SAṄGHOL
Località del Pan jab indiano, situata a 40 km a O di Chandigarh, dove - accanto all'abitato moderno - sorgono diversi monticoli che documentano un'occupazione pressoché ininterrotta a partire dal 2000 a.C. circa, e lo sviluppo maggiore durante il periodo śakakuṣāṇa (I sec. a.C.-II/III sec. d.C.). La Sutlej - uno dei quattro grandi affluenti dell'Indo, che con quest'ultimo danno nome al Panjab, o terra «dei cinque fiumi» - scorre oggi a una decina di chilometri da S., ma in antico passava nelle sue vicinanze.
Scavi regolari ebbero inizio a S. alla fine degli anni '60, e sono tuttora in corso. L'insediamento più antico è riferibile alla «Cultura di Bara» (Bara è la località, a poca distanza da S., dove venne osservata per la prima volta), che si affianca ai siti tardo-vallindi del Rajasthan, dell'Haryana e del Panjab. Essa conosce, a S., sei fasi strutturali: le più antiche sono caratterizzate da abitazioni in argilla e mattoni; quelle più recenti da case in argilla pressata. Sui pavimenti sono stati osservati oggetti (p.es. un cono di terracotta e un vaso coperto da una lastra di pietra, tutti in situ) forse pertinenti ad atti rituali. La ceramica (giare, ciotole, piatti su sostegno, coperchi con pomello, ecc.) presenta disegni geometrici e naturalistici dipinti in nero, marrone e rosso scuro, e si accompagna a oggetti quali braccialetti e anelli di maiolica, vaghi di agata e steatite, stili in osso e figurine rituali teriomorfe di terracotta.
Il secondo periodo ha inizio con la comparsa della Ceramica grigia dipinta (PGW) intorno all'VIII sec. a.C. Essa è associata a ceramica grigia comune e a ingobbio nero - la più abbondante. Questo materiale coesiste con quello della tarda produzione vallinda, e questa sovrapposizione è considerata cruciale per la comprensione dei rapporti tra civiltà dell'Indo e civiltà indiana antica (una delle questioni più dibattute dell'archeologia indiana), ma solo indagini allargate potranno fare maggior luce sulla questione. Il terzo periodo, poco studiato, è caratterizzato dalla Ceramica nera polita del Nord (NBPW) associata a ceramica rossa, un fatto che sembra indicare una data relativamente bassa per questa parte del deposito (IV-I sec. a.C.). La ceramica rossa, sempre più dominante, si accompagna alla fase strutturale pre-kuṣāṇa, testimoniata dalle piante di due case, separate da un vicolo, costruite con grandi mattoni cotti e crudi.
Le indagini sono state indirizzate con interesse tutto particolare all'insediamento pre-kuṣāṇa e kuṣāṇa, il quale comprende una cittadella, un abitato circondato da mura, sorto dopo una radicale bonifica dell'insediamento precedente fatta tra l'ultimo quarto del I sec. a.C. e l'inizio del secolo successivo, e, poco fuori città, un'area sacra buddhista.
La cittadella, che misura 340 X 210 m, consiste di un edificio palaziale di 150 m2 a cui sono annessi altri edifici. Il palazzo comprende una sala per le udienze (?) e una struttura che aveva, presumibilmente, funzioni amministrative, di 43 X 20 m. La sala delle udienze (18,5 X 15,5 m), in cui si riconoscono tre fasi costruttive, rispettivamente riferite al periodo proto-, medio e tardo kuṣāṇa, ha grosse mura e spessi pavimenti in mattoni cotti in cui si notano numerose buche di palo. Gli alzati interni e la copertura erano dunque di legno. Su un lato della sala si trova una piattaforma ai cui angoli sono state osservate quattro buche di palo, riferibili alla presenza di un baldacchino. L'edificio amministrativo (16 X 12,5 m), delimitato da solide mura, comprende venti ambienti (il maggiore di 6,4 X 2,3 m) con pavimenti in malta di calce mista a polvere di mattoni cotti. L'assenza dei materiali usualmente indicanti un uso abitativo ha indotto a pensare che fosse destinato - anche a causa della sua posizione, facilmente accessibile dall'abitato - a uffici e alla conservazione di documenti amministrativi. I materiali associati alle strutture della cittadella sono vaghi di collana in pietre semipreziose (agata, calcedonio, diaspro, ecc.), dadi d'avorio e alcuni oggetti in terracotta; in una fornace presso l'edificio amministrativo sono state rinvenute una quarantina di impressioni in terracotta di monete di Amoghadhūti, re dei Kūninda - un gruppo tribale stanziato sulle prime alture himalayane tra la Sutlej e la Yamunā caduto sotto il controllo śaka (?) e kuṣāṇa - databili al I sec. a.C.
