SANGUE (XXX, p. 664; App. II, 11, p. 782; III, 11, p. 657)
Genetica. - La genetica del s. potrebbe essere definita come lo studio dei geni che si esprimono solo in cellule del s. (per es. geni dell'emoglobina) o i cui prodotti si trovano solo nel s. (per es. aptoglobina, sieroalbumina e globulina antiemofilica, tutte proteine sintetizzate nel fegato), ma in pratica essa è considerata come la scienza dei geni studiati a livello del s. e in questa accezione viene quasi a coincidere con la genetica umana, poiché per evidenti ragioni quasi tutti i geni umani sono studiati su questo materiale biologico.
Parte descrittiva sistematica.
È conveniente distinguere i marcatori genetici del s. in tre gruppi: quelli del plasma, quelli dei linfociti e quelli dei globuli rossi (eritrociti).
Plasma. - Tra i geni - tutti autosomici - studiati con metodi elettroforetici i principali riguardano le seguenti proteine:
l'aptoglobina (Hp), una glicoproteina sierica che deve il suo nome alla sua tendenza a combinarsi con l'emoglobina. È costituita, oltre che da una parte glicidica, da due catene polipeptidiche, la α la β. Il gene Hpα è polimorfico poiché ne esistono tre alleli comuni in tutte le popolazioni umane che producono le catene Hpα1F (F, per Fast in elettroforesi), Hpα1S (S, per Slow), ambedue lunghe 83 residui amminoacidici, che differiscono solo nella posizione 54 occupata da glutamina nella Hpα1F e da lisina nella Hpα1S, e l'Hpα2, ostituita da 142 residui. Quest'ultimo allele è verosimilmente derivato dalla fusione degli alleli Hpα1F ed Hpα1S che si sarebbero interrotti uno all'altezza della 71esima tripletta e l'altro all'altezza della 12esima; la itransferrina (Tf), la proteina trasportatrice del ferro sierico con un allele Tfc molto frequente (> 0.98) in tutte le popolazioni e molti altri alleli poco comuni o addirittura rari; il cosiddetto Group specific Component (Gc), che è la proteina trasportatrice della vitamina D, di cui si conoscono due alleli universalmente molto comuni (il Gc1 e il Gc2) e altri rari; il terzo componente del complemento o C′3 con due alleli comuni; la pseudocolinesterasi sierica dipendente da due geni detti E1 ed E2; la sieroalbumina, pplimorfica solo in alcuni piccoli isolati (probabilmente per deriva genetica); la α-antitripsina dipendente dal gene Pi (Protease inhibitor) è molto polimorfica dato che con la sola elettroforesi ne sono stati scoperti vari alleli comuni, alcuni dei quali differenti per una singola sostituzione amminoacidica identificata, ma non localizzata nella catena polipeptidica, perché la sua struttura primaria non è nota. L'allele Piz ha associata un'attività antitripsinica quasi nulla ed è stato dimostrato che gli omozigoti per questo allele presentano un'incidenza molto elevata di enfisema polmonare. Il motivo di questa predisposizione si pensa sia la mancata inibizione degli enzimi proteolitici di origine batterica e fagocitica che possono accumularsi nel lume dei bronchioli nel corso di processi infiammatori.
Tra i geni, anch'essi tutti autosomici, studiati con metodi sierologici, i principali sono il Gm e l'InV, marcatori rispettivamente delle catene H, cioè pesanti (H = heavy), delle immunoglobuline della classe G e delle loro catene L, cioè leggere (L = light). Si tratta di geni altamente polimorfici (soprattutto i primi) e di grande interesse anche antropologico (v. immunità; genetica umana, in questa App.).
Linfociti. - Costituiscono il materiale biologico di elezione per lo studio del sistema HLA (v. immunità; genetica umana).
Globuli rossi. - La genetica degli eritrociti comprende tre grandi capitoli: 1) la genetica dei gruppi sanguigni, cioè degli antigeni eritrocitari con polimorfismo genetico; 2) la genetica dell'emoglobina; e 3) la genetica degli enzimi eritrocitari. Il primo di essi è il più antico ed era già notevolmente avanzato dieci-quindici anni orsono (v. sangue, in App. II e III). Si accennerà quindi, per i gruppi sanguigni, solo ai progressi compiuti da circa il Sessanta in poi.
