SANGUISUGA officinale (volgarmente mignatta; lat. scient. Hirudo medicinalis L.; fr. sangsue; sp. sanguijuela; ted. Blutegel; ingl. leech)
Il genere (Hirudo L. = Sanguisuga Sav.) appartiene all'ordine degli Irudinei (v.), sottordine delle Gnathobdellae, famiglia Hirudinidae (Monostichodonta). La sanguisuga officinale misura la lunghezza di 10-20 cm., è di colorito grigio verde scuro sulla parte dorsale, interrotto da sei fasce longitudinali giallo-rossastre, ventralmente più chiaro, con due fasce marginali giallo-rossicce scure e macchie nere irregolari, ma con grandi varietà di colore. Ventosa orale a forma di becco di flauto, in cui si apre la bocca provvista di tre mascelle robuste con 80-90 denticoli acuti. Comuni nelle acque dolci stagnanti o debolmente correnti, le sanguisughe sono ematofaghe e come tali vennero in passato molto usate in medicina e coltivate in speciali allevamenti (irudinicoltura). Al gen. Hirudo si riferiscono altre specie: H. interrupta Moq.-Tand.; H. mesomelas Virey; H. officinalis Sav., ecc.
Patologia e terapia. - Le sanguisughe hanno parte importante nella patologia dell'uomo e degli animali e, specialmente in passato, hanno avuto largo impiego in terapia.
L'azione patogena si può esplicare in modo differente: come ectoparassiti ematofagi sottraggono il sangue dopo averlo reso incoagulabile con la secrezione di una particolare sostanza, l'irudina; oppure producono fenomeni irritativi dovuti a particolari azioni tossiche; oppure trasportano germi di malattie infettive che vengono in tal modo inoculate all'organismo morso dalla sanguisuga; oppure, aumentando di volume con la replezione sanguigna, possono produrre gravi fatti stenotici, p. es., sintomi asfittici dopo essersi fissate nelle prime vie respiratorie.
Così l'Haementeria officinalis può causare sintomi tossici quando venga adoperata per sottrazioni sanguigne; e l'Haemadipsa zeylanica può produrre gravi irritazioni locali. Nell'Africa del Nord frequentemente la Limnatis nilotica viene ingoiata dall'uomo; è stata riscontrata nel naso, nella faringe, nell'esofago, nella trachea; può cagionare ripetute e gravi perdite sanguigne e per di più gravi sindromi asfittiche. Bisogna passare attraverso il filtro le acque presumibilmente infestate; la sanguisuga può essere rimossa iniettandole acqua salata con una siringa ipodermica. Gravi sindromi di anemia progressiva, che possono terminare con una cachessia mortale, sono non raramente prodotte dall'Haemopis sanguisuga nel cavallo. Questa specie è assai frequente in Algeria e può costituire un vero flagello per gli allevamenti equini. Queste sanguisughe del cavallo s'attaccano preferibilmente al di sotto della lingua, vicino al frenulo, ma possono trovarsi anche sulla faccia interna delle labbra e delle guance, sulle gengive, sul palato, sul velo palatino, nella faringe, nelle fosse nasali, nella trachea. La loro presenza è rivelata da uno scolo sanguigno dalla bocca e dalle narici. Occorre filtrare le acque o far bere il cavallo attraverso un filtro; si è pensato anche di mettere negli stagni anguille, carpe, tinche, che distruggono le sanguisughe, ma questa proposta non è in tutti i casi di facile attuazione pratica. Quando la sanguisuga è accessibile dall'esterno, P. Eberhard propone di toccarla con un frammentino di calce viva, della grandezza di un pisello, avvolto in un sottile spessore di tela, e fissato all'estremità di una bacchetta; il calore che si sviluppa al contatto fa rilasciare la presa della sanguisuga, che può essere facilmente rimossa con una pinza. La possibilità del trasporto di germi patogeni da parte delle sanguisughe è stata studiata da diversi autori; secondo E. Brumpt nell'Hirudo medicinalis sarebbero stati riscontrati i germi seguenti: tubercolosi, carbonchio, tifo, paratifo B, mal rossino del maiale, vaiuolo aviare, spirocheta della febbre ricorrente, dell'ittero emorragico, Trypanosoma Brucei, Trypanosoma equiperdum, parassiti della malaria.
In terapia venne largamente impiegata l'Hirudo medicinalis come mezzo di sottrazione sanguigna; nel 1837 soltanto la farmacia centrale della clinica di Parigi avrebbe fornito più di un milione di sanguisughe. Ma attualmente vengono adoperate in misura assai più limitata.
La Farmacopea italiana (1929) registra le due specie Sanguisuga (Hirudo) medicinalis e Sanguisuga officinalis; per la prima v. sopra; la seconda è un poco più grossa della precedente e non presenta macchie nere sul ventre. Le sanguisughe sono di solito conservate in vasi di gres contenenti sabbia umida o in vasi di terra vetrificata pieni di acqua, coperti con una garza robusta a maglie non troppo fitte. Nell'estate si deve rinnovare l'acqua ogni due giorni, nell'inverno ogni settimana, evitando che in essa si vengano ad accumulare prodotti di escrezione che possono contenere germi patogeni. Debbono inoltre essere tenute in luogo fresco, a temperatura costante, lontano da emanazioni odorose come pure da esalazioni acide o ammoniacali.
Per applicare le sanguisughe, si portano a contatto della pelle (bene detersa e inumidita con un poco di latte) trasportandole dentro un piccolo bicchiere di vetro. Bisogna evitare il sanguisugio nei malati assai deperiti, nei vecchi, negli emofilici; non si applicano le sanguisughe su parti dove la cicatrice indelebile che residua possa causare deformità e nemmeno sulla pelle che copre le vene o le arterie superficiali o che possa facilmente infiltrarsi di sangue.
Attualmente il sanguisugio si adopera nelle affezioni dolorose del torace (particolarmente nella polmonite), nella nefrite acuta, nella congestione cerebrale od oculare (sanguisugio mastoideo), in alcune affezioni pediatriche (laringite flemmonosa, meningite tubercolare, nefrite uremigena, poliomielite anteriore); nella cura delle flebiti (utilizzando l'azione anticoagulante dell'irudina). Con il nome di sanguisuga artificiale si chiamano alcuni strumenti che praticano l'incisione con lame taglienti e la suzione con l'aspirazione per mezzo di un piccolo corpo di pompa. Questi strumenti hanno il vantaggio di essere facilmente sterilizzabili.
Bibl.: A. Moquin-Tandon, Monographie de la famille des hirudinées, Parigi 1848; C. Pinto, Ensajo monographico dos Hirudineos, São Paulo 1923.