STELLA, Santa
– Figlia di Alessandro (Venezia, Archivio storico del Patriarcato, Parrocchia di S. Geminiano, Registri dei matrimoni, reg. 6) e di sua moglie Zanetta (Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Atti, Notai Marco e Giovanni Antonio Generini, b. 7404, n. 26, 13 aprile 1723), nacque intorno al 1686: risulta infatti settantatreenne al momento della morte (Cicogna, 1834, p. 121).
Fu forse sua sorella maggiore la cantante Chiara Stella Cenacchi, documentata tra il 1699 e il 1720 in parti di contralto (seconda donna e secondo uomo en travesti) in teatri d’opera del Nord, tra Firenze, Genova, Verona e Mantova, nonché nell’autunno e Carnevale del 1715-16 in opere di Francesco Gasparini e Antonio Vivaldi in un teatro minore veneziano, il S. Moisè. In un libretto veneziano dell’autunno 1700 risulta al servizio del duca di Mantova (p. 119; nella contabilità di corte risulta però il nome di una Adriana Stella, dal 1700 al 1704; Besutti, 1997). Il fatto che parecchi libretti la qualifichino «bolognese» o «di Bologna» potrebbe riferirsi al cognome da maritata, assai diffuso a Bologna; viceversa, già nel 1690 una Chiara Stella Monti «veneziana» figura in un libretto bolognese (L’Almansorre).
Santa Stella compare per la prima volta come seconda donna in due opere allestite nel teatro Nuovo di Casale nel 1703, con musica di Gasparini (Il più fedel tra i vassalli) e di Antonio Caldara (Gli equivoci del sembiante), indi nel ruolo eponimo del Gran Pompeo (incerto l’autore) l’anno dopo. Nel viavai della guerra di successione spagnola, rotto nel 1702 l’assedio austriaco di Mantova, l’ultimo duca, Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers, era riparato nella fortezza di Casale; suo maestro di cappella per la chiesa come per il teatro era il citato Caldara. Ferdinando Carlo teneva a servizio una batteria di cantanti d’opera di spicco: tra di essi – accanto a Margherita Durastanti, Diamante Maria Scarabelli, Giuseppe Boschi e sua moglie Francesca Vanini, e altri ancora – fin dal 1703 (stando al libretto dei citati Equivoci) figurava anche Stella, che all’epoca avrà avuto diciott’anni scarsi; e alla luce dei trambusti bellici è improbabile che fosse stata scritturata soltanto in quel momento (infatti negli archivi ducali risulta dal 1700 al 1704; Besutti, 1997).
Da Casale, nel 1704, vari cantanti gonzagheschi partirono per Genova: nel teatro di S. Agostino, accanto a Barbara Riccioni, Santa Stella «detta la Santini» fu una delle due prime donne nella Partenope di Caldara (Rosmira) e nell’Ingratitudine gastigata di Tomaso Albinoni (Ginevra). L’anno dopo, in coppia con Diamante Scarabelli, nello stesso teatro cantò di nuovo in due opere di Caldara, L’Arminio (Climene) e L’onestà nelli amori (Elisa); e nella vicina Pavia fu una delle due prime donne nel Meleagro (musica di Antonio Francesco Martinenghi, Paolo Magni e Bernardo Sabadini).
Per le traversie politiche e belliche del loro patrono, parecchi cantanti al servizio di Mantova cercarono poi impiego a Venezia. Stella vi debuttò ventenne, nel teatro di S. Cassiano, come prima donna, Argene, nel Sidonio di Antonio Lotti (autunno 1706). Fin dagli inizi fu uno dei soprani di cartello, ingaggiati regolarmente sia in questo sia nell’altro teatro di prima sfera, il S. Giovanni Grisostomo. Nel Carnevale del 1707 al S. Cassiano fu Gemira nel Taican re della Cina (Gasparini) ed Elena nell’Achille placato (Lotti). In autunno, di nuovo al fianco della Scarabelli, passò al S. Giovanni Grisostomo come Gelinda nel Selvaggio eroe di Caldara, e per l’apertura del Carnevale 1708 fu di nuovo Rosmira nella Partenope di Caldara, indi Statira nell’Alessandro in Susa (musica forse di Luigi Mancia). A Vicenza, per la fiera di maggio, tenne il ruolo eponimo nell’Igene, regina di Sparta di Carlo Francesco Pollarolo. Charles Montagu, duca di Manchester, ambasciatore straordinario della corona inglese a Venezia, le offrì 500 sterline per una scrittura nel teatro londinese di Haymarket, a quanto pare invano. In novembre era di nuovo al S. Cassiano, Elisa nell’Astarto di Albinoni, e nel Carnevale seguente Lavinia nel Falso Tiberino di Pollarolo, indi Engelberta nell’opera omonima di Albinoni e Gasparini.
Mancano notizie per quasi un biennio, prima che nel dicembre del 1710 impersonasse Emilia nel Tiranno eroe di Albinoni e a Carnevale Asteria nel Tamerlano di Gasparini, sempre al S. Cassiano. Questo ‘buco’ nella carriera potrebbe aver coinciso con una gravidanza: si sa che la cantante ebbe una figlia illegittima, Lugrezia Maria Basadonna, nata dall’unione con un nobile veneto, Pietro Basadonna (Cicogna, 1834, p. 646); per testamento destinò infatti un vitalizio e alcuni beni personali a «suor Lugrezia Maria Basadonna, professa nel venerando monastero di Santa Croce alla Giudecca, mia dilettissima figlia» (Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, Notaio Marin Negri, b. 744, c. 159, 15 gennaio 1758). Le ultime quattro esibizioni a Venezia furono al S. Giovanni Grisostomo: cantò nella Forza del sangue di Lotti (Zoe) e nel Publio Cornelio Scipione di Pollarolo (Anagilda) nell’autunno-Carnevale del 1711-12, con Scarabelli e Durastanti; e i ruoli eponimi dell’Irene Augusta di Lotti e della Semiramide di Pollarolo nell’autunno-Carnevale del 1714.
