GHETTI, Santi (Sante)
Figlio di Domenico, nacque a Massa nel 1589 (Santamaria). Divenne scalpellino seguendo il mestiere dei marmorari toscani Francesco e Nicolò Ghetti, dai quali probabilmente discendeva, che si erano trasferiti a Carrara intorno al 1517 al seguito dello scultore spagnolo Bartolomeo Ordóñez, o forse già del suo predecessore e maestro Domenico Fancelli (Campori; Apollonj Ghetti, 1977, pp. 22-24, cui si fa riferimento per le indicazioni documentarie se non altrimenti specificato).
Nel suo primo testamento, redatto a Roma il 15 nov. 1647, il G. si definì cittadino romano. Egli era giunto a Roma almeno dal 1615 e l'anno seguente risulta in due documenti della Reverenda Fabbrica di S. Pietro impegnato come scalpellino in piccoli lavori; in particolare, eseguì alcuni finestroni vicini alla cappella Clementina. Sempre nel 1616 viene citato in un atto della fabbrica di Monte Cavallo nelle vesti di commerciante di marmi per aver consegnato nove colonne provenienti da Carrara (Del Piazzo, 1973). Qualche anno dopo il G. fu impegnato nella realizzazione del bel ciborio dell'altare maggiore della basilica di S. Pietro a Perugia.
Secondo Montanari (1966), il lavoro, commissionato nel 1621 dall'abate Alessandro Pacognani, venne eseguito dal G. a Roma dietro il compenso di 124 scudi. Nel 1630 il ciborio e l'altare, dell'architetto perugino Valentino Martelli, furono solennemente inaugurati. L'ipotesi cronologica di Montanari, basata su documenti antichi relativi all'abbazia di S. Pietro, appare la più attendibile, ed esclude le varie altre datazioni (1609; 1627-35) proposte dalla critica.
Campori, riprendendo Pascoli e Passeri, scrive che nel 1622 il G. ospitò nella sua casa romana lo scultore G. Finelli, procurandogli una commissione in S. Maria sopra Minerva: i due angeli per il Sepolcro di Ottaviano Ubaldini Della Gherardesca. Secondo Nava Cellini (1982), Finelli si formò proprio nella bottega del G., per poi passare in quella di G.L. Bernini. Nel 1621 il G. collaborò all'esecuzione del sepolcro berniniano di Monsignor Pedro de Foix Montoya, già nella chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli e ora nel convento adiacente alla chiesa di S. Maria di Monserrato. Dal 1626, e ancora nel 1628 e 1638, il G. risulta al lavoro per la chiesa di S. Ignazio (Pollak, 1927).
Nelle vesti di commerciante di marmo lo troviamo impegnato nel 1626 nella fornitura di una lastra per l'altare del coro nuovo di S. Pietro e, nel 1630, di un'altra lastra destinata alla nicchia della Veronica nella stessa basilica vaticana (Id., 1931).
Qualche anno dopo il Sepolcro Montoya, il G. collaborò a un'altra impresa berniniana. Padre Girolamo Ghetti, generale dell'Ordine agostiniano, gli commissionò l'altare maggiore e il ciborio della chiesa romana di S. Agostino. L'opera fu solennemente inaugurata nell'aprile del 1628 e con una imponente processione vi fu collocata la celebre immagine della Madonna attribuita a s. Luca; i due angeli sopra il cornicione, allogati a Bernini, furono realizzati da Finelli su disegno del maestro. Nel 1636 il G. risulta di nuovo accanto a Bernini nei lavori per la cappella nell'abside della chiesa di S. Maria in Via Lata, su commissione di Francesco D'Aste (Montagu, 1985, II).
Il contratto stabilisce i materiali da usare nelle diverse zone e specifica che lo scalpellino deve fornire un proprio disegno per il pavimento, che fu poi modificato nel 1725 dal cardinale Benedetto Pamphili e restaurato nel 1914; le sculture dei putti e degli angeli devono essere invece realizzate - recita il documento - da "scultori valent'huomini" (Lavin).
