Sanità
I determinanti della salute
Quando si valutano i sistemi sanitari delle popolazioni di riferimento si osserva che, per i Paesi industrializzati avanzati che da anni garantiscono un accesso equo ai servizi, non esiste correlazione tra l'ammontare delle risorse dedicate al settore e la quantità (e probabilmente anche la qualità) di benessere espresso in termini di speranza di vita. Tale dato non deve sorprendere perché altri fattori, estranei al settore sanitario, sono più atti a spiegare le differenze. Ne consegue che il benessere sanitario di una popolazione dipende anche da determinanti di solito ritenuti estranei, o poco influenti, alla produzione di quantità e di qualità di vita di una popolazione. Essi sono: a) gli aspetti culturali in senso lato; la cultura mediterranea, per es., legata essenzialmente a fattori alimentari e climatici, concede una rendita di partenza in termini di speranza di vita supplementare ai popoli del sud dell'Europa di circa 3 anni rispetto a quelli del nord, indipendentemente dall'efficienza e dall'efficacia dei servizi sanitari; b) la condizione socioeconomica, in genere determinata dal ruolo e dallo statuto nella professione, è il fattore probabilmente più determinante, che a sua volta influenza i comportamenti, le abitudini e gli stili di vita; c) l'ambiente inteso come ecosistema. A questi determinanti dello stato di salute vanno aggiunti il patrimonio genetico individuale e, infine, la disponibilità e l'accesso a un sistema sanitario con funzione essenzialmente di tipo riparativo.
Il contributo dato da ciascuno di questi fattori alla longevità è stato stimato in diversi studi. Per es., l'importanza del contributo dato dal settore prettamente sanitario al conseguimento di questo obiettivo è stato valutato pari al 10-15%, quello del patrimonio genetico tra il 20 e il 30%, il contributo dell'ecosistema al 20%, mentre l'influenza dei fattori socioeconomici è stata stimata tra il 40 e il 50%. Il gradiente socioeconomico risulta infatti essere il più importante fattore esplicativo della quantità e probabilmente della qualità di vita. Gli studi pubblicati mostrano che l'ineguaglianza socioeconomica porta all'ineguaglianza sanitaria. Il fatto che la popolazione sia in grado di riconoscere l'influenza sulla salute dei fattori socioeconomici è un aspetto fondamentale al fine dell'adesione della società civile a un modello di sviluppo sostenibile, come pure a obiettivi di salute pubblica largamente condivisi. La maggior parte della popolazione non percepisce o addirittura rifiuta di ammettere l'esistenza di una relazione tra le condizioni socioeconomiche e lo stato di salute. L'influsso dell'ecosistema sulla salute è invece ampiamente riconosciuto dalla grande maggioranza degli individui.
Asimmetria informativa
Per gli economisti il paziente-consumatore è un soggetto economicamente debole poiché, per mancanza di informazioni, non è in grado di esprimere preferenze di consumo razionali e tecnicamente fondate. Al fine di superare l'ostacolo dell'asimmetria informativa tra offerta e domanda, ossia tra medico e paziente, gli economisti hanno inventato il 'perfetto rapporto di agenzia'. Esso postula che il medico, nella sua qualità di professionista della salute, agisca nel miglior interesse sanitario del paziente dandogli nel contempo anche tutte le informazioni indispensabili per una possibile espressione di preferenze di consumo. Il grado di perfezione del rapporto di agenzia dipende da molti fattori; in particolare, dal grado di aggiornamento delle conoscenze da parte del medico nonché dall'influenza che gli incentivi di tipo economico o professionale possono avere sulle decisioni diagnostiche e/o terapeutiche. Le informazioni che, di regola, fanno difetto al paziente concernono il suo stato (oggettivo) di salute, l'insieme delle prestazioni e dei trattamenti disponibili per gestire o risolvere i problemi sanitari oggetto della consultazione, l'efficacia, i rischi e le incertezze relative alle prestazioni e ai trattamenti proposti o disponibili.
Consenso informato
La disponibilità di queste informazioni rappresenta una premessa indispensabile per l'espressione da parte del paziente del cosiddetto consenso informato. Nella pratica molti sono gli ostacoli che possono oggettivamente impedire tale formulazione, quali, per es., lo stato in cui si trova il paziente (urgenza, angoscia), l'incertezza della scienza e della pratica medica, le capacità di comunicazione del medico, il grado di comprensione del paziente. Si può tuttavia ritenere che, su un mercato sanitario ad accesso universale e a costi socializzati, un consumatore informato sceglierà la prestazione o il trattamento che garantirà i maggiori benefici in termini di salute con i minori rischi ed effetti indesiderati e procurerà i minori costi monetari indiretti (vale a dire quelli non coperti dal Servizio sanitario nazionale e da un'assicurazione).
