SAMUELE (ebraico Shĕmū'ēl)
Personaggio che ebbe particolare importanza nella storia ebraica verso la metà del sec. XI a. C., essendo stato l'ultimo della serie dei Giudici e l'istitutore della monarchia in Israele.
La storia di S. è narrata nei due libri che portano il suo nome (v. re, libri dei), e che furono redatti secondo documenti d'indole e di provenienza varie: da qui risultano divergenze nel complesso della narrazione, nonché giudizî dati da punti di vista differenti. Il suo stesso nome non ha una chiara etimologia; in I Sam., I, 20 si spiega che il nome gli fu imposto dalla madre perché, essendo ella sterile, lo aveva "richiesto da Jahvè", (o meglio "da Dio"), che farebbe pensare a una forma sha'ūl me'el: ma ciò non può essere che una etimologia popolare, come spesso nella Bibbia; quindi altri ha pensato a una forma come shĕmū‛el, "esaudito di Dio" (?), o ad altre anche più problematiche.
Samuele è presentato come ottenuto per particolare grazia di Dio dalla madre Anna, una delle mogli di Elqanāh, nativo di Ramathaim-Sophim (= Rama?) nelle montagne di Efraim; per riconoscenza, la madre consacrò il fanciullo come nazireo (v. nazireato) nel santuario di Jahvè ch'era allora a Silo, dove risiedeva il sacerdote e "giudice" Eli. Ivi il fanciullo, visitato di tempo in tempo dalla madre, cresceva nell'ambiente sacerdotale, e vi era esposto alle influenze sia di Eli, uomo pio ma fiacco, sia a quelle dei due figli di Eli, Hophni e Pinehas, interessati e corrotti: il fanciullo tuttavia risentì l'influenza di Eli, e non dei suoi figli, e con la sua condotta irreprensibile in quell'ambiente guasto cominciò ad attirare su di sé l'attenzione degl'Israeliti che dai varî luoghi del territorio nazionale frequentavano quel santuario; cosicché egli "andava crescendo in statura e bontà davanti a Jahvè e davanti agli uomini" (I Samuele [Re], II, 26).
Le condizioni politiche del popolo ebraico erano, in quel momento, assai delicate. Volgeva al termine l'epoca dei Giudici che con i suoi ordinamenti patriarcali e le sue norme spesso imprecisate (v. giudici) non aveva ancora collegato saldamente in una compagine unica le varie tribù della nazione; mentre per contrario la minaccia dei finitimi Filistei, allora all'apogeo della loro potenza, si faceva sempre più grave contro lo sparso Israele. Anche dal punto di vista religioso mancava praticamente l'unione: i culti particolaristici fiorivano rigogliosi, e l'autorità più alta nella nazione era allora rappresentata dal fiacco Eli, esautorato anche dalla condotta dei figli che scandalizzavano i frequentatori di Silo. Questa decadenza era aggravata dalla circostanza che "la parola di Jahvè era rara in quei giorni e non c'era visione manifesta" (ivi, III, 1); cioè difettavano quelle persone alle quali il popolo riconosceva la facoltà di entrare in comunicazione con Dio, e da cui esso riceveva abitualmente norme di condotta religiosa e sociale.
In queste circostanze il giovane S. divenne improvvisamente oggetto delle comunicazioni di Dio, e la fama se ne sparse per tutto Israele con grande aumento della sua autorità (ivi, III, 2-21). Di lì a poco la tempesta dei Filistei si rovesciò su Israele; dopo una prima sconfitta minore, gli Ebrei ne subirono una gravissima, in cui i due figli di Eli rimasero uccisi e l'Arca, ch'era stata trasportata da Silo all'accampamento come pegno della protezione divina, finì preda dei nemici: inoltre il vecchissimo Eli, quando gli fu annunziata tanta sciagura, morì sul colpo. Con ciò S. rimaneva, benché assai giovane, la persona più in vista di tutta la nazione: la sua qualità sacerdotale e le sue doti eccezionali già note e apprezzate lo raccomandavano a tutto Israele, il quale poi nelle terribili condizioni in cui era caduto non aveva altro capo laico o religioso degno di stare alla direzione generale.
