SANTA CROCE, Pietro Celeste (Celestre, Celestri) marchese di
SANTA CROCE, Pietro Celeste (Celestre, Celestri) marchese di. – Nacque l’11 dicembre 1581, primogenito di Giovan Battista Celeste, poi marchese di Santa Croce (1602), reggente siciliano a Madrid nel Supremo Consiglio d’Italia nel 1596 e nel 1609, e presidente del Tribunale del Real Patrimonio in Sicilia nel 1602, e da Lucrezia Migliaccio, figlia del barone di Montemaggiore.
Nel 1596 sposò ‘more grecorum’ Francesca Cifuentes de Heredia, figlia di Luca (presidente del tribunale della Regia gran corte del Regno di Sicilia e reggente spagnolo nel Consiglio d’Italia, magistrato castigliano assai potente e influente) e di Melchiorra Imbarbara. Grazie a questo matrimonio la famiglia Celeste poté consolidare ulteriormente il proprio potere e prestigio, già comunque rilevanti. Dal matrimonio nacquero il primogenito Giovan Battista, suo erede universale, Luca e Lucrezia.
La nuova famiglia visse nella casa magna degli Imbarbara, che la moglie aveva ricevuto in dote. In parte espropriata e demolita (1606) per la costruzione della via Maqueda, la domus fu poi ricostruita e ampliata da Celeste grazie all’acquisto di proprietà vicine, in particolare la dimora dei Musso, eredi di Paolo Guirreri. Il nuovo palazzo doveva essere più ricco e fastoso della precedente casa Imbarbara, come testimonia l’elenco dei beni venduti all’asta presso la Loggia palermitana dopo la sua morte per pagare i creditori, secondo la disposizione dello stesso Celeste nel suo testamento.
Il 2 maggio 1600 s’investì maritali nomine del feudo di Lalia (Alia), che la moglie ebbe in dote dalla madre, e il 7 marzo 1615 ottenne dal sovrano la licentia populandi, ma non poté realizzare il suo progetto per il sopraggiungere della morte pochi mesi dopo. A Palermo ricoprì le cariche di deputato del Regno nei trienni 1606-08 e 1612-14, di pretore della città nel 1611-12. Partecipò al Parlamento del 1609 con sette procure e a quello del 1612, in seno al quale svolse la funzione di capo del braccio demaniale in qualità di pretore di Palermo, ottenendo il plauso di Filippo III per l’attività svolta. Nel 1614 fu inviato dalla Deputazione del Regno a Madrid per presentare al sovrano le richieste del Parlamento del 1612.
Nel 1613 ottenne il titolo di consigliere di guerra su sollecitazione del viceré Pedro Téllez-Girón duca d’Osuna, che ne esaltò le capacità organizzative (privilegio esecutoriato a Palermo il 28 giugno 1613). Nel 1614 fu nominato cavaliere di San Giacomo e nello stesso anno, grazie alla mediazione del padre, ottenne l’ufficio vitalizio di detentore del sigillo di gran camerlengo (privilegio esecutoriato a Palermo il 9 luglio 1615). Alla morte del padre, a Madrid nel 1615, gli succedette nel feudo e nel titolo di marchese di Santa Croce (29 ottobre 1615), di cui si investì l’11 marzo 1616.
Morì a Palermo pochi mesi dopo, l’11 agosto 1616.
Fu sepolto nel convento di S. Maria del Gesù extra moenia, luogo di sepoltura della famiglia Imbarbara, ma dopo un anno, come da sue disposizioni testamentarie, la salma fu traslata nella madre chiesa di Santa Croce, da lui edificata, e deposta innanzi alle scale dell’altare maggiore del Ss. Sacramento.
Nominò suoi eredi universali i discendenti in linea maschile e in defectu le figlie femmine, ma pose la condizione che queste dovessero sposarsi con «naturale oriundo di questo regno, et non per privilegio largo che sia, né per ductionem aliae uxoris» (testamento registrato agli atti del notaio Ioseph Memmi il 10 agosto 1616). Il figlio Giovan Battista si investì successivamente del marchesato il 19 luglio 1617.
Scrisse la relazione Idea del govierno del reyno de Sicilia (14 aprile 1611), indirizzata a Pedro Téllez-Girón appena nominato viceré di Sicilia, di cui fu consigliere stimato e ascoltato. Tra le diverse copie attestate da Vittorio Sciuti Russi (1984a, p. 3), il manoscritto più antico, il solo con firma e data autografe, si conserva presso la British Library di Londra (Add. 24130), lo stesso utilizzato e indicato nella sua nota bibliografica da Helmut Georg Koenigsberger (1969, p. 209), segnalato da Adelaide Baviera Albanese (1970, p. 477), poi pubblicato da Sciuti Russi. La relazione rappresenta una dettagliata descrizione dell’ordinamento militare (guerra) e civile (estado) del Regno di Sicilia.
L’Idea del govierno del reyno de Sicilia è edita in V. Sciuti Russi, Il governo della Sicilia in due relazioni del primo Seicento, Napoli 1984, pp. 5-51.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Palermo, Archivio Trigona di Sant’Elia, vol. 50, cc. 547r-550v, 559r-564v, 570r-585v, 612r-649v (copia del testamento); Notai defunti, st. I, reg. 17158, cc. 122r-123v (Repertorium bonorum remansorum post mortem quondam don Petri Celestri marchionis Sante Crucis, 23 aprile 1617), cc. 123v-125r (24 aprile 1617); Protonotaro del Regno, voll. 501, cc. 328v-329v; 507, cc. 304v-306r; 511, cc. 163v-166r; Protonotaro del Regno, Processi di investitura, bb. 1552, pr. 3277 (a. 1600), 1564, pr. 3895 (a. 1616), 1565, pr. 3906 (a. 1617, contiene copia del testamento, ibid. cc. 5r-17v); Palermo, Biblioteca comunale, Qq.F.80, cc. 94r-98r (Consulta de don Pedro Celesti per la defensa del Reyno de Sicilia), c. 199v (procure al Parlamento del 1609).
F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, VII, Palermo 1931, p. 56; H.G. Koenigsberger, The practice of the empire, Ithaca (N.Y.) 1969 (trad. it. Palermo 1997, p. 209); A. Baviera Albanese, Diritto pubblico e istituzioni amministrative in Sicilia, I, Le fonti, in Archivio storico siciliano, s. 3, XIX (1970), pp. 392-563 passim; V. Sciuti Russi, Il governo della Sicilia in due relazioni del primo Seicento, Napoli 1984a, pp. XXI-XLIII; Id., Il Parlamento del 1612. Atti e documenti, Catania 1984b, ad ind.; E. Guccione, Storia di Alia 1615-1860, Caltanissetta-Roma 1991; M. Vesco, Dagli Imbarbara ai Celestri: le origini di Palazzo Santa Croce, a cura di P. Mattina et al., Palermo 2014, pp. 71-98.