1. Gruppi sanguigni. - A parte la scoperta di un sistema nuovo, l'Xg, di grandissimo interesse perché è a tutt'oggi l'unico gene di gruppo sanguigno situato sul cromosoma X che si conosca, i più importanti progressi in questo campo riguardano l'approfondimento, soprattutto biochimico, di sistemi già noti per cui si conosce adesso la natura chimica di molti antigeni eritrocitari e per alcuni di essi gran parte della struttura primaria. Questo passaggio dalla fase sierologica a quella biochimica dello studio degli antigeni eritrocitari prelude al chiarimento della funzione delle molecole ove risiedono i determinanti antigenici di gruppo sanguigno. Esso è risultato soprattutto dall'analisi di antigeni in soluzione (sistema ABO e Lewis; e P) o solubilizzati partendo dalla membrana eritrocitaria (sistema MNSs), e dalla comprensione della struttura generale delle membrane cellulari e specialmente di quella dei globuli rossi.
Alcuni antigeni sono risultati molecole complesse i cui determinanti antigenici specifici (o epitopi) sono costituiti dalle estremità distali di catene oligosaccaridiche legate con la loro estremità prossimale riducente ai fosfolipidi della membrana eritrocitaria (antigeni eritrocitari) oppure alla serina e treonina di una catena polipeptidica (antigeni solubili a struttura mucopolisaccaridica). Altri invece sono delle molecole proteiche. Sistemi antigenici i cui determinanti sono oligosaccaridi (ABO, Lewis, Hh, Secretore e P). Nell'interpretare il significato genetico delle variazioni antigeniche che hanno per base la variazione di una struttura oligosaccaridica occorre tener presente che una sequenza di monosaccaridi non è determinata da un solo gene strutturale come invece si verifica per la sequenza amminoacidica di una catena polipeptidica. Infatti ogni addizione di un'unità monosaccaridica a una catena oligosaccaridica nascente richiede l'azione di un enzima specifico e l'esistenza di questo enzima implica, a sua volta, l'esistenza di almeno un gene strutturale. Quest'ultimo, inoltre, è necessario ma non sufficiente alla comparsa del monosaccaride nella sua posizione specifica nella catena oligosaccaridica: trattandosi infatti di una sintesi sequenziale l'apposizione di quel monosaccaride si può verificare solo se la catena ha raggiunto la struttura adatta per subire quell'apposizione, cioè se tutti gli enzimi che devono operare prima di quell'enzima hanno già esplicato la loro funzione. Se anche uno solo di essi non ha funzionato il gene strutturale produce lo stesso l'enzima, ma questo non trasferisce il monosaccaride alla catena oligosaccaridica nascente, che quindi risulta più corta e diversa anche dal punto di vista antigenico.
Per i sistemi antigenici ABO, Lewis, Bombay e Secretore sono state identificate non solo le strutture oligosaccaridiche corrispondenti alle varie specificità antigeniche, ma si sono anche individuati gli enzimi glicosiltransferasici responsabili della comparsa di questi determinanti antigenici. Per es. l'allele IA sintetizza una acetilgalattosaminiltransferasi o "enzima A" capace di attaccare con legame α(1 → 3) un residuo di α-Nacetilgalattosamina a una catena oligosaccaridica che abbia già una specificità H. L'allele IB sintetizza "l'enzima B", una galattosiltransferasi, che attacca un residuo di galattosio anche in questo caso a un oligosaccaride H. In tutti e due i casi quindi l'espressione sierologica di questi geni si può verificare solo se ha operato prima "l'enzima H" (una fucosiltransferasi) e questo spiega perché nei soggetti hh, che sono privi di questa attività enzimatica, questi geni producono gli enzimi corrispondenti ma non gli antigeni A e B (fenotipo Bombay). È stato così chiarito a livello biochimico la relazione tra gene H e gene ABO, prima descritta solo a livello formale. Per il sistema P, invece, si conoscono le strutture oligosaccaridiche corrispondenti ad alcuni fenotipi, ma non si sono individuati ancora gli enzimi responsabili.
