SANGALLO, Giuliano e Antonio Giamberti, detti da
Architetti fiorentini; Giuliano nacque forse nel 1445, morì a Firenze nel 1516; Antonio - detto il Vecchio - suo fratello, nacque forse nel 1455, morì nel 1535 a Firenze.
I due fratelli possono essere riuniti perché molto simili ne sono state le forme d'attività, spesso esplicate in una effettiva collaborazione. Giova anche l'associarli per distinguerli da una dinastia collaterale di architetti anch'essi designati col nome convenzionale di Sangallo (dalla contrada fiorentina in cui tutti abitavano), tra cui quell'Antonio Cordini, nipote dei suindicati, del quale fu nel Cinquecento così alta la fama, e che distinguiamo dallo zio omonimo con l'indicazione di Antonio il Giovane (v.).
Sulla data di nascita di Giuliano le notizie sono incerte. Il Milanesi e il Fabriczy dànno quella del 1445, ma lo Hülsen propende per il 1452 e distingue il nostro da un altro Giuliano di Francesco che lavorava in Roma come capomastro muratore nel 1469-1470. Anche è assai complessa l'attività artistica di Giuliano, che s'inizia a Firenze con quella di "legnaiuolo", cioè di intagliatore in legno e d'intarsiatore, e prosegue con quella di architetto civile e militare; ma ancora in tempo relativamente tardo troviamo Giuliano a compiere lavori in legno (ad es., nel 1489 nell'ospedale degl'Innocenti) e soprattutto modelli per sé e per gli altri; il che, col riferirsi al mezzo normale per quei tempi di dare forma definitiva ai progetti architettonici, fa talvolta dubitare della paternità delle opere assegnategli da documenti o da notizie o da disegni.
Primi lavori architettonici di Giuliano in Firenze sembra siano stati il chiostro carmelitano di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, l'inizio del convento agostiniano prossimo alla porta San Gallo e la bella villa di Poggio a Caiano (1483-85) costruita per Lorenzo de' Medici, che assai lo predilesse.
Seguono maggiori lavori, in cui si mostra seguace dei modelli del Brunelleschi; il palazzo elevato in Firenze intorno al 1490 per la famiglia dei mercanti Gondi, il palazzo Strozzi, costruito dopo il 1489 in collaborazione col Cronaca e con Benedetto da Maiano, che può dirsi il capolavoro dell'architettura civile del Quattrocento in Firenze, l'atrio della sagrestia di Santo Spirito (insieme col Cronaca), forse la casa degli Alberti, ora del museo Horne, e forse l'inizio del palazzo Panciatichi.
Nell'architettura religiosa è sua opera di questo periodo la Madonna delle Carceri di Prato (circa del 1485).
La pianta ne è a croce greca, e sul quadrato centrale s'eleva la cupola, portata da pennacchi sferici e racchiusa esternamente in un cilindro sormontato da un tetto. Anche qui è seguito un modello brunelleschiano, cioè la Cappella dei Pazzi, e la soluzione si innesta alle tante altre opere quattrocentesche a schema centrale, come la Cappella Portinari di Michelozzo in S. Eustorgio di Milano, il S. Sebastiano di Mantova dell'Alberti, le chiese di Francesco di Giorgio e le prime composizioni lombarde del Bramante; ma forse in nessuno di questi esempî appare come nell'opera di Giuliano una pura bellezza di proporzioni semplici, un'espressione schietta dell'arte del Quattrocento e della sua interpretazione del pensiero classico.
A questi lavori in Toscana Giuliano alternò altri lavori e studî in altre regioni d'Italia, e, quando la sua fama varcò i confini della sua città, iniziò una serie di viaggi, chiamato per progetti e per consigli. Eseguì nel 1492 un modello per il palazzo di Ludovico il Moro a Milano ed uno per la Sapienza di Siena; fu a Napoli ove progettò un palazzo per il duca di Calabria; al seguito di Giuliano della Rovere andò (1494-96) in Francia e lavorò a Lione e ad Avignone, e nel 1496 iniziò per i Della Rovere un palazzo in Savona, poi continuato dal fratello Antonio. In Roma fu incaricato della costruzione del palazzo Della Rovere in Piazza Santi Apostoli e del completo rifacimento del soffitto in Santa Maria Maggiore. A Loreto, dal 1499, completò la grande basilica, ne costruì la cupola, che può dirsi, nello scorcio del sec. XV, la maggior figlia di quella S. Maria del Fiore, e vi incise nell'ottagono dell'anello superiore il nome e la data con l'iscrizione: "opus Iuliani Francisci sancti Galli architetti florintini finivii tribunam hanc a. d. MCCCCC die XXIII Maii".
