SANREMO (A. T., 24-25-26)
Città della Liguria in provincia d'Imperia, notissima stazione climatica invernale. È situata nella Riviera di Ponente al centro di un'insenatura in forma di arco molto aperto fra il Capo Nero e il Capo Verde.
L'abitato comprende due parti ben distinte e molto diverse fra loro. La città vecchia, detta anche la Pigna, sorge fra 20 e 60 m. s. m., a oltre 300 m. dalla costa sulle pendici meridionali di una dorsale collinosa che scende verso il mare fra le valli dei torrenti S. Francesco e S. Romolo; è disposta quasi a forma di piramide e dominata verso l'alto dal santuario di Nostra Signora della Costa (107 m. s. m.). Lungo il mare e sulle prime pendici dei colli, intorno alla Pigna, si estende, in grande contrasto con essa, la città moderna.
Il nucleo principale della Sanremo moderna si raccoglie nella zona ai piedi della città vecchia fra questa e il mare.
In corrispondenza a questo punto la costa forma una prominenza, dall'estremità della quale si allunga in senso O-E. un molo lungo 560 m. (ne è in progetto il prolungamento), che protegge il porto, nel quale si svolge un notevole commercio specialmente di olio, vino, legname, carbon fossile. Ma la città degli alberghi e delle ville si prolunga a destra e sinistra del nucleo principale, lungo il mare e sulle pendici delle dorsali collinose che, divise da valli parallele (s. Francesco, S. Lazzaro, S. Martino, ecc.) scendono alla costa dipartendosi dalla corona di alture che circonda l'insenatura di Sanremo e culmina nel M. Bignace (1299 m.).
Vanto di Sanremo e dei suoi dintorni è la vegetazione di ricchezza straordinaria, in cui alle più diverse varietà di palme si accompagnano cicadee, cactacee, agavi, eucalipti e altre piante esotiche provenienti dalle più lontane regioni del mondo, oltre alle conifere, agli agrumi, ecc., mentre una nota caratteristica è data dalla coltura dei fiori (garofani, crisantemi, mimose, rose, violette, gigli, narcisi), che forma una delle principali attività e fonti di reddito sanremesi. I più famosi ed eleganti viali della Sanremo moderna sono il Corso Imperatrice (dall'imperatrice Maria Alessandra di Russia) a occidente e il Corso Trento e Trieste a oriente, che corrono ai piedi delle colline disseminate di alberghi e di ville circondate da splendidi parchi.
Sanremo deve la sua fama al clima straordinariamente mite nell'inverno e non eccessivamente caldo nell'estate (temperatura media del trimestre dicembre-gennaio-febbraio 9°,8 e 10°,2, del trimestre giugno-luglio-agosto intorno a 23°), dovuto alla protezione della barriera di monti che la recinge alle spalle, all'azione del mare, all'ampia insolazione, mentre anche le piogge sono scarse e il cielo è quasi sempre sereno; clima che, accrescendo l'incanto della località anche perché vi permette il prosperare di una flora ricchissima, ne ha fatto una rinomatissima stazione climatica invernale. Oltre l'industria del forestiero per la quale Sanremo è ottimamente attrezzata, con un grandissimo numero di alberghi, luoghi di divertimento (tra cui il Casino), ecc., la città e il suo territorio esercitano la coltura e il commercio dei fiori; vi ha inoltre vita qualche altra industria.
Il comune di Sanremo abbraccia un territorio di 47,61 kmq. che dalla riva del mare, attraverso la zona collinosa, passa a quella montuosa (1299 metri al M. Bignone).
La coltura dei fiori si esercita lungo il mare e sui primi pendii delle colline dove assume la caratteristica forma a terrazzi; del resto tutta la zona collinosa fino verso i 500 m. è rivestita di ulivi ai quali si alterna qua e là la vite; più in alto succedono boschi di pini.
