GIACINTA Marescotti, santa
Nata il 16 marzo 1585 nel castello di Vignanello, nella diocesi di Civita Castellana, dal conte Marcantonio e da Ottavia Orsini, figlia di Vicino, signore di Lugnano e Bomarzo, e di Giulia di Galeazzo Farnese, fu battezzata con il nome di Clarice. La data di nascita è riportata nel processo di canonizzazione, mentre rimane incerta quella del battesimo, dato che il certificato - indicato come esistente presso l'archivio di famiglia nel 1941 e oggi perduto - non vi è trascritto.
La famiglia, appartenente alla nobiltà locale sebbene vantasse una discendenza antica, proprio in quegli anni si trovava in fase di ascesa ed espansione grazie all'appoggio dei Farnese, cui si trovava legata grazie a una fortunosa politica matrimoniale iniziata quando Paolo III, con breve del 4 febbr. 1536, aveva confermato a Ortensia Baglioni, figlia di Beatrice Farnese e vedova in prime nozze del conte di Marsciano, e al di lei marito Sforza Marescotti il possesso del feudo di Vignanello e il titolo comitale.
Dei figli nati dal matrimonio fra Marcantonio (1557-1608) e Ottavia (m. 1636), celebrato nel 1574, cinque raggiunsero l'età adulta. Erede del titolo fu Sforza Vicino, nato nel 1589, che nel 1616 sposò Vittoria di Orazio Ruspoli, unendo i cognomi e le fortune dei due casati; morì nel 1655, lasciando tre figli maschi, Francesco, Marcantonio e Galeazzo, futuro cardinale, che tanta parte avrebbe avuto nella consacrazione della zia. Il fratello minore di Sforza Vicino, Galeazzo, nato nel 1599, fu avviato alla carriera ecclesiastica e morì prematuramente nel 1626 a Roma. In base al calcolo che destinava la maggioranza delle figlie alla religione, in modo da dotare congruamente per il matrimonio una sola di esse, dopo la nascita nel 1583 di una Ortensia, morta infante, l'unica destinata al matrimonio fra le femmine di casa, fu una seconda Ortensia, nata nel 1586, che nel 1605 andò sposa a Paolo Capizucchi, dei marchesi di Poggio Catino, e che morì nel 1626. La primogenita Ginevra, nata nel 1575, dopo aver dimostrato un'autentica vocazione monastica, nel 1594 entrò nel monastero di S. Bernardino a Viterbo, prendendovi i voti col nome di suor Innocenza. Qui morì in fama di santità nel luglio 1631, ricevendo un tributo di folla assai simile a quello di cui sarebbe stata oggetto G. alla sua morte, nel 1640. L'evento, narrato dalla stessa G. con dovizia di particolari in una lettera autografa al fratello, fa pensare a una premeditata e attenta operazione, concertata lucidamente in famiglia, di perseguimento della santità per almeno un membro di essa, nel tentativo di confermare il successo e l'ascesa del casato oltre che nelle carriere secolari così pure nelle gerarchie celesti, secondo una strategia consolidata, in uso presso diverse altre grandi famiglie nobiliari dell'epoca.
Stando alle fonti del processo di canonizzazione, peraltro insolitamente sommario e lacunoso, G. crebbe a Vignanello mentre vi si effettuavano i lavori di miglioria che diedero l'attuale impianto al castello e all'ancor esistente giardino all'italiana. All'età di nove anni venne mandata nel monastero di S. Bernardino, presso la sorella maggiore, per ricevere un'educazione. è questo il primo impatto di G. col chiostro. Il monastero dove avrebbe trascorso gran parte della sua vita, intitolato al santo senese e appartenente fin dalla fondazione al Terz'Ordine francescano, aveva nei due secoli precedenti sviluppato un rapporto preferenziale con la famiglia di G., accogliendovi diverse donne dei casati Marescotti e Farnese. Qui G. dovette imparare a leggere e scrivere - anche se in maniera rudimentale, visto che il ductus della sua scrittura appare trascurato e inelegante - e conobbe la disciplina monastica, che pure vi si trovava applicata con moderazione: nel 1582, in ottemperanza dei dettami tridentini e della successiva legislazione, vi era stata a esempio introdotta la stretta clausura, ma ancora nel 1612 (a otto anni cioè dall'ingresso in religione di G.) essa dovette essere ribadita e imposta dallo stesso pontefice. Dopo due anni di educandato, G. venne tuttavia ritirata perché insofferente all'ambiente.