Per parecchi anni, forse una ventina (cfr. I Sam. [Re], VII, 2), S. sembra che seguisse una tattica temporeggiatrice: i Filistei infatti avevano un predominio quasi incontrastato sull'abbattuto Israele, specialmente sulle tribù meridionali, né era ancora possibile ricorrere alla forza per rigettarne il giogo; egli però, agendo da "giudice" ossia da dittatore politico-religioso dell'intera nazione, cominciò col preparare spiritualmente il risorgimento di essa, mediante periodiche visite nei luoghi più celebri e venerati dell'ebraismo (ivi, VII, 16-17). Di questo lavorio, tenace e metodico, noi siamo quasi all'oscuro; ma certo S. esplicò opera di organizzatore e d'innovatore, della quale poco dopo s'incominciarono a vedere i frutti con la graduale sottrazione al dominio dei Filistei. A ogni modo, a differenza dei precedenti giudici, S. appare come organizzatore, più che politico, religioso, e come tale segnerà il preciso distacco delle due autorità nella sua nazione. Dopo la sconfitta ricevuta dai Filistei e la cattura dell'Arca, Silo sembra che fosse distruttta dai Filistei, e l'Arca dopoché fu ricuperata non tornò più là, bensì a Qirjath-je‛arim ove rimase parecchi anni: S. invece teneva periodiche adunanze del popolo in altri luoghi ricchi di memorie religiose, quali Beth-el, Ghilgal, Mispah, ed egli risiedeva a Rama, ove pure aveva costruito un santuario.
Intanto l'animo della nazione si andava rialzando, e abbiamo notizia anche di uno scontro vittorioso contro i Filistei in occasione di una delle solite adunanze di S. a Mispah. Tuttavia il popolo vedeva chiaramente che mancava ancora qualche cosa al risorgimento totale della nazione specialmente di fronte ai compatti e agguerriti Filistei: S. era un autorevole dittatore spirituale, un giudice più religioso che guerresco, mentre in quel momento occorreva un capo civile, soprattutto un condottiero che organizzasse militarmente e stabilmente la nazione per condurla a un definitivo sopravvento sui Filistei. La necessità di un'organizzazione stabile era stata avvertita, del resto, da S. stesso, il quale allorché fu avanzato in età scelse come suoi coadiutori nella giudicatura i due proprî figli, mentre la giudicatura era stata per la sua stessa natura un ufficio eccezionale, contingeute, non trasmissibile. I figli poi si mostrarono ben diversi dal padre e indegni di quell'ufficio ormai burocratizzato; cosicché il popolo, mosso anche dall'esempio di altre nazioni finitime rette monarchicamente, si rivolse a S. chiedendogli l'istituzione ufficiale della monarchia.
Di questa istituzione, attuata con l'elezione di Saul, esiste un doppio racconto confluito nella narrazione di I Sam. (Re), VIII-XI; probabilmente corrisponde al doppio giudizio, favorevole o sfavorevole, che si diede sulla nuova istituzione (v. saul); sembra anche che S. in un primo tempo fosse avverso a tale innovazione insieme con una minoranza del popolo, ma che, in seguito, posponesse la sua personale opinione a quella della maggioranza ch'era invece favorevole.
Con il nuovo re Saul, S. si comportò dapprima come benevolo assistente, in forza di quell'autorità ch'egli desumeva dal suo passato di giudice e dalla sua carica religiosa; è anche molto probabile che egli stesso lo esortasse ad agire con le armi contro i Filistei. Confermato poi che fu il nuovo monarca, S. in un'assemblea popolare depose pubblicamente la propria carica di giudice (I Sam. [Re], XII,1-4), rimanendo tuttavia nella sua piena autorità sacerdotale. Ma appunto a motivo di questa autorità, che S. giudicò trascurata e vilipesa da Saul in due diverse occasioni, egli riprovò il nuovo monarca e segretamente unse re, in luogo di lui, il giovanetto David (v.).
Ritiratosi a Rama, S. vi morì, senza essersi più incontrato con Saul; il suo spirito però fu evocato in una seduta necromantica da Saul, poche ore prima della battaglia in cui questi lascib la vita (ivi, XXVIII, 7-25).
Oltre che "giudice" e sacerdote, S. è presentato anche come profeta (ivi, IX, 9, 18), e a capo di una corporazione profetica (v. profeta e profetismo) che aveva manifestazioni mantiche ed entusiastiche (ivi, X, 11 segg.; XIX, 20 segg.).
Nello sviluppo della storia ebraica, S. rappresentò il periodo di transizione dall'ordinamento patriarcale dei giudici a quello monarchico, e l'inizio della divisione dell'autorità religiosa-sacerdotale da quella laica-politica.
Sono da consultarsi, oltre alle storie del popolo ebraico (v. ebrei), i commenti ai libri di Samuele (v. re, libri dei).