La popolazione del comune di Sanremo, la cui notorietà come stazione climatica risale alla seconda metà del secolo XIX, era di 10.012 ab. nel 1861, 16.055 nel 1881, 21.440 nel 1901, 23.547 nel 1921, 31.607 nel 1931 (di cui 4197 con dimora occasionale): in quell'anno circa 23.000 vivevano a Sanremo, gli altri nelle case sparse o in altri centri del comune (Poggio, Bussano, Verezzo, s. Romolo, Borello, ecc.).
Sanremo è stazione ferroviaria sulla linea Genova-Ventimiglia, è collegata a Ospedaletti, Arma di Taggia e Taggia da una tramvia, e ha varî servizî automobilistici.
Monumenti. - La parte antica della città, la Pigna, nella regione interna più alta conserva intatte le caratteristiche della città ligure, a strade strette e scoscese, gradinate a ciottoli, con archivolti, portici, e piattabande tra casa e casa. L'architettura originaria, trecentesca e anche duecentesca, affiora dappertutto, con gli archetti, e con i portali di pietra nera. Anche delle mura medievali rimangono resti importanti, e torri, e porte (di S. Giuseppe, di S. Maria). La cattedrale di S. Siro (sec. XIII) era originariamente coperta a tetto con travature intagliate e dipinte. Nel sec. XVIII, danneggiato il tetto da bombe inglesi, furono costruite le vòlte. Rimaneggiata in seguito, specie nell'interno, conserva molti elementi dell'architettura gotica originaria. Da notare: I quattro santi protettori, di ignoto (1548), e S. Massimino che comunica Maria Maddalena, di Orazio Deferrari. Il battistero, ottagono, di epoca imprecisata, fu assai alterato nel sec. XVI. Notevoli i palazzi Borea D'Olmo (sec. XVII), e Roverizio (1720). Dagli ultimi decennî del secolo XIX la città ha avuto un grande sviluppo urbanistico ed edilizio, come fiorente stazione invernale.
V. tavv. CXLVII e CXLVIII.
Storia. - Il centro abitato presso il quale sorse poi il Castrum Sancti Romuli ebbe dapprima il nome di Villa Matutiana, assai probabilmente da una gens Matutia, e si trasformò poi con la fortificazione, in Oppidum Matutianum, accogliendo le popolazioni rurali circonvicine. Per necessità di difesa e di salvezza contro le invasioni saracene, gli abitanti riparati sulle alture circostanti si concentrarono nella località detta Borello che divenne un po' alla volta un grosso borgo presso il luogo chiamato Bauma, abitato dal vescovo San Romolo. Scesi poi da Borello a formare la città fortificata sulla costa recando con sé il corpo del santo venerato come protettore e patrono, diedero al castello il nome di lui. Dai conti di Ventimiglia, divenutine signori, i vescovi di Genova ottennero dapprima il possesso di terre incolte circostanti, trasformato quindi in vero dominio feudale e le loro aspirazioni furono favorite dal comune genovese che considerava proprio dominio quanto era acquistato dalla sua chiesa vescovile. Ne derivarono complessi rapporti e una serie di dissidî e di alternative di predominio vescovile e d'indipendenza autonoma del comune sanremolese, già organizzato con i suoi rettori e i suoi statuti e legato dal 1199 al comune maggiore con un trattato d'ineguale alleanza, finché l'8 gennaio 1297 l'arcivescovo Iacopo da Varazze vendette i diritti che ancora la curia genovese vantava sui castelli di S. Romolo e Ceriana a Oberto Doria e Giorgio De Mari che ne fecero una signoria ghibellina, baluardo contro i dominî guelfi dei Grimaldi a Monaco e dei Vento a Mentone. Con i nuovi signori i sindaci del castello, che ormai nell'uso viene a chiamarsi Sanremo, stipulano nel 1299 importanti capitoli, motivo poi di molte questioni e contestazioni col comune di Genova che vi afferma costantemente i suoi diritti. Dopo la podesteria di re Roberto di Napoli, durata dal 1319 al 1330, la repubblica di Genova nel 1359 compera da Acellino Doria le ultime carature dei possessi della famiglia alla quale si sostituisce. Il comune di Sanremo tenta allora di riscattarsi, ma ne derivano aspre contese che mettono capo nel 1361 a un lodo arbitrale per il quale la repubblica può imporre l'obbligo del servizio militare al comune che conserva invece il diritto di stabilire tasse e gabelle e liberamente disporne. Sanremo diviene così città convenzionata di Genova, alla quale con accordi successivi s'impegna di pagare annuo tributo. Queste convenzioni che le lasciano larga autonomia regolano i rapporti con la repubblica fino al 1729, quando il proposito genovese d'imporre alcuni monopolî in Sanremo determina un'aspra contesa aggravata dall'intervento dell'impero e da una serie di questioni giuridiche e diplomatiche, ma finita nel 1754 con la soppressione del parlamento locale, con la perdita dell'autonomia e la piena sottomissione a Genova che completa così lo stato territoriale.