Antigeni proteici (sistema MNSs ed Rh). - Tra le proteine intrinseche di membrana, che si possono cioè estrarre dalle membrane eritrocitarie solo trattandole con detergenti, ve n'è una, la glicoforina che, come dice il nome, porta legate molte catene oligosaccaridiche. Si tratta di una catena polipeptidica lunga 131 residui aminoacidici la cui sequenza è nota, suddivisa in tre regioni: la N terminale che consiste di 64 residui amminoacidici tra i quali molte serine, treonine e asparagine combinate con le estremità riducenti di catene oligosaccaridiche, sporge oltre la superficie esterna dell'eritrocita; una parte intermedia (32 a. a.) molto idrofobica che attraversa a tutto spessore il doppio strato fosfolipidico della membrana eritrocitaria; e infine l'estremità C terminale (35 a. a.), idrofila, che pesca nell'interno della cellula. Questa proteina è presente in tutti gl'individui salvo che in casi eccezionali (omozigoti per un allele raro detto En). Essa presenta inoltre un polimorfismo strutturale, infatti quella estraibile dai soggetti MM ha serina come amminoacido N terminale; quella estraibile da soggetti NN ha come amminoacido N terminale leucina; i soggetti MN infine hanno tutte e due le glicoforine alleliche, cioè quella che termina con serina e quella che termina con leucina. È molto ragionevole supporre che questa singola differenza amminoacidica sia la base strutturale della differenza sierologica esistente tra gli antigeni allelici M ed N. Si sarebbe così scoperta per la prima volta la differenza strutturale fine (GC → AT nella 2° posizione della 1° tripletta) fra due alleli di gruppo sanguigno.
La proteina Ss è diversa dalla glicoforina e quindi specificata da un altro gene strutturale. Questi due geni sono tuttavia talmente associati da trovarsi in stato di linkage disequilibrium (gli aplotipi MS, Ms, NS, Ns non sono assortiti a caso, cioè le loro frequenze non sono uguali ai prodotti delle frequenze dei singoli alleli) e costituiscono quindi un unico sistema di gruppo sanguigno, il sistema MNSs.
La chimica del sistema Rh è molto meno progredita. Le prove che l'Rh sia un antigene proteico, sebbene molto forti, non sono altrettanto conclusive che per il sistema precedente. La genetica di questo sistema è estremamente complessa.
2. Emoglobina (Hb) (vedi emoglobina, in questa App.). - A) Aspetti genetici e differenziativi. - Tra le proprietà dell'Hb le più importanti dal punto di vista funzionale in tutti i periodi della vita sono quelle che derivano dal fatto che la molecola emoglobinica è un tetramero costituito da un dimero di catene globiniche di tipo α e da un dimero di tipo non-α. La sua formula generale è quindi (tipo α)2 (tipo non-α)2. Inoltre, in condizioni normali, la sintesi di queste catene è bilanciata tanto nel periodo embrionale e fetale quanto durante tutta la vita extrauterina, per cui in tutti e tre questi periodi tutte le catene di tipo α sono combinate con tutte quelle non-α, cioè non esistono catene globiniche libere. Sotto questi due aspetti (formula generale della molecola Hb, e bilancio sintetico α/non-α) quindi non esistono differenze tra i tre periodi dello sviluppo, ma al di là di questi cessa l'analogia: le condizioni di trasporto dell'O2 cambiano molto da una fase all'altra della vita e a questi cambiamenti fanno riscontro cambiamenti nel tipo di catene globiniche di tipo α e di tipo non-α. All'inizio esiste un'Hb embrionale ζ2ε2; le succedono poi le Hb fetali α2Gγ2 e α2Aγ2 e infine le Hb della vita extrauterina, le cosiddette Hb "adulte" α2β2 o HbA e α2δ2 o HbA2 (nella proporzione di circa 1 : 40 rispetto alla HbA) (v. tabella).
