GEMMA Galgani, santa
Quinta di otto figli, nacque il 12 marzo 1878 a Capannori, in provincia di Lucca (a Camigliano, località indicata da Germano quale luogo di nascita di s. Stanislao, fu invece battezzata), da Enrico, farmacista benestante che discendeva per parte materna dal beato Giovanni Leonardi, e da Aurelia Landi. Al battesimo il nonno paterno, medico e pubblicista, aggiunse a G. i nomi di Umberta e Pia, in ricordo del sovrano regnante e del pontefice appena defunto: fatto, questo, indicativo di una famiglia cattolica ma non intransigente.
Un mese dopo la sua nascita la famiglia si trasferì a Lucca, ove G. dall'età di due anni fino ai sette fu affidata a una scuola privata, apprendendovi i primi rudimenti delle lettere e delle "arti donnesche". La famiglia profondamente cristiana e, in particolare, l'esempio della madre devotissima segnarono la sua formazione, così che a soli sette anni, il giorno della cresima (26 maggio 1885) ebbe la prima manifestazione divina.
Dopo la morte per tisi della madre all'età di 39 anni, nel settembre 1886, G. fu mandata come esterna nell'istituto, ben rinomato a Lucca, delle zitine o suore di s. Zita, fondato nel 1872 e allora ancora diretto da Elena Guerra, pedagoga e scrittrice in fama di santità. Qui ebbe per maestra la futura beata, replicando il caso assai frequente nella storia della santità del rapporto di filiazione spirituale e di formazione tra santi, e fece la prima comunione. Ebbe così inizio una vita tutta dedita alla preghiera e alla meditazione, scandita dalla comunione frequente e poi quotidiana. Come era costume all'epoca per le fanciulle, l'istruzione di G. fu limitata e venne interrotta dopo la morte per tisi, nel 1894, dell'amato fratello Gino, pure incline alla vita religiosa, quando G. si ammalò gravemente. Tornata nella casa paterna, si dedicò all'educazione, alla cura dei fratelli minori e all'assistenza dei poveri. Favorita da doni straordinari (nel 1895 le apparve l'angelo custode), cominciò ad applicarsi alla contemplazione della Passione, bramando di condividere i dolori e le pene fisiche di Gesù: di qui, secondo la spiegazione degli agiografi, il continuo manifestarsi di infermità e della grave malattia tubercolare che la consumò fisicamente.
Così, a differenza delle mistiche medioevali e moderne, che si autoprocuravano la sofferenza fisica, e analogamente alle mistiche dell'età contemporanea - Teresa di Lisieux, Bernadette Soubirous, alle quali del resto fu spesso paragonata -, G. traduceva la malattia dell'epoca, cioè la tisi che la porterà giovanissima alla morte, in occasione ed espressione di santità. La malattia mortale, già assai presente ed emblematica nella cultura laica del tempo, viene vissuta da G. e interpretata dagli agiografi sia come un segno di elezione divina, sia soprattutto come offerta di una giovane e innocente vittima sacrificale in espiazione dei peccati del mondo secolarizzato.
