SAMBATION (ebraico Sambạtyōn, più raramente Sanbaṭyōn o Sabbaṭyōn, da una forma greca [Σαμβατεῖιν]; o anche Sabbaṭyānōs da una forma secondaria greco-latina Σαββατιανός)
Fiume leggendario, che si raccontava scorresse per sei giorni della settimana, ma non il sabato. L'origine della leggenda si deve probabilmente cercare nell'osservazione di qualche sorgente intermittente (per opinioni diverse vedi appresso).
Plinio (Nat. Hist., XXI, 24) parla di un ruscello (rivus) in Giudea, che tutti i sabati si secca. E Flavio Giuseppe (Guerra giud., VII, 96-99) riferisce che Tito avrebbe veduto, presso Arca del Libano, un fiume (ποταμός) che scorreva solo per un giorno della settimana e restava asciutto gli altri sei, e che era perciò chiamato "sabbatico" (σαββατικός). Nonostante la divergenza nella localizzazione (che può spiegarsi intendendo il toponimo "Giudea" di Plinio in senso largo e approssimativo) e quella del numero dei giorni di attività, è probabile che entrambi gli scrittori si riferiscano a un medesimo corso d'acqua. L'idea di un rapporto fra questo fenomeno e il sabato sarà sorta primamente in ambiente giudeo-ellenistico, come mostra l'originaria forma greca del nome. Però, essa passò ben presto anche nel giudaismo rabbinico: Rabbī ‛Aqībā (morto nel 135 d. C.) si richiama al Sambation cessante di fluire il sabato come a una prova naturale della santità di questo giorno. Era ovvio che la notizia si prestasse ad amplificazioni leggendarie, e che conseguentemente il fiume fosse localizzato in remote lontananze. E poiché già esisteva una leggenda secondo la quale le dieci tribù d'Israele, condotte in esilio dagli Assiri, si sarebbero ritirate, per vivere una vita conforme alla Legge, in un paese lontano di là da un fiume la cui corrente si sarebbe miracolosamente arrestata per permettere loro di passare oltre, e di nuovo si sarebbe dovuta arrestare alla fine dei tempi per permettere il loro ritorno alla terra dei padri (IV Esdra, XIII, 40-47), le due leggende vennero a fondersi e a confondersi, e già nel sec. III si parlò del Sambation come del fiume di là dal quale risiedono le dieci tribù d'Israele (Běrēshīt Rabbā, LXXIII, 6, e altri passi della letteratura rabbinica: ad es., Targūm Ps.- Yōnātān a Es. XXXIV, 10, e Talm. pal., Sanhedrīn, X, 5). Un'altra contaminazione si ebbe poi fra la leggenda delle tribù d'Israele e la leggenda di Alessandro. In questa si aveva, già nella redazione greca dello Pseudo-Callistene, il motivo del "fiume di sabbia" (originato forse dall'osservazione dei movimenti della sabbia nel deserto), la cui corrente è formata alternativamente per tre giorni di acqua e per tre giorni di sabbia. Poiché la leggenda di Alessandro si diffuse largamente presso i popoli orientali, esercitando la sua influenza sulle loro tradizioni (il "fiume di sabbia" si ritrova poi, e con esso altresì il "mare di sabbia", anche presso i geografi arabi), e a sua volta subendo l'influsso di esse, i due fiumi analoghi fra loro vennero anche in questo caso ad essere identificati. E così, da un lato si parlò, nelle redazioni ebraiche e arabe della leggenda di Alessandro, del "fiume di sabbia" formato di sabbia e di pietre scorrenti tumultuose per sei giorni e fermantisi nel sabato; dall'altro lato, nelle leggende giudaiche sulle lontane tribù d'Israele, a partire dal racconto di Eldād ha-Dānī (v.), secondo il quale il Sambation segna il confine fra le tribù di Dan, Aser, Gad, Neftali e quella dei "figli di Mosè" vivente al di là di esso, il fiume sabbatico non fu più, o non più soltanto, menzionato come un fiume di acqua, ma piuttosto, o più spesso, come un fiume di sabbia e di pietre. A ciò aiutarono le parole del già citato Rabbī ‛Aqībā circa il Sambation "trascinante pietre" per sei giorni della settimana: queste parole, originariamente riferentisi alle pietre travolte dall'acqua del fiume, furono poi intese nel senso che le pietre precipitassero di per sé stesse. Attraverso i secoli la leggenda del Sambation e delle tribù d'Israele dimoranti oltre ad esso si perpetuò nella letteratura ebraica, in testi agadici, in opere geografiche, in racconti di viaggiatori, ed è ancor oggi viva negli ambienti giudaici come tradizione popolare.
Nella stessa guisa come presso gli Ebrei, così anche presso i Samaritani s'incontra la credenza nell'esistenza di correligionarî di là dal fiume sabbatico. E anche nella letteratura araba musulmana (al-Qazwīnī, Cosmografia, ed. Wüstenfeld, II, 17) si trova la menzione dei "figli di Mosè" viventi in una remotissima contrada, di là dal "fiume di sabbia". E nella lettera latina del Prete Gianni (sec. XII) si ricorda il fiume di pietre, corrente per tre giorni fino al "mare di sabbia" e per tre giorni fermantesi, dietro al quale abitano le dieci tribù d'Israele.
Proposte diverse da quelle suindicate circa l'etimologia del nome e circa l'origine della leggenda sono state presentate in passato, ma non sono accettabili. Notevole fra le altre è quella secondo cui la leggenda sarebbe sorta da un fraintendimento del nome nĕhar ḥōl "fiume di sabbia", nel senso di "fiume dei giorni lavorativi" (l'ebraico hōl può avere i due sensi): ipotesi ingegnosa ma non certo rispondente a realtà.
W. Bacher, Agada der Tannaiten, I, 1ª ed., Strasburgo 1884, p. 297; A. Neubauer, in Jewish Quarterly Review, I (1888-89), passim; id., in Qōbeṣ, ‛al yad, IV Berlino 1888, pp. 6-74; A. Epstein, Eldad ha-Dani, Presburgo 1891, passim; D. Kaufmann, in Revue des études juives, XXII (1891), pp. 285-87; Th. Nöldeke, Denkschriften der kais. Akad. der Wissensch. (Phil. -hist. Klasse) XXXVIII, Vienna 1890, p. 48; D. H. Müller, ibid., XLI, Vienna 1892, pp. 5, 7, 66-69; L. Ginzberg, Legends of the Jews, Filadelfia 1909-28; id., in ha-Goren, IX, Berlino 1923, p. 43 segg.; C. Conti Rossini, Leggende geografiche giudaiche del IX sec. (il Sefer Eldad), Roma 1925 (estr. dal Bollettino della R. Società geografica italiana, 1925, fasc. 1-6).