OLPER, Samuele Salomone
OLPER, Samuele Salomone. – Nacque a Rovigo il 30 maggio 1811, primo dei quattro figli di Leon, originario di Venezia, e di Benedetta Finzi.
Dopo aver frequentato in età giovanile scuole private organizzate all’interno della Fraterna generale di culto e beneficenza (così si chiamava all’epoca la comunità ebraica di Venezia), nel 1833 venne accolto a Padova presso l’Istituto convitto rabbinico degli israeliti del Regno Lombardo Veneto (in seguito noto come Collegio rabbinico), dove fu tra i primi studenti a laurearsi rabbino nel 1837.
Costituito formalmente nel 1828, il convitto padovano inaugurò i suoi corsi l’anno successivo e fu – unitamente al Collegio rabbinico alsaziano di Metz – il primo esempio in età moderna di scuola dedicata alla formazione dei rabbini. Voluto fortemente dalle autorità dell’Impero asburgico, che esercitarono forti pressioni sulle comunità ebraiche del Lombardo Veneto perché organizzassero a loro spese l’istituto seguendo l’analogo modello organizzativo cattolico dei seminari vescovili, esso formò fra il 1829 e il 1877 oltre 50 rabbini. L’istruzione seguiva un programma specifico legato alla padronanza delle fonti scritte e orali della tradizione ebraica, ma aggiungeva percorsi di approfondimento relativi alle lingue semitiche e alla storia, oltre a una preparazione specifica del rabbino quale pastore d’anime e predicatore.
Nel 1837 Olper si laureò in lettere presso l’Università di Padova e contemporaneamente conseguì il titolo di rabbino. Nello stesso anno, il 21 marzo, si sposò con la veneziana Benvenuta Coen. Tornato nel 1838 a Venezia come vicerabbino a fianco di Abraham Lattes, dimostrò subito un’accentuata predisposizione per l’insegnamento. In aggiunta alle funzioni ufficiali legate alla sua carica (che a un certo punto decise di lasciare), aprì un collegio convitto di giovani israeliti dedicato all’istruzione dei fanciulli, seguendo fra l’altro la formazione di Filosseno Luzzatto, figlio prediletto del suo maestro padovano Samuel David Luzzatto.
La sua formazione culturale moderna, unita a un carattere particolarmente inquieto, contribuirono a farne uno dei protagonisti del 1848-49 a Venezia. Di sentimenti apertamente repubblicani, membro del mazziniano Circolo italiano, ma molto legato a Daniele Manin che sostenne fino alla fine dell’esperienza rivoluzionaria, si dedicò completamente alla causa dell’indipendenza che gli sembrava naturale conseguenza del suo percorso umano e della sua formazione. «Cristiani ed ebrei / semo tuti fradei, / ebrei e cristiani / semo tuti italiani» sono alcuni dei versi che gli furono attribuiti (Perini-Bembo, 1957, p. 810).
Nonostante il non elevato valore letterario, questi versi esprimono bene le linee programmatiche che guidavano l’azione politica di Olper, e assieme a lui quella a volte più timida e meno decisa di gran parte degli ebrei italiani che vivevano l’epoca dell’emancipazione. Si trattava di appoggiare con il pensiero e con l’azione tutte quelle trasformazioni che allontanavano dall’Antico Regime, responsabile dell’emarginazione quando non della diretta persecuzione della minoranza ebraica. Nel contempo bisognava affermare con forza l’adesione degli ebrei al comune sentimento di italianità, che – specie per i ceti borghesi urbani – prometteva di concretizzarsi in una nuova e inedita possibilità di autoemancipazione in cui gli ebrei stessi volevano muoversi come protagonisti alla pari, superando le barriere dei pregiudizi religiosi che erano ancora ben presenti nella società cristiana.
Olper fu da subito protagonista dell’esperienza della Repubblica veneta in qualità di segretario del governo provvisorio proclamato il 22 marzo 1848, dopo la liberazione di Manin e Niccolò Tommaseo dalle carceri austriache.
Fonti incerte e contraddittorie gli attribuiscono un episodio probabilmente inventato, ma che esprime bene quel che ci si aspettava in termini di fedeltà alla causa nazionale da parte degli ebrei recentemente emancipati. Si narra che durante una manifestazione in piazza S. Marco abbia preso un crocefisso dalle mani di Ugo Bassi e abbia esortato la folla urlando: «Veneziani, per Iddio, movetevi, movetevi per questo segno di concordia che io bacio augurando alla fortuna d’Italia!» (Il Risorgimento, 19 febbraio 1877).
