San Marco a Venezia
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Acquisendo le spoglie di san Marco, Venezia assume il prestigio di luogo apostolico e afferma la propria potenza e la propria autonomia ecclesiastica. La basilica marciana, retta da un doge al quale vengono riconosciuti i medesimi titoli dei governanti bizantini, è la celebrazione del potere politico, economico e militare dei veneziani. Maestranze locali, mosaicisti bizantini, scultori occidentali si succedono all’interno del cantiere per più di un secolo, dando vita a una nuova espressività, sintesi di vari e differenti elementi, capace di modificare sia la cultura figurativa dei centri del Mediterraneo orientale che la pittura dell’Italia centrale del secondo Duecento.
Nell’810 Agnello Particiaco trasferisce la sede ducale da Methamaucum (Malamocco) a Rivoalto (Rialto), cioè nell’area comprendente la zona dell’odierno Palazzo Ducale che, con la successiva edificazione della prima basilica dedicata a San Marco, diventerà concretamente e simbolicamente il nuovo centro del potere politico ed ecclesiastico veneziano. La basilica di San Marco che possiamo ammirare oggi viene costruita nel 1063 da Domenico Contarini, sostituendo un primo edificio eretto nell’829 quale cappella ducale e come martyrium per custodire le reliquie dell’apostolo Marco trafugate da Alessandria d’Egitto. Successivamente restaurata, dal doge Pietro I Orseolo, tra il 976 e il 978, al seguito dell’incendio del 976, la nuova basilica viene consacrata nel 1094 da Vitale Falier (doge dal 1086 al 1096) allorquando avvenne la traslazione del corpo del santo nella cripta. Acquisendo le spoglie dell’evangelista la città assume il prestigio di luogo apostolico, riaffermando la propria potenza marittima, e assumendo una più cosciente autonomia ecclesiastica contro le pretese del potente patriarcato di Aquileia, che rivendicava un diritto di precedenza per il culto di san Marco e la supremazia sulle istituzioni ecclesiastiche veneziane.
La nuova basilica ducale, in quanto celebrazione orgogliosa del potere politico, economico e militare dei veneziani, retta da un doge al quale vengono riconosciuti nel corso dell’XI e XII secolo i medesimi titoli dei governanti bizantini, attinge alle fonti della tradizione imperiale costantinopolitana prendendo come modello la chiesa giustinianea dei Santi Apostoli (Apostoleion), reliquiario apostolico e luogo delle sepolture imperiali. La pianta è cruciforme con tre absidi ad est, di cui quella centrale più grande, cripta, transetto e naos a tre navate con cinque cupole sovrastanti, tre delle quali collocate sull’asse centrale e una su ciascun braccio del transetto. L’ingresso a ovest è preceduto da un nartece, che nel corso del XII e XIII secolo viene completato con l’aggiunta dei bracci meridionale e settentrionale. La particolarità della pianta, distaccatasi dalla versione bizantina a quinconce, e con un asse longitudinale più grande che impone la gerarchizzazione degli spazi tipica delle basiliche a croce latina, non si adatta ad accogliere gli schemi figurativi mediobizantini. Anche la dedicazione della basilica all’evangelista e la peculiarità di essere cappella ducale, sono alcuni degli aspetti che hanno condotto alla creazione di un ricco e complesso programma decorativo non facilmente riconducibile a un tema unitario.
