ROSA VENERINI, santa
Nacque a Viterbo il 9 febbraio 1656, terza di quattro figli (Domenico, Maria Maddalena, Rosa, Orazio). Il padre, Gottifredo (Goffredo), era medico originario delle Marche, dove era nato nel 1612, ed era stato nominato benemerito della città di Viterbo per l’assistenza sanitaria prestata durante la pestilenza del 1657; la madre, Marzia Zampighetti, nata nel 1617 all’interno di un’antica e benestante famiglia di commercianti viterbesi, si era risposata il 30 ottobre 1650 dopo sedici anni di vedovanza dalle prime nozze con Clemente Spisa Leonardi, celebrate quando contava quindici anni d’età.
Orientata alla vita consacrata, su consiglio del padre nell’autunno del 1676 Rosa entrò, ventenne, nel monastero domenicano di S. Caterina della sua città, dove già aveva professato una zia materna, Anna Cecilia Zampighetti, ma dopo soli pochi mesi fu costretta ad abbandonare il chiostro per la morte del padre (29 gennaio 1677). Nel 1680, nel giro di poco tempo la sorella Maria Maddalena si sposò (8 gennaio), il fratello ventisettenne Domenico, anch’egli medico, morì (28 febbraio), seguito a breve dalla madre (24 ottobre); Rosa restò in casa con il fratello minore Orazio, ventitreenne, che aveva compiuto studi giuridici e sarebbe diventato avvocato ricoprendo l’incarico di uditore di alcuni prelati.
Su suggerimento del confessore, il gesuita Ignazio Martinelli, professore nel locale collegio della Compagnia di Gesù, rinunziò a entrare in un monastero di clausura e, per compiere opere devote, invitò a casa sua per la preghiera le donne del vicinato, cui propose un po’ alla volta nozioni d’istruzione religiosa. Si andava componendo una realtà nuova, nella quale l’apprendimento scolastico, pur presente nelle scuole della dottrina cristiana, veniva accentuato e declinato al femminile. Fu un’esperienza che le tornò utile quando, sposatosi il fratello Orazio con Angela Francesca Rapaschi (20 dicembre 1684), ella si rese conto di non poter proseguire nella casa di famiglia quest'attività e perciò decise di prendere in affitto altrove una stanza per continuare a insegnare (13 agosto 1685).
Nel 1687 la scuola fu trasferita nella parrocchia di S. Maria in Poggio, poi in quella di S. Giovanni in Zoccoli (1690), in una casa con orto di proprietà di Ottavio Laziosi, fratello del marito di Maria Maddalena Venerini. Per tale iniziativa, ottenne l’approvazione del vescovo di Viterbo, il cardinale Urbano Sacchetti, e il sostegno finanziario di una benefattrice, Artemisia Mansanti Brugiotti. Nella nuova esperienza si fece affiancare da due amiche: Porzia Bacci, che però presto abbandonò la casa per la malferma salute, e Girolama Coluzzelli. L’impresa, definita come la prima scuola pubblica femminile in Italia, non incontrò subito la simpatia dei cittadini: alcuni erano perplessi per quella scuola fatta fuori dai monasteri – Viterbo contava all’epoca nove monasteri più un conservatorio detto delle 'zitelle sperse' –, mentre una parte del clero era sospettosa per il catechismo che vi s’insegnava, come se venisse spiegato in alternativa a quello parrocchiale. Solo con il tempo il numero delle collaboratrici crebbe, e a due a due le 'maestre pie' della Venerini – come la gente comune cominciò a denominarle – andavano a prestare la loro opera didattica nelle varie località della diocesi viterbese che ne facevano richiesta.
Le maestre non vivevano né da monache né da terziarie, ma da secolari. Secondo le indicazioni della fondatrice, non emettevano voti religiosi, ma dovevano vivere come se li avessero pronunciati. Vestivano con abito nero per riverenza a s. Ignazio di Loyola, che avevano scelto come protettore per aver fondato la Compagnia di Gesù per l’educazione cristiana dei giovani. Inizialmente s’indirizzavano solo alle ragazze del popolo, ma in seguito, su indicazione di padre Martinelli, cominciarono ad accogliere anche allieve di nobili famiglie. Oltre a insegnare il catechismo e le preghiere comuni, guidavano le allieve nell’apprendimento dei lavori femminili e di tutto ciò che una donna di quel tempo doveva conoscere per guidare saggiamente una casa. A tutte le alunne, che andavano dai sei anni in su, insegnavano a leggere, ma solo alle più capaci, e separatamente, offrivano l’opportunità di apprendere a scrivere, casomai avessero voluto entrare in qualche monastero. Le lezioni duravano tutta la giornata, che si avviava con la meditazione e si chiudeva con le preghiere della sera. Seguirono presto nuove fondazioni: Bagnaia e Oriolo (1699), Tuscania (1701), Bolsena (1702), Vitorchiano e Vetralla (1704), Soriano e Blera (1705), Ronciglione (1706), Veiano e Bomarzo (1707), Civita Castellana (1711) e così via.
