SANTARÉM (A. T., 155-156)
Città del Brasile, nello stato di Pará; sorge sulla riva destra del Tapajóz a breve distanza dalla sua confluenza nel Rio delle Amazzoni. Fondata dai gesuiti nel 1661 come aldeia (villaggio) degli indiani Tapajóz, fu elevata a villa (borgo) nel 1754 e divenne città soltanto nel 1848. Il centro cittadino, disteso lungo il fiume e distinto ancora in un quartiere indigeno di capanne coperte di foglie di palma e in un quartiere bianco, è formato di varie strade e piazze e possiede due chiese, il Palazzo del Municipio e quello del Tribunale, un modesto teatro, il mercato, alcuni magazzini; nel complesso, visto dal fiume, presenta un aspetto pittoresco nello sfondo della rigogliosa vegetazione equatoriale. Toccata da tutte le navi che risalgono il Rio delle Amazzoni, Santarém è collegata da un cavo telegrafico con Pará e Manáos ed è fornita di una stazione radiotelegrafica.
Il municipio ha una superficie di kmq. 32.968, pari cioè al territorio complessivo della Toscana e delle Marche, ma secondo il censimento del 1920 aveva appena 41.546 ab. (1,26 per kmq.), di cui circa 10.000 vivono nel centro cittadino. Della vasta area del municipio soltanto ettari 98.335 appartenevano ad aziende agricole e anche di questi il 24,1% era occupato da foreste. Piuttosto scarso il patrimonio zootecnico. Il territorio produce cacao, canna da zucchero, noci del Brasile, gomma e salsapariglia; importante reddito fornisce la pesca, praticata largamente durante il periodo di acque basse: il pesce viene in gran parte salato ed esportato. La coltura del cacao, già in decadenza, accenna ora a riprendere, mentre per opera della Companhia Paraense da Borracha e di una società nordamericana si vanno facendo tentativi di piantagioni razionali di Hevea brasiliensis. Santarém è lo sbocco commerciale della vallata del Tapajóz, che è navigabile per i piroscafi fluviali per oltre 200 km., ma è percorso da barche e da canoe fino alla regione sorgentifera nel Mato Grosso; dalla foresta amazzonica e dai campos dell'alto Tapajóz gl'indigeni fanno affluire i prodotti più svariati.
Santarém è nota per esservi state scoperte nel 1922 dall'archeologo Curt Unkel Nimuendajú una grande quantità di ceramiche, opera di un popolo precolombiano sinora ignoto, presentanti notevole originalità tecnica e artistica. Vi sono fra l'altro alcune coppe sostenute da cariatidi femminili che alla lor volta riposano su di una base a forma di clessidra e dei grandi piatti lungo il cui orlo si appoggiano figurazioni zoomorfe e antropomorfe in rilievo. La ceramica della cultura di Santarém veniva ornata esclusivamente mediante plastica, sia con incisione, sia con l'applicazione di protome dimostranti il notevole gusto artistico dei modellatori. Riguardo alla tecnica sono notevoli alcuni piatti il cui orlo è stato ornato mediante l'applicazione di una matrice negativa eseguita probabilmente in legno. L'esame microscopico delle ceramiche ha inoltre dimostrato come fosse aggiunta all'argilla una sostanza sgrassante composta dalle spicole silicee di una spugna di acqua dolce Parmula Batesii), procedimento tecnico sconosciuto alla cultura precolombiana dell'isola di Marajó e a quelle di Caviana, del rio Maraca e di Cunany. La cultura di Santarém appare aver avuto il massimo sviluppo durante il declino di quella di Marajó e aver formato come un cuneo posto attraverso l'area di dispersione delle ceramiche dipinte del medio e basso Rio delle Amazzoni. Fatto notevole: né le ricerche del Nimuendajú né di altri hanno posto alla luce una sola tomba nella regione di Santarém, particolare dovuto probabilmente al costume di ridurre in polvere le ossa dei defunti per poi sorbirle in determinate cerimonie (endocannibalismo).
Bibl.: S. Linné, Les recherches archéologiques de Nimuendajú au Brésil, in Journal de la Société des Américanistes de Paris, n. s., XX (1928); E. Nordenskjöld, L'archéologie du Bassin de l'Amazone, Parigi 1930; S. Linné, Contribution à l'étude de la céramique sudaméricaine, in Revista del Instituto de Etnologia de la Universidad Nac. de Tucumán, II, fasc. 2°, Tucumán 1932; A. Mordini, Gaetano Osculati e l'archeologia del medio Rio delle Amazzoni, in Archivio per l'antropologia e la etnologia, LXIV (1934).