SAN JUAN DE LA PENA
SAN JUAN DE LA PEÑA, Monastero di Monastero spagnolo della prov. di Huesca, in Aragona, inserito in una cavità rocciosa della Sierra di S., sul versante meridionale dei Pirenei, a S-O di Jaca.
I numerosi conflitti di giurisdizione tra il monastero e le diocesi di Jaca-Huesca, Pamplona e Saragozza favorirono, sin dal sec. 12°, numerose falsificazioni nella cancelleria monastica, che rendono ancora oggi difficile la ricostruzione della verità storica sul monastero. In una grotta del monte Pano - nella quale probabilmente vi fu un insediamento visigoto (Bango, 1992, p. 164) - si è ipotizzata l’esistenza, nel sec. 9° o 10°, di un primo eremo dedicato ai ss. Giovanni Battista, Giuliano e Basilissa, nel quale, secondo la tradizione, avrebbero trovato rifugio eremiti come Voto e Félix di Saragozza (Briz Martínez, 1620; Crónica de San Juan, 1903-1904; Broto, 1955; Whitehill, 19682). A partire dal sec. 10° si hanno notizie di un monaste ro dedicato a s. Giovanni Battista, che già agli inizi del sec. 11° aveva un ruolo importante nell’organizzazione ecclesiastica della zona. In esso Sancio Garcés III di Navarra, detto el Mayor (1004-1035), consigliato dall’abate Oliva di Ripoll e dall’abate Odilone di Cluny, introdusse la Regola di s. Benedetto, il 21 aprile 1028. Successivamente, il 22 marzo 1071, in coincidenza con la consegna del monastero a Cluny e al suo abate Aquilino, si introduceva in Aragona il rito romano e il monastero cambiava la sua antica intitolazione con quella di S. (Crónica de San Juan, 1903-1904, p. 51; Oliván Bayle, 1973, p. 76; Durán Gudiol, 1993a, p. 75). Il monastero riformato si trasformò in pantheon reale dei nuovi re d’Aragona, a partire da Ramiro I (1035-1063), estendendo verso S la sua influenza. Alla fine del sec. 12° iniziò il suo declino, ratificato con la creazione di un nuovo pantheon reale aragonese: il monastero di Sigena (1188). Dopo diversi incendi, che portarono l’abbazia alla rovina, il monastero fu trasferito (1714) in alcuni moderni edifici nella parte alta della montagna.
Delle due chiese che si conservano, quella inferiore costituisce la parte più antica del monastero. Consta di due absidi a pianta quadrata, parzialmente scavate nella roccia, e di due navate scandite da archi a ferro di cavallo, in modo conforme alla planimetria usuale nei cenobi ispanici del 9° e 10° secolo. Mentre Gómez Moreno (1919) attribuì questa costruzione al re Garcia Ramirez di Pamplona (donazione dell’858), Durliat (1962) l’ha riferita alla consacrazione del 922. Nel sec. 11° si aggiunsero alla fabbrica originaria, verso O, due campate con volta a botte, destinate a sostenere la chiesa superiore. Un altro probabile resto del cenobio primitivo, con modificazioni del sec. 11°, deve essere la contigua sala a due navate coperte da volte a botte che poggiano su archi a tutto sesto, probabile dormitorio dei monaci.
La chiesa superiore, consacrata il 4 dicembre 1094, come riporta un’annotazione del Vocabularium Latinum proveniente dal monastero di San Millán de la Cogolla (Madrid, Real Acad. Historia, Aemil. 31), ha un capocroce del tipo di quello della cattedrale di San Pedro a Jaca, che si può mettere in relazione con la cappella del castello di Loarre (Gaya Nuño, 1949, p. 138; Bango, 1992, p. 166; Caamaño Martínez, 1993, p. 105). Consta di tre absidi semicircolari incassate nella roccia, coperte con volte a quarto di sfera e percorse da serie di archi ciechi con imposte decorate a scacchiera e capitelli a foglie carnose, che si aprono su una navata unica coperta con volta a botte, anch’essa parzialmente scavata nella roccia. L’accesso al chiostro è consentito da una porta con arco a ferro di cavallo che si suppone trasportato qui dalla chiesa inferiore. Nei conci è incisa un’iscrizione del sec. 12°; questa può essere associata a un titulus del poeta carolingio Bonifacio (Canellas, San Vicente, 1971, pp. 77-78) e venne ripetuta quasi esattamente nelle chiese in relazione con i possedimenti del monastero, come Puilampa o Armentia (Ocón Alonso, 1989). Il chiostro contiguo alla chiesa fu edificato alla fine del 12° o agli inizi del 13° secolo. Coperto dalla roccia, ha quattro gallerie prive di copertura architettonica. Accanto a questo si apre la cappella di S. Victorián, esempio di Gotico flamboyant, costruita dall’abate Juan Marqués tra il 1426 e il 1433, che servì da sepoltura per gli abati del monastero e svolse funzioni di sala capitolare.