Il vescovo di Montefiascone, il cardinale Marco Antonio Barbarigo, invitò Rosa Venerini ad aprire scuole nella sua diocesi. Ella vi si trattenne per un paio di anni (1692-94), dando vita a una decina di fondazioni, generosamente supportate dal cardinale (a Montefiascone, a Corneto, oggi Tarquinia, a Valentano, a Latera, a Gradoli, a Grotte di Castro, a Capodimonte, a Marta, a Celleno, a Piansano). Reclutò e formò nuove maestre, tra le quali spiccava Lucia Filippini che, conosciuta nel monastero di S. Chiara di Montefiascone, sarebbe stata continuatrice della sua opera, anche se in autonomia. Nel 1706, con l’arrivo del nuovo vescovo Sebastiano Pompilio Bonaventura, Venerini comprese che l’esperienza di Montefiascone poteva dirsi conclusa per i nuovi orientamenti pastorali assunti in diocesi. Tuttavia le scuole si moltiplicarono in tutto il Lazio, anche perché erano aperte a tutti, gratuite e finanziate solo con il sostegno dei benefattori o di qualche pubblica istituzione locale.
Dopo un primo vano tentativo (1707), con l’aiuto dell’abate viterbese Giacomo degli Atti, di Alessandro Bussi, oratoriano della chiesa Nuova, e del carmelitano Gioacchino Maria Oldo, all’epoca curato di S. Maria in Traspontina, Rosa inaugurò una scuola anche a Roma (1713), nella parrocchia di S. Venanzio, nelle vicinanze dell’Aracœli. Da allora si stabilì in città, insieme a quattro maestre, e consolidò l’opera definendo e pubblicizzando il suo metodo pedagogico in una relazione che dedicò al 'cardinale protettore' assegnatole, Giuseppe Sacripanti (Relazione degli esercizi, che si pratticano in Viterbo nelle scuole destinate per istruire le fanciulle nella dottrina cristiana, Roma 1714). Riuscì ad attirare positivamente l’attenzione dell’opinione pubblica e il 24 ottobre 1716 ricevette la visita di papa Clemente XI Albani, che ne apprezzò l’opera, mirata al miglioramento della condizione femminile attraverso l’istruzione. Così fu possibile aprire una seconda scuola a Roma, nei pressi della fontana di Trevi, e poi anche fuori città: a Veiano e Capranica (1707), Carbognano (1710), Vasanello (1715), Manziana, Magliano, Gallicano e Gallese (1717), Cori (1721), Vallerano (1722), Vignanello (1723), Barbarano (1726), Poggio Mirteto (1728), a Narni (1715) con il contributo del cardinale Giuseppe Sacripanti, a Sant’Oreste (1717) con l’assistenza del cardinale Lorenzo Altieri, a Zagarolo (1718) con l’ausilio della famiglia Rospigliosi, a Bracciano (1718) con l’appoggio degli Odescalchi, ad Albano (1723) con la collaborazione del cardinale Fabrizio Paolucci, ad Ariccia con l’aiuto dei Chigi, a Sezze con l’intervento del cardinale Pietro Marcellino Corradini.
Dopo sei mesi di dolorosa infermità, morì a Roma al tramonto del 7 maggio 1728, presso la prima scuola, che nel frattempo si era spostata nei pressi della basilica di S. Marco ai piedi del Campidoglio.
Secondo i suoi desideri, fu sepolta nella chiesa del Gesù, dove già da due anni le maestre pie avevano una loro sepoltura innanzi alla porta della sacrestia, ma nel 1952, in occasione della beatificazione, i suoi resti furono traslati nella cappella della casa generalizia a Trastevere. Pio XII la proclamò beata il 4 maggio 1952 e Benedetto XVI santa il 15 ottobre 2006.
Rosa Venerini, che si formò nello spirito della Compagnia di Gesù – oltre al padre Martinelli, ebbe come consiglieri spirituali e sostenitori i gesuiti Domenico Balestra, romano, Antonio Baldinucci, fiorentino e, negli ultimi tempi, Ventura Bandinelli – non riuscì a dare una regola scritta alle sue maestre pie, ma il testo del 1714 restò alla base delle successive edizioni delle regole che furono promulgate dal 1836 al 1933, quando cambiò la struttura dell’istituto, eretto in congregazione religiosa di diritto pontificio.