Gli economisti non hanno tuttavia mai dato molta importanza all'espressione delle preferenze di consumo da parte dell'utente dei servizi sanitari in funzione della quantità e della qualità dell'informazione ricevuta. Probabilmente la teoria del perfetto rapporto di agenzia, che permetteva di superare con eleganza l'ostacolo dell'asimmetria informativa, ha inibito ulteriori approfondimenti empirici e teorici. Non sorprende quindi che, tra gli economisti, vi sia anche chi si chiede se sul mercato sanitario esista una domanda. Lo sviluppo delle tecniche di comunicazione, la grande facilità d'accesso all'informazione, l'influenza dei media nel promuovere attese irrealistiche verso l'efficacia della medicina pongono la necessità di approfondire l'analisi dell'espressione delle preferenze di consumo in s. in relazione all'informazione acquisita o ricevuta dal cittadino-paziente-consumatore. Secondo uno studio, il 90% dei cittadini ritiene che la salute sia un completo stato di benessere psichico, fisico e sociale, mentre per il 10% la salute è uno stato di assenza di malattia. Se si aggiunge che circa il 70-80% della popolazione ritiene che la medicina sia una scienza esatta, si pongono i presupposti per una domanda di benessere sanitario potenzialmente illimitata, che potrà essere soddisfatta solo da un sempre maggior consumo di prestazioni e da una più vasta disponibilità di servizi medico-sanitari. In realtà numerose valutazioni indicano che le prestazioni medico-sanitarie che beneficiano di una validazione scientificamente fondata corrispondono a circa il 20% del totale.
Partecipazione dei cittadini alle decisioni
Una spinta sociale significativa postula la partecipazione alle decisioni connesse a varie dimensioni della s., in particolare: a livello individuale, nell'ambito della decisione tra medico e paziente; a livello intermedio, nella valutazione della qualità dell'assistenza sanitaria; a livello generale, nella sfera politica, che postula la partecipazione dei cittadini a scelte strategiche circa l'orientamento e le priorità dei servizi sanitari; a livello della ricerca clinica.
È utile rilevare che si tratta per lo più di attese di partecipazione declamatorie che si scontrano costantemente con la cronica asimmetria d'informazione tra cittadini e professionisti e anche con una cultura dominante che diffonde attese di efficacia dell'impresa medico-sanitaria superiori a ogni più ottimistica valutazione epidemiologica e scientifica. La manipolazione è una componente che è presente a tutti i livelli e l'accesso all'informazione di qualità risulta complesso e difficile; ne consegue che l'espressione di preferenze razionalmente fondate resta di difficile attuazione.
I sistemi sanitari
Obiettivo primario perseguito dai sistemi sanitari detti universali, che garantiscono a tutta la popolazione un'equità di accesso alle prestazioni e ai servizi medico-sanitari a un costo socializzato è, da un lato, evitare il degrado della salute e il decesso prematuro dei cittadini e, dall'altro, far sì che la possibilità di accedere a prestazioni medico-sanitarie adeguate non porti alla rovina economica degli individui e delle famiglie. Due grandi modelli di organizzazione dei sistemi sanitari sono stati creati per rispondere a tale obiettivo: il modello Beveridge, che è essenzialmente fondato sul finanziamento dell'attività medico-sanitaria mediante la fiscalità generale e sulla pianificazione dei servizi (adottato, per es., in Gran Bretagna, Italia, Paesi del Nord Europa), e il modello Bismarck, storicamente centrato sulle assicurazioni sociali a vocazione universale (Germania, Francia, Belgio, Svizzera e così via). La maggioranza dei Paesi occidentali (a eccezione degli Stati Uniti) si riconosce in questi due modelli organizzativi anche se con sfumature non indifferenti sia per quanto riguarda il grado di centralizzazione/decentralizzazione e di integrazione e pianificazione delle cure, sia per quanto riguarda l'importanza della partecipazione pubblica oppure privata da parte dei cittadini (out of pocket) al finanziamento della spesa globale. Tutti i sistemi sanitari dei Paesi industrializzati sono alla ricerca di nuovi equilibri al fine di controllare la crescita della spesa in un contesto di budget pubblici e privati sempre più ristretti, e al fine ultimo di continuare a poter garantire il cosiddetto diritto alla salute.
L'evoluzione dello stato di salute nei Paesi occidentali
Se la mortalità nei Paesi occidentali è di molto inferiore a quella dell'Ottocento non lo si deve soltanto alla medicina, ma anche all'evoluzione in senso positivo di un insieme di fattori esterni al settore sanitario inteso in senso stretto: la potabilizzazione dell'acqua, l'accesso a una alimentazione equilibrata, la disponibilità di abitazioni salubri oltre a influenze più indirette come la scolarizzazione, la crescita del benessere economico nonché una più equa distribuzione della ricchezza nazionale.