Dopo diversi restauri, rimangono nel chiostro due gallerie e mezzo che conservano venti capitelli con motivi zoomorfi e istoriati, attribuiti a due distinte botteghe (Crozet, 1968; Canellas, San Vicente, 1971). Mentre quelli a decorazione zoomorfa sono stati messi in relazione con la scuola tolosana (Canellas, San Vicente, 1971), i marcati caratteri stilistici dei capitelli istoriati sono serviti, a partire dallo studio di Porter (1932), per creare la figura del Maestro di S., la cui prolifica produzione plastica si divide tra i regni di Navarra e di Aragona (Abbad Ríos, 1950; Crozet, 1968; Lacoste, 1979).
Caratteristiche analoghe a quelle dei capitelli di S. si riscontrano in particolare nei capitelli del chiostro di San Pedro el Viejo a Huesca (v.), nella porta meridionale di Santiago ad Agüero (Huesca), nelle porte sud e ovest di San Miguel a Biota (Saragozza), nelle porte settentrionale e occidentale di San Salvador a Ejea de los Caballeros (Saragozza), nella galleria alta, in alcune figure dei pennacchi del portale, in due capitelli dell’interno e in un altro (Pamplona, Mus. di Navarra) di Santa María la Real a Sangüesa (v.). Nel complesso, tutte queste opere possiedono sufficiente unità per supporsi deri vate da una stessa tradizione o anche da una grande bottega con differenti mani e livelli di qualità, che avrebbe operato preferibilmente nell’ambito dei possedimenti del monastero di San Juan de la Peña. Il migliore esponente dello stile è il maestro che lavora nella porta occidentale di San Miguel a Biota (Ocón Alonso, 1987; Melero, 1995). Quanto alla filiazione di questo stile si è invocato l’ambito castigliano (evoluzione degli ultimi rilievi del chiostro di Santo Domingo de Silos attraverso Santo Domingo a Soria; Lacoste, 1979) e anche l’ambito navarro-aragonese (derivazione dalle sculture della cattedrale di Saragozza e di San Nicolás a Soria; Melero, 1995). Senza potersi negare l’affinità stilistica con queste opere, quello che in realtà apparenta tutta questa produzione con altre botteghe castigliane, aragonesi e navarresi è la partecipazione al forte substrato bizantineggiante degli ambienti artistici ispanici alla fine del sec. 12° e nelle prime decadi del 13° (Ocón Alonso, 1990; 1992), periodo nel quale tale produzione si deve inquadrare in accordo con il riferimento al 1220 offerto da un’iscrizione di Ejea de los Caballeros (Ocón Alonso, 1987, p. 97; Lacoste, 1993, p. 118; Melero, 1995, p. 56).
Vicino al chiostro di S. si trova il Panteón de Nobles. La decorazione delle lapidi di queste sepolture di nobili aragonesi, attratti fin dal sec. 11° dal carattere di pantheon reale del monastero, ripete alcuni temi caratteristici dei timpani della regione (San Pedro a Jaca, Santa Cruz a Serós, Binacua), come monogrammi di Cristo, leoni, grifi, fiori e croci. Si tro va anche qualche interessante tema funerario, come l’Ascensione dell’anima del defunto, che si può mettere in relazione con il sarcofago di donna Sancia conservato nel monastero delle Benedettine di Jaca.