Alla sua morte le maestre pie Venerini contavano più di quaranta scuole, distribuite in diciassette diocesi, prevalentemente nell’Italia centrale (erano escluse dal computo quelle della diocesi di Montefiascone, passate sotto la guida delle maestre pie Filippini, cui aveva dato nome l’antica compagna di Rosa, Lucia Filippini). Forse anche per l’appoggio venuto meno da parte della Compagnia di Gesù a causa della soppressione (1773), fino al Novecento l’istituto si diffuse poco fuori d’Italia. Solo nel 1909 fu aperta la prima casa all’estero, negli Stati Uniti, a Lawrence, in Massachusetts, ma oggi se ne contano anche in Svizzera, in India, America Latina ed Europa dell’Est.
Della Venerini si conservano due ritratti realizzati quando era in vita: un dipinto su tela, commissionato dalla principessa Laura Altieri nel 1699 per le scuole di Oriolo (oggi conservato nella casa generalizia della congregazione), e un’incisione, fatta realizzare dal gesuita Andrea Girolamo Andreucci come antiporta della biografia stampata nel 1732.
Nel corso del processo per la beatificazione e canonizzazione sono stati raccolti gli scritti di Venerini (Scritti della beata Rosa Venerini, Roma 1974), e i principali documenti per la sua biografia sono confluiti nella Positio super virtutibus, Roma 1942, opera del redentorista austriaco Joseph Löw e del futuro cardinale francescano Ferdinando Antonelli. Documentazione relativa ai processi per la beatificazione e canonizzazione si conserva presso il Cedido (Centro diocesano di documentazione per la storia e la cultura religiosa a Viterbo), Archivio dell’antica diocesi di Viterbo, s. Processi di beatificazione e canonizzazione, cartt. Rosa Venerini.
Gli scritti biografici su Rosa Venerini, pur se storicamente documentati, hanno un prevalente carattere agiografico, anche il primo sobrio profilo redatto dal contemporaneo gesuita viterbese Andrea Girolamo Andreucci, Ragguaglio della vita della serva di Dio R. V., viterbese, Roma 1732. Si veda inoltre: A. Mei, Succinto ragguaglio della vita della serva di Dio R. V., viterbese, institutrice delle maestre pie, Iesi 1804; F. Di Simone, Della vita della serva di Dio Lucia Filippini, superiora delle scuole pie, Roma 1868, passim; E. Valentini, Vita della serva di Dio R. V., fondatrice delle maestre pie, Roma 1917; Cenni sulla vita e sulla istituzione della serva di Dio R. V., fondatrice delle maestre pie, Roma 1937; G. Löw, V., R., in Enciclopedia Cattolica, XII, Città del Vaticano 1950, col. 1184; G.V. Gremigni, La beata R. V., Roma 1952; M.E. Pietromarchi, Vita della beata R. V., fondatrice delle maestre pie, Roma 1952; P. Chiminelli, Profilo della b. R. V. (1656-1728), antesignana della scuola femminile italiana, Napoli 1953; K. Hofmann, V. R., in Lexikon für theologie und kirche, X, Freiburg 1965, col. 664; N. Del Re, V., R., in Bibliotheca sanctorum, XII, Roma 1969, coll. 1005-1007; G. Consoli, R. V., Catania 1970; R. Angeli, R. V., una guida per la gioventù, Livorno 1973; G. Rocca, V. R., in Dizionario degli istituti di perfezione, IX, Roma 1973, coll. 1832-1833; S.S. Macchietti, Le scuole delle maestre pie: esperienze di educazione femminile e popolare nel ’600, in Pedagogia e vita, XXXVIII (1977), pp. 633-646; III centenario dell’opera educativa della b. R. V., Senigallia 1985; S.S. Macchietti, R. V. all’origine della scuola popolare femminile. L’azione educativa del suo istituto dal 1685 ad oggi, Brescia 1986; M. Caffiero, Religione e modernità in Italia (secoli XVII-XIX), Pisa-Roma 2000, pp. 113-129; M. Mascilongo, Ho creduto all’amore. Itinerario spirituale di R. V., Roma 2006; R. Pomponio, R. V., maestra di vita, Cinisello Balsamo 2006; M.T. Crescini, Quello che viene dal cuore. Il metodo educativo di R. V., Roma 2014.