Nel 1636 il G., insieme con Giovanni Piloti e Francuccio Francucci, stipulò un contratto con padre Andrea Rossano della Compagnia di Gesù per l'esecuzione del paliotto per l'altare di S. Ignazio nella chiesa del Gesù, attribuito dalla Montagu ad Alessandro Algardi; l'opera, terminata nel 1637, fu rimaneggiata e nuovamente dorata nel 1737. Sempre nel 1636 Rossano commissionò al G. il tabernacolo dell'altare maggiore per la cattedrale di Savona; lo scalpellino si rivolse a Piloti perché eseguisse "tutti li lavori di metallo" (1637), mentre Algardi eseguì le statue e il rilievo con l'Ultima cena (Montagu, 1985; 1989).
Nel 1648 il G. prese l'appalto per l'esecuzione di ventiquattro colonne di marmo (che diventeranno poi quarantasei) proveniente dalle cave di Cottanello in Sabina, e per il loro trasporto fino a Roma, alla basilica vaticana, dove dovevano essere messe in opera nelle navate minori.
Si tratta di uno degli episodi più considerevoli della carriera del G. imprenditore; egli propose alla Congregazione della Reverenda Fabbrica la fornitura delle colonne mostrando un campione di "pietra mischia color persico" che piacque molto ai suoi interlocutori. Nel 1650, infatti, questi gli concessero il permesso di ampliare la strada esistente e di crearne una nuova per rendere possibile il trasporto delle colonne dalla Sabina fino a Roma. Secondo quanto riportato da Eimer (1970, I, p. 289 n. 33a), nel 1651 il G. fornì materiali per le fontane di piazza Navona.
Nel 1652 il G. stipulò un contratto con monsignor Virgilio Spada, elemosiniere di Innocenzo X Pamphili, per la realizzazione del pavimento di S. Giovanni in Laterano, dopo aver lavorato ai dodici tabernacoli delle navate minori nella stessa basilica (Güthlein; Barroero). Tra la fine del 1652 e il maggio del 1653, il G. fornì al principe Camillo Pamphili otto colonne di marmo "cottanello" per la chiesa di S. Agnese in Agone. La pavimentazione lateranense (per il cui disegno cfr. Roca De Amicis, p. 93) era in parte in opera quando il pontefice, nel febbraio 1653, facendo visita alla basilica, dimostrò "grandissimo disgusto" per il disegno del nuovo pavimento e, sebbene lo avesse lui stesso approvato, ordinò di rimuovere quanto già eseguito, dando incarico a F. Borromini di realizzare un nuovo disegno. Grazie anche all'intervento di monsignor Spada, i lavori ripresero ma, solo pochi mesi dopo, nel settembre, Innocenzo X, di nuovo insoddisfatto, questa volta per la lentezza con la quale si procedeva, fece incarcerare l'anziano e infermo G. (Heimbürger Ravalli; Güthlein; Barroero; Roca De Amicis). Due mesi dopo il lavoro in S. Giovanni fu affidato a Luca Berrettini e Filippo Frugone, ma fu terminato nel 1655 sotto Alessandro VII.
Il G. uscì di prigione solo nel gennaio del 1656, grazie all'intervento in suo favore di monsignor Spada e a un prestito del principe Pamphili (Eimer, 1970, I, p. 289). Della vicenda lunga e complessa, che gettò il G. in disperate condizioni economiche, tanto da costringerlo a vendere persino i gioielli di sua nuora, resta dettagliata memoria nell'Archivio Spada (Heimbürger Ravalli; Güthlein).
Il G. morì di peste il 2 ott. 1656 a Roma; non fu possibile redigere l'inventario dei beni perché l'Ufficio di sanità appose sigilli alla sua abitazione (Roma, Arch. stor. del Vicariato, Parrocchia di S. Lorenzo ai Monti, Libro dei morti, 1656, c. 51; Eimer, 1970, I, p. 289).