Nelle volte delle cappelle absidali della chiesa inferiore si conservano interessanti resti pittorici. Nella cappella destra si osservano, molto deteriorati, alcuni frammenti di rappresentazioni architettoniche e di figure; in quella sinistra, in migliore stato di conservazione, sono raffigurati il Martirio dei ss. Cosma e Damiano nel fuoco accompagnati da sei figure - tra le quali si può individuare il prefetto Lisias, due servitori (ministri) e alcuni carnefici che ravvivano le fiamme - e la Crocifissione di uno dei santi, parzialmente perduta. Associati al Romanico francese a partire dalla precoce osservazione di Gómez Moreno (1919), essi sono stati generalmente interpretati in base alle relazioni del monastero di S. con Cluny, attraverso alcune analogie stilistiche con i dipinti murali della cappella di Berzé-la-Ville (v.), di discussa cronologia (Canellas, San Vicente, 1971; Borras, García Guatas, 1978). In base a ciò si è generata una controversia tra coloro che sono dell’opinione di collocare le pitture agli inizi del sec. 12° (Borras, García Guatas, 1978; Williams, 1988, p. 98), nel secondo terzo (Sureda, 1985) o anche nell’ultimo terzo dello stesso secolo (Canellas, San Vicente, 1971). L’abbondanza di bizantinismi ha indotto a pensare successivamente a un arti sta itinerante formatosi negli ambienti limosini, molto vicino allo stile delle miniature della Seconda Bibbia di Saint-Martial di Limoges (Parigi, BN, lat. 8), della fine del sec. 11°, al quale si associa anche la Bibbia di S. (Madrid, Bibl. Nac., 2; Toubert, 1987, pp. 152-153). Altri resti pittorici si possono osservare nella parete della cappella di S. Victorián, attigua alla chiesa: una scena molto rovinata che culmina con un bordo di cerchi popolati da urogalli, databile intorno al 1200 (Gudiol i Ricart, 1971, p. 11).
Principale reliquia del monastero fu il Santo Calice (Valencia, tesoro della cattedrale; Briz Martínez, 1620): si tratta di un vaso di corniola realizzato ad Alessandria o ad Antiochia nel sec. 1° a.C.-1° d.C., montato più tardi a forma di calice, che, considerato secondo la tradizione il calice dell’ultima cena, sarebbe stato portato da Roma al monastero di San Juan de la Peña.
Bibl.: Fonti. - P. Yepes, Crónica general de la Orden de San Benito, Valladolid 1617, VI, p. 324; J. Briz Martínez, Historia de la fundación y antigüedades de San Juan de la Peña, Zaragoza 1620 (rist. parziale El monasterio de San Juan de la Peña y el Santo Grial, Boletín del Instituto cultural hispánico de Aragón 5, 1958, pp. 87-107); Predicación de los apostoles en España, a cura di E. Flórez (España sagrada, 3), Madrid 1748, pp. 299-309 (rist. Burgos 1983); Crónica de San Juan de la Peña, a cura di T. Ximénez de Embun, in M. Magallón, Colección diplomática de San Juan de la Peña, Madrid [1903-1904], pp. 51-112, 116; E. Ibarra, Documentos correspondientes al reinado de Sancho Ramírez, II, Zaragoza 1913; A. Ubieto, Cartulario de San Juan de la Peña, I-II, Valencia 1962-1963; A. Canellas, El cartulario visigótico de San Juan de la Peña, in Homenaje a A. Millares Carlo, Las Palmas 1975, pp. 205-239; C. Orcástegui, Crónica de San Juan de la Peña (versión aragonesa), Zaragoza 1986.
Letteratura critica: V. Balaguer, San Juan de la Peña: su historia, sus tradiciones, las leyendas. Sus recuerdos. Excursiones al monasterio, Revista contemporánea, 1896, pp. 225-325; V. Lampérez, Notas de una excursión, Boletín de la Sociedad española de excursiones 7, 1899, pp. 191-192; P. Aguado, Erección del Panteón Real de San Juan de la Peña, Revista de Huesca, 1903-1904, pp. 374-390; R. del Arco, La escultura románica en el claustro de San Pedro el Viejo, Arte aragonés 8, 1914, pp. 125-143; id., La covadonga de Aragón. El real monasterio de San Juan de la Peña, Jaca 1919 (rec.: V. Lampérez, Boletín de la Real Academia de la historia 76, 1920, pp. 26-28); M. Gómez Moreno, Iglesias mozárabes. Arte español de los siglos IX a XI, 2 voll., Madrid 1919, pp. 30-40 (rist. Granada 1975); L. De la Tejera, El monasterio de San Juan de la Peña, Boletín de la Sociedad española de excursiones 37, 1929, pp. 31-60, 179-199; 38, 1930, pp. 204-215; 39, 1931, pp. 52-77; K. 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