Tutto ciò implica tre controlli genetici:
a) il controllo della struttura delle catene globiniche a cui provvedono da 7 a 9 geni strutturali (le catene sono 7, ma il gene α e il gene Gγ sono spesso, se non sempre, duplicati), omologhi fra loro perché tutti derivati da un unico gene ancestrale attraverso una serie di duplicazioni successive seguite da evoluzione indipendente dei vari geni così prodotti. Il grado di omologia varia da un minimo del 40% circa (α vs β) fino a più del 99% (Gγ e Aγ differiscono per un solo residuo amminoacidico, il 136esimo, che è glicina nella Gγ e alanina nella Aγ) o addirittura al 100% (le catene globiniche prodotte dai due geni α sembra siano identiche).
Si conoscono attualmente circa 300 varianti strutturali delle catene globiniche α o β o Gγ o Aγ o δ che sono state perfettamente caratterizzate per sede e tipo di alterazione, e il loro numero aumenta al ritmo di circa una ventina all'anno. Quelle con una singola sostituzione amminoacidica rispetto alla catena normale (risultanti cioè dalla sostituzione di una coppia di desossiribonucleotidi nel gene strutturale corrispondente) sono più di 250. Le altre variazioni strutturali, anche se molto meno comuni, sono tuttavia molto interessanti perché sono di tutti i tipi immaginabili per un gene strutturale: delezioni o addizioni intercalari; o alterazioni terminali come accorciamenti e allungamenti di catena la cui base genetica è perfettamente chiarita;
b) il controllo della quantità delle varie catene globiniche e soprattutto del bilancio sintetico α/non-α. Le condizioni genetiche in cui, per effetto della riduzione (o addirittura dell'abolizione) della sintesi di un tipo di catene globiniche, questo bilancio viene a mancare si chiamano "talassemie": di tipo α se la catena la cui sintesi è depressa è la catena α, di tipo non-α nel caso opposto. Esse costituiscono le mutazioni regolative meglio comprese di organismi superiori soprattutto perché 1) in alcuni casi la catena globinica "talassemica" (cioè sintetizzata in quantità ridotta) è strutturalmente anormale per cui si è potuto inferire con esattezza l'alterazione genetica responsabile, e 2) è ora possibile studiare queste alterazioni non più solo a livello proteico, ma a livello del mRNA e perfino direttamente del DNA;
c) il controllo del momento ontogenetico in cui vengono prodotte le diverse catene globiniche. Si conosce tutta una serie di alterazioni genetiche di questo controllo, tutte riunite nella denominazione generica di HPFH (Hereditary Persistence of Fetal Hemoglobin) perché tutte - pur nella loro eterogeneità - sono caratterizzate dalla produzione di Hb fetale durante la vita extrauterina.
Lo studio estremamente approfondito di tutte queste alterazioni del sistema genetico delle Hb e soprattutto dei fenotipi associati ai cosiddetti geni "ibridi" risultati dalla fusione di geni destinati in condizioni normali a comportarsi in modo molto diverso o dal punto di vista quantitativo [geni Lepore: (δ-β) e anti-Lepore (β-δ)] od ontogenetico [gene Kenya: (Aγ-β)] ha portato a una comprensione sia pure incompleta dell'organizzazione spaziale della regione di DNA responsabile della sintesi delle catene non-α. Il suo aspetto più notevole è che i geni strutturali non-α, fetali e "adulti" (e verosimilmente anche quello embrionale, l'ε) sono tutti contigui (si conosce anche il loro ordine che è Gγ; Aγ; δ; β). Si è ormai praticamente certi che questo loro addensarsi in un'unica regione di DNA è in qualche modo essenziale per la loro regolazione, analogamente a quanto è ben noto verificarsi nei batteri per i geni strutturali dello stesso operone.
