SAMARITANI
Quando, nel 721 a. C., la città di Samaria fu distrutta dagli Assiri, gli abitanti israeliti della città e del regno omonimo furono deportati in massima parte in Assiria secondo ciò che usavano fare dopo una decisiva vittoria gli Assiri, e in vece loro furono importate nel territorio semivuoto altre popolazioni che nel frattempo gli Assiri avevano soggiogate nelle contrade di Babilonia, Kutha, Hamath, Avva, ecc. I nuovi importati, pur essendo di altre lingue, religioni e costumanze, finirono per mescolarsi con i miserabili resti della razza ebraica ch'erano stati lasciati in paese, e da questa mescolanza sorsero i Samaritani, che sotto l'aspetto etnico furono dapprincipio una razza che, sia per questa discendenza sia per il suo sincretismo religioso, fu sempre oggetto di riprovazione per gli Ebrei ortodossi di Gerusalemme.
Dell'odio scambievole fra Samaritani e Giudei sono tracce, fra altro, anche nei Vangeli; la donna samaritana, a cui Gesù chiese da bere, si meravigliò che egli, essendo Giudeo, le rivolgesse la parola (Giovanni, IV, 5 segg.); altri Samaritani rifiutarono d'albergare Gesù perché era diretto a Gerusalemme (Luca, IX, 52-53); in una parabola che mirava a presentare la vera essenza della carità (Luca, X, 30 segg.), Gesù, per reazione contro l'odio tradizionale, assegnò la parte di caritatevole benefattore a un samaritano. Nella Bibbia stessa l'autore dell'Ecclesiastico (L, 25-26, testo greco) ha parole di cordiale riprovazione verso i Samaritani.
Gli stranieri importati nel territorio samaritano recarono con sé le credenze religiose e i culti delle loro contrade; tuttavia vi si aggiunse, e in maniera prevalente, la religione per il Dio d'Israele, Jahvè, già adorato nel territorio sotto forma di vitello nei due santuarî di Dan e di Bethel, tanto più che il re d'Assiria inviò agli stranieri importati uno dei sacerdoti ebrei già condotto in esilio "affinché insegnasse loro il culto del Dio della regione" (II [IV] Re, XVII, 27), cioè Jahvè, in ossequio all'antico principio che ogni regione aveva il suo dio locale. Da questa mescolanza sorse quel carattere sincretistico che ebbe il culto dei Samaritani, pur avendovi una certa prevalenza elementi della religione d'Israele.
Per ricondurre i Samaritani nell'ortodossia jahvistica e sotto la diretta influenza di Gerusalemme furono fatti tentativi dal giudaismo preesilico; viceversa, i Samaritani sembra che tentassero ai tempi di Neemia di cooperare alla restaurazione della comunità giudaica di Gerusalemme: ma, come i primi tentativi approdarono a ben poco, così i secondi con le ripulse opposte dal puritanismo dei restauratori non servirono che ad accrescere la mutua avversione.
Il distacco fu sempre più approfondito con la costruzione di un tempio samaritano sul monte Garizim, che - jahvistico anch'esso - doveva essere il contrapposto al tempio jahvistico di Gerusalemme. Stando a Flavio Giuseppe (Antichità giudaiche, XIII, 9,1; Guerra giud., I, 2,6), questo tempio fu costruito 200 anni prima della sua distruzione, avvenuta nel 128 a. C. per opera di Giovanni Ircano, quindi verso il 328. Esso cioè sarebbe sorto ai tempi in cui sotto i colpi di Alessandro Magno crollava l'impero persiano, e quindi restavano aboliti i privilegi e favori già concessi dagli Achemenidi alla comunità giudaica di Gerusalemme: tuttavia dal racconto dello stesso Flavio Giuseppe in Antichità, XI, 7,2; 8,1-4, risulterebbe che l'iniziatore di quel tempio sarebbe Sanballat, verosimilmente lo stesso a cui allude ai suoi tempi Neemia (Neemia, XIII, 28), ma è probabile che la cronologia di quest'ultimo racconto di Flavio Giuseppe sia errata. L'iniziativa della costruzione d'un tempio samaritano, che facesse da contraltare al tempio di Gerusalemme, dev'esser partita da sacerdoti e altri giudei profughi da Gerusalemme, perché insofferenti della rigorosità puritana instauratavi da Neemia, e concentratisi presso i Samaritani: ivi, soltanto alla caduta dell'impero persiano, essi avrebbero avuto dalle nuove autorità greche il permesso di costruire il tempio antagonista.
