SANNITI
. Popolo italico dell'antichità che abitava il Sannio e le regioni adiacenti, costituito da un certo numero di tribù più strettamente legate fra loro (Carecini, Pentri, Caudini, Irpini) e da alleati più o meno affini (Frentani e Larinati a nord-est, Alfaterni a sud ovest). Nel periodo della loro massima espansione (primi del sec. IV a. C.) confinavano a nord con Marsi, Peligni, Marrucini, ad est col mare Adriatico, a sud con gli Apuli, i Lucani, il Golfo di Salerno, ad ovest con la federazione campana e federazioni minori, con i Sidicini, con i Volsci e gli Ernici nel bacino del Liri. Erano città sannitiche fra le altre: dei Carecini Aufidena (Alfedena); dei Pentri Bovianum Vetus (presso Pietrabbondante), Bovianum Novum (Boiano), Tereventum (Trivento), Aesernia (Isernia), Venafrum (Venafro); dei Caudini Allifae, Caudium e Saticula (S. Agata dei Goti), Telesia, Combulteria, Trebula, Caiatia non lontano dal Volturno; degl'Irpini Abellinum (Avellino) e Akudunnia (Lacedonia).
Secondo la tradizione (Strabone V, 250) i Sanniti sono dei Sabini che, in seguito a una "primaverā sacra", sono giunti, guidati da un toro, nel paese degli Opici: ricorda questo animale sacro il nome di Bovianum. La tradizione è degna di fede non solo nella parte essenziale dell'emigrazione dal nord, generalmente ammessa, ma anche nel particolare che riguarda il paese degli Opici che molti respingono.
Distinguendo i due concetti di Opici e Oschi, entrambi indicanti popoli indoeuropei (ma gli Opici appartenenti a uno strato più antico, i Sanniti a uno più recente), nulla impedisce di credere che una fusione di Opici e di Sanniti abbia avuto già luogo in alcune regioni del Sannio, ancor prima di quella conquista della Campania, in seguito alla quale dagli Opici e dai Sanniti confusi nasceva il popolo degli Oschi.
Il nome è conservato in forma originale in una moneta, Safinim, che deriva da un tema safnio. Poiché i Greci ignoravano a quel tempo il suono F, l'adattamento normale è rappresentato dalla forma dello Pseudo-Scilace Σαυνῖται, col suffisso derivativo del tutto greco. I Romani dicendo Samnites hanno ristabilito il contatto con il nome latino dei luoghi, Samnium, ma hanno mantenuto la finale greca. Il significato ultimo della parola è oscuro.
Esiste anche una forma derivata per mezzo del suffisso -li, Sabelli, che presso gli antichi non ha un valore preciso, ma che oggi è opportunamente adoperata per indicare le tribù intermedie fra Umbri e Sabini da una parte e Sanniti dall'altra.
Una definizione linguistica dei Sanniti non può essere data se non in senso generico: essi costituiscono il gruppo meridionale della famiglia osco-umbra, che comprende, oltre ai Sanniti, i popoli che ne sono derivati, Campani, Lucani e Bruzî. Questa unità linguistica così compatta ed estesa è chiamata osca (v. oschi), denominazione in certo senso ingiustificata poiché è la lingua dei Sanniti che, diffusa fra gli Opici, ha dato origine alla lingua "osca" e non viceversa: ma giustificata dall'importanza che ha avuta la Campania nel diffondere l'alfabeto, di origine etrusca, e la cultura, in genere di origine greca. Nonostante l'unità linguistica, l'alfabeto non si è diffuso in Lucania, dove le iscrizioni in lingua osca adoperano l'alfabeto greco fino a tanto che con la prevalenza romana non si è introdotto quello latino. Inoltre l'uso dell'alfabeto decade assai prima della lingua, come mostrano le iscrizioni in alfabeto latino, quando ancora la lingua osca era vitale. L'unità linguistica d'altra parte è nata, o meglio si è conservata, anche per ragioni non linguistiche in parte dipendenti dal Sannio: il senso dell'unità nazionale che si diffondeva progressivamente presso i Sanniti ha agito favorevolmente sull'unità linguistica: la quale è stata così assicurata dai due fattori associati, dalla penetrazione di una cultura uniforme dalla Campania verso il Sannio, e dall'aspirazione a un'unità nazionale irradiante dal Sannio.