B) Aspetti evolutivi. - Le talassemie. - Il comune denominatore di tutte le talassemie (che sono dal punto di vista molecolare molto eterogenee) è la presenza nella cellula eritroide di catene globiniche libere che, essendo come tali poco stabili, precipitano danneggiando la cellula. Esse sono di regola compatibili con un normale stato di salute allo stato eterozigote, ma causano quadri morbosi talora gravissimi allo stato omozigote (es. morbo di Cooley dovuto all'omozigosi per la β-talassemia). La talassemia è tuttavia molto frequente, anche se solo in popolazioni che sono state esposte alla malaria per molte generazioni, e ciascuna di queste popolazioni, inoltre, ha i suoi propri geni talassemici. L'interpretazione più ragionevole di queste osservazioni è quindi che essa conferisca agli eterozigoti un vantaggio selettivo - che consisterebbe in un'elevata resistenza alla malaria - capace di compensare la perdita di geni talassemici che si verifica quando si trovano allo stato omozigote. E questo spiegherebbe tanto il perché questo allele è frequente, che il fatto di esserlo solo in certe popolazioni. Questo è certamente uno degli esempi meglio documentati e più illustrativi di convergenza evolutiva per adattamento genetico indipendente (geni talassemici diversi) a un comune fattore ecologico di selezione (la malaria).
La HbS e l'anemia falciforme. - La HbS, α2βS2(α2β26Glu→Val) è una Hb la cui catena β differisce dalla catena β normale perché il suo sesto residuo amminoacidico è valina invece che acido glutammico. Anche questa, come la talassemia, non è causa di malattia allo stato eterozigote, ma provoca un grave quadro clinico, l'anemia falciforme, allo stato omozigote, e tuttavia è molto frequente in un'area dove la malaria è endemica, cioè nell'Africa occidentale a latitudini equatoriali e subequatoriali. Le si attribuisce quindi un significato adattativo simile a quello della talassemia.
3. Enzimi "eritrocitari". - Si tratta in realtà di enzimi ubiquitari che vengono studiati nei globuli rossi solo per convenienza. Dagli anni Sessanta in poi sono stati scoperti numerosi polimorfismi genetici studiando con tecniche elettroforetiche questi enzimi.
La glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD), il cui gene strutturale Gd è sul cromosoma X, è di certo il più noto perché, oltre al polimorfismo elettroforetico, ne presenta uno quantitativo che consiste nell'esistenza di vari alleli Gd- (cioè alleli ai quali è associata un'attività enzimatica molto ridotta) comuni nelle popolazioni che sono state esposte per tempi molto lunghi a una grave endemia malarica, pur essendo questi alleli certamente svantaggiosi, almeno sotto certi aspetti. E stata quindi suggerita l'ipotesi, ormai universalmente accettata, che, come per la talassemia, questa coincidenza di distribuzione fosse dovuta a una maggiore resistenza alla malaria che gli alleli Gd- conferirebbero in certe combinazioni genotipiche. Anche l'enzimopenia per la G6PD è un'entità genetica eterogenea e costituisce quindi un altro esempio di convergenza evolutiva. Tutti gli altri polimorfismi enzimatici "eritrocitari" riguardano geni autosomici con alleli codominanti e non sono associati ad alcuna condizione patologica nota. Inoltre essi sono "universali" perché, a differenza del polimorfismo della G6PD, ciascuno di essi è diffuso a tutta o gran parte della specie umana. I principali sono la fosfatasi acida (simbolo del gene: P o AcP e degli alleli: Pa; Pb; Pc e Pr); la fosfoglucomutasi (locusì: Pgm1 con due alleli Pgm¹1 e Pgm²1; e locus 2: Pgm2 polimorfico solo in alcune popolazioni); la adenilatochinasi (AK; AK1 e AK2); la adenosindeaminasi (ADA: ADA1 e ADA2); cinque peptidasi (PepA; PepB PepC; PepD; PepE, di cui solo alcune polimorfiche); la 6-fosfogluconatodeidrogenasi (Pgd: PgdA e PgdB); la glutamico-piruvico-transaminasi (Gpt: Gpt1 e Gpt2); la uridinmonofosfatochinasi (UMPK: UMPK1 e UMPK2); la gliossalasi (GLO: GLO1 e GLO2); la esterasi D (EsD: EsD1 e EsD2) e la fosfoglicolatofosfatosi (PGP: PGPA, PGPB e PGPC).