Ritornata a Vignanello, dove ricevette la cresima, vi trascorse otto anni, di cui non rimangono tracce documentarie, durante i quali parve destinata al matrimonio. Ma il padre, secondo una logica non del tutto chiara anche per quei tempi, anziché G. scelse di accasare la terzogenita Ortensia, che al contrario dimostrava propensione al chiostro. G. accolse con amarezza la decisione paterna. Entrata nel monastero di S. Bernardino, dopo un anno di soggiorno, il 9 genn. 1604 fece la vestizione, prendendo il nome di suor Giacinta. Il giorno precedente era stata versata dal padre la dote spirituale, necessaria per l'entrata in monastero, pari a 600 scudi, a cui se ne aggiungevano 72 come provvisione annua. Nello stesso giorno G. rinunciò a ogni suo avere, secondo l'uso, lasciando erede universale, con una prassi invece insolita, la madre Ottavia. L'ingresso in convento pare a questo punto dettato da un lucido calcolo, dal momento che le stesse fonti agiografiche riportano unanimemente la sua frase secondo cui si sarebbe fatta monaca per vivere secondo il proprio grado e il proprio titolo. Come di prammatica, a un anno di distanza, il 20 genn. 1605, emise la professione solenne, reiterando la rinuncia ai propri beni.
Dopo un ingresso tanto tiepido, G. trascorse, come lei stessa riporta nel suo diario autografo, quindici anni (secondo il processo, dieci) intenta a se stessa e alla costruzione del proprio personale benessere materiale. Il suo carteggio (52 lettere indirizzate ai familiari, a eccezione del padre, conservate presso l'archivio di famiglia) mostra un'attenzione spasmodica per piccoli dettagli mondani: dalla tonaca in seta alle cibarie, fino agli ornamenti per la cella. Per tutta questa prima fase, la vita di G. appare quella di tante monacate contro voglia, che si adattavano al chiostro creandosi una nicchia di comodità e piccoli privilegi con cui ammorbidire la durezza della propria condizione forzata.
Su tale situazione si innesta il topos agiografico della malattia quasi mortale e della successiva conversione. A seguito di essa, dopo aver mutato il proprio nome in suor Giacinta di Maria Vergine (come attestano le note di possesso dei suoi libri, ancora conservati a Vignanello), G. inaugurò una vita caratterizzata da strette mortificazioni corporali, uso del cilicio, devozioni alla croce, preghiere e pratiche spirituali (introdusse a Viterbo la devozione delle quarantore dopo i tre giorni del carnevale e l'esposizione del Ss. Sacramento), che praticò fino alla fine dei suoi giorni. Sotto la direzione del padre Antonio Bianchetti, dell'Osservanza francescana, manifestò da un lato quelle pratiche mistiche che accreditarono una fama di santità (divinazione, profezia, premonizione, estasi, scrutazione dei cuori, imponderabilità del corpo); dall'altro si impegnò nella vita attiva, costantemente oscillando fra un ideale monastico rigoroso e l'apostolato nel mondo. Dopo un tentativo infruttuoso di trasferirsi presso le clarisse riformate farnesiane di suor Francesca di Gesù e Maria (che la visitò nel febbraio 1631), creò due confraternite laiche. La prima, approvata dal vescovo di Viterbo Tiberio Muti (m. 1636), fu detta, dal nome della chiesa dove si riuniva, di S. Maria delle Rose, o dei Sacconi, ed era dedita alla cura degli infermi; la diresse Francesco Pacini, un convertito di Giacinta. La seconda, approvata dal cardinale Francesco Maria Brancaccio (vescovo di Viterbo nel 1636-38), dopo la morte di G., nel 1643, e detta degli Oblati di Maria, aveva come missione la cura degli anziani, pur essendo nata all'inizio con costituzioni che preconizzavano quelle della Trappa, in un'interessante trasposizione al maschile di clausura strettissima. Da una sua lettera, si ricava che nel 1631 G. ricopriva nel monastero di S. Bernardino la carica di maestra delle novizie; mentre non risulta che sia mai divenuta badessa.
Dopo lunga malattia, G. si spense il 30 genn. 1640. Alla sua morte si ripeterono le scene di devozione popolare che avevano caratterizzato l'esposizione della salma e la sepoltura della sorella Ginevra. Prima del funerale, celebratosi il 1° febbraio, il suo cadavere venne spogliato più volte della tonaca, fatta a brandelli, le furono asportate le dita delle mani per farne reliquie e la città accorse in massa per assistere al miracolo del corpo non irrigidito. Sepolta nella fossa comune sotto l'altare maggiore nella chiesa del convento, accanto alla sorella, le fu apposto in prospettiva un braccialetto al polso che permise, durante il processo di beatificazione nel 1726, di identificare in maniera certa le sue spoglie (ossa e ceneri) e procedere alla traslazione in una teca della chiesa, dove fu eseguita una ricostruzione in cera del corpo, entro cui vennero inseriti i frammenti corporei. Questo simulacro esiste ancora nella chiesa di S. Bernardino, ricostruita nel 1959 dopo i bombardamenti che distrussero il chiostro nel 1944, insieme con tutto il materiale archivistico ivi conservato.
