Sanità
Aggiungere vita agli anni che sono stati aggiunti alla vita
La sanità e 'invecchiamento della popolazione
di Emanuele Scafato e Paola Meli
4 maggio
In conclusione del triennio 1998-2000 del Piano sanitario nazionale, il ministro della Sanità, Umberto Veronesi, presenta la Relazione sullo stato sanitario del paese. Le condizioni di salute della popolazione italiana che vi sono descritte sono fondamentalmente buone: mortalità generale e mortalità infantile sono basse e la durata della vita media è progressivamente aumentata. Ciò nonostante si avverte una forte esigenza di nuovi percorsi, adeguati a rispondere alle mutate esigenze della popolazione, anche e soprattutto in funzione delle profonde modificazioni demografiche intervenute negli ultimi decenni, contrassegnati da un sostanziale incremento della popolazione anziana.
Le iniziative internazionali
L'evoluzione dell'individuo e delle società nel corso del secolo passato ha determinato rilevanti modificazioni culturali nei modi di vivere, contribuendo a catalizzare un processo di miglioramento dello stato di salute e un incremento della longevità, accompagnati da un processo parallelo di assimilazione e integrazione di culture e contesti eterogenei in una realtà condivisa, globale, rapidamente convergente verso modelli comportamentali, soggettivi e collettivi, indirizzati a una migliore qualità della vita.
A livello europeo, tale dinamica ha registrato di recente una significativa accelerazione anche in seguito allo stimolo dovuto a numerose iniziative di respiro internazionale ispirate a principi etici di equità, dignità, solidarietà. Fin dal 1982 le Nazioni Unite avevano ribadito la necessità di una particolare attenzione ai problemi dell'invecchiamento: in quell'anno l'International plan of action on ageing, formulato nel corso dell'Assemblea mondiale sull'invecchiamento tenuta a Vienna e quindi noto anche con il nome di Vienna Plan, fu ratificato dall'Assemblea generale dell'ONU (Resolution nr. 37/51). Il documento identificava 62 raccomandazioni per 7 aree prioritarie di azione: salute e nutrizione, protezione del consumatore anziano, ambiente domestico, famiglia, benessere sociale, protezione sociale e occupazione, educazione. Nel 1991 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite adottava un'ulteriore risoluzione nella quale si sancivano 18 Principles for older persons, mirati ad "aggiungere vita agli anni che sono stati aggiunti alla vita" e dedicati soprattutto alla promozione dell'indipendenza, della partecipazione, della cura, della realizzazione personale e della dignità della persona anziana. In occasione dell'anno internazionale dell'anziano, proclamato dalle Nazioni Unite nel 1999, numerose iniziative di merito hanno preso l'avvio per la costruzione di "una società per tutte le età". Per il 2002 le Nazioni Unite hanno programmato la seconda Assemblea mondiale sull'invecchiamento, con la finalità di procedere a un monitoraggio della dinamica del fenomeno e a una valutazione dei bisogni emergenti.
Attualmente, la questione dell'invecchiamento della popolazione continua a mantenere una posizione di primaria importanza nelle strategie sanitarie nazionali e sovranazionali, ma si focalizza, ancor più che in passato, sulla soluzione dei numerosi problemi che stanno, direttamente o indirettamente, influenzando i rapporti intergenerazionali e lo stesso sviluppo economico e sociale. Analogamente a quanto avviene per altre tematiche, il dibattito e l'interesse sulle questioni economiche legate all'invecchiamento sembrano avere monopolizzato l'attenzione generale.
Il problema relativo al pensionamento di individui in età considerate oggi ancora attive, il corrispondente onere finanziario sostenuto dalla società riguardo ai trattamenti economici pensionistici, il sostanziale ridimensionamento della proporzione di lavoratori attivi che provvedono al mantenimento dell'attuale sistema pensionistico rappresentano solo alcuni dei motivi di dibattito politico e sociale che, per certi versi, contribuiscono a giustificare la concezione comune, e forse anche il pregiudizio, che i 'vecchi' siano un peso per la società. Tale tipo di spasmodica attenzione impedisce di fatto di considerare gli anziani quale risorsa della società, sostegno della famiglia, aiuti fondamentali per chi soffre l'emarginazione della solitudine: dimensioni
che anche da un punto di vista economico troverebbero una giusta valutazione, fornendo lusinghieri contributi al risparmio e ai bilanci delle famiglie, della società, delle intere nazioni.
Invecchiamento e qualità della vita
È indubbio, tuttavia, che uno dei problemi più pressanti che accompagna questo inizio del 3° millennio è la valutazione dell'impatto dell'invecchiamento sui sistemi sanitari e la contestuale necessità di individuare una serie di strategie idonee ed efficaci per arginare l'insorgenza di malattie croniche e degenerative che possono essere causa ed effetto di una qualità di vita alterata nella terza e nella quarta età.
Tutto ciò deve essere riconsiderato anche in relazione al nuovo concetto di salute, non più intesa come semplice assenza di malattia ma quale condizione di 'benessere psicofisico e sociale', così come è stata definita dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), abbracciando tutte le dimensioni della persona e ponendo l'esigenza di una maggiore integrazione delle diverse aree sociosanitarie. L'estensione del concetto di salute porta con sé l'ampliamento dei possibili interventi a sostegno del benessere individuale e collettivo, con la conseguente trasformazione dei modelli organizzativi e gestionali della sanità pubblica e privata, la cui efficacia ed efficienza sono valutabili in termini di prestazione di servizi sanitari e sociali, accessibilità, informazione, educazione. Nella descrizione dello stato di salute, oltre all'utilizzo degli indicatori tradizionali (composizione della popolazione, mortalità, morbosità e sopravvivenza), è necessario quello di indicatori nuovi capaci di valutare le generali condizioni socioeconomiche, culturali e ambientali, approfondendo la conoscenza multidisciplinare dei 'determinanti' della salute: condizioni di vita e di lavoro; influenze sociali e della comunità; fattori di rischio (fissi: corredo genetico, età, sesso; sociali ed economici: contesto sociale, povertà, disoccupazione, emarginazione); stili di vita (alimentazione, attività fisica, abitudine all'alcol e al fumo, dipendenze); condizioni ambientali (qualità dell'aria e dell'acqua, ambiente domestico).