Aspetti teorici.
L'imponente corpo di conoscenze accumulate in questi ultimi quindici-venti anni sulla genetica del s. ha naturalmente implicazioni fondamentali da molti punti di vista.
I marcatori antropologici che potremmo chiamare mendeliani per indicare che - oltre a essere, naturalmente, genetici - hanno un determinismo semplice e noto, non solo sono più che raddoppiati, ma sono ora raggruppabili in categorie diverse invece che in una sola, quella dei gruppi sanguigni, com'era possibile fare prima (salvo eccezioni, come la sensibilità alla PTC e il daltonismo). E queste categorie nuove (polimorfismi proteici ed enzimatici) hanno un significato diverso da quello dei gruppi sanguigni perché si conosce in questi casi non solo la loro genetica formale, ma anche la loro base biochimica, talora in modo completo (come per l'emoglobina e l'aptoglobina) o molto avanzato (come per la G6PD), e questo ha permesso di comprenderne meglio il significato evolutivo. Inoltre, molti gruppi sanguigni stanno passando alla categoria dei polimorfismi biochimici.
Degli aspetti evolutivi si è detto sopra parlando della genetica dell'emoglobina e dell'enzimopenia per la G6PD (vedi anche, per i polimorfismi enzimatici eritrocitari, variabilità genetica, in questa App.). Della regolazione genica si è discusso nella genetica dell'emoglobina.
Aspetti applicativi.
Aspeiti epidemiologici. - Il riconoscimento della regionalità della distribuzione dei geni Th e Gd- e la misura delle loro frequenze hanno il loro risvolto pratico perché costituiscono il punto di partenza di qualsiasi programma razionale di medicina preventiva (di consulenza genetica nel caso della talassemia e dell'anemia falciforme che, per situazioni così frequenti, ha valore sociale).
Aspetti clinico-diagnosiici e di consultorio genetico. - Il s. si presta a studiare la genetica sia delle malattie strettamente ematiche che di quelle riguardanti altri tessuti o distretti dell'organismo. È bene considerare separatamente questi due gruppi di condizioni.
A) Malattie del s.: tra quelle frequenti: la talassemia, la falcemia, l'enzimopenia per la G6PD, di cui si è già parlato, e l'eritroblastosi fetale o malattia emolitica del neonato da fattore Rh. La prevenzione di quest'ultima ha compiuto in quest'ultimo decennio un progresso risolutivo con l'immunoprofilassi che consiste nell'iniettare globuline anti-Rh alla puerpera Rh (−) subito dopo il parto di un neonato Rh (+). Tra quelle rare: le emoglobinopatie con varianti emoglobiniche instabili o con proprietà funzionali alterate e le enzimopatie eritrocitarie che, come le precedenti, possono causare un abbreviamento della vita dei globuli rossi (= anemie emolitiche croniche) e talora, soprattutto sotto l'effetto di particolari farmaci, una loro massiva distruzione perfino in circolo (crisi emolitiche acute).
B) Malattie genetiche (meiaboliche) non del s., ma diagnosticabili sul s.: sono troppo numerose per poter essere sia pur semplicemente elencate, e costituiscono la maggior parte di quelle che Garrod aveva chiamato errori congeniti del metabolismo. Dal punto di vista della consulenza genetica il contributo più rilevante dato dalla genetica del s. è costituito dalla possibilità di riconoscere a livello degli eritrociti gli eterozigoti di molte malattie metaboliche rendendo così possibile, almeno in linea di principio, una consulenza genetica prospettiva invece che solo retrospettiva. Si deve trattare, naturalmente, di deficienze per attività enzimatiche che si esprimono negli eritrociti.
C) Aspetti medico-forensi: il numero veramente considerevole di marcatori antropologici che sono ora utilizzabili per caratterizzare un qualsiasi campione di s. a scopi medico-legali ha migliorato le possibilità di esclusione a tal punto da rendere possibile giungere a una diagnosi ragionevolmente certa di identificazione.
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