Nell'abitato sono state individuate cinque fasi strutturali. Le prime due hanno abitazioni in mattoni crudi; nella fase successiva, con l'adozione dei mattoni cotti, non si nota alcuna standardizzazione dei laterizi, che hanno misure assai diverse (da 33 X 21 X 7,6 cm a 23 X 15 X 6 cm). Le ultime due fasi fanno largo uso di materiali di recupero. Le abitazioni, piccole, sono addorsate le une alle altre, e si aprono su strette viuzze, senza che si colga alcun coerente piano urbano. Nella parte SE è stata esposta una complessa struttura comprendente grandi piattaforme e vasche rettangolari (3,3 X 1,7 m) colmate con ceneri, ossa carbonizzate e pochi frammenti ceramici. Le piattaforme, su cui erano ceneri miste a grani carbonizzati, sono state interpretate come altari del fuoco funzionali a rituali non specificati (ma verosimilmente l’homa). A Ν sono state esaminate le fortificazioni in argilla, rivestite, in periodi diversi, con mattoni cotti. Tra i numerosi materiali si segnalano monete in rame dei Kūninda, degli Indo-Parti (un centinaio appartiene a Gondofare, re di Taxila nella prima metà del I sec. d.C.) e dei Kusäna, e oggetti votivi, in terracotta. Si notano in particolare dischi decorati con motivi floreali e animali, grattatoi, pesi, incensieri e un buon numero di sigilli datati tra il II e il IV sec. d.C., con brevi iscrizioni in kharosthīe brahmī.
L'area sacra si trova c.a 600 m a NE dell'abitato; il monumento più importante è uno stūpa (di cui rimangono le sole fondazioni) che risponde in pianta - benché iscritto in una base quadrata - al tipo del dharmacakra, o «Ruota della Legge»: tre cerchi concentrici in mattoni sono divisi a intervalli regolari da ventiquattro raggi nella parte più interna e da trentadue in quella esterna. Attorno alla base quadrata correva il pradakṣināpatha o sentiero processionale. Un reliquiario di steatite è stato rinvenuto spezzato in due diversi punti, segno anche questo della spoliazione del monumento; la breve iscrizione sul coperchio, in lettere kharosthi, ricorda l’upāsaka o discepolo laico Āryabhadra. In una fossa (?) lungo il pradakṣinūpatha vennero rinvenuti, nel 1985, centodiciassette elementi di vedikā, la balaustra che delimita lo spazio sacro in cui sorge lo stūpa, scolpiti nella tipica arenaria rossastra di Mathurā con iconografie e in uno stile altrettanto tipici dell'arte mathurena. I pilastrini, le traverse e gli elementi terminali (uṣṇīṣa) erano accuratamente sistemati gli uni accanto e sopra gli altri. Si è pensato che la vedikā fosse stata smontata e posta al riparo quando gli Hūna, poco dopo la metà del V sec., irruppero in India, ma l'ipotesi è poco credibile. Non si conosce alcun altro esempio di una simile opera di smontaggio, né agli Hūna sono sempre imputabili razzie e distruzioni antibuddhiste. Si ha l'impressione che gli elementi della vedikā, giunti da Mathurā e composti in una pila, non siano mai stati montati. La fretta con cui, nel 1985, essi vennero recuperati, legittima i dubbi sulla lettura delle stratigrafie.