La strada da percorrere appare tutt'altro che semplice; una dimostrazione empirica ed evidente può trovarsi nell'analisi di come si siano parzialmente raggiunti i numerosi obiettivi di salute che l'OMS si proponeva di conseguire in Europa attraverso il progetto Health for all, lanciato negli anni Ottanta, che ha contribuito innegabilmente a innescare un cambiamento radicale della cultura della salute, in linea con la definizione sopra riportata. Dall'elaborazione delle esperienze condotte e dalla valutazione degli esiti ottenuti dall'implementazione, parziale o integrale, delle azioni strategiche di salute pubblica europee è nata la nuova sfida per il 3° millennio, il progetto Health 21 (Health for all in the 21st century), che con l'indicazione di 21 obiettivi (v. tab. 1) si propone il consolidamento, uniforme per le differenti realtà europee, dei guadagni di salute già registrati, indicando l'individuo come risorsa strategica principale e ponendo il concetto di empowerment come base del processo orientato a un rinnovamento dei livelli di benessere sociale.
Tabella 1
L'incremento della vita media e della speranza di vita registrato nel corso degli ultimi decenni è un risultato eloquente del continuo processo di rinnovamento qualitativo delle condizioni sociali, economiche e sanitarie in gran parte delle nazioni europee. A titolo di esempio, un individuo nato in Europa nel 1999 può contare su una speranza di vita media di 75,8 anni, se maschio, e di 82 anni, se femmina, con un incremento di circa 22 e 26 anni, rispettivamente, in confronto a un individuo nato all'inizio del 20° secolo. La longevità solleva, tuttavia, nuovi dilemmi e nuove esigenze riguardo alla qualità delle condizioni di salute che accompagnano l'invecchiamento dell'individuo. Il guadagno nella speranza di vita totale ottenuto nel corso degli anni appare infatti parzialmente ridimensionato, se osservato attraverso indicatori sociosanitari relativi alla valutazione della speranza di vita condotta in buona salute.
La cosiddetta transizione demografica, sperimentata in gran parte delle realtà occidentali, è il risultato della combinazione di una ridotta mortalità e di una bassa natalità, che hanno condotto all'innalzamento della quota di persone anziane e a una sostanziale riduzione di quelle giovani, con un saldo naturale persistentemente negativo registrato sin dai primi anni Novanta. A livello mondiale, in soli 25 anni il numero di soggetti ultrasessantenni è passato da 350 milioni a 590 milioni di individui; le proiezioni delle Nazioni Unite prevedono, nel 2025, 1100 milioni di individui oltre i 60 anni di età, più di tre volte tanto in 50 anni. Parallelamente si prevede una riduzione della quota di individui al di sotto dei 15 anni, anche per i paesi in via di sviluppo.
È dunque in atto una destrutturazione demografica che ha già portato, per es., a registrare nel 2000 in Italia un innalzamento pari al 23,7% del numero di ultrasessantenni rispetto ai valori di dieci anni prima e a una riduzione pari al 14% dei giovani al di sotto dei 15 anni; attualmente, gli ultrasessantenni sono circa 13,5 milioni e si stima che nel 2030 gli ultrasessantacinquenni saranno 14,4 milioni e costituiranno il 27% della popolazione italiana. Stime effettuate dall'EUROSTAT prevedono per il 2015 una popolazione europea con una proporzione di ultrasessantacinquenni superiore al 20% (la quota del 1995 era pari al 16% circa della popolazione).
Come è facile intuire l'impatto sociale di tale fenomeno, prevalentemente legato alla longevità e alle migliorate condizioni sanitarie, è notevole nella prospettiva di medio e lungo termine; nel breve termine, tuttavia, l'aspetto sanitario e di salute appare quello predominante e genera maggiori preoccupazioni, anche a fronte dell'impatto umano e del carico di sofferenza che può comportare. I dati statistici e demografici dimostrano, infatti, che, parallelamente all'aumento degli anni di vita, si incrementa il numero di anni vissuti in condizioni di disabilità o di malattia cronica e invalidante; i dati demografici elaborati dall'ISTAT per il 1999, per es., mostrano che un uomo di 65 anni può confidare in una speranza di vita di 16,3 anni ma che tale 'sopravvivenza' comporterà, in media, un periodo di due anni e mezzo vissuto in stato di disabilità. Analogamente una donna di 65 anni, che può confidare in una speranza di vita di 20,3 anni, vivrà per un periodo complessivo di 5,2 anni in condizioni di disabilità verosimilmente legata a processi patologici, a traumatismi o, più comunemente, al declino psichico e funzionale legato al processo di invecchiamento.
La rilevazione epidemiologica delle patologie croniche a livello di popolazione dimostra che ipertensione, malattie osteoarticolari (artrosi, artrite), osteoporosi, diabete, patologie croniche respiratorie, disturbi nervosi, patologie vascolari, deficit sensoriali, sono solo alcune delle condizioni croniche che più frequentemente conducono gli anziani a una progressiva limitazione funzionale, alla dipendenza fisica e alla perdita dell'autonomia, causa, oltre che di sofferenze, anche di disagi, di fragilità e di emarginazione.
Il costo sociale ed economico di tali condizioni, in assenza di interventi mirati, è rilevante e destinato a pesare in maniera sempre maggiore in termini di ricorso a servizi e prestazioni sanitarie di diagnosi, cura, riabilitazione. A titolo di esempio, la spesa farmaceutica per gli individui ultrasessantacinquenni, pari a circa 8000 miliardi di lire, ha rappresentato, nel 2000, il 50% circa del totale della spesa farmaceutica italiana. Numerosi studi compiuti dall'OCSE sottolineano la valenza internazionale del problema economico connesso al trattamento delle patologie correlate con l'invecchiamento e ribadiscono la presenza di una rilevante disomogeneità di cura, spesso legata ai differenti sistemi di spesa sanitaria seguiti dai vari paesi nell'ambito dell'erogazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie.