Bibl.: G. Casalis, Dizionario geografico-storico degli stati di S. M. il re di Sardegna, Torino 1849, XVIII, p. 693 segg.; G. Rossi, Storia della città di S. Remo, Sanremo 1867; A. Canepa, Note storiche sanremesi: ubicazione e successive denominazioni dell'antica Villa Matuziana, in Atti Soc. lig. storia patria, LII (1924); id., Vicende del castello di S. Romolo in relazione a quattro iscrizioni medievali, ibid., LIII (1926); id., Fra tradizioni e leggende: Dalla Villa Matutia al Castrum Sancti Romuli, in Annuario del R. Liceo-Ginnasio G. D. Cassini, Sanremo 1925; id., Vicende del castello di Sanremo dal 1297 al 1359 e vicende... dal 1359 al 1361, ibid., 1927 e 1928; id., Due bombardamenti di Sanremo nel sec. XVII, Sanremo 1929.
La conferenza di Sanremo. - Alla conferenza di Parigi, chiusasi ufficialmente il 21 gennaio 1920, in seguito allo scambio delle ratifiche del trattato di Versailles, seguirono numerose altre conferenze - a somiglianza di quello che avvenne dopo il congresso di Vienna - sia per risolvere tutte le questioni rimaste ancora in sospeso o quelle che sorgevano dall'esecuzione dei trattati di pace, sia per rivedere quelle clausole che via via si rivelavano inapplicabili.
Quella tenutasi a Sanremo dal 19 al 26 aprile 1920, sotto la presidenza del capo del governo italiano, F. S. Nitti, fu la seconda della lunghissima serie, e una delle più importanti, e vi presero parte i capi dei governi francese e inglese (A. Millerand e D. Lloyd George), il rappresentante di quello giapponese (l'ambasciatore a Parigi Matsui), E. Venizelos per le questioni del trattato con la Turchia, un osservatore americano, e due rappresentanti del Belgio (P. Hymans e H. Jaspar), dal 25 in poi, per le questioni riguardanti la Germania.
L'oggetto principale, per il quale era stata convocata la conferenza, era la sistemazione di tutte le questioni riguardanti la Turchia. Le basi fondamentali erano state abbozzate nella conferenza di Londra (12-23 febbraio), dove era stato anche deciso di permettere al sultano e al suo governo di rimanere a Costantinopoli. Risolta così una delle questioni più spinose, ora venne decisa l'internazionalizzazione degli Stretti, e le sedute dal 19 al 24 vennero dedicate alla redazione dello schema del futuro trattato di Sèvres. Connessa alla pace con la Turchia era anche l'assegnazione dei territorî rivendicati dalla Francia e dall'Inghilterra, e il risultato permanente più importante fu appunto l'assegnazione dei mandati: alla Francia venne dato quello sulla Siria, Cilicia e Libano; all'Inghilterra quello sulla Palestina e Mesopotamia. L'Armenia, che aveva sperato di essere sottratta al dominio turco, dopo il rifiuto degli Stati Uniti e della Società delle nazioni ad accettare il mandato su quel paese, rimase divisa fra la Turchia, che ebbe le regioni del Mar Nero (Erzerum e Trebisonda), e la Russia che ebbe l'Azerbejdžan. Insieme con la questione dei mandati venne risolta anche quella delle materie prime e specialmente del petrolio, con l'accordo Cadman-Berthélot del 24 aprile, ratificato il giorno seguente da Lloyd George e Millerand, e che comprendeva non solo gli ex-territorî turchi passati sotto mandato, ma anche la Romania e le colonie francesi e inglesi. Alla Francia, in cambio dell'abbandono definitivo di Mossul, compresa nella sfera di influenza francese, quale era stata definita dall'accordo Sykes-Picot (maggio 1916), vennero date le azioni della Turkish Petroleum Co., che avevano appartenuto alla Germania (25%). La Francia, alla sua volta, prometteva facilitazioni all'Inghilterra per la costruzione di condutture per il petrolio attraverso la Siria fino al Mediterraneo. Per le concessioni da ottenersi in Romania si stabiliva l'eguaglianza fra le due nazioni. Nelle rispettive colonie i due governi si promettevano diverse facilitazioni per l'acquisto di concessioni petrolifere.
