SANGRÌ di Nasso
Località nell'isola delle Cicladi nota per un santuario situato a 1,5 km a S dell'abitato (11 km a SO di Chora di Nasso). Individuato da N. Kontoleon nel 1949, si iniziò a scavarlo nel 1976 (V. Lambrinoudakis) e contemporaneamente fu avviato lo studio sistematico, blocco a blocco, dell'architettura del tempio (G. Gruben, M. Korres).
Il santuario è ubicato sul Ghyroulas, l'ultima di una serie di alture racchiuse tra due torrenti in una regione ricca di monumenti di varie epoche. Una vasta ricerca di superficie nel territorio circostante ha permesso di individuare le fondazioni di una torre circolare di epoca ellenistica di m 8,5 di diametro, un santuario con una struttura monumentale (probabilmente un altare) di epoca arcaica e numerosi elementi architettonici sparsi provenienti da diversi edifici. Nelle chiese di epoca bizantina, tra gli altri frammenti antichi, sono conservati colonne, basi di statue, un perirranthèrion, recanti iscrizioni votive ad Apollo e Demetra.
Tali iscrizioni, rinvenute in località ricche di elementi architettonici provenienti per lo più dal tempio, fanno dedurre che quello, la cui pianta presenta tutte le caratteristiche di un telestèrion, fosse dedicato a Demetra e che il culto di Apollo fosse officiato nello stesso santuario oppure in un altro non lontano da Ghyroulas (forse a Kathanykta).
Il tempio (m 13,29 X 12,73) era del tipo in antis, con la facciata principale rivolta verso la piana e il mare, ed era interamente costruito in marmo. Il soffitto della cella non era piano; la travatura principale, quella secondaria e le tegole, accuratamente levigate, avevano una forma perfettamente prismatica e realizzavano un piano inclinato, addirittura traslucido. Le colonne interne, la cui altezza si riduceva dal centro ai lati dell'edificio pur mantenendo lo stesso diametro, erano disposte trasversalmente rispetto al tetto, e reggevano direttamente le cinque travi (con una colonna centrale corrispondente alla trave di colmo); a questo spazio, si accedeva solo attraverso il pronao. Al posto di una sola porta ve ne erano due simmetriche: tale soluzione era funzionale allo sviluppo trasversale dei due spazi del tempio, al suo ruolo di telestèrion e al numero dispari delle colonne (le colonne esterne seguivano la disposizione di quelle interne, così era mantenuta anche all'esterno la relazione tra porte e intercolumnî). Il pronao aveva il soffitto piano. I muri esterni presentavano una struttura a doppio paramento con grandi blocchi ortogonali verso l'esterno e più piccoli, di forme varie, all'interno. I blocchi, inseriti entro lo spessore del muro, non erano lavorati e i vuoti tra di essi erano riempiti con argilla e schegge di marmo. I giunti verticali avevano anathỳrosis, mentre quelli orizzontali erano completamente lisci, con una leggerissima inclinazione (più o meno del 3%) verso l'esterno. Grappe, probabilmente di legno, erano usate solo nella zona dei kymàtia e delle cornici. Questo sistema costruttivo, studiato per una maggiore utilizzazione dei marmi estratti vicino alla superficie, spiega lo spessore relativamente grande (1/10 dell'altezza) dei muri esterni del tempio lavorati con piccone pesante (ottenendo così una specie di rustico liscio continuo senza tenia nei giunti).
Quelli del pronao invece erano eseguiti con scalpello sottile. Il toichobàtes, alto 28 cm e largo 70 cm, è decorato con una combinazione di peritenìa e lavorato con scalpello sottile. Le basi e i capitelli di tutte le colonne, le porte, i kymàtia, le travi e le cornici presentavano una lavorazione molto fine: i fusti delle colonne e i due capitelli d'anta erano scolpiti solo con scalpello sottile.
Le originali forme architettoniche sono una sintesi di idee conservatrici e di spirito di economia e forse vogliono esprimere con mezzi relativamente semplici significati simbolici. Tale connubio può dipendere dalla natura agricola e dal modo in cui erano strutturate le funzioni del santuario.
Il tempio non aveva una crepidine a gradini, ma solo una euthynterìa-stilobate alta qualche centimetro sul suolo. Le colonne esterne presentavano una specie di contro-èntasis molto pronunciata presentandosi concave e non convesse, mentre quelle interne avevano il fusto assolutamente regolare. Le basi erano del tipo samio senza scanalature (quelle delle colonne interne senza «toro»), mentre i capitelli avevano un echino ionico senza rilievi e un abaco quadrato (l'abaco delle colonne esterne era decorato con una tenia).
Le porte avevano un telaio con doppia tenia con tutt'intorno un astragalo grezzo; le soglie erano decorate da kymàtia, cornici e mensole scolpite. I kymàtia presentavano una sezione ionica o lesbia ed erano tutti dipinti mentre le cornici avevano una fronte liscia e semplice, e una leggera cavità in basso. Il timpano del frontone anteriore era cinto da due kymàtia sovrapposti dipinti (ionico e lesbio), mentre quello del frontone posteriore da un solo kymàtion. Estremamente originali erano i voluminosi capitelli d'anta modanati solo anteriormente (astragalo, kymàtion lesbio e abaco) e con fianchi completamente lisci.
Una raffinatezza estetica impressionante mostrano le curvature poligonali verso l'alto di tutte le travi visibili del tempio, nonché le inclinazioni delle loro superfici e le piccole differenziazioni delle travi secondarie.
Questo monumento - un caso di architettura piuttosto conservatrice e semplice, mentre altri monumenti contemporanei a Nasso (v.) e a Paro (v.) erano molto più grandi e ricchi - come G. Gruben ha dimostrato, ha, grazie al suo ottimo stato di conservazione, grande importanza per lo studio degli inizi dell'architettura classica nelle Cicladi e per la comprensione delle sue relazioni con quella ionica e attica. Mentre molte forme dell'architettura ionica mostrano chiaramente la loro provenienza da modelli lignei, la struttura del tempio di S. rivela al contrario una padronanza della tecnica in marmo fin dalle prime fasi. Le caratteristiche eccezionali dell'architettura ionica ateniese classica, quali si ammirano nell'Eretteo, traggono origine dall'architettura cicladica arcaica in marmo.
Bibl.: G. Gruben, Die Tempel der Griechen, Monaco 1980, p. 340; id., Türen mit Scharnierband, in AA, 1982, p. 193 ss.; A. P. Matthaiou, θεολιστεω μνημα, in Horos, II, 1984, pp. 167-173; G. Gruben, Weitgespannte Marmordecken in der griechischen Architektur, in Architectura, XV, 1985, p. 105; A. Ohnesorg, Inselionische Marmordächer, Berlino 1993, PP67-73. - Resoconti di scavi: N. Kontoleon, in Prakt, 1951, p. 223; 1954, p. 33; BCH, LXXIX, 1955> p. 291; V. Lambrinoudakis, in Prakt, 1976, pp. 299-308; 1977, pp. 378-386; AEphem, 1981, pp. 295-297; Prakt, 1984, pp. 305-312.
(M. Korres)