Intanto il padre, dopo un grave rovescio finanziario, si ammalò di un cancro alla gola e morì nel 1897, a soli 57 anni, lasciando gli orfani in totale indigenza. G. fu dapprima accolta a Camaiore da una zia agiata, ma poco dopo, forse per sottrarsi a un matrimonio non gradito, fece ritorno a Lucca ove si riammalò gravemente. Durante l'infermità, che si protrasse dal 1898 al 1899, lesse la vita dell'allora ancora venerabile (poi santo) Gabriele dell'Addolorata, anche lui morto di tisi giovanissimo e fervente mistico, che le apparve con l'abito da passionista e di cui divenne da quel momento un'ardente devota. Secondo gli agiografi, dopo un ulteriore aggravamento che la condusse alle soglie della morte, l'apparizione di Gabriele, che sollecitò con le sue preghiere l'intervento del Cuore di Gesù e della beata Margherita Maria Alacocque, provocò la guarigione, che fu ritenuta senz'altro prodigiosa (marzo 1899). Nel frattempo G., con il permesso del suo confessore G. Volpi, vescovo ausiliare di Lucca dal 1897, aveva fatto voto di castità ed espresso il desiderio di entrare in convento. Dopo la guarigione, per gratitudine alla beata Alacoque, entrò per gli esercizi spirituali nel convento della Visitazione delle salesiane (maggio 1899), con l'intento di restarvi stabilmente. Tuttavia, per la gracilità della salute - e forse anche perché priva della dote - non ottenne il permesso di entrare nel noviziato e dovette tornare a casa. Da allora, la sua ricerca di un monastero ove rifugiarsi e che sostituisse i genitori e la famiglia perduti incontrò sempre rifiuti - "sono senza babbo, senza mamma e senza quattrini e non ho chi mi aiuti", scriveva (Scrittrici, p. 639) -, anche per la diffidenza che suscitavano il suo misticismo e le misteriose manifestazioni psichiche e fisiche cui era soggetta. Perfino Elena Guerra rispose con un rifiuto prudente alla sua richiesta di essere accolta tra le zitine. Era, infatti, oramai entrata in una intensa fase di doni spirituali che le si presentavano sotto forma di estasi, locuzioni divine, illuminazioni, apparizioni celesti, unione con Dio, partecipazione alla Passione. Frequenti erano anche le apparizioni dell'angelo custode e di Gabriele. Il venerdì della settimana santa del 1899, le sarebbe apparso Gesù Crocifisso. Ella stessa scrisse: "Fu questa la prima volta ed anche il primo venerdì, che Gesù si fece sentire all'anima mia così forte… Ma fu così forte quella nostra unione, che io rimanevo come stupida" (Autobiografia, p. 60). Nell'aprile successivo, nel corso di una nuova visione, Gesù Crocifisso le avrebbe parlato, mostrandole le sue cinque piaghe aperte: "Guarda, figlia, ed impara come si ama… Mi vuoi amare davvero? Impara prima a soffrire: il soffrire insegna ad amare" (ibid., p. 65). L'8 giugno, vigilia della festa del Sacro Cuore, avvisata prima dallo stesso Gesù di uno straordinario favore, cadde in estasi: avrebbe poi descritto (ibid., pp. 75-78) con grande efficacia l'esperienza delle stimmate procuratele da Gesù stesso che le sarebbe apparso con "tutte le ferite aperte; ma da quelle ferite non usciva più sangue, uscivano come fiamme di fuoco, che in un momento solo quelle fiamme vennero a toccare le mie mani, i miei piedi, e il mio cuore. Mi sentii morire sarei caduta in terra: ma la Mamma [la Madonna] mi sorresse". Da quel giorno, il fenomeno delle stimmate, preceduto dall'estasi, si ripeté ogni settimana, dalla sera del giovedì al venerdì pomeriggio; cessò due anni prima della morte e non ne fu trovata traccia nell'autopsia.
In questo senso, la santità mistica e carismatica di G. si ricongiunge alle esperienze medioevali di s. Francesco e di s. Caterina e a quella moderna di s. Veronica Giuliani, ma vi aggiunge un'immedesimazione allo stato infantile che la avvicina ancora alla contemporanea Teresa di Lisieux e che si esprime nella perenne qualifica di "figlia" che si autoattribuisce e in cui esprime il dolore della scomparsa dei suoi familiari e la ricerca spasmodica di genitori sostitutivi.
Nell'estate del 1899 G. cominciò a frequentare le missioni predicate dai padri passionisti a Lucca, rivelando le sue esperienze straordinarie a p. Gaetano del Bambin Gesù, che le permise di emettere i tre voti di religione, imponendole però di metterne al corrente mons. Volpi; questi approvò i voti, ma restò prudente sul fenomeno delle stimmate, per il quale richiese una visita medica che non riscontrò nulla. P. Gaetano la mise in relazione con Cecilia Giannini, seguace devota dei passionisti, che nell'estate del 1899 accolse G. nella casa sua e del fratello Matteo, fabbricante di cera sposato e padre di undici figli: qui, anche per le incomprensioni che G. trovava nella propria famiglia di origine, si trasferì definitivamente dal settembre 1900 fino alla morte.