Un'altra questione importantissima discussa alla conferenza fu quella del disarmo tedesco, questione sollevata dal putsch di Kapp, scoppiato in marzo, quando alcune formazioni militari, non ancora disciolte, con un colpo di mano cacciarono da Berlino il governo repubblicano e lo sostituirono con uno reazionario. Era quella una rivolta degli elementi direttivi del vecchio esercito e della vecchia classe dirigente tedesca contro il governo che stava facendo del suo meglio per eseguire le clausole sul disarmo. Se il tentativo di Kapp fosse riuscito e ci fosse stata la restaurazione monarchica, ne poteva seguire un aperto rifiuto della Germania ad eseguire il trattato di Versailles. Perciò la rivolta destò allarme tanto in Francia quanto in Inghilterra. Domata quella rivolta da uno sciopero generale, altra rivolta comunistica scoppiò nella Ruhr. Per reprimerla il governo di Berlino fu costretto a inviare nella zona smilitarizzata truppe in numero superiore a quello consentito, prima di avere ottenuto l'autorizzazione degli alleati (3 aprile). La Francia considerò questa misura come una violazione del trattato di Versailles, e rispose con l'occupazione di Francoforte e di Darmstadt, senza avere prima consultato gli alleati, provocando così un'aspra nota di protesta del governo inglese.
Alla conferenza di Sanremo, che si aprì subito dopo questi incidenti, il governo tedesco chiese (20 aprile) che il massimo dell'esercito tedesco venisse fissato a 200 mila uomini, finché la Germania non fosse ammessa nella Società delle nazioni, e che le si concedesse l'autorizzazione a tenere nella Ruhr le truppe inviatevi. Questa richiesta fu accolta diversamente dai rappresentanti inglesi e francesi. Mentre Lloyd George era propenso ad accoglierla, per rafforzare il governo repubblicano e porlo in grado di resistere agli attacchi degli estremisti tanto di destra quanto di sinistra, Millerand temeva che un esercito maggiore di quello previsto diventasse uno strumento degli elementi militaristi, e così rafforzasse la resistenza della Germania contro il trattato di Versailles. I dissensi fra i due capi di governo diventarono così acuti, che più volte si ebbe la minaccia della rottura della conferenza. Alla fine si raggiunse l'accordo, e con una dichiarazione comune (26 aprile) veniva rigettata la proposta tedesca, ma nello stesso tempo si concedeva alla Germania una dilazione fino al 10 giugno per ritirare le truppe dalla zona smilitarizzata. Inoltre veniva affermata l'inadempienza tedesca per quanto riguardava il disarmo e le riparazioni, ma nello stesso tempo Lloyd George riusciva a fare accettare il suo punto di vista, cioè di discutere, su un piede di eguaglianza con la Germania, le modalità di applicazione del trattato, e così veniva annunciato il proposito d'invitare i capi del governo tedesco a una conferenza insieme con i capi dei governi alleati.
Contrariamente alle speranze del governo italiano, nessuna decisione fu presa a Sanremo sulla questione di Fiume.
Bibl.: A. J. Toinbee, Survey of International Affairs, 1920-1923, Londra 1927.