaglia di Anghiari, dell'anno 1440.
La vittoria ad Anghiari, infatti, avvenne dopo una processione alla tomba di A., che sarebbe stata da lui stesso richiesta, il 5 giugno 1440. Il 29 dello stesso mese l'esercito del Piccinino venne sconfitto.
Le celebrazioni che si tennero, con particolare risalto, intorno al corpo di A., in seguito alla vittoria furono considerate equivalenti a una beatificazione, tanto più che Eugemo IV permise di ripeterle annualmente. Una speciale "provvisione" del Comune di Firenze stabilì che ogni anno in perpetuo, nella seconda domenica di giugno, i Signori e i Sei della Mercanzia con i Capitani delle Arti andassero con solennità alla chiesa del Carmine per offrire cera all'altare del b. Andrea, il cui corpo doveva esser esposto alla vista del popolo; inoltre, stabilì che ogni anno, il 29 giugno, con la somma di 70 fiorini d'oro si vestissero 20 poveri, con l'obbligo di andare alla chiesa di S. Piero Maggiore a fare offerta e assistere alla messa solenne. Con una nuova "provvisione", nel 1466, le autorità si dispensarono dalla processione, e dei 70 fiorini si stabilì di usame 30 per vestir novizi carmelitani, e i rimanenti 40 per 12 poveri.
Del 1465 e 1466 sono le forti istanze della Signoria al papa per la solenne canonizzazione; il papa nominò una commissione al riguardo, ma bisognò arrivare al 29 apr. 1629 per assistere alla solenne cerimonia in Vaticano. L'ufficio liturgico però già si celebrava a Fiesole e nell'Ordine carmelitano.
Oggi il corpo del santo riposa nella cappella Corsini al Carmine di Firenze, inaugurata il 26 ott. 1683. Architetto ne fu Francesco Silvani; G. B. Foggini scolpì i tre grandi bassorilievi e Luca Giordano dipinse nella cupola la gloria del santo.
Un'altra cappella in suo onore fu costruita in Roma nel 1734, a S. Giovanni in Laterano, da papa Clemente XII (Corsini). Il disegno è dell'architetto fiorentino Alessandro Galilei, e vi lavorarono il Pincellotti, il Comacchini, il Maini, il Monaldi, il Bracci ed il Montauti; sono illustrate in marmo le scene della vita del santo. Sull'altare è copia del quadro dipinto da Guido Reni in occasione della canonizzazione (l'originale alla galleria Barberini). In questa cappella volle esser sepolto Clemente XII.
La festa del santo si celebra il 7 gennaio al Carmine di Firenze, e il 4 febbraio dalla Chiesa universale.
Fonti e Bibl.: La più recente edizione dei Catalogus sanctorum è quella fatta da B. Xiberta in fine al vol. De visione S. Simonis Stock, Roma 1950. La descrizione del cod.Vat. 3813 è in Analecta Bollandiana, XVII(1898), pp. 314-317.
Potrà esser utile sapere che una copia del raro libro del p. Domenico di Gesù, Acta canonizationis S. A. C., con la prima ediz. della biografia di Del Castagno, è nella Bibl. Vaticana, Barber. JJ.I.30. Per il resto si rimanda a P. Caioli, O. Carm., S. A. C. carmelitano e vescovo di Fiesole, Firenze 1929. Tra le recensioni a questo vol. portano contributi: Anastasio di S. Paolo, De S. A. C., in Analecta Ordinis Carmelitarum Discalceatorum, IV(1930), pp. 238-250; R. Lechat, in Analecta Bollandiana, XLVIII(1930), pp. 432-434.
Utili anche gli studi di A. Cuschieri La biografia di S. A. C. nel secolo e nell'Ordine carmelitano, in Riv. stor. carmelitana, I(1929-30), pp. 21-39; B. Zimmerman, Alcune osserv. sul "S. A. C." dei P. Paolo Caioli Carm., ibid., II (1930-31), pp. 37-40.