Il 27 nov. 1656, all'apertura del testamento del 15 nov. 1647, il notaio redasse un atto dello stato dei beni dal quale si ricava che alcuni marmi, già lavorati, destinati al pavimento di S. Giovanni in Laterano, furono reimpiegati nelle chiese di S. Urbano e di S. Marco. Dallo stesso documento si evince che il G. aveva fornito alcune colonne per la basilica di S. Pietro e che aveva lavorato a una cappella "de' SS.ri Falconieri" (Archivio di Stato di Roma, Trenta notai Capitolini, Notaio J. Bernasconi, Uff. 13, vol. 338, c. 145v; Eimer, 1970, I, p. 289 n. 33a; Roca De Amicis, pp. 95 s.). Dal testamento sappiamo che il G. aveva sposato Agata Marescalchi, dalla quale aveva avuto Carlo, sacerdote, e, in seconde nozze, Caterina Bartoloni, che gli diede Giovan Francesco. Il G., che abitava nel rione Monti e aveva la sua bottega di scalpellino ai "Pantani", nella stessa zona, dichiarò di voler essere sepolto nella cappella della Mercede nella chiesa di S. Adriano in Campo Vaccino (oggi distrutta) chiedendo che vi si apponesse una lapide commemorativa con il suo nome, quello delle sue mogli e dei suoi successori. In ultimo, istituì una cappellania nel duomo di S. Andrea a Carrara, incaricando il pronipote, Andrea Ghetti, di farvi erigere un altare (Roma, Arch. stor. Capitolino, Archivio urbano, Notaio J. Bernasconi, sez. 34, vol. 28). Dallo stesso atto si ricava la notizia di alcuni lavori eseguiti in S. Andrea della Valle. Nel secondo testamento, scritto il 2 ott. 1656 di sua mano e in punto di morte, il G. si limitò a correggere le cifre dei lasciti agli eredi (ibid., Notaio D. Valentini, sez. 21, vol. 17).
Il figlio Giovan Francesco, del quale non si conoscono le date di nascita e di morte, divenne collaboratore del padre e fu attivo a Roma. Partecipò col G. all'impresa relativa al trasporto di marmo dalle cave di Cottanello alla basilica di S. Pietro (1648). Nel 1657 fornì ai Pamphili per il palazzo di piazza Navona alcuni pezzi e due colonne di "pietra mischia". Nel marzo del 1658 ebbe dalla moglie Maddalena un figlio, Santi, morto a soli ventidue giorni e sepolto in S. Agostino. Nel 1660 risulta nuovo appaltatore per il trasporto di travertino per i portici di S. Pietro; nello stesso anno presentò il conto, vistato da F. Borromini, per il travertino consegnato alla Sapienza. L'anno seguente si assunse l'incarico di eseguire il pavimento della chiesa di S. Ivo, sempre alla Sapienza, realizzato sul modello di quello della chiesa di S. Urbano (Roca De Amicis, p. 97 n. 27), e compare in un ordine di pagamento per la costruzione della fontana dell'Acqua Acetosa, realizzata da A. Sacchi e M. De Rossi. Nel 1662 fornì marmo cottanello alla chiesa di S. Andrea al Quirinale e nel 1669 quello bianco e nero per il pavimento di S. Agnese in Agone. Secondo quanto riportato da Eimer (1970, I, p. 289 n. 33a), egli lavorò anche in S. Nicola da Tolentino.