Nel secolo appena trascorso l'introduzione sistematica dei vaccini, degli antibiotici e di altri presidi terapeutici ha portato a un ulteriore incremento della speranza di vita. Mentre nel 19° sec. e nella prima metà del 20° la quasi totalità della riduzione della mortalità fu dovuta ai miglioramenti igienico-ambientali e in misura molto limitata alle cure, secondo uno studio condotto in 21 Paesi europei tra il 1955 e il 1994, la riduzione nella mortalità è stata, per questo periodo, preponderantemente imputabile alle migliorate terapie. Dunque nei Paesi occidentali lo stato di salute complessivamente buono delle popolazioni è dovuto all'influenza sinergica di vari elementi al di fuori del sistema sanitario (economici, culturali, ambientali) ed endogeni (come, per es., la prevenzione, lo sviluppo e l'accesso a tecnologie diagnostiche e a terapie efficaci). Progressi significativi in ambito diagnostico sono dovuti alla risonanza magnetica nucleare e alle altre tecniche di diagnostica per immagini che rendono possibili interventi terapeutici quali, per es., l'angioplastica. Non mancano tuttavia i risvolti negativi, in particolare il divario crescente tra le capacità diagnostiche e, per molte malattie, le prospettive di cura molto più modeste (come per gran parte delle malattie neurologiche e dei tumori), o l'uso inappropriato della tecnologia diagnostica. Un chiaro esempio di quest'ultimo fenomeno è rappresentato dall'esplosione del monitoraggio fetale negli anni Ottanta. Solo a distanza di molti anni ci si accorse che sottoporre tutte le donne gravide a monitoraggio fetale si accompagnava a un numero molto elevato di risultati falsamente positivi o falsamente negativi, con il duplice risultato di allarmare inutilmente i genitori nel primo caso e di incrementare le denunce penali come conseguenza del secondo. Quasi tutti i farmaci in uso e dotati di una efficacia apprezzabile sono stati introdotti nel primo dopoguerra nel corso di una fase eccezionalmente positiva di nuove scoperte: il cortisone, l'insulina, i sulfamidici, alcuni farmaci citostatici per la cura dei tumori e gli antibiotici. Nei decenni successivi la scoperta di farmaci efficaci è però notevolmente rallentata, nonostante gli ingenti investimenti: nel 1978 il tempo medio per sviluppare un nuovo farmaco era cresciuto da 2-5 anni a circa 10 anni e con moltiplicazione dei costi per 30 dagli anni Sessanta agli anni Novanta. La medicina all'inizio del 21° sec. è dipendente dal settore industriale. Il mercato dei farmaci è uno degli esempi più clamorosi di come gli interessi privati possano interferire con la disponibilità pubblica di tecnologie sanitarie e con la spesa pubblica. Dieci industrie multinazionali del farmaco nel 2000 avevano conseguito profitti superiori a 9,8 miliardi di dollari corrispondenti al 19% del fatturato, mentre la media per le altre aziende era soltanto del 5%. Uno dei problemi di fondo della ricerca è rappresentato dai conflitti di interesse con l'industria che provvede al 70% dei finanziamenti per le sperimentazioni farmacologiche.
