ALESSIO ('Αλέξιος, Alexius), santo
Un racconto siriaco, formatosi a Edessa poco dopo la morte di Rabbūlā, vescovo di quella citià dal 412 al 435, narra d'un nobilissimo giovane cristiano, designato semplicemente come "l'uomo di Dio di Roma", il quale, la sera stessa delle sue nozze, preso dal desiderio di vita perfettamente evangelica, fuggì dalla casa paterna di Roma per vivere in Edessa di elemosine e passare in preghiera il giorno e la notte; la sua santità sarebbe stata riconosciuta dopo la sua morte dal vescovo Rabbūlā. Posteriori redazioni siriache del racconto aggiungono molti particolari, mostrano il santo risuscitato e vivente a Roma presso i suoi, ma incognito fra gli schiavi, sino alla sua seconda morte, e ora lo designano col nome di Giovanni figlio di Eufemiano, ora con quello di Aleksīs (cioè il greco 'Αλέξιος o "Αλεξις). Il racconto si diffuse tra i cristiani d'Oriente in arabo e in etiopico (ove egli è chiamato Gabra Krestos "il servo di Cristo"), e anche in greco, ove compare sotto il nome di Alessio e sotto quello di Giovanni calibita (καλυβίτης, da καλύβη "tugurio, capanna"). La narrazione poi passò alle letterature medievali europee, acquistando grande celebrità. Gli eruditi discutono sull'origine e la reciproca dipendenza di queste leggende, e sull'esistenza storica del protagonista o dei protagonisti. A quanto pare, la redazione edessena sarebbe la più antica. Il culto di S. Alessio fu introdotto in Roma (sull'Aventino) da monaci greci nella metà del sec. X, quindi si diffuse rapidamente in tutto l'Occidente.
Risale alla metà del sec. XI la Vie de Saint Alexis, che è uno dei più antichi poemi in francese antico. La narrazione è vivace; la lingua espressiva. Consta di 625 decasillabi (corrispondenti ai nostri endecasillabi) divisi in strofe di 5 versi assonanti. L'edizione che ne ha data G. Paris (Parigi 1872) è un modello del genere. Di gran lunga inferiore è un poemetto di un anonimo "decitore" marchigiano, in strofe monorime di ottosillabi, che risale probabilmente alla fine del sec. XII.
Frati di S. Alessio, o celliti. - Sotto il patrocinio di questo santo si pose un ordine religioso, che nel sec. XIV si diffuse rapidamente in Germania, nel Brabante, nelle Fiandre e più tardi in Francia, con lo scopo di curare i malati, gli alienati e i lebbrosi, in tempi in cui difficilmente si poteva evitare il terribile contagio, e di seppellire i morti. Gli ascritti vissero dapprima senza nome ben definito; sotto Pio II emisero nel 1461 voti religiosi davanti al priore del convento di Malines. Nel 1472 fu estesa loro da Sisto IV la regola di S. Agostino, con taluni privilegi. Pio IX (12 settembre 1870) confermò la loro regola, e le costituzioni così approvate furono estese a tutte le case degli alessiani (ritenuti veri religiosi di voti solenni da una congregazione plenaria nel 1883), limitando la professione ai soli voti semplici. L'11 giugno 1913 Roma diede il decreto definitivo di approvazione. L'ordine - la cui sede generalizia è in Aquisgrana - contava nel 1925 tre provincie, la tedesca, l'inglese e l'americana, con 304 fratelli e 17 case. Portano l'abito nero con mantello lungo e cappuccio tondo. Sono conosciuti anche sotto il nome di celliti, che quasi certamente deriva dal latino cella, ma, secondo alcuni, nel senso di "abitazione" secondo altri, invece, in quello di "tomba" (dall'ufficio di seppellire i morti).
Le suore di S. Alessio o cellite sono una congregazione sorta nel 1657 a Limoges: attendono al servizio gratuito dei malati poveri negli ospedali, e della infanzia orfana e abbandonata. Non si estesero oltre i confini della diocesi d'origine.
Bibl.: Acta Sanctorum, Ian., Anversa 1643, I, pp. 1029-31; 3ª ed., Parigi 1866, II, pp. 311-13; Iul., IV, pp. 238-70; A. Amiund, La légende syriaque de saint Alexis, Parigi 1889; L. Duchesne, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, X, 1890, pp. 10-26; E. A. Wallis Budge, The Lives of Mabâ Seyôn and Gabra Krestós, Londra 1898; Th. Nöldeke, in Zeitschrift der deutschen morgenländischen Gesellschaft, 1899, pp. 256-58; M. Rössler, in Wiener Beiträge zur englischen Philologie, XXI (1905), pp. 18-34; F. Bonanni, Catalogo degli Ordini religiosi, Roma 1706, I, n. 58; Hélyot, Dictionnaire des ordres religieux, I, col. 731.