Mantenere una buona funzionalità e una propria indipendenza è essenziale alla qualità di vita delle persone anziane. Questo approccio in senso positivo, rivolto a migliorare la salute degli anziani, è conosciuto come successful ageing, intendendo con tale espressione il mantenimento in vecchiaia di una buona riserva di capacità fisiche e mentali, che abilitano l'individuo a controllare, migliorare e preservare lo stato di salute dalla possibile insorgenza di eventi tali da indurre un aumento della fragilità e della vulnerabilità personali.
Il processo di prevenzione e di promozione della salute, cioè il tentativo di tutelare la persona nel corso dell'intera durata della vita, riducendone il carico di malattia (burden of diseases), appare inevitabilmente concentrato direttamente sull'individuo e solo in maniera indiretta sulla malattia stessa.
L'analisi dello stato di salute delle popolazioni di anziani indica la necessità di un intervento sociale e sanitario specificamente finalizzato ad attenuare le disuguaglianze che si rilevano nei differenti gruppi della stessa popolazione. Tale intervento dovrebbe essere rivolto, per es., alla riduzione dei gradienti di mortalità, morbilità e disabilità evidenziati dall'analisi epidemiologica nazionale, regionale o territoriale, per i quali sono richieste azioni incisive, capaci di influire sia globalmente sia sui determinanti di salute socioeconomici e ambientali.
Un investimento razionale rivolto alla popolazione ha come obiettivo sociale il conseguimento di adeguati livelli assistenziali, con accessibilità a cure e servizi (incluso il sostegno sociale) equi rispetto alle emergenti realtà epidemiologiche e sociosanitarie. Tali evidenze richiamano la necessità di un rinnovato sostegno all'individuo nei momenti critici o di transizione della propria esistenza.
Appare, nello stesso tempo, inderogabile un approccio differenziato per i gruppi sociali meno abbienti (minor reddito, difficoltà o discontinuità lavorativa, basso livello culturale) e per quelli vulnerabili, a maggior rischio; tale approccio è intuitivamente prioritario per il conseguimento di risultati comprensivi degli aspetti sia quantitativi (incrementare la sopravvivenza), sia qualitativi (migliorare la qualità della vita).
Strategie di intervento
Quali sono, quindi, le azioni da sviluppare per far fronte e, ove possibile, ridurre l'impatto di un incremento delle patologie tipiche dell'invecchiamento? Come è possibile favorire un invecchiamento sano, attivo?
A livello del singolo si tratta di orientare, fin dalla nascita, lo sviluppo individuale attraverso la costruzione di una coscienza critica nei riguardi dei comportamenti nocivi per la salute e di uno stile di vita igienico, che coinvolga attivamente e dinamicamente il soggetto nel processo di prevenzione, mantenimento e controllo del proprio stato di salute. Il Piano sanitario nazionale in corso ribadisce questi obiettivi per l'intera popolazione italiana, ma gli anziani possono avvantaggiarsene in maniera ancora più incisiva: nutrizione equilibrata (ricca di fibre e a basso contenuto di grassi e sale), abolizione del fumo, moderazione nel consumo di alcolici e promozione di un'attività fisica regolare, finalizzata al mantenimento del peso corporeo nella norma il più a lungo possibile. E ancora, l'uso di programmi di prevenzione disponibili (screening) e la partecipazione attiva alla vita della famiglia e della comunità.
Un'azione diretta sui fattori genetici è, al momento attuale, poco praticabile, anche se qualche speranza appare legata ai rapidi ed efficaci avanzamenti nelle conoscenze della genomica di alcune patologie e delle influenze combinate delle condizioni ambientali, culturali e comportamentali che a volte accelerano l'invecchiamento anche nei soggetti dotati di corredo genetico favorevole. L'azione più incisiva è quindi da adottare nei confronti dei fattori individuali realisticamente modificabili (i determinanti esogeni sanitari e sociali di salute). In definitiva, appare avviata la tendenza incoraggiante, in tutte le fasi della vita, verso comportamenti e stili di vita che possano consentire alle nuove generazioni di approdare a una vecchiaia più sana e attiva, evitando l'emarginazione sociale e sfatando alcuni miti e pregiudizi che, anacronisticamente e in contrasto con l'evidenza quotidiana, propongono gli anziani come un peso o un costo per la società.
Se l'individuo rappresenta, quindi, la principale risorsa in cui investire nel processo di 'salutogenesi', concetto da contrapporre a quello di patogenesi, appare evidente che l'anziano non può essere abbandonato a un'iniziativa meramente soggettiva; la necessità dell'azione di supporto di rinnovate iniziative pubbliche orientate alla prevenzione sanitaria (promozione della salute, prevenzione primaria, assistenza sanitaria, riabilitazione) e all'integrazione sociale è da considerarsi cruciale nell'ostacolare o rallentare il decadimento fisico e psichico legato all'invecchiamento. L'azione a tale riguardo è multidisciplinare e coinvolge competenze che, evidentemente, non rientrano soltanto nel dominio sanitario.
In Italia è attualmente in corso un processo di revisione del modello di health care, finalizzato alla razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e dei livelli di garanzia delle prestazioni sanitarie. La sua futura attuazione mira a una ridistribuzione ottimale delle risorse che serviranno a far fronte ai costi sanitari di una popolazione che invecchia: costi rispetto ai quali, in presenza di un reale incremento del livello di patologie croniche conseguenti all'invecchiamento, appare opportuno approntare dinamiche efficaci e capaci di minimizzarne l'impatto economico e sociale.
