BENTIVOGLIO, Salvuzzo
Figlio di Antoniolo, nacque, probabilmente, poco prima della metà del sec. XIV, poiché un cronista bolognese coevo, ricordandolo a proposito dei fatti del 1377, dice che era "giovane di età". La prima notizia che abbiamo di lui è del 1365, quando, il 7 aprile, partì da Bologna assieme con un gruppo di 280 cittadini per compiere un pellegrinaggio votivo a San Giacomo di Compostella. Le cronache che narrano l'episodio della partenza di un così numeroso pellegrinaggio dicono anche che, giunti ad Avignone, i pellegrini bolognesi furono trattenuti da papa Urbano V, che vietò loro di proseguire perché sarebbe stato pericoloso, in quanto sudditi pontifici, andare in Spagna proprio mentre la Chiesa era in urto col re di Castiglia Alfonso XI. Poi il pontefice, dopo aver concesso loro le indulgenze che avrebbero lucrato andando a San Giacomo di Compostella ed averli esortati ad essere fautori di pace e di concordia nella loro città che tanto era cara al suo cuore, li indusse a far ritorno in patria.
Bologna, in quegli anni, come un po' tutte le terre degli Stati pontifici da poco ricostituiti per opera dell'Albornoz, si mostrava restia a sottostare alla nuova disciplina imposta dal governo severo e talora tirannico dei legati papali. Inoltre, poiché su di lei si appuntavano le brame di Bernabò Visconti e l'attenzione interessata dei Fiorentini, e poiché si trovava sotto lo stimolo di opposti interessi e per di più divisa fra Scacchesi e Maltraversi, la città viveva una vita politica agitata e confusa. L'intima debolezza del Comune bolognese apparve evidente, però, specialmente tra il 1375-76, quando, proprio per le interne discordie, parve estraniarsi ai grandi problemi del momento, mentre tutte le altre città dei dominio pontificio, sobillate dai Fiorentini, si ribellavano alla Chiesa.
Proprio in occasione dei fatti che, forzando la situazione interna cittadina, portarono alla riconquista della libertà, le cronache bolognesi tornano a far menzione del B. come di persona molto influente politicamente. Non c'è dubbio che tale sua importanza politica era in parte un riflesso della posizione preminente avuta per tanti anni da suo padre, ma essa derivava anche e principalmente dalla sua abilità di capo fazione e dalle doti personali per cui egli, che era notaio e giudice, si era procurato un gran numero di fautori. In questi frangenti, mentre sembrava che il dominio pontificio avesse i giorni contati, il B. era del parere che si dovesse tentare di conquistare la libertà con la forza. In questo egli era d'accordo con gli Scacchesi a cui apparteneva, ma la cosa non sembrava possibile perché mancava l'accordo tra i grandi, anzi vivissime erano le inimicizie tra Scacchesi e Maltraversi ed il popolo si mostrava del tutto indifferente. Ma accadde un fatto imprevisto: il legato pontificio Guglielmo di Noellet, trovandosi a corto di mezzi finanziari e non potendo perciò pagare il soldo alle milizie mercenarie che si trovavano ai suoi ordini, cedette loro in pegno i castelli bolognesi di Ragnacavallo e di Castrocaro, contravvenendo in tal modo ai patti concordati tra Niccolò III e il Comune di Bologna nel 1278. Questo provocò un vivo risentimento nei Bolognesi, i quali, prestando finalmente orecchio alle suggestioni e agli incitamenti che venivano da Firenze, il 20 marzo 1376 insorsero contro il Noellet. L'iniziativa della rivolta fu in gran parte di Taddeo Azzoguidi e della fazione scacchese di cui egli era capo, ma vi parteciparono anche i Maltraversi, dopo un segreto accordo stipulato fra le due fazioni, nella notte tra il 19 e il 20 marzo. Il B. fu, in questa circostanza, tra coloro che si adoperarono per combinare tale accordo e, insieme all'Azzoguidi e ad altri nobili della città e del contado, fu poi a capo dei ribelli che, il 20 marzo, al grido di "Popolo! Popolo!" assalirono i mercenari della Chiesa e, dopo un'aspra lotta, si impadronirono anche della