Dimostrò con la concreta azione politica quanto fosse cruciale per la comunità ebraica l’appoggio incondizionato all’esperienza della repubblica e al percorso risorgimentale. Nel giugno 1848, partecipò alle elezioni a suffragio universale (maschile) dell’Assemblea dei deputati della provincia di Venezia risultando eletto insieme ad altri due rappresentanti ebrei, Isacco Pesaro Maurogonato e Jacopo Treves. Schierato costantemente con i repubblicani, contribuì durante i lavori dell’Assemblea a redigere il testo del giuramento nei tribunali specificatamente previsto per gli israeliti. Per rafforzare il proprio impegno politico, in un clima di grande incertezza dovuto alle emergenze dello scontro bellico con l’Austria e alla confusione del quadro politico nella stessa Repubblica veneta, contribuì a fondare, insieme a Francesco Dall’Ongaro, Pacifico Valussi e Giuseppe Vollo (ai quali più tardi si aggiunse anche Gustavo Modena), il giornale Fatti e parole, che fu colpito dalla censura durante la svolta moderata e filosabauda guidata da Jacopo Castelli nel luglio 1848. Venduto in più di 10.000 copie al giorno, il quotidiano sostenne fermamente la difesa a oltranza di Venezia e fu strumento di raccolta fondi per le esangui casse della Repubblica.
Nel gennaio 1849, venne eletto alla nuova Assemblea dei rappresentanti ottenendo 616 preferenze e proseguì con rinnovata energia la sua azione politica partecipando attivamente ai lavori d’aula. Il 7 marzo propose con successo di nominare Manin presidente di un nuovo governo e di affidargli la nomina dei ministri, mentre il mese seguente non riuscì a convincere l’Assemblea ad approvare l’invio di commissari a Firenze e a Roma per stabilre un patto con gli Stati democratizzati dell’Italia centrale. Fedele ai suoi ideali, accettò comunque di seguire Giovanni Battista Castellani, inviato da Manin a rappresentare lo Repubblica veneta presso la Repubblica Romana.
In quell’occasione le sue convinzioni politiche e la sua aperta simpatia per Giuseppe Mazzini vennero messe a dura prova, tanto da manifestare tutta la sua delusione in una lettera del 24 aprile 1849 a Nicolò Rensovich: «Io penso che al più piccolo attacco, sia interno od esterno, il Paese dovrà cedere; e tutto per colpa del Governo, e non del Popolo... Dopo tre volte che parlai a lungo con Mazzini, ebbi a persuadermi il nostro Manin valer egli solo ben cento Mazzini» (Ginsborg, 2007, p. 412).
Sorpreso a Roma dagli avvenimenti bellici, non poté far ritorno a Venezia e fu costretto all’esilio. Completamente privo di mezzi di sussistenza, messo sotto controllo dalla polizia austriaca, si trasferì a Firenze, dove dal 1849 al 1853 fu rabbino maggiore. Il passaggio dall’intensa esperienza rivoluzionaria al più tranquillo ruolo di guida spirituale e pastore d’anime di una comunità ebraica fu un’esperienza piuttosto difficile da affrontare sul piano umano. La nuova attività lo condusse a dedicarsi all’impegno sociale, contribuendo, in particolare, a fondare una società d’arti e mestieri per istruire i giovani israeliti fiorentini e indirizzarli verso nuove competenze professionali. Continuò, tuttavia, a frequentare gli ambienti politici e culturali animando gli incontri presso il Gabinetto Vieusseux. Spirito inquieto, decise nuovamente di abbandonare la professione rabbinica spostandosi a Livorno dove per due anni – dal 1855 al 1857 – insegnò privatamente ebraico e italiano.
Guardò poi al vicino Piemonte – allora meta principale di numerosi esuli – dove aveva, tuttavia, difficoltà ad accedere in quanto privo di adeguato passaporto (formalmente restava cittadino asburgico). Invitato a ricoprire il ruolo di rabbino maggiore presso l’università generale israelitica del Monferrato che comprendeva, oltre al capoluogo Casale, anche i centri di Acqui, Moncalvo e Nizza Monferrato, dovette superare le resistenze austriache che lo volevano sorvegliato speciale in Toscana. Riuscì, infine, a ottenere dal console statunitense un passaporto provvisorio che gli permise di raggiungere Genova e da lì la sua sede rabbinica. Fu rabbino a Casale dal 1857 al 1859 e in seguito fu chiamato a Torino, dove succedette a Lelio Hillel Cantoni nella carica di rabbino maggiore, che ricoprì fino alla morte.