Secondo un'altra notizia di Flavio Giuseppe (Antichità, XI, 8,6), Alessandro Magno condusse un certo numero di Samaritani in Egitto, insediandoli nella Tebaide con assegnar loro terreni e la guardia della regione: si trova difatti menzionata talvolta nei papiri egiziani del sec. III una località del medio Egitto chiamata Samaria, il che sembra confermare la notizia di questo insediamento. Un'altra immigraziorie di Samaritani, in Alessandria, sembra avvenuta ai tempi di Tolomeo I Sotere (Antichità, XII, 1,1). Passati sotto il dominio dei Seleucidi ai tempi di Antioco III il Grande, i Samaritani appaiono come nemici dei Giudei al tempo dei Maccabei (I Macc., III, 10 segg.). Giovanni Ircano, riprendendo la lotta contro di loro, anche prima di distruggere la città di Samaria, distrusse nel 128 a. C. l'odiato tempio sul Garizim, ch'era lontano dalla città, il che non fece che esacerbare sempre più la rivalità fra le due razze.
Passati sotto la giurisdizione di Roma ai tempi di Pompeo Magno, i Samaritani non soffrirono persecuzioni né da Roma né da Erode il Grande, a cui fu ceduto il loro territorio da Augusto. Sotto il procuratore Ponzio Pilato molti di essi furono uccisi in occasione di una loro adunata sul monte Garizim proibita da Pilato, e a questa strage e attribuita la destituzione del procuratore e il suo invio a Roma a giustificarsi presso Tiberio (Antichità, XVIII, 4,1-2). Durante la guerra di Vespasiano molti Samaritani si adunarono sul Garizim per opporre resistenza ai Romani: Vespasiano inviò contro di loro Cereale comandante la Legione V, che li assalì uccidendone 11.600 (Guerra giud., III, 7, 32).
L'odio contro i Giudei fu esteso anche contro i cristiani dai Samaritani, che più volte ne distrussero le chiese e misero a morte i fedeli; ma dagl'imperatori Zenone e Giustiniano furono puniti così severamente, che da quei tempi decaddero sempre più. Nel 1163 il viaggiatore Beniamino di Tudela trovò che i Samaritani erano una piccola minoranza, sparsa fra Nābulus, Cesarea, Ascalon e Damasco.
Oggi, salvo qualche famiglia rimasta isolata altrove, i Samaritani sono rappresentati dall'esiguo nucleo residente a Nābulus (Naplusa), che conta fra città e dintorni poco più di 200 samaritani. Ivi essi risiedono nel quartiere più squallido della città, dove hanno anche un misero locale che serve da sinagoga e che conserva il celebre codice del Pentateuco samaritano. Il loro declino demografico sempre maggiore è diretta conseguenza del loro esclusivismo di razza, che non ammette nozze con persone d'altre stirpi e seguaci d'altri culti; l'esiguo numero a cui sono ridotti si dibatte nella doppia difficoltà di evitare matrimonî stranieri e nozze incestuose.
Dottrine e costumanze. - Nessun dubbio che la dottrina e il culto religiosi dei Samaritani fossero dapprincipio ispirati a un largo sincretismo, che faceva posto ai varî dei delle popolazioni importate nel paese dalle varie contrade dell'Asia anteriore per opera degli Assiri, pur riserbando un posto predominante all'israelitico Jahvè "Dio della regione" (v. sopra): in questo tollerante pantheon il dio Jahvè sembra bene che fosse adorato, secondo l'antica tradizione locale, sotto forma di vitello.