Archeologicamente, il territorio sannitico è poco esplorato. Famosi sono stati gli scavi di L. Mariani ad Alfedena, nella valle del Sangro, nel territorio dei Carecini. Notevoli risultati avevano cominciato a dare gli scavi di Pietrabbondante, iniziati ancora sotto il regno borbonico, ma non condotti a termine. I materiali trovati fanno valere una doppia influenza civile: quella apula, più antica, senza traccia di monete e quindi legata alle migrazioni dei pastori dal Sannio all'Apulia, che si sono continuate fino ai giorni nostri; e quella, più recente e brillante, dalla Campania, sia nel periodo etrusco, come attestano le tombe dipinte ad Alife (che sono fra le più tarde delle tombe campane), sia in quello più propriamente greco.
Il rito funebre è sempre quello dell'inumazione. Sono ben note le tombe dette sannitiche a Pompei.
La tradizione ci conserva notizie sopra usi sannitici come i giuochi di gladiatori, e sopra le armi: scudo ovale, corazza detta spongia, dischi di bronzo (tutte nettamente distinte da quelle lucane), schinieri sulla sola gamba sinistra, elmi chiomati (Livio, X, 34). Un certo numero di monete, di Combulteria, Alife, Isernia, Telesia (Caudini), Aquilonia (Irpini), ecc., è arrivato fino a noi.
Iscrizioni in lingua osca e alfabeto nazionale sono state trovate ad Agnone, Boiano, Isernia, Venafro, Sepino, Nacchia Valfortore, Vasto, Lanciano. Particolarmente importante la tavola di Agnone, del sec. III, che conserva un lungo elgnco di divinità più o meno legate a Cerere.
Fra i culti, notevole quello di Mamerte, corrispondente a quello di Marte dei Latini.
L'ordinamento cittadino si fonda anche presso i Sanniti sui meddices (v. oschi), documentati nel Sannio proprio a Boviano; in questo quindi non si distinguono i Sanniti da tutti gli altri popoli della famiglia, dai Sabelli fino ai Mamertini di Messina. Sarebbe viceversa interessante sapere se esistevano magistrature con sovranità estesa oltre la città, e se si trattava in questo caso di magistrature straordinarie, come il dittatore lucano, capo federale dell'esercito. Ma questo presso i Sanniti lo vediamo in pratica quando compare qualche "imperatore" (embratur) sannita: nessuna fonte diretta lo attesta direttamente, poiché l'ipotesi che il meddix fornito dell'attributo di tuticus fosse un magistrato federale non appare fondata.
I Sanniti compaiono nella storia con la discesa in Campania, chiamati o no dagli abitanti, e favoriti dal decadere della potenza etrusca dopo la seconda battaglia di Cuma (474). La conquista di Capua è secondo Livio (IV, 37) del 421, secondo Diodoro (XII, 31) del 438; dopo Capua, in anno non precisato, i Sanniti s'impadroniscono di Cuma (greca), gli abitanti superstiti della quale riparāno a Napoli. Dell'occupazione delle altre città non si ha notizia diretta: sono nomi senza dubbio sanniticiquello dell'antica Moera, cambiato in Abella, e quello di Pompei, Pompaios. Città nuove sembrano Casilino (Capua), il cui nome si confronta con Casilas, nome di una curia di Gubbio, Atella e Nocera Alfaterna, che ha alcuni paralleli in territorio osco-umbro; Nocera Camellaria, nel territorio degli Umbri, e Nocera Terinese, nel territorio dei Bruzî.