I sistemi sanitari e la spesa
Il 20° sec. ha visto il differenziarsi dei sistemi sanitari in due grandi gruppi, quelli a finanziamento misto e quelli a finanziamento privato. Negli anni Sessanta, l'incidenza della spesa pubblica sulla spesa sanitaria totale oscillava da valori pari a circa il 25% (Stati Uniti) a valori prossimi all'85% (Regno Unito e Italia). Nonostante l'assenza di qualunque forma di coordinamento, i Paesi sviluppati convergono verso sistemi caratterizzati da un maggior grado di omogeneità dal lato del finanziamento. In particolare, i Paesi con una netta prevalenza della spesa pubblica (come la Svezia, con una quota di pubblico superiore all'85% per tutti gli anni Novanta) tendono a lasciare spazi sempre più ampi alla spesa privata: nei Paesi europei, in termini di punti percentuali sul PIL, la spesa pubblica è cresciuta del 10% tra il 1980 e il 2000, mentre la spesa privata è cresciuta del 50%. La quota di risorse, come proporzione del PIL, destinata alla s. tende a crescere con lo sviluppo economico. Inoltre la spesa sanitaria ha un'elasticità costante nei diversi Paesi. Il concetto di elasticità, ampiamente utilizzato dagli economisti, è una misura di quanto cambia la spesa al variare del reddito pro capite. Stime per l'Europa indicano come essa sia pari a circa 1,3: ciò significa che un aumento dell'1% del reddito pro capite conduce a un aumento dell'1,3% della spesa sanitaria. Dunque, in linea di principio, l'aumento della spesa sanitaria è diretta conseguenza dello sviluppo economico. Ciò non esime ovviamente i responsabili delle politiche sanitarie dal perseguire più elevati livelli di efficienza ed efficacia degli interventi: la relazione fra spesa e PIL si limita a indicare che lo sviluppo economico è un importante fattore esplicativo dell'aumento della spesa sanitaria. Il fattore considerato di gran lunga più rilevante, tra quelli che hanno portato a un incremento della spesa sanitaria nel secondo dopoguerra, è l'innovazione tecnologica e ciò non tanto per il costo dell'investimento bensì per quello generato dalla sua diffusione e dall'aumento del volume di prestazioni da essa generata. Quello sanitario è l'unico settore produttivo in cui aumentano sia la tecnologia sia la forza lavoro, poiché l'innovazione tecnologica non si accompagna a una riduzione dei costi. I motivi di tale fenomeno sono molteplici: l'innovazione tecnologica è volta a rendere più accurate le diagnosi e più efficaci le terapie, e non più efficiente la produzione; pertanto essa viene comunque adottata, anche quando comporta un aumento dei costi. In secondo luogo, il capitale umano è immodificabile, perché rientra nelle cure alla persona che non possono essere né automatizzate né robotizzate. Infine, il progresso scientifico consente di gestire un numero crescente di patologie, comprese quelle un tempo considerate non trattabili, da cui l'aumento della spesa sanitaria. Pertanto, lo sviluppo tecnologico, contrariamente a quanto avviene comunemente in altri settori economici, comporta un aumento (e non una riduzione) delle risorse, anche umane, destinate alla sanità. Per i motivi ai quali si è accennato la spesa sanitaria in molti Paesi è cresciuta, e a tale crescita sono state opposte diverse soluzioni tecnico-politiche: a) la partecipazione economica dei cittadini al finanziamento (il ticket); b) la limitazione dell'accesso alle prestazioni; c) la riduzione delle prestazioni offerte. È utile introdurre la principale differenza tra due sistemi di finanziamento, quello su base pubblica (finanziato con introiti fiscali o mediante le assicurazioni sociali) e quello fondato sulle assicurazioni private. Il sistema fondato sulle assicurazioni sociali universali (Francia, Germania, Belgio) può essere considerato come un sistema pubblico in quanto, oltre alla funzione redistributiva, garantisce un'equità di accesso e di finanziamento indipendente dal rischio individuale e dalla capacità di pagare del cittadino. Il sistema assicurativo privato è invece fondato su base contributiva, ossia l'individuo riceve in misura di quanto ha dato e non dei suoi bisogni in diversi momenti dell'esistenza. Inoltre il sistema assicurativo privato è interamente basato sul rischio individuale, per cui il premio assicurativo (quanto si paga per contrarre l'assicurazione) è direttamente proporzionato al rischio individuale di ammalarsi. Il sistema pubblico, come quello fondato sulle assicurazioni sociali, ha invece natura distributiva, serve a istituire una solidarietà verticale (nell'arco della vita e tra generazioni) e orizzontale (tra gruppi sociali): il contributo economico in forma di imposte viene infatti redistribuito per assicurare livelli decorosi di assistenza a tutti, e i contributi dei giovani vengono utilizzati per pagare le spese sanitarie degli anziani. La copertura universale delle prestazioni significa che non vengono effettuate selezioni, mentre le assicurazioni private escludono sulla base del rischio. Inoltre le prestazioni garantite dal servizio sanitario pubblico coprono aree di natura non medica, come, per es., le prestazioni infermieristiche a domicilio, che rivestono grande utilità pratica per il benessere di popolazioni anziane e indigenti. Nei Paesi europei di vecchia industrializzazione tutti i sistemi sanitari sono di tipo pubblico o fondato sulle assicurazioni sociali. Questi ultimi hanno anche altre caratteristiche che, pur non rientrando nelle modalità tradizionali di computo economico, hanno ricadute benefiche sia sul piano della qualità dell'assistenza sia su quello dei costi e della produttività. Una di queste caratteristiche è costituita dal concetto di integrazione, legato alla 'continuità assistenziale'. In Italia, seppur con molte incertezze e cambiamenti di rotta, le unità elementari di erogazione dell'assistenza, le aziende sanitarie e i distretti costituiscono unità organizzative integrate, nel senso che alldella stessa struttura organizzativo-amministrativa rientrano tutti i servizi che possono concorrere alla guarigione e al mantenimento di un ragionevole benessere della persona. Almeno potenzialmente, questa struttura organizzativa può garantire quella continuità assistenziale che i pazienti richiedono e la cui mancanza è uno dei principali motivi di lamentela sui servizi sanitari.