Tuttavia più tardi, nei tempi posteriori all'esilio, i molti giudei, specialmente del ceto sacerdotale, che si rifugiarono da Gerusalemme a Samaria, dovettero operare una specie di riforma in senso iahvistico entro quest'amalgama sincretista, in debole corrispondenza alle energiche riforme che nel frattempo si andavano operando nella comunità giudaica di Gerusalemme; a questa riforma operata dai sacerdoti iniziatori del tempio scismatico sul Garizim, si dovette una purificazione del culto samaritano e precisamente in senso antiidolatrico. Nonostante, infatti, il profondo odio di Gerusalemme per Samaria, non troviamo, fra le molte accuse rivolte in questo tempo dai Giudei ai Samaritani, l'accusa d'idolatria, che non sarebbe certo mancata se il tempio sul Garizim avesse ancora albergato idoli di Jahvè sotto forma di vitello, o di altri dei.
Fondamentale è poi il fatto che i Samaritani riconoscano fra i libri sacri del giudaismo l'intero e identico Pentateuco di Gerusalemme, e nessun altro dei libri seguenti a esso (un libro samaritano di Giosuè è una compilazione del sec. XII d. C., priva di ogni valore storico o canonico). Se dunque il Pentateuco dei Giudei è stato accolto dai Samaritani, nonostante l'odio scambievole e lo scisma religioso sancito dalla costruzione del tempio sul Garizim, esso vi dovette penetrare prima della definizione totale di quello scisma e prima che fosse costruito quel tempio: cioè prima dell'epoca di Alessandro Magno. Il libro sacro vi fu quindi importato dai sacerdoti profughi da Gerusalemme, in un'epoca in cui la collezione dei libri del Pentateuco era già compiuta presso il giudaismo, mentre non erano ancora compiute le collezioni dei "Profeti" e degli "Agiografi" che nella Bibbia ebraica odierna tengono dietro al Pentateuco.
Il Pentateuco samaritano corrisponde esattamente nelle sue cinque parti a quello ebraico (v. pentateuco), e anche quanto al testo è lo stesso: la quale esatta corrispondenza era già nota agli antichi (cfr. S. Girolamo, Prologus galeatus). La discrepanza sta nella grafia, poiché quello samaritano è scritto in lettere samaritane, molto più vicine all'antica scrittura ebraica che non le lettere quadrate impiegate nella Bibbia ebraica fino da tempi precristiani; vi sono inoltre discrepanze testuali, gran parte delle quali dovute ai soliti fenomeni di trascrizione manuale, ma talune anche a tendenziosità partigiana (ad es., la sostituzione del nome Garizim a quello di Ebal, in Deuteronomio, XXVII, 4).
Il codice del Pentateuco samaritano conservato oggi nella sinagoga di Nābulus (v. sopra) è ritenuto da taluni non anteriore al sec.. XII d. C., mentre altri lo fanno risalire al sec. I d. C.; a ogni modo è certo falsa la tradizione dei Samaritani del luogo che lo assegna all'epoca dell'ingresso degli Ebrei in Palestina.
Alcuni altri codici, di età assai tardiva (dopo il sec. XII d. C.), sono conservati in biblioteche europee.
Secondo una notizia di Flavio Giuseppe (Antichità giud., XII, 5,5), i Samaritani durante l'azione ellenizzatrice e antigiudaica di Antioco IV Epifane consacrarono spontaneamente il loro tempio sul Garizim a Zeus Hellenios; la notizia non è immune da qualche sospetto, perché in quel punto Giuseppe attinge a una fonte giudaica di polemica antisamaritana: ma anche accettandola come vera si può benissimo spiegare il fatto attribuendolo a un'iniziativa del partito ellenistico, che esisteva a Samaria come a Gerusalemme. (cfr. II Maccabei, VI, 2).
