SAN GERMANO, Pietro
da. – Originario di San Germano (l’attuale Cassino), nel giustizierato di Terra di Lavoro, e figlio di Teodino, visse nella prima metà del XIII secolo; non conosciamo, tuttavia, data e luogo certi di nascita.
Ricoprì incarichi di rilievo nell’amministrazione giudiziaria di Federico II, in qualità di giudice di Magna Curia della monarchia siciliana. Fu prevalente la provenienza del personale della corte federiciana dalla borghesia cittadina del Regno: entro queste coordinate rientra la figura del magister Pietro, il cui titolo – con il quale, d’altronde, non pochi funzionari erano soliti designarsi – non attesta con sicurezza studi di diritto in università (come risulta invece per altri giuristi meridionali, cfr. G. Santini, Giuristi collaboratori di Federico II. Piano di lavoro per una ricerca d’«équipe», in Atti delle terze Giornate federiciane, Bari 1977, pp. 66 s.).
A San Germano furono reclutati, dal sistema funzionariale federiciano, non pochi giuristi – tra cui anche Roffredo (fratello e collega di Pietro) e il cronista Riccardo (dell’amministrazione finanziaria); la località era evidentemente un centro importante per la formazione e per il successivo esercizio di professionalità giuridiche (anche nell’ufficio del notariato, nelle scuole di diritto cittadine).
Con la riforma del tribunale di corte (1221), emersero nuove figure che dovettero influenzare tale istituzione in maniera duratura, tra cui la dinastia di giuristi Di Tocco e i fratelli Pietro e Roffredo di San Germano (giudici di Magna Curia fino agli anni Quaranta del Duecento, cfr. Stürner, 2009, pp. 400 s.).
La prima attività del giudice Pietro è attestata in alcuni dei casi pervenutici di reclamo al supremo tribunale, avanzati dalle parti colpite dalle misure di revoca di beni e privilegi stabilite dagli editti di Capua del 1220 (p. 383). Nel novembre del 1223, in sostituzione del magister iustitiarius Enrico di Morra, dirimeva a Foggia questioni mosse da procuratori del monastero di Montecassino – Tommaso preposito di S. Maria di Luco e Giovanni priore di S. Clemente a Casauria (prepositure di Montecassino nella diocesi marsicana) – per ottenere la restituzione di case e terreni occupati da privati nelle località di Troia e di Castiglione. Nel maggio del 1224, Federico II confermò una sentenza dei suoi giudici – tra cui Pietro – a favore del già citato Tommaso. Nel settembre del 1224, Pietro compare nella deliberazione definitiva relativa a una questio sorta tra le autorità e gli abitanti dei dintorni di Sorrento, conclusasi con la restituzione dei beni occupati e con i precedenti diritti ristabiliti (Riccardo di San Germano, Chronica, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938, p. 112; Historia diplomatica..., a cura di J.L.A. Huillard-Bréholles, 1852-1861, II, 1, pp. 378-383, 431 ss.; Abbazia di Montecassino..., a cura di T. Leccisotti, 1971, pp. 38 s.; Heupel, 1940, pp. 99, 139 s.).
Inoltre, nell’estate del 1224, Pietro (qui indicato anche quale giudice di Benevento) e Roffredo, esponenti di spicco della classe dirigente di San Germano, avevano ottenuto da Federico II – per la grande considerazione di cui godevano presso l’imperatore e prospettandogli inoltre l’utilità di una città fedele ben fortificata ai confini del Regno – la revoca (comune, d’altronde, ad altre realtà) del mandato di demolizione delle mura cittadine (Riccardo di San Germano, Chronica, cit., pp. 113, 116; Stürner, 2009, pp. 383 s.).
Per l’attuazione degli editti di Capua relativi alla riappropriazione e difesa di beni e diritti demaniali, l’imperatore impiegò, in aggiunta ai funzionari ordinari, dei commissari speciali (spesso giudici del tribunale di corte).
Pietro fu inviato in Calabria nel 1225-26 a questo precipuo scopo; dal resoconto del suo ufficio, condotto secondo procedure ordinate e giuridicamente corrette, emergono particolari circa alcune formalità del lavoro svolto (pp. 381 s.; Niese, 1912, pp. 404 s.). Durante tale incarico predispose anche la restituzione di possedimenti alla chiesa di Gerace (Kamp, 1973, p. 968), e procedette alla revoca di terreni al monastero cistercense di S. Stefano «de Nemore» (restituiti, tuttavia, nel giugno del 1228, cfr. Historia diplomatica, cit., III, p. 493).
Un documento del luglio del 1225 – con il quale Enrico di Morra garantì alla chiesa di S. Maria di Mugilano delle esenzioni dal controllo del conte Oderisio di Corropoli (Teramo) – attesta la permanenza di Pietro in Calabria (Historia diplomatica, cit., II, 1, 1852, pp. 496 ss.; Heupel, 1940, p. 141); questi viene invitato dal maestro giustiziere a scrivergli per una conferma di quanto già deciso, a tal proposito, in una precedente assise tenutasi a Sulmona (retta dagli stessi Enrico e Pietro). Tuttavia, una gestione giudicata non soddisfacente degli affari calabresi avrebbe suggerito all’imperatore di assegnare in feudo, nell’aprile del 1231, alcuni possedimenti di Pietro «in castro Lauri et casali Serignani in comitatu Casertae» al nobile notaio di cancelleria Giovanni de Lauro (Historia diplomatica, cit., III, pp. 274 s.).