Potrebbe essere legato da vincoli di parentela col G. il "marmoraro" Giovanni AntonioGhetti, figlio di Cosimo, attivo a Roma. Nell'agosto del 1581 egli divenne soprastante alla Fabbrica di S. Pietro e, tra il 1590 e il 1594, compare come cottimista della lanterna della cupola. Mantenne la carica di soprastante fino al dicembre 1607, quando fu sostituito da Cosimo, probabilmente suo figlio (Apollonj Ghetti, pp. 23 s.), che la detenne fino all'agosto del 1616. Nel 1615 questo risulta tra i maestri che lavorano a S. Pietro. Nello stesso anno esegue per la Reverenda Fabbrica di S. Pietro due balaustre in marmo e alcuni ornamenti.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. del Vicariato, Parrocchia di S. Lorenzo ai Monti, Libro dei morti, 1658, c. 66; F. Martinelli, Roma ornata dall'architettura, pittura e scultura (1660-63), in Roma nel Seicento, a cura di C. D'Onofrio, Firenze 1969, pp. 11, 140; G.B. Passeri, Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni che hanno lavorato a Roma (1772), a cura di J. Hess, Leipzig-Wien 1934, p. 246 n. 2; G. Campori, Memorie biografiche degli scultori… di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa, Modena 1873, pp. 344 s., 350; R. Gigliarelli, Perugia antica e Perugia moderna, Perugia 1908, pp. 257 s.; A.C. De Romanis, La chiesa di S. Agostino di Roma, Roma 1921, pp. 22 s.; O. Pollak, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII, I, Wien 1927, pp. 147, 149, 152; II, ibid. 1931, pp. 236, 442; P. Federici, Notizie inedite sulle colonne di S. Pietro, in Roma, XV (1937), p. 100; F. Santi, Perugia guida stor. artistica, Perugia 1954, p. 100; O. Gurrieri, La basilica di S. Pietro a Perugia, Perugia 1954, p. 51; A. Nava Cellini, Aggiunte alla ritrattistica berniniana, in Paragone, VI (1955), 7, p. 31; L. Benevolo, Il problema dei pavimenti borrominiani in bianco e nero, in Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura, 1956, n. 13, pp. 2, 8, 16; M. Montanari, Mille anni della chiesa di S. Pietro in Perugia…, Foligno 1966, p. 210; Ragguagli borrominiani. Mostra documentaria, a cura di M. Del Piazzo, Roma 1968, pp. 49, 59, 111, 146, 191, 221, 224, 235 s.; M. Dejonge, Roma santuario mariano, Bologna 1969, p. 122; G. Eimer, La fabbrica di S. Agnese in Navona, Römische Architekten, Bauherren und Handwerker im Zeitalter des Nepotismus, I-II, Stockholm 1970, ad indicem; J. Garms, Quellen aus dem Archiv Doria Pamphilj zur Kunsttätigkeit in Rom unter Innocenzo X, Rom-Wien 1972, pp. 56 s. (n. 205), 158, 164 (nn. 702, 735), 97 (n. 433); M. Del Piazzo, in F. Borsi, Il palazzo del Quirinale, Roma 1973, p. 253; F.M. Apollonj Ghetti, S. G. scalpellino e impreditore, in L'Urbe, n.s., XL (1977), 3-4, pp. 22-39; M. Heimbürger Ravalli, Architettura, scultura e arti minori nel barocco italiano. Ricerche nell'Archivio Spada, Firenze 1977, pp. 86, 239-243; I. Lavin, Bernini and the unity of the visual arts, New York-London 1980, I, pp. 170-180; J. Fernandez Alonso, Obras de Bernini en Sañtiago de los Españoles de Roma, in Anthologia annua, 1980, n. 27, pp. 661, 664 s., 675-678; K. Güthlein, Quellen aus dem Familienarchiv Spada zum römischen Barock, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XX (1981), pp. 175, 184 s., 191 s., 202-208; A. Nava Cellini, La scultura del Seicento, Torino 1982, pp. 90, 247 s.; J. Montagu, Alessandro Algardi, New Haven-London 1985, I, pp. 77, 184; II, pp. 389 n. 93, 391 s. n. 97, 472 n. 35; Id., Roman Baroque sculpture, New Haven-London 1989, I, p. 205 n. 47; R. Wittkower, Gian Lorenzo Bernini…, Milano 1990, p. 246 n. 23; L. Barroero, in S. Giovanni in Laterano, a cura di C. Pietrangeli, Firenze 1990, pp. 158 s.; P. Santamaria, in L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni (1730-36), ed. critica dedicata a V. Martinelli, Perugia 1992, pp. 864, 870 n. 8; A. Roca De Amicis, Il pavimento borrominiano di S. Giovanni in Laterano…, in Studi romani, XLVI (1998), pp. 91-102 passim.