persona del legato. Riconquistata la libertà, a governare Bologna fu istituito il Magistrato dei XVI gon.falonieri del popolo e i Massari delle arti, ma, come era prevedibile, l'accordo del 19 marzo non durò a lungo. Infatti, dopo una breve tregua, incominciarono di nuovo i contrasti fra le fazioni e infine, l'11 sett. 1376, i Maltraversi, accusati di avere stretto segrete intese per consegnare Bologna alla Chiesa, furono espulsi di città dagli Scacchesi. Ma la vittoria e il potere scompaginarono quasi subito anche gli Scacchesi i quali, per interne discordie, si divisero in due fazioni: quella detta dei Pepoleschi, i quali segretamente si adoperavano, con a capo Taddeo Azzoguidi, per far richiamare in città i Pepoli e per farli signori di Bologna, e l'altra, detta dei Raspanti ("imperò che voleano hone cosa per loro", come spiega un contemporaneo) che a questo ritorno si opponeva perché aspirava essa stessa al predominio. Di quest'ultima era capo il Bentivoglio. Anche questa volta il dissidio tra le due fazioni si acuì fino al punto che il 7 dic. 1376 i Raspanti sopraffecero con le armi gli avversari, li bandirono dalla città e incendiarono le loro case. In conseguenza di questa vittoria la fazione raspante poté finalmente considerarsi padrona del potere, in quanto non aveva più avversari in città, essendo tutti i principali oppositori in carcere o in esilio. Per rendere più completo e sicuro il proprio trionfo, i Raspanti ridussero allora a otto gli Anziani, a capo dei quali era un gonfaloniere di giustizia, ed elessero a tutti gli uffici della amministrazione comunale propri fautori. Non sembrava probabile, quindi, in quel momento un mutamento di regime: semmai era facile prevedere prossima l'instaurazione di una signoria raspante con a capo il B. che, dice un cronista, era divenuto "quasi uno Signore de Bologna".
Ma intanto, mentre continuava ancora la guerra contro le milizie pontificie e contro i fuorusciti, troppi interessi in breve spazio di tempo erano stati compressi e troppe persone offese. Veramente, in questo, il B. e gli altri capi dei Raspanti si comportarono come "poco savii" - è il giudizio di un contemporaneo - e come "zoveni de sermo e di tempo", com'essi erano in quanto, attirando contro di sé l'odio di troppi avversari, favorirono anche la coalizione delle loro forze e resero più facile anche una loro intesa col papa. Le conseguenze di ciò si videro inaspettatamente il 20 marzo 1377 quando, con furioso tumulto, il popolo bolognese si levò contro i Raspanti e tolse loro il potere. Il B., sorpreso dall'inopinata rivolta, fu fatto prigioniero e firil in carcere, da dove uscì circa sei mesi dopo per essere confinatoaRavenna. Non è possibile stabilire quando poté ritornare in città. Secondo una notizia fornita dal Chirardacci il B. era però già rientrato in Bologna nel maggio del 1389 quando partecipò alle esequie del card. Filippo Carafa; più tardi fece parte dell'ambasceria bolognese che nel novembre del 1391 si recò ad Imola per assistere ai funerali di Bertrando Alidosi, signore della città.
Il B. morì nell'anno 1395, combattendo nelle file dell'esercito bolognese, durante la guerra condotta contro Azzo d'Este in sostegno del piccolo Niccolò III signore di Ferrara.
Fonti e Bibl.: Matthaei de Griffonibus Memoriale historicum de rebus Bononiensium, in Rar. Ital. Script., 2 ediz.. XVIII, 2, a cura di L. Frati e A. Sorbelli, p. 75; Corpus Chronicorum Bononiensium, ibid., XVIII, 1, vol. III, a cura di A. Sorbelli, pp. 308, 336 s.; G. Ronco, Compendio della storia di Bologna dal 610 al 1400, a cura di L. Frati, in Bullett. d. Ist. stor. per il Medio Evo, XXXII (1912), pp. 48 s.; C. Ghirardacci, Della Historia di Bologna, II, Bologna 1657, pp. 353, 362, 431, 455, 476; O. Vancini, La rivolta dei Bolognesi al governo dei vicari della Chiesa (1376-1377), Bologna 1906, pp. 24, 40, 45 s., 53. 56; G. Litta, Le famiglie cel. italiane, Bentivoglio, tav. II.