Non sono note sue produzioni letterarie di rilievo, anche se viene segnalata un’intensa attività di composizione poetica, che tuttavia non trovò mai collocazione editoriale. Vennero però date alle stampe alcune sue prediche sinagogali e interventi nel campo della pedagogia e dell’assistenza sociale. Il suo nome è legato, nella sua funzione di rabbino, alla promulgazione di quello che è noto come il più importante tentativo ufficiale di introdurre una riforma del culto nelle comunità israelitiche italiane nel corso del XIX secolo.Il 5 aprile 1865 pubblicò la sua decisione di ridurre il periodo prescritto di lutto stretto portandolo da sette a tre giorni. Si trattava di una riforma limitata, ma in piena regola, che Olper basava su tre punti di innovazione. In primo luogo considerava l’ebraismo una religione basata su principi intangibili, ma i precetti tradizionali unicamente come mezzi di difesa dei medesimi principi, suscettibili quindi di possibili modifiche. Criticava poi decisamente la legge orale e i suoi compilatori, che, a suo parere, avrebbero appesantito di inutili orpelli la pura religione. Proponeva, infine, l’eliminazione degli usi che distinguevano l’ebreo dal non ebreo; per esempio diede il permesso agli uomini in lutto (di regola obbligati a lasciarsi crescere la barba per un mese) di sbarbarsi dopo il settimo giorno per non apparire in disordine. Sulla decisione di Olper si aprì un intenso dibattito: quasi tutti i maggiori rabbini italiani espressero opinioni e critiche dalle pagine dell’Educatore Israelita e del Corriere Israelitico, i due importanti giornali ebraici italiani di Vercelli e Trieste. Si crearono così sostanzialmente due schieramenti: da un lato venne pubblicata una lettera scritta su iniziativa dei rabbini di Livorno e sottoscritta da 14 colleghi, che condannava senza appello la decisione di Olper come contraria alla legge. Sull’opposto versante, si posero altri 7 rabbini, i quali pur dichiarandosi favorevoli allo spirito della riforma, vincolarono quest’ultima a una decisione collegiale che coinvolgesse la totalità dei rabbini italiani per evitare spaccature e contrapposizioni. Soltanto il rabbino Marco Levi di Biella si pronunciò decisamente a favore della riforma di Olper.
Dopo rapida malattia, morì a Torino il 14 febbraio 1877.
Opere: Discorso pronunziato il primo giorno della festa delle settimane, 7 giugno 1851 nel tempio principale degl’israeliti in Firenze da S.S. O., Prato 1851; Della eccellenza della legge mosaica. Orazione pronunziata nel tempio israelitico di Casale il sabato 19 aprile 1856 dal rabbino maggiore S.S. O., Casale 1856; Discorso d’ingresso alla cattedra rabbinica dell’Università israelitica di Torino il giorno 1 aprile 1859 nell’oratorio maggiore di rito italiano, Torino 1859; Alli signori capi di famiglia dell’Università israelitica di Torino, ibid. s.d.; Rapporto morale e finanziario pel 1865 intorno all’Ospizio israelitico di Torino, letto la sera del 18 marzo 1866 dal presidente S. O. rabbino maggiore all’assemblea generale ordinaria, ibid. 1866; Prime letture a compimento del sillabario per la prima classe elementare, sezione inferiore. Ridotte ad uso degl’israeliti da S. O. R.M. mediante variazioni ed aggiunte adottate dalla Commissione per la diffusione di buoni libri fra gl’israeliti italiani, ibid. 1866.
Fonti e Bibl.: Necr.: F. Servi, S.S. O., in Il Vessillo israelitico. Rivista mensile per la storia, la scienza e lo spirito del giudaismo, febbraio 1877, pp. 65-68; S. Ghiron, Nelle esequie del rabb. magg. cav. S. O., Torno 1877. Inoltre: F.A. Perini-Bembo, Giuseppe Giacomo Dalmedico «garibaldino di vecchio stampo», in Rass. stor. del Risorgimento, XLIV (1957), 4, p. 810; G. Luzzatto Voghera, Il prezzo dell’eguaglianza. Il dibattito sull’emancipazione degli ebrei in Italia (1781-1848), Milano 1998, pp. 148, 178, 181, 183 s.; P. Ginsborg, Daniele Manin e la rivoluzone veneziana del 1848-49, Torino 2007, pp. 286, 298, 300, 303, 330, 333, 371, 377, 384, 412; T. Catalan, Italian jews and the 1848-49 revolutions, in The Risorgimento revisited. Nationalism and culture in nineteenth-century Italy, a cura di S. Patriarca - L. Riall, New York 2012, pp. 221, 229.