La spesa farmaceutica
Il consumo farmaceutico dipende da un numero elevato di elementi tra loro indipendenti: la disponibilità di prove di efficacia, ossia di studi clinici di sufficiente durata e buona qualità; la pubblicità e la pressione del marketing industriale; le iniziative dello Stato, come l'introduzione di ticket o la loro abolizione; la cultura dei medici - e la loro indipendenza di giudizio - e quella dei cittadini. Sono state presentate diverse proposte per migliorare l'uso dei farmaci e ridurre in modo ragionevole la spesa farmaceutica. Gran parte di queste proposte prevede l'istituzione, come nella maggior parte dei Paesi europei, di un'Agenzia nazionale per il farmaco, l'adozione di misure volte ad aumentare il ricorso a farmaci generici e la diffusione tra i medici di maggiori informazioni sui rapporti costi/efficacia (in Italia un lavoro in questo senso è stato effettuato nel corso degli anni dalla Commissione unificata per il farmaco, CUF). I farmaci generici sono molecole di cui è scaduto il brevetto, per cui possono essere vendute a prezzi ridotti rispetto a quelli originali; si tratta di farmaci attivi ed efficaci quanto l'originale e il loro uso dovrebbe essere molto più diffuso.
Il sistema sanitario italiano
La prima legge italiana a essere definita di riforma sanitaria fu quella introdotta da L. Pagliani nel 1888. Essa decentrava fortemente l'assistenza sanitaria, mediante l'istituzione dei medici provinciali e comunali. L'intento era quello di avvicinare quanto più possibile gli interventi sanitari e preventivi alla popolazione, in un periodo di generale enfasi sulla s. pubblica. Alla fine dell'Ottocento si affermò progressivamente l'idea che la salute fosse un bene collettivo da preservare a opera dello Stato. Nel 1890, con la legge sulle Opere Pie, si introdusse una netta distinzione tra i compiti delle associazioni caritatevoli, in genere religiose, e gli ospedali, da sostenere con opportuni finanziamenti pubblici. Inoltre il Testo unico delle leggi sanitarie del 1907 razionalizzava l'erogazione dell'assistenza a opera delle casse mutue volontarie allora esistenti - che coprivano una parte minima della popolazione - e le coordinava con il sistema degli ospedali e dei medici provinciali e comunali. Tuttavia la vera grande legge di riforma sanitaria del nostro Paese, che lo allineava all'Inghilterra e ai Paesi scandinavi - almeno nelle intenzioni - attraverso la creazione di un servizio sanitario pubblico e universalistico, è la l. 833 del 1978. Il dedalo di mutue ancora esistenti, l'assenza di coordinamento tra i diversi settori del sistema sanitario, le grandi disuguaglianze nell'erogazione dell'assistenza trovarono una soluzione - anche se mai pienamente realizzata - con l'istituzione di un unico soggetto erogatore a finanziamento pubblico. La legge del 1978 rifletteva tendenze comuni a gran parte del mondo sviluppato di quel periodo, i cui principi erano sanciti, per es., dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): si trattava di passare dalla vecchia concezione assicurativa (l'assicurazione contro le malattie) alla nuova concezione della promozione della salute, in cui i cittadini non solo godono di uguali diritti, ma assumono una responsabilità diretta nella difesa della salute. La speranza di vita in Italia nel decennio 1980-1990 è aumentata di 3,9 anni, contro 2,3 nella media europea, e il tasso di mortalità per tutte le cause (736,7 per 100.000 abitanti) è molto inferiore alla media europea (781,6). Anche se questo fenomeno è largamente dovuto a fenomeni extrasanitari (il miglioramento complessivo delle condizioni di vita e degli ambienti di lavoro), non si sarebbe verificato se il servizio pubblico non fosse stato capace di accompagnare tali mutamenti con un'assistenza efficace. Il fatto che il sistema sanitario italiano sia ispirato alla solidarietà e all'equità non significa tuttavia che non esistano problemi di iniquità. La quota di risorse destinata alla s. (pubblica e privata) in Italia è di poco inferiore a quella media dei Paesi con analogo reddito pro capite; in particolare l'Italia spendeva nel 2000 l'8,1% del PIL, più del Regno Unito (Paese storicamente contraddistinto da una spesa inferiore alla media, anche se in crescita: 7,3% del PIL), ma meno della Germania (10,6%) e della Francia (9,5%). Per quanto riguarda la distribuzione della spesa sanitaria nelle singole regioni italiane, non si dispone di dati attendibili a livello regionale sulle dimensioni della spesa sanitaria complessiva (la spesa privata essendo ancora stimata in maniera insufficiente). Ciò impedisce un'analisi rigorosa del peso relativo del settore sanitario rispetto al PIL delle diverse realtà territoriali. È tuttavia possibile affermare che regioni come la Lombardia, per es., dispongono di un reddito pro capite simile a quello delle regioni più ricche del centro Europa, ma hanno una spesa sanitaria prossima a quella del sud dell'Europa.