Nel 1226, Pietro fece da intermediario – compito assai delicato – tra Federico II e Stefano abate di Montecassino; in dicembre, lo Svevo confermò al monastero (fortemente danneggiato, tuttavia, dalla politica imperiale) precedenti diritti e privilegi, benché soltanto dopo una scrupolosa inchiesta (Riccardo di San Germano, Chronica, cit., p. 139; Historia diplomatica, cit., II, 2, pp. 697 s.; Heupel, 1940, p. 109).
Una prima missione diplomatica impegnò Pietro, in qualità di ambasciatore dell’imperatore, già nel giugno del 1232; fu inviato al papa Gregorio IX, in vista di una risoluzione prossima dello scontro con la Lega lombarda (Riccardo di San Germano, Chronica, cit., p. 181; Historia diplomatica, cit., IV, 1, p. 364).
In una solenne sentenza del 9 dicembre 1232 (Apricena, in Capitanata) – alla presenza dell’imperatore e dei più alti dignitari – Pietro, quale giudice di Magna Curia e anche advocatus fisci (non mancavano rapporti di scambio negli incarichi di curia), intervenne ad aggravare la posizione della città di Firenze (già multata per la distruzione di due castra senesi) per il mancato annullamento di una pena pecuniaria alla città di Siena nel termine prefissato (pp. 415 ss.; Heupel, 1940, p. 143). L’episodio si inscrive nei piani imperiali (affidati al legato Gebhard di Arnstein) di riaffermazione dei diritti della Corona in Italia settentrionale, a partire dalla richiesta prioritaria di pacificazione della Toscana prevalentemente filosveva.
Nel dicembre del 1232, ritroviamo Pietro presso la Curia papale ad Anagni – con Enrico di Morra, Pier della Vigna e il giudice di Magna Curia Benedetto di Isernia – per trattare la tregua con le comunità lombarde (Riccardo di San Germano, Chronica, cit., p. 184; sebbene non risulti tra i legati menzionati in Historia diplomatica, cit., IV, 1, pp. 408 ss.); gli stretti contatti avviati tra Curia e corte imperiale, tuttavia, si arenarono con il tentativo del papa di rinviare ulteriormente gli accordi di pace (MGH, Epistulae saeculi XIII, I, a cura di C. Rodenberg, Berlin 1883, pp. 404 s., n. 505, per il riferimento ai magistri Benedetto e Pietro).
Pietro, come altri colleghi di San Germano, dovette anche svolgere alcuni incarichi per conto del monastero di Montecassino. Nel febbraio del 1237, Federico II confermò a lui e al padre un privilegio loro elargito, nel maggio del 1235, da Landolfo abate di Montecassino; esso consisteva – per l’attività che Teodino e Pietro, «judex et advocatus Cassinensis», avevano prestato al monastero (e dietro congruo pagamento) – in una concessione di terra e di alcuni privilegi relativi a possedimenti «in castris et terra ipsius monasterii» (Historia diplomatica, cit., V, 1, pp. 11 ss.).
Non è possibile escludere il caso di omonimia nella decisione dell’imperatore, dell’aprile del 1240, di arrestare Giovanni, arciprete di San Germano, e suo fratello Pietro e di confiscare i loro beni (Riccardo di San Germano, Chronica, cit., p. 205). Ciò confermerebbe, eventualmente, una certa instabilità dei rapporti di Federico con alcuni suoi collaboratori, a causa della decisa politica dello Svevo nei confronti del Papato; a esso, difatti, non poche figure di giuristi meridionali erano strettamente legate.
Nell’agosto del 1241, Pietro è citato ancora come giudice di Magna Curia in un atto attestante il legittimo possesso da parte del monastero di Montecassino di una chiesa tarantina (Abbazia di Montecassino, a cura di T. Leccisotti, 1971, p. 21; Heupel, 1940, pp. 94, 146). Dopo l’ultima sua attestazione in veste di giudice, nel settembre 1242 – in un’assise solenne a Salerno (Heupel, 1940, p. 94) – non ci è pervenuta altra sua notizia. Si ignora dunque la data di morte.
Fonti e Bibl.: Historia diplomatica Friderici secundi, a cura di J.L.A. Huillard-Bréholles, I-VI, Paris 1852-1861 (rist. anast. Torino 1963); Riccardo di San Germano, Chronica, a cura di C.A. Garufi, in RIS2, VII, 2, Bologna 1936-1938; Abbazia di Montecassino. I regesti dell’archivio, a cura di T. Leccisotti, VI (Aula 2: Capsule 18-27), Roma 1971.
H. Niese, Materialien zur Geschichte Kaiser Friedrichs II, in Nachrichten der K. Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, philol.-hist. Klasse, 1912, pp. 384-413 (in partic. pp. 404 s.); M. Ohlig, Studien zum Beamtentum Friedrichs II in Reichsitalien von 1237-1250..., Kleinheubach am Main 1936, pp. 127 s.; W.E. Heupel, Der sizilische Grosshof unter Kaiser Friedrich II. Eine verwaltungsgeschichtliche Studie, in MGH, Schriften, IV, Stuttgart 1940, ad ind.; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, Prosopographische Grundlegung. Bistümer und Bischöfe des Königreiches 1194-1266, München 1973, p. 968; W. Stürner, Federico II e l’apogeo dell’impero, Roma 2009, ad indicem.