I pilastrini, alti c.a 1 m, sono per lo più scolpiti con figure di yakṣī (v. yakṣa) e śalabhāñnjikā (fanciulle che si aggrappano a rami d'albero) ignude o indossanti i soli gioielli, talune con specchi, strumenti musicali, fiori o recipienti per il vino, altre con bambino e altre ancora, premendo un seno, simboleggianti prosperità e fortuna. Su un pilastrino è raffigurato un monaco con veste leggerissima, stante su uno yakṣa prostrato: una giovane donna lo osserva da un balcone; su un altro pilastro si vede invece un principe devoto con turbante, dhotītrasparente e mano destra al fianco, nella posa ideale del sovrano universale. Sul retro dei pilastrini e sulle traverse compaiono fiori di loto. I quattro pilastri d'angolo raffigurano colonne sormontate da un cakra o da leoni, e, in un caso, uno Stūpa e devoti che portano offerte con l'aiuto di assistenti. Le traverse di coronamento sono decorate con archi «a caitya» sotto i quali compaiono stūpa, reliquiari, svastika, caprifogli, leoni alati, donatori, ecc.
Nell'area sacra di S. sono venuti alla luce altri due stūpa, più piccoli, presso un monastero che si trova a c.a 500 m dallo stūpa maggiore. Il monastero misura 39 χ 36 m e comprende ventisette celle.
Nell'abitato di S. sono venuti alla luce anche materiali di epoca gupta (IV-V sec.), tra cui sigilli con immagini di divinità hindu (Visnu e Siva, v.) e alcune terrecotte con Durgā che uccide il demone Mahiṣa. Altri sigilli hanno la legenda Śrī mahārāja kapila niyuktas-yādhikarṇasya, che suggerisce la presenza, a S., di un governatore o principe feudale alle dipendenze dell'imperatore gupta. Come è noto, il potere dei Gupta fu gravemente scosso dagli Hūna Mihirakula e Toramäna, di cui sono state rinvenute numerose monete. Il definitivo declino di S. va comunque posto intorno al 500 d.C., anche se non sappiamo se i destini della città e dell'area sacra andarono di pari passo. È stata suggerita l'identificazione di S. con la Shi duo tu lu di Xuanzang, che intorno al 630 d.C. ne trovò i monasteri abbandonati, ma non l'abitato.
Bibl.: G. B. Sharma, Bara Culture and Its Housing Remains with Special Reference to Sanghol, in R. K. Sharma (ed.), Indian Archaeology. New Perspectives, Delhi 1982, pp. 71-72; Y. D. Sharma, Harappan Complex on the Sutlej (India), in G. Possehl, Harappan Civilization, Nuova Delhi 1983, pp. 141-164; S. P. Gupta (ed.), Kushāṇa Sculptures from Sanghol (lst-2nd Century A.D.). A Recent Discovery, Nuova Delhi 1985; id. (ed.), Coins, Seals and Sealings from Sanghol, Chandigarh 1986; C. Margabandhu, G. S. Gaur, Sanghol Excavations 1987: Some New Evidences, in Purātattva, XVII, 1986-87, pp. 1-4; C. Margabandhu, Excavation at Sanghol, District Ludhiana, Punjab: 1985-90-Some New Evidence on the Cultural Sequence, in Β. U. Nayak, N. C. Ghosh (ed.), New Trends in Indian Art and Archaeology. S. R. Rao's 70th Birthday Felicitation Volume, 2 voll., Nuova Delhi 1992, I, pp. 183-192.
Notizie degli scavi in IAR, 1985-86, pp. 67-69; 1986-87, pp. 95-99; 1987-88, pp. 69-71.
(G. Verardi)