Il Piano sanitario nazionale, elaborato dal Ministero della Sanità in relazione al suo mandato specifico costituzionale di tutelare e migliorare lo stato di salute degli individui e basato sull'evidenza epidemiologica e scientifica, rappresenta il documento di indirizzo e riferimento per le politiche della salute in Italia. In esso è privilegiato un approccio adeguato a rispondere alla necessità di azione sui livelli che hanno finora dimostrato di consentire un maggior guadagno in termini di salute.
L'analisi della cosiddetta 'mortalità evitabile' evidenzia come la riduzione del numero dei decessi sia oggi maggiore per il gruppo di patologie o condizioni cliniche comprese tra quelle particolarmente sensibili alle modificazioni dei livelli di 'igiene e assistenza sanitaria' e al miglioramento del funzionamento del sistema sanitario: ipertensione, malattie respiratorie, ulcera gastrica, appendicite, mortalità materna, leucemia ecc. Una quota non trascurabile di decessi evitabili è, tuttavia, da attribuire alle patologie, o alle condizioni, che si giovano dell'adozione di norme, comportamenti, stili di vita atti a prevenire l'insorgenza dello stato morboso. In tale gruppo di malattie, opportunamente denominato di 'prevenzione primaria', rientrano i tumori delle vie aeree e digestive, del fegato, del polmone, della vescica, la cirrosi epatica, i disturbi circolatori dell'encefalo e le morti violente: tutte condizioni in cui la maggiore attenzione alla rimozione di uno o più fattori di rischio (alcol, fumo) ha determinato, in dieci anni, una riduzione significativa della mortalità.
In sintesi, è fondata e si conferma l'ipotesi di basare futuri interventi di salute e sanità pubblica cercando di agire non tanto sull'incremento della speranza di vita quanto sulla speranza di buona salute. Per questo è importante che si possa finalmente realizzare l'integrazione tra competenze e valenze sanitarie e sociali in un sistema che riesca a porre al centro il cittadino e in particolare l'anziano. Troppo spesso aspetti di cura e di assistenza sono demandati a livello territoriale in maniera impropria, esponendo a ingiustificate penalizzazioni l'utente (o cliente), che vede mancare nel momento del maggior bisogno il supporto della società e delle istituzioni, e a una spesa incongrua le istituzioni (ASL o Comuni), che prendono in carico la gestione di ciò che può essere definita un'urgenza, o un'emergenza, sanitaria e/o sociale.
Ben più difficile è riscontrare una risposta adeguata nel momento in cui l'anziano, spesso solo e senza il supporto di una famiglia, nelle condizioni di quotidiano bisogno non riesce a provvedere autonomamente alle proprie esigenze di base (mangiare, vestirsi, fare acquisti, eseguire correttamente una terapia). In tali condizioni il limite tra competenze sanitarie e sociali è impercettibile ma non può giungere a rappresentare motivo di isolamento sociale o di discriminazione; ospedalizzazione, assistenza e cura domiciliari devono trovare un giusto equilibrio ed essere utilizzate alla luce di un necessario coordinamento degli interventi. Interventi risolutivi a tale proposito non sono facilmente attuabili, ma esempi europei, come quello dei Primary health groups del servizio sanitario nazionale inglese, che erogano servizi sia sanitari sia socioassistenziali, sembrano suggerire la possibilità concreta di un abbattimento di conflittualità che si ripercuota sulla garanzia fondamentale della tutela dell'anziano.
Occorre, in definitiva, ribaltare la logica delle convenienze e istituire una cultura unitaria e una conseguente struttura di rete, in cui le relazioni territoriali tra Comuni e ASL e la valorizzazione delle residenze sanitarie per gli anziani e delle unità di valutazione geriatrica possano procedere secondo una strategia comune. Sono necessarie risposte multidimensionali, continuative e integrate sotto l'aspetto istituzionale, gestionale e professionale, basate sull'evidenza scientifica ed epidemiologica ed erogate in via differenziata in funzione delle diverse esigenze di assistenza domiciliare, intermedia e residenziale.
È necessario, quindi, un intervento comprensivo della valutazione del bisogno e finalizzato alla definizione del percorso assistenziale personalizzato, ottimale, che possa coinvolgere in maniera appropriata le risorse territoriali, privilegiando il momento preventivo e riducendo il ricorso all'ospedalizzazione e all'istituzionalizzazione.
Anche alla luce del rafforzato decentramento di gran parte delle attività specifiche legate a una gestione sanitaria intesa in senso federalista, o di devolution regionale, appare improbabile che l'attività di tutela della salute degli italiani non continui a essere esercitata a livello governativo e a esprimere la 'coscienza sanitaria' della nazione, salvaguardando il principio solidale della salute come diritto umano fondamentale e assicurando un'azione costante e continua di identificazione delle priorità da perseguire, siano esse già esistenti o emergenti, contribuendo anche a delineare le politiche e le pratiche che favoriscono o danneggiano la salute.
La via della cooperazione e dell'intervento multidimensionale è, peraltro, la strategia privilegiata a livello europeo per rispondere adeguatamente alle esigenze di protezione e di salvaguardia delle fasce deboli della popolazione, in omaggio al principio di solidarietà che da sempre contraddistingue lo stile della nostra tradizione e lo spirito della nostra società.
Tabella 3
La cartella clinica dell'Italia
Lo stato di salute degli italiani
Lo stato sanitario del paese relativamente al 2001 è illustrato nella relazione La nostra salute, pubblicata nel maggio a cura della Direzione generale studi, documentazione sanitaria e comunicazione ai cittadini del Ministero della Sanità.
All'intero documento è sotteso il nuovo significato che viene attribuito al concetto di salute, al quale viene oggi conferito un senso molto più ampio che in passato, tenendo conto sia delle potenzialità di ogni individuo e della comunità in cui egli vive, sia dei rapporti con l'ambiente circostante e degli effetti dell'uomo su di esso. La salute e la malattia non possono quindi più essere pensate come dati puramente medici, ma come il risultato di un sistema di rapporti sociali e interpersonali tra il soggetto affetto da malattia e chi deve curare questa malattia, tra chi ha la responsabilità dell'ambiente e chi usufruisce dell'ambiente stesso.