Della prima decorazione musiva che si fa risalire alla fine dell’XI secolo (anche se per alcuni studiosi è stata protratta alla prima metà del XII per affinità stilistiche con i mosaici altoadriatici di San Giusto a Trieste e della basilica ursiana di Ravenna), realizzata o guidata da maestranze bizantine probabilmente al lavoro già a Torcello nella prima metà del secolo, sopravvivono solo pochi brani: sono concordemente riconosciuti nelle figure dei santi patroni Nicola, Pietro, Marco ed Ermagora dell’emiciclo absidale (di stretta ascendenza artistica bizantina, esemplabile dalla chiesa monastica di Hosios Lukas nella Focide), in quelle campite nell’esedra del portale maggiore (la Vergine, otto apostoli e quattro evangelisti) e nei due frammenti di una Deposizione dalla croce collocati in origine sul pilastro di sud-ovest del presbiterio. Tre sono ritenuti i mosaicisti greci che, affiancati da un cospicuo numero di aiuti locali, rivestono dalla seconda metà del XII secolo tutte le parti alte dell’edificio con un nuovo e grandioso apparato iconografico improntato al tema della Salvezza: il Maestro dell’Emanuele, attivo sulla cupola omonima, sulle cappelle laterali decorate con le Storie di Marco, Pietro e Clemente e sul transetto con le Storie di Cristo, che sviluppa aspetti tipici della pittura comnena più matura evidenti nei profili dinamici e nelle fisionomie piuttosto marcate; il Maestro dell’Ascensione, cui si devono, invece, la cupola centrale dell’asse principale, l’arco adiacente con le Storie della Passione, le cupole laterali e il Martirio degli apostoli sulla volta sud del piedicroce della basilica, che si distingue per grande potenza creativa negli audaci accostamenti cromatici e per l’agitato dinamismo lineare di vesti e figure, di formazione macedone, per confrontabilità con gli affreschi di Nerezi del 1164 e, in anticipo, con quelli di Kurbinovo del 1191 (ambedue le località oggi appartenenti alla Macedonia slava); il Maestro della Pentecoste, infine, all’opera nella cupola omonima e probabilmente nelle due volte occidentali, dove, pur risentendo del linguaggio dei mosaici precedenti, interpreta ancora con incertezza lo “stile agitato” della cupola centrale, usando una linea che appesantisce le fisionomie e introducendo involuti labirinti nei panneggi.
Le ultime due maestranze hanno operato probabilmente negli anni Settanta del dogato di Sebastiano Ziani, al quale spetta l’ampliamento della piazza San Marco e il conseguente arricchimento dell’esterno della basilica con mosaici, lastre marmoree e sculture. All’indomani della quarta crociata (1204) le parti basse all’interno della basilica vengono rivestite di mosaici che, nonostante l’accentuato bizantinismo, già evidenziano una maggiore inclinazione alla cultura figurativa occidentale e gotica. Si tratta del pannello dell’Orazione nell’orto, di scuola specificatamente veneziana e di due icone musive raffiguranti l’Emanuele e la Vergine orante, ciascuna tra quattro figure di profeti, collocate lungo le pareti del naos. Lungo il XIII secolo la decorazione musiva non si arresta, venendosi a completare lungo il braccio meridionale del transetto con due scene del rinvenimento del corpo di san Marco, sulle cupole dell’atrio con un grande ciclo veterotestamentario (ispirato alle miniature della cosiddetta Genesi Cotton), e sulle lunette della facciata, di cui oggi quella di Sant’Alipio con la traslazione del corpo dell’Evangelista è l’unica originale.
Altrettanto significativo, proprio sulla facciata e sui lati settentrionale e meridionale della basilica, è l’utilizzo della decorazione scultorea, in parte di reimpiego a seguito del famoso sacco di Costantinopoli (come la celebre quadriga bronzea issata sopra il portale centrale con riferimento agli antichi archi trionfali, o i quattro tetrarchi in porfido), in parte di imitazione, come le colonne istoriate che reggono il ciborio sopra l’altare maggiore, testimoni di un esplicito revival paleocristiano, o ancora, il complesso decorativo a icone scultoree, esempio di libera interpretazione di modelli bizantini, attribuito alla bottega veneziana del cosiddetto Maestro di Ercole. Prettamente occidentale, invece, la splendida decorazione del portale maggiore, databile alla prima metà del XIII sec., la cui tipologia rimanda ai portali gotici delle grandi cattedrali del nord della Francia, e che costituisce uno dei più importanti cicli della scultura romanica italiana.
Maestranze locali dunque, mosaicisti bizantini, scultori occidentali provenienti sia dall’entroterra padano che dai centri transalpini dove sta fiorendo la nuova cultura gotica, nonché miniatori e orafi dediti al ricco arredo liturgico coabitano e si succedono all’interno dello stimolante cantiere marciano per più di un secolo. Perseguendo il sogno di una Renovatio Imperii Cristiani, nel XIII secolo San Marco dà vita a un linguaggio autonomo e a una nuova espressività, sintesi di elementi occidentali e bizantini, capace di modificare sensibilmente sia la cultura figurativa dei centri del Mediterraneo orientale che la pittura dell’Italia centrale del secondo Duecento.