Galeazzo (1627-1726), figlio minore di Sforza Vicino, fratello di G., durante la sua lunghissima e brillante carriera ecclesiastica (nel 1675 divenne cardinale ed ebbe a disposizione grandi mezzi, grazie all'eredità dei patrimoni Marescotti e Ruspoli), prese molto a cuore le sorti della zia, avviando un processo di canonizzazione che procedette a marce forzate e per le cui spese egli dispose un finanziamento di 300 scudi messo a frutto perpetuo presso un Monte. Il primo processo informativo sulla fama di santità ebbe inizio il 16 febbr. 1688 e si concluse il 29 giugno dello stesso anno. Il cardinale Leandro Colloredo, ponente della causa, diede disposizioni per la continuazione e istituì la commissione per introdurla nel 1691. L'anno seguente, dopo aver ricevuto parere favorevole all'introduzione della causa, una commissione si recò a Viterbo e iniziò il processo sopra le virtù eroiche. Il decreto sulle virtù della venerabile G. fu emanato nel 1715. Benedetto XIII Orsini, appartenente allo stesso casato della madre di G., ne favorì con ogni mezzo il successo, mentre i legami fra le due famiglie venivano rinsaldati col matrimonio fra Giacinta, figlia di Francesco Maria Marescotti-Ruspoli, con il nipote del papa, Filippo Orsini, duca di Gravina. Il 7 ag. 1725 il pontefice assistette personalmente alla festa per la beatificazione di G., dopo che il 7 marzo dello stesso anno era stata data comunicazione informale da parte della sacra congregazione dei Riti, e l'8 nov. 1725 si recò a Vignanello per la consacrazione della chiesa parrocchiale. L'anno seguente G. venne proclamata coprotettrice della città di Viterbo. Il processo si concluse favorevolmente il 24 nov. 1789 e fu confermato il 15 ag. 1790, ma venne ufficializzato solamente il 24 maggio 1807 con l'usuale bolla di canonizzazione.
Di G. rimangono, parzialmente inedite, le lettere alla famiglia, insieme con un breve diario e alcune istruzioni di vita spirituale, di scarso interesse, pubblicati in A. Chiappini, S. Hyacinthae Marescotti vita, in Annales minorum, XXVIII (1941), pp. 604-646. Il diario di G. è conservato (non inventariato) presso la casa generalizia dell'Ordine francescano, nel convento dei Ss. Apostoli a Roma: Liber scriptus a B. Virginis Hyacintae de Marescottis. Diversi detti spirituali per accendere le anime devote al puro amore di Jesù et Maria; è pubblicato in L. Ventey, Un diario autografo inedito di s. G. M., in Miscellanea francescana, XL (1949), pp. 187-196.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, S. Congregatio Rituum, Mon. III Ord. S. Franc. Viterbien., 3588-3595: Processus Hyacinthae de Marescottis; Ibid., Arch. Ruspoli-Marescotti ff. 138-192 (1600-28); divisione 2a, arm. L, f. 392, 2; divisione B, 58, 19, inc. 118; parte II, arm. E, t. 200, f. 17; F.M. de Amatis, Vita della rev. madre suor Iacinta, Viterbo 1672; G. Ventimiglia, Vita della venerabile serva di Dio suor G. M. monaca nel monastero di S. Bernardino di Viterbo, Roma 1695; C. Massini, Vite di sante vergini e di alcune ss. fondatrici di monasteri e di congregazioni di religiose, Roma 1768, pp. 47-58; D.M. Annibaldi da Latera, Vita della vergine s.ta G. M., Roma 1805; V. Spreti, Enc. stor.-nobiliare italiana, IV, p. 378; Enc. cattolica, VI, col. 307; Diz. ecclesiastico, II, Torino 1955, pp. 95 s.; Lexikon für Theologie und Kirche, VII, Freiburg 1962, col. 18; Catholicisme, V, Paris 1962, pp. 1122 s.; Bibliotheca sanctorum, VI, coll. 322-324; New Catholic Encyclopedia, IX, Washington, DC, 1967, p. 199; Dict. d'hist. et de géogr. ecclés., XXV, coll. 509 s.; Il grande libro dei santi. Diz. enciclopedico, Cinisello Balsamo 1998, ad vocem.