Fatta questa precisazione, il giudizio globale sullo stato di salute degli italiani all'inizio del 21° secolo può essere sintetizzato nell'affermazione che oggi si vive di più e in condizioni di salute migliori rispetto al passato anche recente. I nati in Italia nel 2001 hanno una speranza di vita di 75,8 anni se maschi e di 82 anni se femmine, con un guadagno di oltre un anno di vita rispetto al 1995: un dato impensabile fino a cinquant'anni fa, quando la mortalità era fortemente influenzata dall'esito delle malattie infettive, che costituivano ancora un grave pericolo soprattutto per i bambini e le persone più giovani. Queste cifre, accompagnate da quelle sulla riduzione della natalità, rendono l'Italia il paese più 'vecchio' d'Europa. Le migliori condizioni di vita della popolazione, insieme ai progressi medici, scientifici e tecnologici, hanno infatti consentito a un numero sempre crescente di persone di raggiungere un'età più avanzata; i decessi avvengono sempre più tardi e principalmente per malattie croniche o degenerative. Si può osservare, tuttavia, che le cifre presentano differenze abbastanza sensibili a livello regionale, soprattutto per quanto riguarda le donne: rispetto alle regioni del Centro e del Nord, in quelle del Sud lo svantaggio delle donne è significativo, con un'accentuazione della tendenza tra le anziane (a 65 anni la speranza di vita di una donna meridionale è mediamente di 19,7 anni contro i 20,6 del resto del paese).
Dall'esame specifico dello stato della salute ripartito a seconda delle varie fasi della vita si evidenzia che, per quanto riguarda l'infanzia, sono state sostanzialmente sconfitte le malattie che determinavano un alto tasso di mortalità infantile (attualmente, su circa 550.000 nascite annue, i decessi nel primo anno sono meno di 3000, di cui il 55% di maschi).
Per la fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni la riduzione della mortalità è ancora più netta: ogni 10.000 abitanti di questa età i morti sono 8,7 fra i maschi, 3,2 fra le femmine. La marcata differenza fra i sessi dipende dal numero più consistente tra i maschi di decessi dovuti a incidenti stradali, suicidi, tossicodipendenza e AIDS. Nella maggior parte dei casi queste morti sono l'esito finale di problemi di carattere psicologico e sociale, rispetto ai quali l'adolescenza rappresenta un'età a forte rischio. L'intervento sanitario al riguardo è essenzialmente di carattere preventivo e deve essere integrato con percorsi formativi ed educativi da parte della scuola e delle famiglie.
Per quanto concerne gli anziani, infine, va precisato che negli ultimi due decenni è raddoppiata la quota di persone con più di 80 anni (gli ultraottantenni sono oggi il 5% della popolazione italiana). L'invecchiamento della popolazione derivante dalle tendenze demografiche comporta inevitabilmente un aumento delle malattie croniche associate all'età. L'intervento sociosanitario deve mirare soprattutto a prevenire e a ritardare l'insorgenza di tali forme patologiche e a garantire poi l'erogazione dei servizi atti ad assicurare all'anziano una buona qualità di vita.
Le tipologie di malattie
Le malattie del cuore e delle arterie rappresentano tuttora la prima causa di morte nella popolazione in generale e negli anziani in particolare (nel 1998 i decessi per malattie cardiovascolari ogni 10.000 abitanti sono stati 44,7 per gli uomini, 30,5 per le donne). Tuttavia, queste malattie, già in declino negli ultimi decenni, hanno subito oggi un'ulteriore diminuzione in entrambi i sessi, che può essere spiegata con i progressi ottenuti nel campo medico e in quello della prevenzione. In ambito medico, la scoperta di farmaci più efficaci, il ricorso a protesi come i pace maker e le tecniche chirurgiche per correggere le anomalie di valvole e arterie hanno consentito interventi più efficaci. Nel campo della prevenzione, il riconoscimento dei principali fattori di rischio (pressione alta, fumo, eccesso di peso) ha indotto la popolazione a modificare il proprio stile di vita.
Anche per i tumori maligni la mortalità è diminuita. Anche se l'entità di questa riduzione è inferiore rispetto a quella registrata per le malattie cardiovascolari, è comunque significativa, considerando che fino a oggi la mortalità da cancro era stata in costante aumento. L'incidenza dei tumori dell'apparato respiratorio è cresciuta nelle donne: la mortalità nei due sessi si sta ora avvicinando, mentre alla fine degli anni Ottanta il rapporto tra uomini e donne era di circa 9 a 1; la più alta percentuale di forme tumorali a carico di trachea, bronchi e polmoni nelle donne è correlabile all'aumento del numero delle donne fumatrici, essendo ormai dimostrata la stretta relazione tra l'abitudine al fumo e l'insorgenza di queste malattie. Nelle donne i tumori che incidono di più sulla sopravvivenza sono comunque, tuttora, quelli della mammella (nel 1998, ogni 10.000 abitanti, 3,2 decessi); tuttavia in questo campo si sono registrati grandi successi, con un significativo aumento della sopravvivenza, dovuto al miglioramento delle cure ma soprattutto alle diagnosi più precoci, conseguenti alla diffusione dell'abitudine a sottoporsi a frequenti controlli (mammografia, ecografia del seno). Anche il tumore del colon, dopo un periodo di aumento costante in tutte le classi di età, ha mostrato, negli ultimi cinque anni, una tendenza alla stabilizzazione negli uomini e alla diminuzione nelle donne (nel 1998, ogni 10.000 abitanti, 3,4 decessi tra gli uomini e 2 tra le donne). Una diminuzione netta, infine, è stata registrata per i tumori dello stomaco (nel 1998, ogni 10.000 abitanti, 2,7 decessi tra gli uomini e 1,3 tra le donne); in questo ambito, il sensibile calo registrato negli ultimi cinquant'anni è attribuibile alla diffusione delle moderne procedure di refrigerazione e conservazione dei cibi, essendo l'insorgenza di tali patologie strettamente collegata alla malnutrizione e allo stato di cattiva conservazione degli alimenti.