Problematiche poste dalle nuove tecnologie della salute
Dietro le grandi scoperte biomediche, come il sequenziamento del genoma umano, si cela una forte aspettativa economica e commerciale. Un esempio circa gli investimenti nel settore delle biotecnologie è rappresentato da Biopolis, una cittadella della ricerca fondata a Singapore e finanziata dal governo e da diverse imprese americane di biotecnologie. Biopolis è nata con lo scopo di superare la crisi delle tecnologie informatiche e lanciare la città-Stato asiatica verso il business delle biotecnologie. Biopolis intende attirare numerosi scienziati dall'estero, offrendo loro grandi opportunità sia tecnologiche sia economiche, in parte con una compartecipazione agli utili della commercializzazione delle scoperte. È possibile chiedersi se le aspettative riversate sulle biotecnologie siano giustificate. Probabilmente alcune di esse saranno prima o poi coronate dal successo (per es., la ricerca sulle cellule staminali), ma su altre si può avere qualche dubbio. Se si considera, per es., la proteomica, uno dei settori da cui ci si attendono a priori maggiori sviluppi, si osserva che, in corrispondenza dell'uscita di un articolo pionieristico (diagnosi precoce dei tumori ovarici con la proteomica), apparvero articoli sul New York Times e altri quotidiani che salutavano la nuova tecnologia come uno degli strumenti più promettenti nella lotta contro i tumori. Se però si considerano anche le valutazioni critiche effettuate successivamente si nota che la nuova tecnologia è lontana dall'essere accurata e dal garantire applicazioni cliniche immediate: il profilo proteico individuato nei malati di cancro è una 'scatola nera', nel senso che non è conoscito a quali proteine sia ascrivibile; i risultati non sono riproducibili: secondo gli studi finora pubblicati i profili proteici sono diversi addirittura in prelievi successivi dallo stesso paziente. Pertanto questa tecnologia sembra rappresentare quasi simbolicamente i limiti della medicina predittiva. Altri grandi mutamenti si stanno verificando nell'industria della salute. Meritano considerazione le nuove direzioni che sta prendendo la ricerca farmacologica riguardo alle tecnologie del corpo o enhancement technologies. L'industria del farmaco si sta infatti dirigendo verso molteplici direzioni di ricerca per superare una certa crisi di efficacia e di credibilità delle terapie più comuni (da quelle contro il cancro a quelle cardiologiche), crisi che sta parzialmente alla base del successo delle terapie alternative in gran parte del mondo. Riguardo alle nuove tecnologie ci si riferirà qui di seguito, a titolo di esempio, solamente a un filone, quello delle enhancement technologies, maggiormente rappresentativo dei problemi in discussione. Le enhancement technologies sono le tecnologie biomediche volte non a curare una malattia, ma a incrementare una funzione fisiologica. L'orizzonte successivo è quello delle nanotecnologie, per migliorare per es., le prestazioni sportive. Ciò che accomuna questi interventi è il fatto di non mirare a curare un vero deficit patologico, ma piuttosto ad avvicinare il soggetto a quella che viene ritenuta una prestazione 'normale', incrementata (enhanced) o addirittura ottimale. Le argomentazioni a favore sono abbastanza evidenti: l'enhacement consente all'individuo una migliore prestazione nella società e promuove amplificandola la sua libertà decisionale. Sicuramente molte più persone sono oggi più felici grazie agli ansiolitici, che consentono loro di superare situazioni di forte tensione professionale o di altra natura, al Viagra, alla chirurgia estetica (pur in assenza di precedenti patologie). Tuttavia lo sviluppo di tali tecnologie del corpo solleva interrogativi di natura etica e politica. In primo luogo, c'è uno scenario del tutto nuovo da tenere presente, ossia il fatto che si è definitivamente rotto un meccanismo a monte della prestazione medica, quello che vedeva in qualche misura un rapporto - seppure indiretto e incerto - tra produzione di conoscenze mediche al letto del malato, identificazione dei bisogni di salute e sviluppo di terapie. Oggi le terapie vengono introdotte dalle grandi industrie multinazionali, le sole che possono permettersi investimenti di lungo o lunghissimo periodo nella ricerca di nuove molecole. Vi sono molte prove del fatto che i nuovi farmaci vengono sviluppati sulla base di considerazioni di mercato, e questo vale certamente per le enhancement technologies. In secondo luogo, l'idea affermatasi nel 20° sec. in base a cui la norma biologica ha una distribuzione gaussiana viene ora aggressivamente negata: non è necessario che ci siano tante persone di media statura, poche di bassa statura e poche di alta statura; possiamo benissimo aiutare i troppo piccoli a crescere, i timidi ad affermarsi (ma, attenzione, con un farmaco, non con una psicoterapia), i disattenti a focalizzarsi. In terzo luogo, questa estrema propaggine di una filosofia del progresso, che mira ad appiattire la curva di Gauss, comporta la rinuncia a interrogarsi sulle cause sociali delle malattie e di condizioni come, per es., la 'fobia sociale' o il deficit di attenzione, e conduce a un pericoloso corto circuito che finisce agli occhi dei pazienti per rendere reale (malattia) ciò che prima era accettato come una coda della distribuzione normale. In quarto luogo, acquisiscono credibilità e prestigio forme di spiegazione scientifica di tipo riduzionistico a scapito di modelli ispirati alle scienze sociali in senso lato. La costruzione sociale delle malattie sta per trasformarsi nella loro costruzione industriale.