Nella casa dei Giannini, ove aiutava nei lavori domestici, G. continuò ad avere le sue manifestazioni straordinarie (alle estasi e alle stimmate si aggiunsero la flagellazione e la corona di spine) che la resero oggetto nello stesso tempo di curiosità devota e di contestazioni e rifiuti da parte dei concittadini, diffidenti verso una religiosità che non si esprimeva nella vita attiva, nell'apostolato sociale o nell'assistenza. Evidentemente alla ricerca di un direttore spirituale che la assecondasse, ma che anche la rassicurasse sulle sue esperienze spirituali straordinarie, date le diffidenze del Volpi, il 29 genn. 1900, primo anno santo del secolo, senza averlo mai prima conosciuto e, secondo il racconto della stessa G. (Autobiografia, pp. 90 s.), su indicazione di Gesù, prese l'iniziativa di scrivere a Roma al padre passionista Germano di s. Stanislao, archeologo, scopritore della casa celimontana dei santi Giovanni e Paolo e autore della vita di s. Gabriele dell'Addolorata da lei letta nella malattia. Gli raccontò la propria vita e i propri doni carismatici, profetizzandogli la fondazione di un monastero di monache passioniste a Lucca (Germano di s. Stanislao, p. 172). Mons. Volpi, entrato anche lui in contatto con p. Germano, lo invitò a recarsi a Lucca, nel settembre 1900, per esaminare la fanciulla; dapprima cauto e prudente (aveva consigliato al Volpi di praticarle gli esorcismi), p. Germano assistette a un'estasi drammatica di G., nel corso della quale ella supplicò Gesù di salvare un peccatore offrendosi come vittima al suo posto, e accettò di seguirla e di studiarla, unendo all'esame teologico quello naturalistico e medico. Col consenso del Volpi, ne divenne il direttore spirituale proponendosi di ottenere che "Gemma fosse nascosta a Gemma" (ibid., p. 179) e cioè che non si accorgesse della eccezionalità delle proprie doti.
Iniziava così un fitto scambio epistolare tra la santa e il suo direttore (G. si legò a lui totalmente, chiamandolo "babbo"), da quest'ultimo poi pubblicato, con lettere (firmate costantemente "la povera Gemma", a sottolineare la consapevolezza del proprio stato di derelitta) nelle quali ella non dimostrava né una profonda conoscenza teologica - aveva letto poco, in particolare le opere di s. Alfonso de' Liguori e le vite dei santi - né stile, ma che erano scritte con indubbia efficacia, con "un parlato autentico", naturale, in forma di dialogo serrato con l'interlocutore, indice di autonomia d'animo e di disinvolta libertà dalle convenzioni (Scrittrici, p. 638).
Alla fine della vita, anche nelle lettere al "babbo", l'insistenza sul rapporto figlia-padre viene sostituita dall'insistenza sulla maternità, attraverso l'attribuzione al confessore dell'appellativo di "mamma". L'edizione dei passionisti e lo stesso destinatario spiegheranno con lo stato confusionale della malata e con la volontà di rivolgersi alla Madonna un bisogno di maternità e un dato spirituale che appaiono invece consapevoli in colei che, come scrisse, aveva capito "che non è tempo di essere più bambina" (ibid., p. 640).
Intanto continuavano i suoi tentativi, sempre falliti, di entrare in convento. Desiderando far parte delle passioniste, G. fece domanda presso l'unico convento femminile di tal genere esistente in Italia, quello di Corneto (oggi Tarquinia), ma senza esito. Nell'estate del 1900 si realizzava il matrimonio mistico, attestato da p. Germano nel processo di beatificazione di Lucca e accennato da lei stessa (Estasi). Nel 1902 la tisi da cui era affetta si aggravò e provocò l'isolamento dalla famiglia Giannini, con effetti traumatizzanti per G., che si sentì nuovamente orfana.
Morì a Lucca l'11 apr. 1903, sabato santo.