Terza causa di morte sono le malattie respiratorie (nel 1998, ogni 10.000 abitanti, 8,5 decessi tra gli uomini e 3,3 tra le donne), nonostante anche in questo caso si sia registrata, negli ultimi decenni, una forte diminuzione della mortalità. Analogamente a quanto accaduto per le malattie cardiovascolari, i fattori che hanno favorito questo calo sono la maggiore efficacia delle cure, il miglioramento della qualità della vita e la riduzione dell'abitudine al fumo. I fattori di rischio per queste malattie sono costituiti, infatti, oltre che dalle caratteristiche genetiche individuali, dal tabagismo, dall'inquinamento ambientale, dalle epidemie influenzali, dall'esposizione a sostanze tossiche.
Un miglioramento della sopravvivenza si registra anche per le malattie degli organi dell'apparato digerente (soprattutto stomaco e intestino), principalmente negli uomini, che ne restano tuttavia maggiormente colpiti (nel 1998, ogni 10.000 abitanti, 5,3 decessi tra gli uomini e 3,2 tra le donne)
Tra le altre malattie causa di mortalità figura il diabete, che è strettamente collegato all'obesità e può essere aggravato dalle cattive abitudini alimentari, dalla vita sedentaria e anche da una predisposizione genetica. La mortalità per diabete è più alta nell'Italia meridionale, dove è maggiore la percentuale di obesi. Il diabete è una delle poche malattie per le quali i tassi femminili e quelli maschili di mortalità sono vicini, diventando tale rapporto sfavorevole per le donne molto anziane (nel 1998, ogni 10.000 abitanti, 30,4 decessi tra gli uomini ultraottantenni e 35,7 tra le donne ultraottantenni).
Forte incidenza sullo stato della salute in Italia hanno le malattie del sistema nervoso, costituenti un gruppo di patologie molto eterogenee, che comprende il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson e anche altre forme meno gravi ma molto diffuse e spesso invalidanti. La mortalità è concentrata nella fascia di età successiva ai 60 anni, quando è più frequente l'instaurarsi di malattie neurologiche degenerative (nel 1998, ogni 10.000 abitanti, 2,1 decessi tra gli uomini e 1,6 tra le donne). La loro diffusione, relativamente maggiore di un tempo, è correlata anche con il protrarsi della vita media e con la diminuzione della mortalità per altre malattie.
I disturbi mentali sono di particolare rilievo per la sanità pubblica, in quanto sono assai diffusi nella popolazione generale e in tutte le fasce di età, sono spesso associati a disabilità e a difficoltà a livello psicosociale e infine sono origine di elevati costi sociali ed economici, sia per i malati sia per le famiglie. Tra i disturbi mentali più diffusi troviamo al primo posto l'ansia, che colpisce circa il 15% della popolazione, con un forte incremento degli attacchi di panico. Molto frequenti sono anche i disturbi dell'umore e quelli affettivi. Infine, la depressione ha un'incidenza maggiore del 10% in tutte le fasce di età. Negli ultimi anni si va diffondendo un approccio a questi disturbi basato sia sulle terapie farmacologiche sia sull'aiuto psicoterapeutico, usati spesso in combinazione fra loro.
L'incidenza delle malattie infettive e parassitarie, ancora molto alta agli inizi del 20° secolo, è andata sempre diminuendo grazie al miglioramento delle condizioni igieniche, all'impiego di farmaci più efficaci e alla diffusione delle vaccinazioni. A questo proposito va ricordato che alla fine del 1999 è stato approvato il Piano nazionale vaccini, che ha fra i suoi obiettivi il raggiungimento di una copertura vaccinale di almeno il 95% della popolazione, anche immigrata, per rosolia, morbillo, parotite e pertosse; nel marzo dello stesso anno, inoltre, l'Italia aveva presentato all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) la certificazione di assenza del virus della poliomielite, come richiesto dal piano generale di eliminazione della malattia. La mortalità per malattie infettive e parassitarie oggi è quindi limitata ad alcuni fenomeni emergenti come l'infezione da HIV, il virus dell'AIDS, e la recrudescenza della tubercolosi. Per quanto riguarda l'AIDS, anche in Italia, come negli altri paesi industrializzati, dal 1996 è stata registrata una diminuzione di nuovi casi (i nuovi casi di AIDS denunciati nel 2000 sono stati 2000; i decessi 800; i malati in vita 14.000, di cui il 73,6% di età 25-39 anni). Ciò è dovuto soprattutto alla diffusione delle nuove terapie combinate, che hanno allungato il tempo di incubazione a circa cinque anni. Sono aumentati i casi riconducibili alla trasmissione sessuale, mentre sono diminuite le infezioni nei tossicodipendenti, sia perché è calato il numero di persone che fanno uso di sostanze stupefacenti per via endovenosa, sia perché sono cambiati i comportamenti a rischio associati all'uso di droga, come lo scambio delle siringhe. Relativamente alle malattie infettive, devono essere infine ricordati due fenomeni caratteristici del nostro tempo: lo sviluppo di specie di microbi resistenti ai farmaci, dovuto alla diffusione degli antibiotici, e l'importazione di malattie infettive sconosciute nel nostro paese, favorita dai frequenti spostamenti della popolazione.
Le cause accidentali e violente rappresentano la prima causa di morte tra i giovani e di queste circa un terzo è dovuto a incidenti stradali; il trend della mortalità per tali cause va comunque verso una lieve diminuzione in tutte le fasce di età (nel 1998, ogni 10.000 abitanti, 6,2 decessi da cause violente tra gli uomini e 2,6 tra le donne).
