CIRILLO d'Alessandria, san
Fu nipote del patriarca Teofilo e suo successore nel trono episcopale (dal 412 al 444), come pure continuatore della sua politica ecclesiastica per la supremazia in Oriente della chiesa alessandrina. Fin dal principio si distinse per il suo zelo contro i novaziani e i giudei, che, causa frequente di disordini, fece cacciare in una sommossa popolare dalla città; per il che dovette sostenere a lungo l'inimicizia di Oreste, prefetto augustale. A torto egli venne accusato di avere ordinato l'uccisione di Ipazia; ma non è improbabile che i promotori della sommossa in cui ella perì abbiano creduto di far cosa a lui grata.
Ma la principale sua opera si svolse a impedire l'accrescimento in potenza dell'emulo patriarca di Costantinopoli, che per un canone del primo concilio costantinopolitano del 381 godeva del diritto di precedenza su tutti gli altri patriarchi d'Oriente. Egli già con lo zio Teofilo aveva preso parte nel 403 al concilio ad quercum presso Calcedonia, contro il patriarca di Costantinopoli, S. Giovanni Crisostomo (v.); e quando, dopo la morte di costui, il papa Innocenzo volle che la sua memoria fosse riconsacrata, C. si oppose più che poté, fino almeno al 417, a che il suo nome fosse restituito nei sacri dittici. Ma dove soprattutto rifulse l'arte e il potere di Cirillo fu nella lotta, lunga e tenace, contro Nestorio. C. in tale occasione si eresse a campione dell'ortodossia: cominciò con l'assicurarsi l'appoggio di papa Celestino I; citato dall'imperatore Teodosio II al concilio di Efeso del 430, seppe guadagnarsi a tempo la maggioranza dei vescovi ed eludere l'opposizione di quelli della Siria, favorevoli a Nestorio, col far radunare il concilio prima del loro arrivo, e dichiarare illegittimo il sinodo separato che essi appena arrivati formarono; chiuso per ordine dell'imperatore il concilio, volse in suo favore i sentimenti della corte imperiale fino allora contrarî, tanto che alla fine Nestorio fu deposto ed esiliato, mentre C., fatto prigioniero dal commissiario imperiale, riuscì a ritornare libero e tranquillo alla sua sede episcopale e rimanervi indisturbato fino alla morte. Raggiunto il suo scopo, C. per tornare in pace coi vescovi di Siria sottoscrisse alla formula di fede da loro compilata nel sinodo separato di Efeso, esigendo però la loro sottoscrizione alla condanna di Nestorio.
La vittoria così ottenuta da C. sull'emula chiesa bizantina non ebbe conseguenze di lunga durata; appena 20 anni dopo, il suo successore Dioscoro dovette subire la medesima sorte di Nestorio. Di decisiva importanza fu invece il risultato da lui ottenuto per la dogmatica: il riconoscimento dell'unità personale di Cristo. Bisogna riconoscere però che la formula da lui adoperata nei suoi Anatematismi (μία ϕύσις τοῦ ϑεοῦ λόγου σεσαρκομένη: una natura Verbi Dei incarnata), che egli in buona fede credette derivare da S. Atanasio, mentre in realtà proveniva da Apollinare, non era felice, perché si prestava ad essere intesa nel senso apollinarista della confusione delle due nature in Cristo. Egli certamente l'intese e più volte spiegò in senso ortodosso; ma il suo successore Dioscoro, ed Eutiche con i suoi seguaci, l'intesero nel senso strettamente monofisita di due nature che dopo l'unione divengono una sola (ἐκ δύο ϕύσεων μία ϕύσις); cosicché nel concilio di Calcedonia essa dovette essere sostituita dalla formula occidentale più precisa di una sola persona in due nature (ἐν δύο ϕύσεσιν). Ma, appunto per il nome e per l'autorità di C., molti in Oriente respinsero il concilio di Calcedonia.
Di C. ci sono giunti molti scritti, dei quali i principali sono: le lettere, di molto interesse per la storia di lui e dei suoi tempi; le omelie, alcune delle quali tenute in Efeso al tempo del concilio; i trattati polemico-teologici, alcuni dei quali sulla Trinità, contro gli Ariani, e altri principalmente contro Nestorio, ovvero in difesa dei suoi Anatematismi contro Teodoreto e i vescovi d'Oriente; un'Apologia in 30 libri in risposta ai tre libri dell'imperatore Giuliano contro i cristiani, della quale ci rimangono solo i primi dieci libri, importanti per la ricostruzione del testo del primo libro di Giuliano; i commentarî all'Antico Testamento, in ispecie a Isaia e ai Profeti minori, e al Nuovo Testamento, quasi intiero quello a Giovanni, e in ampî frammenti quelli su Matteo, Luca, Romani, Corinzî ed Ebrei, nei quali tutti domina l'interpretazione allegorica. L'edizione generale delle opere è compresa nei volumi 68-77 della Patrologia graeca del Migne, ed edizioni critiche parziali sono state pubblicate da Ph. Ed. Pusey, Oxford 1868-1877.
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