Intorno a questo tempo si delinea il movimento unitario sannita che riunisce in modo effettivo il territorio sopra descritto. I limiti di questa unificazione sono tre.
1. La conquista della Campania non significa senz'altro per i Sanniti aumento di potenza. L'ambiente della pianura ha influito notevolmente sulla mentalità dei conquistatori; la lingua sannita ha subito influssi da parte degli Opici, come hanno mostrato i recenti studî di A. Braun;. particolarità dialettali dell'osco di Campania si sono diffuse in gran parte del Sannio (p. es., i cosiddetti fenomeni di anaptissi). Ma con tutto questo l'unità sannitica non viene attenuata per quanto concerne la lingua.
Diversa è la situazione dal lato economico, nel senso che gli abitatori della pianura campana, d'origine sannitica o no, venivano a trovarsi in condizioni di privilegio rispetto a quelli dei monti: e perciò il loro interesse a conservare e a difendere il loro benessere era pari all'aspirazione dei Sanniti dei monti a raggiungere e a dividere i loro beni.
2. La seconda limitazione è data dalla costituzione della federazione lucana che occupa un territorio di circa 14.000 kmq., corrispondente all'odierna Lucania e, nonostante l'affinità d'origine, ha interessi e aspirazioni differenti verso il mezzogiorno e verso il Golfo di Taranto.
3. La terza limitazione è la più forte ed è quella a settentrione. Nulla avrebbe impedito che i cosiddetti Sabelli, Marsi, Peligni, Marrucini accedessero con vantaggio alla federazione sannitica. Ma l'atteggiamento tipico dei montanari che temono più del vicino sia pure affine, che del lontano sia pure straniero, ha fatto sì che nessuna autonomia locale, a cominciare dalle lievi particolarità dialettali, venisse sacrificata all'interesse generale. E ben presto, per paura della nuova idea federale, essi divennero inconsciamente potenti sostenitori dell'azione romana.
I rapporti dei Sanniti con Roma cominciano già nella prima metà del sec. IV e si riassumono in modo più o meno adeguato nel concetto di guerre sannitiche. Guerre di cui la tradizione conserva un ricordo confuso e che per essere ricostruite nei loro singoli elementi pongono bene spesso problemi disperati; è persino dubbio se davvero siano state tre e se tutte le volte che si parla di Sanniti si debbano intendere davvero i Sanniti o per avventura i Sabini.
Importa quindi fissare solo alcuni momenti salienti di queste lotte: le quali hanno questo di particolare, che pongono di fronte, ai loro inizî, non un popolo giovane contro un decadente, ma due popoli in via d'espansione per due strade opposte. Da una parte Roma che rappresenta il principio accentratore, l'espansione per "conquista", e acquista una posizione sempre più preminente nella Lega latina, dall'altra il Sannio, impersonale, federale, che rappresenta il principio opposto dell'espansione per "associazione".
La prima notizia riguarda un trattato d'alleanza (anno 354; Liv., VII, 19; Diod., XVI, 45). Contatti fra Sanniti e Romani sono possibili solo attraverso le valli del Liri e i territorî ernici e volsci. Nel 343 un'aggressione dei Sanniti ai Sidicini determina un intervento romano che si conclude con una nuova alleanza fra Sanniti e Romani, ma come conseguenze reali porta: nel 334 una colonia latina a Cales, presso il territorio sidicino; intorno al 330 la cittadinanza romana senza suffragio a Capua. Dunque una frontiera praticamente comune non solo nel bacino del Liri, ma poco lontano dal Volturno, a ovest e a sud-ovest del territorio sannitico: frontiera che nel 330 viene potentemente rafforzata nella zona del Liri con la colonia latina di Fregellae.
Nel 325 si compie il fatto decisivo che arresta l'espansione sannitica: l'intervento dei Romani in Apulia attraverso il passaggio liberamente concesso da Marsi, Peligni, Marrucini nei loro territorî.