La quantità di infortuni sul lavoro rimane preoccupante e sostanzialmente invariata nel nostro paese (nel 1999 gli incidenti sul lavoro sono stati 986.857, di cui 1360 mortali), mentre negli altri Stati europei la tendenza è contraria; il fenomeno sembra insensibile ai cambiamenti della normative sulla sicurezza che negli ultimi anni hanno interessato il mondo del lavoro. Una realtà di altrettanto grandi dimensioni è rappresentata dagli infortuni domestici; l'ampiezza del fenomeno, che riguarda in proporzioni maggiori le donne che gli uomini (nel 1998 più di tre milioni di donne si sono infortunate tra le pareti della propria casa, contro 980.000 uomini) dimostra che le mura domestiche rappresentano un ambito sicuro solo se sono rispettate precise condizione nell'uso degli spazi e degli oggetti.
È da ricordare infine che le persone che presentano una perdita o una riduzione permanente dell'autonomia in Italia sono attualmente 2.700.000 e rappresentano il 6% del totale della popolazione; questa percentuale è complessivamente diminuita a partire dal 1990, in misura maggiore per gli uomini rispetto alle donne. La disabilità può essere motivata sia da cause fisiche sia da disturbi della sfera psichica. La perdita di autonomia fisica è concentrata principalmente tra i cittadini anziani (più del 50 % riguarda la popolazione al di sopra dei 65 anni di età) e in questi casi è spesso associata a problemi di carattere sociale, quali solitudine, isolamento, emarginazione.
Organizzazione del Servizio sanitario nazionale
L'organo centrale del Servizio sanitario nazionale (SSN) è il Ministero della Sanità, preposto alla funzione di indirizzo e programmazione in materia sanitaria, alla definizione degli obiettivi da raggiungere per il miglioramento dello stato di salute della popolazione e alla determinazione dei livelli di assistenza da assicurare a tutti i cittadini in condizioni di uniformità sull'intero territorio nazionale. Al conseguimento di tali obiettivi concorrono le Regioni, che organizzano sul proprio territorio i servizi e le attività destinati alla tutela della salute, programmano gli interventi da compiere, coordinano l'azione delle Unità sanitarie locali (USL) e delle Aziende ospedaliere e ne verificano l'operato; le Unità sanitarie locali e le Aziende ospedaliere, che provvedono ad assicurare i livelli di assistenza nel proprio ambito territoriale attraverso i propri servizi o acquistando le prestazioni presso altre strutture pubbliche o private. I dati relativi al riepilogo, a livello nazionale, delle principali strutture sanitarie del nostro paese sono illustrati nella tab. 2.
Tabella 2
Il Ministero è coadiuvato nelle sue mansioni da organi e istituti con funzioni di ricerca, consulenza, proposta e supporto in materia tecnica e scientifica. Gli istituti sono: il Consiglio superiore di sanità (CSS), organo tecnico-consultivo del ministro della Sanità che esprime pareri e proposte in merito ai vari ambiti relativi alla tutela e al miglioramento delle condizioni di salute della popolazione; l'Istituto superiore di sanità (ISS), organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale che svolge funzioni di ricerca, sperimentazione, controllo e formazione per quanto concerne la salute pubblica; l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro (ISPESL), organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale che svolge funzioni di informazione, documentazione, ricerca e sperimentazione in materia di tutela della salute, della sicurezza e del benessere nei luoghi di lavoro; l'Agenzia per i servizi sanitari regionali (ASSR), che svolge funzioni di supporto delle attività regionali, di valutazione comparativa di costi e rendimenti dei servizi resi ai cittadini e di segnalazione di disfunzioni e sprechi nella gestione delle risorse personali e materiali e nelle forniture, di trasferimento dell'innovazione e delle sperimentazioni in materia sanitaria; gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), enti nazionali autonomi che perseguono finalità di ricerca nel campo biomedico e in quello dell'organizzazione e della gestione dei servizi sanitari, insieme con prestazioni di ricovero e cura; gli Istituti zooprofilattici sperimentali (IIZZSS), enti sanitari di diritto pubblico, dotati di autonomia gestionale e amministrativa, che rappresentano lo strumento tecnico e operativo del Servizio sanitario nazionale per quanto riguarda la sanità animale, il controllo di salubrità e qualità degli alimenti di origine animale, l'igiene degli allevamenti e il corretto rapporto tra insediamenti umani, animali e ambiente.
Il principale organo attraverso cui le Unità sanitarie locali esercitano la loro azione di cura e tutela della salute della popolazione è il medico di famiglia, un medico di medicina generale scelto da ogni utente. Presso gli ambulatori di questi professionisti, tutti i cittadini hanno la possibilità di ricevere le principali prestazioni sanitarie: visite mediche, ricette di farmaci, prestazioni di esami, richieste di visite specialistiche, ricoveri ospedalieri, certificati. È prevista da parte dei medici di famiglia anche l'assistenza domiciliare, a favore di pazienti anziani non facilmente trasportabili, malati in fase terminale o anche convalescenti che necessitano di riposo dopo un intervento chirurgico; lo scopo di tale forma di assistenza è quello di evitare lunghi ricoveri ospedalieri, sostituendoli con cure domestiche che consentano di tenere sotto controllo i cambiamenti delle condizioni cliniche. Attualmente la rete dei medici di famiglia è costituita da circa 50.000 professionisti, ciascuno dei quali ha mediamente circa 1000 assistiti.
Anche i bambini hanno diritto ad avere un medico di base a loro disposizione: si tratta del pediatra di libera scelta, che assiste bambini e ragazzi fino al compimento del quattordicesimo anno di età. I pediatri di famiglia sono oggi in Italia circa 7000 e hanno anch'essi un numero medio di circa 1000 pazienti, pur con forti differenze da una regione all'altra. Le prestazioni del medico di famiglia sono gratuite per il cittadino (salvo casi particolari, come i certificati per gli infortuni sul lavoro, per le assicurazioni e per la pratica sportiva non agonistica), in quanto il medico è retribuito dal Servizio sanitario nazionale in base a un forfait annuo per ogni assistito.
