samurai
I guerrieri dell’antico Giappone
Il termine samurai deriva dal giapponese samurau (o saburau), che significa «servire». La figura del samurai, abile uomo d’armi, nacque in Giappone verso la fine del primo millennio d.C. Solo a partire dal 12° secolo questi guerrieri divennero un gruppo privilegiato, con un importante ruolo nella società e un rigido codice etico e militare
Alla fine del 12° secolo in Giappone il potere imperiale si indebolì. Da allora, per circa settecento anni, il paese fu governato da alcuni potenti clan familiari che imposero il loro dominio con la forza militare. Il primo di questi potenti signori della guerra fu Yoritomo, del clan dei Minamoto, che nel 1191 assunse il titolo di shogun («generalissimo»).
Fu a partire da questo periodo della storia giapponese che si affermarono i samurai, detti anche bushi, cioè «guerrieri». Costoro erano al servizio dei grandi signori terrieri (daimyo), ai quali erano legati da un giuramento di fedeltà e da un rapporto di dedizione assoluta, e beneficiavano di titoli, onori e possedimenti. Il loro compito era quello di proteggere ed espandere le terre dei loro signori e, quando questi venivano a mancare, la loro sicurezza sociale ed economica risultava compromessa (i samurai senza più un signore, spesso emarginati dalla società, erano chiamati ronin).
I samurai godevano di un grande prestigio. Molto chiusa nei confronti dell’esterno, questa élite militare era in realtà un gruppo sociale molto composito, con grandi disparità economiche all’interno, che può essere paragonato alla piccola nobiltà europea del Medioevo.
Originariamente i samurai combattevano a cavallo e a piedi ed erano particolarmente esperti nell’uso dell’arco. Nel corso del 13° secolo, quando i Mongoli invasero il Giappone, affinarono le loro tecniche di combattimento e la spada divenne la loro arma principale e l’emblema della loro superiorità.
Le sciabole, anzi, diventarono due, una lunga e una più corta. La spada lunga dei samurai, katana, rappresentava il simbolo della forza divina che salva la vita e può dispensare la morte. Ma anche altre armi inconsuete e micidiali hanno attratto la curiosità degli occidentali: per esempio, il ventaglio costruito con l’anima in metallo, o anche il bastone, usato principalmente negli allenamenti. La variopinta armatura, composta di numerosi elementi, comportava un paziente e complesso rituale di vestizione.
Un’altra arma, la spada corta (wakizashi), veniva generalmente utilizzata nella cerimonia del suicidio rituale (seppuku, erroneamente noto in Occidente come hara kiri). Secondo la filosofia di vita dei samurai il suicidio non era dettato dalla paura o dalla disperazione, ma era un gesto consapevole che esaltava il coraggio e ristabiliva l’onore.
I samurai non erano solo uomini d’arme. La loro formazione, infatti, prevedeva un estenuante allenamento fisico e una dura preparazione psicologica e spirituale i cui fondamenti poggiavano sulle grandi scuole di pensiero orientali, come il buddismo (Buddha e il buddismo). Attraverso la meditazione zen (cioè secondo la tradizione del buddismo giapponese) i samurai dovevano acquisire la disciplina e l’autocontrollo che ne facevano formidabili guerrieri e uomini d’onore, senza cedimenti. Il loro spirito, al pari della loro spada, doveva essere tagliente e non mostrare incertezze.
La cultura giapponese è stata fortemente influenzata da questa filosofia di vita che si esprimeva nel bushido (la «via del guerriero»), un codice di comportamento morale che abbracciava ogni aspetto della vita del samurai.
Nella seconda metà dell’Ottocento – nell’epoca del rinnovamento Meiji, a partire dal 1868 – il Giappone si aprì alla modernizzazione: anche l’apparato militare, dominato da questa antichissima tradizione militare, venne smantellato in favore di un esercito nazionale e centralizzato. Contro questa riforma si scatenò, nel 1877, la ribellione degli ‘ultimi samurai’, circa 25.000÷30.000 soldati che si scontrarono con l’esercito regolare, attrezzato con armi più moderne e forte di circa 300.000 effettivi. I samurai furono sconfitti e Saigo Takamori, capo della rivolta, scelse il suicidio secondo la tradizione, trasformandosi da guerriero sconfitto in eroe nazionale del Giappone.
I samurai, comunque, anche nei decenni successivi assunsero cariche importanti nell’amministrazione pubblica e nell’esercito.