Prospettive dei sistemi sanitari universali
La spesa sanitaria pro capite nei Paesi dell'OCSE è cresciuta in termini reali più velocemente del reddito reale, e dal 2002 ha subito un'ulteriore accelerazione in molti Paesi. Due dinamiche opposte si stanno confrontando: da un lato la globalizzazione della medicalizzazione nella società civile, fattore principale di espansione della domanda che genera costi supplementari a carico dei sistemi sanitari, cui si contrappone la globalizzazione economica fondata sulla liberalizzazione dei mercati internazionali che pone un serio problema di reperibilità di risorse pubbliche e private per il finanziamento della domanda supplementare di prestazioni medico-sanitarie. La medicalizzazione della società è sostenuta e promossa (oltre che dall'invecchiamento della popolazione): a) dalla sistematica revisione al ribasso delle soglie che definiscono il patologico per tutta una serie di fattori di rischio diffusi; b) dalla diffusione della diagnosi precoce (screening, check-up, biotecnologie e così via) percepita dalla popolazione come automatico sinonimo di guarigione; c) dalla diffusione dell'innovazione tecnologica (in particolare farmaceutica); d) dalla costruzione industriale delle malattie, statuto quest'ultimo vieppiù attribuito a condizioni che fanno parte del normale processo biologico della vita (per es., menopausa, osteoporosi, fobia sociale); e) dallo stress generato dall'insicurezza e dalla precarietà lavorativa (quale sottoprodotto del processo di globalizzazione economica) che genera morbilità supplementare (in particolare psichica, cardiovascolare, muscolo-scheletrica); f) dalla promozione presso la società di aspettative verso l'efficacia dell'impresa medico-sanitaria che vanno spesso al di là di ogni ragionevole evidenza scientifica. Attese indotte dai media, dalla pubblicità e dal marketing dell'industria e dei servizi. A questa dinamica di promozione della domanda e dei costi si contrappone un problema acuto di finanziamento e di reperibilità delle risorse. Nei mercati aperti e globalizzati i prezzi dei fattori di produzione (materie prime, tecnologia, mano d'opera) tendono a eguagliarsi. Di conseguenza le aziende, per rimanere sul mercato ed evitare il fallimento, devono comprimere il costo del lavoro oppure delocalizzare la produzione verso Paesi a bassi salari e/o a debole pressione fiscale. Questo significa per i Paesi di vecchia industrializzazione maggiore flessibilità del lavoro, e stagnazione dei salari reali e dei profitti conseguiti all'interno del Paese. Per l'ente pubblico ciò significa essenzialmente una diminuzione del gettito fiscale, quindi meno risorse da destinare al finanziamento del welfare in generale e dei servizi sanitari in particolare.