Il 12 febbraio 1714, nella chiesa di S. Nicoletto dei Frari (oggi distrutta), sposò il compositore Antonio Lotti, di cui aveva continuativamente interpretato le opere. Con i proventi delle sue scritture aveva accumulato una dote di 18.600 ducati. Il matrimonio suggellò la sua carriera veneziana. Comparve ancora in un libretto parmense, datato 2 settembre 1714, con il doppio cognome, Beatrice nella Virtù coronata, o sia Il Fernando di Sabadini, al fianco della Durastanti e di una debuttante destinata a grandi successi, Francesca Cuzzoni.
Le sue ultime esibizioni furono alla corte di Dresda, dove approdò nel 1717 con il marito e con altre stelle del firmamento operistico, inclusi Boschi, Durastanti e il castrato Senesino (Francesco Bernardi). La compagnia italiana, scritturata per Giove in Argo di Lotti, melodramma pastorale di Antonio Maria Lucchini (autunno 1717), si trattenne fino al termine delle celebrazioni nuziali per il principe ereditario di Sassonia, Federico Augusto, e l’arciduchessa Maria Josepha d’Austria, per le quali furono allestiti altri due drammi per musica composti da Lotti: Ascanio, ovvero Gli odi delusi dal sangue (Lucchini; Carnevale 1718) e nel nuovissimo teatro eretto nello Zwinger da Alessandro e Girolamo Mauro la Teofane (Stefano Benedetto Pallavicino; settembre 1719). In quest’ultima opera i cantanti italiani furono ascoltati da un talent scout d’eccezione, Georg Friedrich Händel, in perlustrazione sul continente per conto della condenda Royal Academy of music londinese (fece ingaggiare Boschi, Durastanti e il Senesino; e nel 1722 ricavò dal dramma di Pallavicino il proprio Ottone, re di Germania).
I coniugi Lotti ritornarono in Laguna nell’ottobre del 1719, carichi di onori e di pecunia. Non lavorarono più per i teatri (è stata talvolta impropriamente confusa con Stella una cantante di nome Santa Santini, virtuosa di camera del principe elettore di Baviera, che compare nei libretti della Costanza in trionfo e del Ciro riconosciuto stampati a Monaco nel 1737 e a Torino nel 1739).
Morì di tubercolosi il 18 settembre 1759 (Cicogna, 1834, p. 121), quasi vent’anni dopo il marito (p. 120). La carriera teatrale aveva fruttato alla coppia cospicue ricchezze. Alla sua morte (5 gennaio 1740) Lotti poté rimborsare alla moglie la dote matrimoniale, lasciandola in possesso di notevoli proprietà e investimenti. Stella poté permettersi non meno di tre servitori, un cuoco e due gondolieri. Fu sepolta accanto al marito, in S. Geminiano, la chiesa dirimpetto a S. Marco distrutta da Napoleone nel 1807.
Pierfrancesco Tosi, nelle Opinioni de’ cantori antichi e moderni (Bologna 1723), adduce l’esempio di Santa Stella a suffragio della tesi che il buon cantante, sul modello dell’insigne Francesco Antonio Pistocchi, non abusa delle fioriture e delle cadenze assolo: «la Signora Lotti, accompagnata dalle stesse regole e da una soavità penetrante, chiedea cantando il cuore, né si poteva negarle ciò che era suo» (pp. 65 s.). Su di lei, parecchi decenni più tardi, si pronunciò anche il flautista Johann Joachim Quantz, in servizio a Dresda in quegli anni: «La Lotti aveva una voce di soprano piena e robusta, buona intonazione e buon trillo. Le note acute le costavano un po’ di fatica. Eccelleva nell’adagio. Da lei per la prima volta ho sentito praticare il tempo rubato», ossia l’esecuzione ritmicamente flessibile della melodia sopra la scansione regolare del basso. Aveva – dice ancora Quantz – «un ottimo portamento scenico, ed era insuperabile soprattutto nei personaggi sublimi» (Lebenslauf, von ihm selbst entworfen, in F.W. Marpurg, Historisch-kritische Beyträge zur Aufnahme der Musik, I, Berlin 1755, pp. 213 s.).
Fonti e Bibl.: E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, pp. 113, 119, 121, 646; F. Della Seta, I Borghese (1691-1731). La musica di una generazione, in Note d’archivio per la storia musicale, n.s., I (1983), pp. 179, 181; L. Lindgren, Venice, Vivaldi, Vico and opera in London, 1705-17: Venetian ingredients in English pasticci, in Nuovi studi vivaldiani, a cura di A. Fanna - G. Morelli, Firenze 1988, pp. 639 s.; P. Besutti, La figura professionale del cantante d’opera: le virtuose di Ferdinando Carlo Gonzaga, in Quaderni storici, XXXII (1997), pp. 430-433; E. Selfridge-Field, A new chronology of Venetian opera and related genres, 1660-1760, Stanford 2007, ad indicem. Si ringrazia Gianluca Stefani per la cortese segnalazione dell’atto notarile all’Archivio di Stato di Venezia del 13 aprile 1723.