Al medico di famiglia spetta anche, come si è visto, la prescrizione dei farmaci, che sono attualmente divisi in due classi, aggiornate periodicamente dalla Commissione unica del farmaco (CUF). La prima classe comprende i medicinali completamente gratuiti, cioè a carico del Servizio sanitario nazionale, mentre la seconda classe è a carico dei cittadini e comprende principi attivi la cui utilità non è certa o che possono essere sostituiti da altri, presenti nella prima classe. Alcuni farmaci sono gratuiti solo per determinate indicazioni (specificate dalle note CUF) e non per altre; spetta al medico di famiglia accertare l'esistenza delle indicazioni corrette, di cui è chiamato a rispondere personalmente, anche con l'eventuale rimborso alla USL dei costi indebitamente sostenuti. Secondo dati pubblicati nella Relazione generale sulla situazione economica del paese, negli ultimi quindici anni la spesa farmaceutica in Italia è passata da 8000 miliardi di lire nel 1985 a quasi 20.000 miliardi nel 2000 per la spesa pubblica e da 2500 miliardi nel 1985 a 12.000 miliardi nel 2000 per la spesa privata.
Raffronto internazionale dei servizi sanitari
Nel Rapporto sulla salute nel mondo 2000, curato dall'Organizzazione mondiale della sanità, che offre un confronto a livello internazionale sulle condizioni di salute della popolazione mondiale, è stata condotta la prima analisi comparata dei sistemi sanitari dei 191 paesi membri dell'organizzazione, stilando in base al raffronto delle prestazioni assicurate una classifica globale. Gli indicatori utilizzati sono cinque: livello generale della salute della popolazione; distribuzione della salute nell'ambito della popolazione; livello generale della risposta alle aspettative nei confronti del sistema sanitario, calcolato in base a una valutazione combinata della soddisfazione da parte dei pazienti e del funzionamento oggettivo del sistema; distribuzione della risposta alle aspettative del sistema sanitario nell'ambito delle differenti fasce di reddito della popolazione; distribuzione dell'onere finanziario del sistema sanitario nell'ambito della popolazione.
Dall'analisi si evidenzia da una parte che la salute e il benessere della popolazione sono strettamente connessi con la qualità delle prestazioni offerte dai servizi sanitari, dall'altra che c'è una sostanziale difformità di prestazioni anche fra paesi che hanno livelli simili di reddito e di spesa sanitaria.
I dieci paesi che, secondo l'OMS, forniscono la migliore assistenza sanitaria sono, nell'ordine: Francia, Italia, San Marino, Andorra, Malta, Singapore, Spagna, Oman, Austria e Giappone. Agli ultimi posti si pongono per lo più paesi dell'Africa sub-sahariana, dove è molto alta la diffusione del virus dell'AIDS e la speranza di vita senza malattia per un bambino nato nel 2000 è pari a 40 anni o meno. Gli Stati Uniti, dove pure il sistema sanitario assorbe una parte del prodotto nazionale lordo maggiore che in tutti gli altri paesi, sono al 37° posto, ma figurano al primo per quanto riguarda la risposta alle aspettative. Gli altri paesi europei sono classificati: il Portogallo al 12° posto, il Lussemburgo al 16°, i Paesi Bassi al 17°, il Regno Unito al 18°, l'Irlanda al 19°, il Belgio al 21°, la Svezia al 23°, la Germania al 25°, la Finlandia al 31°, la Danimarca al 34°, la Grecia all'85°.
Il livello globale di salute è stato calcolato utilizzando l'indice DALE (Disability-adjusted life expectancy), che valuta la speranza di vita senza malattia. L'indice DALE supera i 70 anni in 24 paesi, ed è di circa 60 anni per più della metà degli Stati dell'OMS. In 32 Stati è meno di 40 anni.
Dal punto di vista della risposta alle aspettative, due elementi appaiono fondamentali: il rispetto della persona (della sua dignità, sicurezza e autonomia di scelta) e l'attenzione accordata al cliente (rapidità di presa in carico, accesso ai circuiti di assistenza sociale, qualità dell'ambiente). Le nazioni che hanno avuto la valutazione migliore, dopo gli USA, sono Svizzera, Lussemburgo, Danimarca, Germania, Giappone, Canada, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia, cioè tutte nazioni industrializzate. Molti degli elementi che incidono al riguardo dipendono infatti dalla disponibilità di risorse.
La valutazione dell'equità del contributo finanziario si basa sulla quota di capacità di spesa di una famiglia (calcolata sottraendo al suo reddito la spesa alimentare) impiegata per l'assistenza sanitaria (comprese le tasse, le assicurazioni, la previdenza sociale). Da questo punto di vista il paese meglio classificato è risultato la Colombia. I paesi dove sono riscontrate maggiori iniquità sono Sierra Leone, Brasile, Perù, Russia, quest'ultima anche in relazione alla grave crisi economica degli anni Novanta, che ha drasticamente ridotto le spese sanitarie pubbliche.
Un punto chiave evidenziato dall'analisi è l'estensione delle politiche assicurative nell'ambito della popolazione, cioè la possibilità di 'pagare in anticipo' l'assistenza sanitaria, in forma di assicurazione, di tasse o di previdenza sociale. Questo fa sì che nella maggior parte dei paesi industrializzati un privato paga mediamente il 25% delle sue spese sanitarie, grazie alla copertura sanitaria universale (fanno eccezione gli Stati Uniti, dove la percentuale sale al 56%). In paesi più arretrati, come per es. l'India, le famiglie pagano di tasca propria l'80% dei loro costi sanitari, come esborsi nel momento della necessità. Dove poi manca del tutto una rete assicurativa, per sostenere le emergenze connesse con la salute le famiglie sono costrette a spendere più del 100% del loro reddito, cioè si indebitano.