Il controllo della crescita della spesa sanitaria
Tutti i sistemi sanitari che assicurano un'equità di accesso ai servizi sono chiamati a dare una risposta operativa a queste due domande: a) come controllare una domanda potenzialmente illimitata cui si contrappone una scarsità di risorse? b) qual è l'intensità e la natura della relazione tra le risorse impiegate e i risultati sanitari ottenuti? I sistemi sanitari sono sistemi complessi dominati dall'offerta. È infatti quest'ultima che omologa la domanda che potrà così beneficiare di un accesso a prestazioni e a servizi il cui costo sarà poi socializzato. Ogni sistema sanitario è anche caratterizzato da interessi molto spesso contrapposti tra gli attori implicati (pazienti-cittadini; fornitori di prestazioni; produttori di tecnologia; amministratori, politici). Inoltre, l'attività sanitaria è dominata dall'incertezza, dall'asimmetria dell'informazione, dalla qualità poco o non misurabile, dai conflitti di interesse. Tutti questi fattori generano, a livello dell'offerta, opportunismo e rendite di posizione sconosciute ad altri settori economici di universale utilizzo da parte dei cittadini. Sul modo in cui gestire un tale sistema complesso garantendo l'equità d'accesso alle prestazioni adeguate ed evitando l'inflazione economica si affrontano due modelli contrapposti; il primo fondato su incentivi (economici e/o professionali) che dovrebbero influenzare gli attori ad assumere comportamenti virtuosi verso gli obiettivi espliciti del sistema (efficacia sanitaria ed efficienza economica); il secondo, al contrario, fondato sull'obbligo legale, sulla regolamentazione e la pianificazione, quindi su misure di tipo autoritario. Tutti i sistemi sanitari sono, con intensità diversa, alla ricerca di un delicato equilibrio tra questi due modelli al fine di controllare la crescita della spesa e assicurare la durabilità dei sistemi ad accesso universale.
Futuro dei sistemi sanitari
Per fronteggiare il divario crescente tra l'aumento dei costi dei sistemi sanitari e quello della ricchezza prodotta (PIL) in molti Paesi industrializzati sono in fase di studio o di sperimentazione politiche di razionalizzazione (applicazione di tecniche e metodi volti a un utilizzo ottimale delle risorse) e di razionamento (processo di scelta tra prestazioni e servizi utili o di limitazione dell'accesso) a volte difficilmente distinguibili tra di loro, che influenzeranno a medio e lungo termine la concentrazione e l'organizzazione delle cure, dei percorsi e dell'accesso, modificando nel contempo le pratiche e i contenuti nonché i livelli di rischio sanitario che giustificano una presa in carico socializzata dei costi, come pure i rapporti di finanziamento tra il settore pubblico e quello privato. Visto il processo di accelerazione della medicalizzazione della società e di espansione della domanda da un lato e, dall'altro, il processo legato agli effetti della globalizzazione economica sulla disponibilità di risorse interne, le tendenze future a medio termine dei sistemi sanitari ad accesso universale dei Paesi industrializzati possono così configurarsi: a) finanziamento della spesa sanitaria: relativa stagnazione del finanziamento pubblico in rapporto alla crescita della domanda; crescita della quota parte di finanziamento out of pocket e privato (ticket/assicurazioni private); b) organizzazione: diminuzione delle capacità di cura per malattie acute; concentrazione dell'alta tecnologia e stretto controllo della sua diffusione; creazione di reti integrate di cura tipo l'HMO (Health Maintenance Organization) americana, a partecipazione mista pubblica-privata; c) accesso ai servizi: tendenza alla crescita delle liste di attesa; ridimensionamento del pacchetto di prestazioni offerte; definizioni di nuove priorità d'accesso (soprattutto in funzione del livello di rischio omologabile); diminuzione generale delle libertà di scelta per i cittadini; promozione della delocalizzazione di pazienti (interna e all'estero); d) processi diagnostici e terapeutici: riduzione della libertà terapeutica e aumento della standardizzazione delle cure (linee-guida cliniche; evidence-based medicine; disease management; promozione di medicamenti generici e così via); e) promozione di politiche sanitarie di tipo culturale intese a ridurre il consumismo e a ricondurre le attese dei cittadini alla realtà delle prove scientifiche e della disponibilità di risorse.
bibliografia
T. McKeown, The origins of human disease, Oxford 1988.
W.J. Baumol, Social wants and dismail science: the curious case of climbing costs of health and teaching. Nota di lavoro 64.93, Fondazioni ENI Enrico Mattei, Milano 1993.
J. Le Fanu, The rise and fall of modern medicine, New York 1999.
Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e sanitario, in Temi di finanza pubblica e protezione sociale, Quaderno n. 4, Roma 2002.
P. Vineis, N. Dirindin, In buona salute. Dieci argomenti per difendere la sanità pubblica, Torino 2004.
Sostenibilità, equità e ricerca dell'efficienza. Rapporto CEIS - Sanità 2004, Roma 2004.
G. Domenighetti, R. Satolli, EBM e cittadini (Troppa medicina?), in A. Liberati, Etica, conoscenza e sanità. Evidence-based medicine fra ragione e passione, pp. 153-87, Roma 2005.
È possibile consultare i siti Internet: http://www.observatory.dk; http://www.healthpolicymonitor.org