Quando il cardinale Della Rovere, suo protettore, divenne papa col nome di Giulio II e iniziò il grande periodo del Rinascimento romano, Giuliano da Sangallo (che nel 1504 era ancora a Firenze, ove prese parte alle deliberazioni per il David di Michelangelo) lo segui e ne ebbe molti incarichi di lavori per Castel S. Angelo, di progetti per la Magliana, di ingrandimenti per il Palazzo dei penitenzieri. Nella Domus aurea neroniana ritrovò il Laocoonte; con Michelangelo lavorò alla Sistina.
Ma sorgeva intanto in Roma e nella corte papale un nuovo astro, quello di Bramante da Urbino. Nel confuso periodo dei progetti per il nuovo S. Pietro in Vaticano, il S. e altri presentarono numerosi disegni al papa, che, come è noto, preferì quelli del Bramante. I varî bozzetti sangalleschi che ci rimangono, e che spesso si adattano al grande concetto bramantesco, fanno tuttavia pensare che in qualche tempo, o all'inizio del concorso o nello studio definitivo, sia intervenuta una qualche collaborazione tra i due architetti; e sembra confermarlo il fatto che tre mesi prima della morte del Bramante, nel 1514, Giuliano fu chiamato ad associarsi con fra Giocondo e Raffaello per continuare l'opera.
In questo breve periodo, ultimo della vita di Giuliano, la sua opera fu preponderante su quella dei due grandi colleghi; e si esplicò in altri numerosi disegni, tutti basati sul concetto di trasformare la pianta centrale in pianta longitudinale, e di mutare la forma terminale delle due braccia minori.
Come molti altri architetti del Rinascimento, Giuliano da S. coltivò anche l'arte militare, in pieno fervore in quei tempi di sviluppo delle artiglierie che avevano radicalmente mutato i sistemi di offesa e di difesa. Si incontra nel 1478 a difendere Castellina del Chianti (e forse dall'altra parte era Francesco di Giorgio Martini). Intorno al 1483 forse collabora col Pontelli nella rocca di Ostia, che fu una novità con la sua forma triangolare e le due torri circolari volte verso mare e un baluardo esagonale verso la terra e il fiume, e contenente un mastio che la domina con le sue difese piombanti. Nel 1497, dopo essere stato prigioniero dei Pisani, torna a Firenze e comincia la fortificazione di Poggio Imperiale. Nel 1502 lo troviamo, insieme col fratello Antonio, a costruire la rocca di Arezzo. Nel 1505 in Roma Giulio II lo adopera a risarcire le mura, a completare il torrione di Nicola V e le fortificazioni di Borgo e di Belvedere, e poi lo conduce seco a Bologna e alla Mirandola. Nel 1509, ritornato ormai a Firenze, è impiegato dal Soderini nell'assedio di Pisa, ove costruisce un ponte provvisorio sull'Arno e una fortezza a Porta S. Marco secondo le regole della nuova architettura militare, orientato dall'opera del fratello Antonio e dai consigli del Machiavelli.
Restano di Giuliano molti disegni, conservati a Firenze, a Siena, a Roma. Tra essi hanno grande importanza i disegni per la facciata di S. Lorenzo di Firenze, quelli per il castello della Magliana presso Roma e per la torre Borgia in Vaticano, una pianta per il palazzo del re di Napoli, il taccuino senese che contiene piante di fortezze e rilievi di monumenti (tra cui il S. Lorenzo di Milano), il codice barberiniano, ora alla vaticana, che contiene una serie interessantissima di studî da monumenti romani e mostra essere cominciati fin dal 1465 i viaggi di Giuliano a Roma (il titolo è infatti: "Questo libro è di Giuliano di Francesco Giamberti architetto nuovamente da Sangallo chiamato con molti disegni misurati et tratti dallo anticho chominciando a D. N. S. 1465 in Roma"). E molti altri disegni suoi sono stati riprodotti in disegni di altri. Così un codice del De Marchi alla Biblioteca Magliabechiana contiene piante di rocche di Toscana eseguite da Giuliano, e Battista da Sangallo designa alcuni schizzi di monumenti, di fortezze, di macchine con la nota "da libretto di Giuliano".