Le lotte che ora si succedono fino verso la fine del secolo comprendono questi momenti salienti: vittoria sannita a Caudio (321) con umiliazione dei Romani prigionieri sotto il giogo e insufficienti garanzie di sicurezza strappate ai Romani; battaglia vittoriosa di Lautulae (315); colonia di Luceria (315 o 314); nuove sconfitte; colonia latina a Saticula (305); fondazione d'una colonia latina a Sora (305) e, grave soprattutto, rinunzia all'alleanza con i Frentani. La federazione sannitica con questo secondo periodo è accerchiata da tre parti dai Romani; mentre dal quarto lato i Lucani tuttora si disinteressano completamente di quanto avviene a settentrione.
Il terzo periodo comprende un tentativo di riscossa preparato nei primi anni del sec. III con gli Umbri e gli Etruschi, in occasione di una scorreria gallica. L'episodio culminante è la battaglia di Sentino (295) in cui i Romani riescono vincitori e i Sanniti sono costretti a ripercorrere le zone montuose dei Sabini e dei Sabelli, per rientrare nel Sannio. Il successo dei Romani era consacrato dalla colonia di Venosa (291) e dalla conquista delle città di Venafro e Alife sul Volturno.
Nel quarto periodo si osserva l'intervento dei Lucani. Questi, nel miraggio delle ricche colonie greche e in particolare di Taranto, s'erano alleati nel 303 con Roma. Una unione lucano-sannitica avrebbe potuto ancora stabilizzare la situazione e salvare l'indipendenza di entrambi. La politica contraddittoria delle città greche era però fonte di turbamenti, per cui nel 282-280 si vede già aperta ai Romani la strada per l'Apulia attraverso la Lucania. La guerra di Pirro non dava nessun risultato. Nel 272-268 si compie la sottomissione dei Sanniti attraverso paci separate con gl'Irpini, i Pentri e le città del territorio caudino. La colonia di Benevento (268) separa gl'Irpini dai Pentri e assicura una terza strada, la più breve, verso l'Apulia. La colonia latina d'Isernia (263) e larghe annessioni di territorio nel bacino del Sangro separano i Pentri dai Sabelli.
Durante la guerra annibalica, mentre Capua è un centro di ribellione che resiste per anni all'assedio romano, il Sannio è relativamente tranquillo. Nel 225 a. C., all'inizio della seconda guerra punica, secondo i dati di Polibio (II, 24), il Sannio aveva messo a disposizione dei Romani 70.000 fanti e 7000 cavalieri.
Nell'anno 180, contingenti di Liguri Corneliani e Baebiani sono condotti nell'ager Taurasinus, a oriente di Benevento, nel territorio che era stato annesso nel 268.
Nella guerra sociale i Sanniti compaiono insieme con i Frentani e con gl'Irpini (Appiano, I, 39) nella lista dei popoli ribelli. La loro partecipazione non è agl'inizî in prima linea; gli avvenimenti principali si svolgono in territorio sabellico. Solo quando le cose si mettono male a settentrione, si trasporta la capitale federale da Corfinio a Isernia (anno 88), che diventa nuovo centro di resistenza. Dopo che con le sostanziali concessioni romane la guerra si poteva considerare finita, i Sanniti, insieme con i Lucani, si trovano coinvolti nelle lotte interne fra partigiani di Silla e di Mario, legati a quest'ultimo. Così nella battaglia decisiva di Preneste (anno 83) i Sanniti al comando di G. Ponzio Telesino hanno una parte preonderante: ma, sconfitti, sono sterminati sotto le mura di Roma. È la fine della nazione sannitica.
Bibl.: Philipp, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I A, coll. 2138-2158; G. Devoto, Gli antichi Italici, Firenze 1934; C. P. Bürger, Der Kampf zwischen Rom und Samnium, Amsterdam 1898; Pforta, Untersuchungen zur Geschichte der Samniten, 1907; B. Bruno, La terza guerra sannitica, Roma 1906; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I, Torino 1907; J. Beloch, Römische Geschichte, Berlino 1926: importante per la topografia.