Anche oggi i Samaritani di Nābulus celebrano la Pasqua in maniera che ha notevoli divergenze dall'analogo rito ebraico. Sembra che nei tempi antichi la Pasqua fosse celebrata da loro in maniera privata, mentre da circa il sec. XII d. C. si andò confermando l'uso di celebrarla in comune come festa della nazione sul monte Garizim.
Le varie dottrine dei Samaritani rimangono ancora poco conosciute, contenute come sono in testi ancora inediti e di difficile accesso. Base della loro fede è la Legge (Pentateuco), che ha ricevuto tuttavia adattamenti pratici da un'ulteriore legislazione trasmessa per lungo tempo oralmente e più tardi fissata occasionalmente in scritto: così sorsero il Tābah di Ab Ḥasda (sec. X d. C.), compilazione di norme riguardanti il sacerdozio, i sacrifici, i computi cronologici, ecc.; il Ḥillūk, cioè il "cammino" lungo le vie della Legge; l'Assātī, ecc. Nel campo dell'escatologia i Samaritani attendono una specie di Messia, il Taheb (Shaheb), che sarà un riformatore sul tipo di Mosè, ricondurrà iI suo popolo sulle vie divine e ristabilirà per 1000 anni dopo la sua morte un regno divino di gloria.
È da notare, tuttavia, che molti dei testi samaritani che circolano manoscritti sono semplici falsificazioni, redatte in tempi recentissimi a scopo di lucro e prive di ogni valore documentario. Di qui la grande difficoltà di delineare un sistema ben fondato delle dottrine dei Samaritani.
La lingua samaritana. - Appartiene al gruppo di lingue semitiche detto aramaico (v. aramei), e precisamente al ramo occidentale dell'aramaico. Da principio fu, in sostanza, il dialetto semitico parlato in Palestina nel tempo successivo al ritorno dei Giudei dall'esilio di Babilonia, nella quale regione gli esuli cominciarono a servirsi abitualmente dell'aramaico, che poi importarono in patria sostituendolo all'ebraico. Le successive vicende storiche, e specialmente l'ostilità fra i Samaritani e i Giudei di Gerusalemme, influirono nel distinguere l'idioma dei primi da quello dei secondi (aramaico giudaico palestinese), che pure gli è somigliantissimo.
Alcune caratteristiche della lingua samaritana sono: che le gutturali hanno perduto il loro valore consonantico (occasionano perciò nella scrittura samaritana scambî gravissimi); che alcune forme più antiche tipicamente ebraiche, sia nel verbo sia nel nome, si sono conservate a fianco di forme più recenti aramaiche (ad esempio, nel nome si è conservata la forma ebraica con l'articolo, a fianco della forma aramaica dello istato enfatico"); che spesso occorrono forme verbali in cui la desinenza della prima persona del perfetto è rappresentata dal k, come nell'etiopico e in dialetti arabi meridionali, in luogo del t; ecc.
La scrittura samaritana (v. sopra) è chiamata dai Samaritani "scrittura ebraica", mentre l'odierna scrittura ebraica "quadrata" è da essi chiamata "scrittura giudaica".
Qualunque storia dell'antico ebraismo tratta anche dei Samaritani, per cui vedi la bibliografia a ebrei; cfr. inoltre, J. A. Montgomery, The Samaritans, the earliest Jewish Sect, Filadelfia 1907; J. W. Rothstein, Juden und Samaritaner, Lipsia 1908; A. Cowley, The Samaritan Liturgy, voll. 2, Oxford 1909; M. Gaster, The Samaritans, Oxford 1926; J. Jeremias, Di Passahfeier der Samaritaner, Giessen 1932; M. Gaster, Samaritan Eschatology, I, Londra 1932. Il Pentateuco ebraico in caratteri samaritani è stato edito criticamente da A. von Gall, Der hebräische Pentateuch der Samar., voll. 2, Giessen 1914-1918; per la lingua, H. Petermann, Brevis linguae sam. gramm., Berlino 1873.