L'opera di Antonio il Vecchio è, come già si è accennato, assai spesso collegata a quella del fratello maggiore, pur denotando, quando ci è possibile sceverarla un carattere individuale notevolmente diverso. Predomina in Antonio il tipo dell'architetto militare, e difatti in questo campo egli eccelle e supera il fratello in fama; ma pur nelle opere di architettura civile e religiosa si esprime in una forma forte e quasi rude che contrasta con l'arte fine e aggraziata di Giuliano. Anche la differenza d'età ha certo a questo contributo poiché in molte opere di Antonio l'influenza cinquecentesca è ben decisa. S. Biagio di Montepulciano, che è il capolavoro, sta all'architettura del Bramante come S. Maria delle Carceri di Prato sta a quella del Brunelleschi.
L'inizio di S. Biagio è posteriore al 1516, e l'opera è stata lentamente proseguita prima da Antonio, poi da Francesco da Sangallo, figlio di Giuliano e quindi nipote di Antonio, per avere molto più tardi il suo coronamento con la grande cupola. Ha pianta a croce greca e doveva avere negli angoli, come in S. Pietro, suo prototipo, quattro grandi torri di cui una sola è stata eseguita. Forse anche doveva avere (come risulta dal libro di Antonio già appartenente a casa Gaddi e poi alla raccolta Campello) portici anteriori ai quattro bracci della croce. L' ordine dorico dell'interno è veramente potente e ricorda nelle proporzioni quello adottato da Antonio il Giovane nel cortile del palazzo Farnese in Roma.
Anche a Montepulciano sono assegnati ad Antonio il Vecchio due edifici civili: il palazzo Tarugi, che però deve essere opera giovanile per l'inesperienza che rivela, pur nella bella robustezza delle masse, nei rapporti degli ordini architettonici, e il più maturo palazzo del cardinale Antonio del Monte, per il quale l'artista costruì anche un altro palazzo, ancor più notevole, a Monte S. Savino. In questo appare già prima l'influenza del tipo del palazzo romano, quale l'aveva fissato il Bramante nella casa di Raffaello in Borgo e nel palazzo dei Tribunali iniziato in Via Giulia a Roma; con il prospetto avente zona basamentale a forte bugnato e con un ordine superiore di colonne e di paraste inquadranti le finestre.
Cordiali rapporti di colleganza e di collaborazione dovettero esistere tra Antonio il Vecchio e Antonio il Giovane suo nipote, e sembrano aver dimostrazione in un progetto presentato tra i numerosi altri per la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini in Roma, al quale ambedue hanno avuto parte.
Nel campo dell'architettura militare l'operosità di Antonio il Vecchio è, come si è detto, assai più vasta. Lo troviamo tra il 1492 e il 1495 in Roma a Castel S. Angelo a costruire torrioni e difese. Poco dopo costruisce per il duca Valentino la rocca di Civita Castellana che Brantôme vanta come la più forte del suo tempo e che infatti fu per il Valentino l'ultimo rifugio sul suolo degli Stati pontifici; per lui disegna nel 1503 la rocca di Montefiascone e forse anche quella di Nettuno, secondo l'ipotesi del Guglielmotti, che vede in essa l'espressione perfetta del nuovo schema fortificatorio a baluardi a sghembo e tiri radenti. Negli anni dal 1503 al 1505, tornato in patria, completa Poggio Imperiale, risarcisce fortezze, dà il modello della rocca di Arezzo. È nominato architetto del comune di Firenze sopra tutte le fortificazioni e lavora e combatte nel 1509 insieme col fratello Giuliano nell'assedio di Pisa. Fa il disegno della fortezza di Livorno e quello delle mura e del Castello di Carpi, ove lo chiama nel 1528 Alberto Pio; e termina la sua carriera negli anni 1529-30 prendendo parte alla difesa di Firenze.
Anche di Antonio, come di Giuliano, sono abbastanza numerosi i disegni, quasi tutti raccolti nella collezione architettonica degli Uffizî in Firenze. Notevoli tra questi un progetto di pianta del palazzo Medici alla Crocetta presso i Servi (n. 282), e portici ad arcate (n. 7803) e composizioni di robuste forme classiche (nn. 7821, 7828, 7829) e un disegno per Loreto (n. 7803), e alcuni, completati da Francesco, per S. Biagio di Montepulciano (nn. 1608-1611), e uno studio di una pianta a grande corte circolare (nn. 7890, 7891) e alzati di fortificazioni (nn. 7886-7888), ecc.
V. tavv. CXXXVII e CXXXVlII.
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