Il monastero di passioniste, da lei profetizzato e sollecitato, fu fondato solo dopo la sua morte, nel 1908, e qui trovò definitiva sepoltura: ne venne infatti considerata l'ideale fondatrice, così come la sua figura restò sempre legata alla Congregazione dei passionisti la quale, del resto, sostenne costantemente, attraverso la figura dei postulatori, la causa di canonizzazione. Nel 1907, in vista della beatificazione, p. Germano redasse una biografia che ebbe numerose ristampe (in soli sei anni, dal 1907 al 1912, ne furono stampate 52.000 copie) e fu utilizzata come fonte nei processi.
Il processo informativo fu avviato a Lucca nel 1907, tra non poche difficoltà e polemiche determinate da una diffusa diffidenza cittadina nei confronti di G.; la causa di beatificazione venne introdotta ufficialmente il 28 apr. 1920, festa di s. Paolo della Croce, fondatore dei passionisti; G. fu dichiarata venerabile da Pio XI il 29 nov. 1931, proclamata beata il 14 maggio 1933 e canonizzata da Pio XII il 2 maggio 1940.
G. rappresenta un modello di santità femminile otto-novecentesca che si sviluppa in parallelo con il tipo, prevalente all'epoca, della santità attiva, impegnata nel mondo, nelle iniziative dell'assistenza e dell'istruzione, e nelle fondazioni di nuove congregazioni religiose femminili dedite a tali compiti. Accanto, e complementare a quel modello, è presente però - e avrà successo presso i devoti, utilizzata spesso in funzione antimoderna - anche una santità femminile mistica, visionaria, contemplativa, adolescenziale, spesso laica, segnata dall'esperienza della malattia e soprattutto dalla missione vittimaria, espiatrice dei peccati dell'umanità e placante la collera divina. Modello di comportamento per le giovani donne cattoliche laiche, tale condizione di santità troverà la massima simbolizzazione nell'esempio della vergine e martire Maria Goretti.
Molti degli scritti di G. sono stati pubblicati a cura della postulazione generale dei passionisti: le Lettere, edite da Germano di s. Stanislao nel 1909 con varie edizioni seguenti, furono ripubblicate più complete (131 lettere) da Giacinto del Ss. Crocifisso, Roma 1941, con numerose ristampe. Sempre dai padri passionisti sono stati pubblicati Estasi, diario, autobiografia, scritti vari, Roma 1941. Nelle Estasi sono riportate parole da lei pronunciate durante i rapimenti e trascritte dalle donne della famiglia Giannini; in esse si manifesta progressivamente il suo itinerario spirituale, con l'anelito a sostituire lo stato di figlia di Cristo con quello di sposa e amante. Il Diario copre il periodo dal 19 luglio al 3 sett. 1900 e l'Autobiografia giunge fino all'inizio del 1900. Recentemente alcuni brani degli scritti sono stati riproposti in Scrittrici mistiche italiane, a cura di G. Pozzi - C. Leonardi, Genova 1988, pp. 641-648, preceduti da un profilo biografico (pp. 637-640).
Fonti e Bibl.: Tra le biografie si veda Germano di s. Stanislao, G. G. vergine lucchese, Roma 1907, con ristampe fino al 1972, da cui discendono le altre, compresa quella di Amedeo della Madre del Buon Pastore, La beata G. G., Roma 1933. La biografia più autorevole è quella di E. Zoffoli, La povera Gemma. Saggi critici storico-teologici, Roma 1957, che dà notizia delle biografie precedenti. Un lungo elenco delle opere su G. si trova anche in Dict. de spiritualité, VI, coll. 183-187, s.v. Si vedano anche M. Petrocchi, Storia della spiritualità italiana, Roma 1979, III, p. 93, e M.L. Trebiliani, SantaG., la spiritualità del suo tempo, la sua città, in Mistica e misticismo oggi, Roma 1979, pp. 601-609, e Id., Santità femminile e società a Lucca nell'Ottocento, in Culto dei santi, istituzioni e classi sociali in età preindustriale, a cura di S. Boesch Gajano - L. Sebastiani, L'Aquila-Roma 1984, pp. 960-962, 984-988. Infine Bibliotheca sanctorum, VI, coll. 106-108; Enc. cattolica, V, col. 1994.