RAMPONE, Salvatore Giuseppe
RAMPONE, Salvatore Giuseppe. – Nacque a Benevento il 6 giugno 1828 da Filippo ed Emilia Galasso.
Era il primo di due figli, di una tipica famiglia della borghesia professionale meridionale. Con il fratello Pietro compì studi classici presso il collegio dei Gesuiti. Fu in quella stagione che conobbe i progetti politici che marcarono una parte importante della sua generazione, soprattutto le idee neoguelfe, diffuse ampiamente nella città sannita.
Benevento era l’appendice napoletana dello Stato della Chiesa, ma anche un centro strettamente compenetrato con il Regno delle Due Sicilie. Pienamente coinvolta dal fenomeno di politicizzazione diffusa che segnò il Mezzogiorno nell’epoca risorgimentale, condivise le esperienze più sanguinose del 1799 e nel Decennio francese diventò feudo personale di Charles-Maurice Talleyrand-Périgord, principe di Benevento. Con la Restaurazione la carboneria raggiunse dimensioni massicce, anche se con caratteri municipali, individuando come principale obiettivo politico l’adesione al Regno delle Due Sicilie e la fine del regime pontificio, difeso invece strenuamente dai suoi avversari. La rivoluzione del 1820 vide prima i liberali trionfare in città e poi rimanere delusi per il rifiuto opposto dal Parlamento napoletano alla loro richiesta di aderire al Regno. La repressione pontificia del 1821 non spense l’intensa lotta politica locale né il processo di integrazione con lo scenario politico duosiciliano e italiano.
Alla metà degli anni Quaranta era attivo un comitato segreto, guidato da Salvatore Sabariani, che combinò ancora una volta le aspirazioni costituzionali con il progetto di portare la città nel Regno delle Due Sicilie. Dopo l’elezione di Pio IX i liberali, ai quali si aggregarono anche i giovani Rampone, si mobilitarono sperando nell’intervento – nuovamente mancato – dei napoletani. Il partito opposto unificò i conservatori filopontifici con le forze moderate e decise una dura reazione, con il rastrellamento dei cospiratori. Salvatore, che aveva aderito alla Giovine Italia, fu arrestato e tradotto in carcere.
Pochi mesi dopo, la proclamazione della Repubblica romana cambiò radicalmente il quadro politico. I beneventani furono liberati. Salvatore visse la stagione esaltante del romanticismo panitaliano e la difesa di Roma. In quei mesi riconfermò la sua adesione al movimento di Giuseppe Mazzini, al quale restò sempre legato. Alla caduta della Repubblica la repressione pontificia fu severa, alcuni capi liberali come Sabariani morirono in carcere, altri furono liberati solo durante l’invasione piemontese dello Stato della Chiesa. Tornato in libertà, Rampone fece la sua definitiva scelta di campo. Nell’ottobre del 1855 si sposò con la giovanissima Maria Pacifico. La moglie diventò membro attivo del movimento, facendo da staffetta con i gruppi che si ricostruirono nel Regno delle Due Sicilie. Salvatore raccolse i suoi coetanei, come Domenico Mutarelli, Lorenzo Isernia, figli di antichi dirigenti della carboneria. Tradizioni familiari, appartenenze di gruppo e interessi locali continuarono ad assorbire la sistematica politicizzazione della società meridionale confermando la sua capacità di mescolarsi con progetti di più ampio respiro. Rampone si collegò al Partito d’azione, mentre i rivali locali, che avevano tra i maggiori riferimenti Carlo Torre, si unirono ai moderati napoletani.
Quando iniziò la crisi del 1860, il gruppo di Rampone si trasformò in comitato insurrezionale, aderendo poi nell’estate al comitato d’azione garibaldino napoletano, in competizione con il comitato d’ordine controllato dai moderati per guidare i movimenti insurrezionali, conquistare le istituzioni e ottenere il consenso dei gruppi socialmente rappresentativi. Alla fine di agosto in gran parte delle province napoletane iniziò la rivoluzione, coordinata con l’avanzata finale di Giuseppe Garibaldi dalle Calabrie e favorita dal collasso del governo costituzionale. Rampone, insieme ai gruppi irpino e molisano, si mosse dopo aver ottenuto dal comitato della capitale l’agognato riconoscimento di Benevento come futura provincia napoletana.
Si attivarono schemi operativi collaudati nella lunga serie di rivolte, cospirazioni e insurrezioni che avevano marcato per mezzo secolo il Mezzogiorno italiano. In tutte le province si organizzarono campi per volontari, sottoscrizioni tra i notabili, depositi di armi e munizioni. La rivoluzione meridionale iniziò nelle due ultime settimane di agosto, con una omogenea ritualità: manifestazioni di piazza, proclami e manifesti, confluenza di dirigenti e armati sui centri del potere territoriale, trattative con i notabili più rappresentativi. A Benevento l’insurrezione fu decisa per il 3 settembre. Nei giorni precedenti i cospiratori isolarono la città, mentre i volontari irpini raggiunsero il centro sannita. Una grande manifestazione sfilò per Benevento, ma solo dopo che notabili, funzionari e gendarmi furono rassicurati che non si sarebbe fatta violenza e si sarebbero protetti uomini e beni. Rampone si recò in camicia rossa dal delegato apostolico Eduardo Agnelli e gli comunicò la decadenza del governo pontificio, ottenendo la sua resa e quella dei capi della polizia. Fu proclamata l’adesione al nuovo Regno d’Italia e poche ore dopo venne formato un governo provvisorio presieduto dallo stesso Rampone e composto da uomini del suo ‘partito’.
Il cambio di regime fu incruento, come in quasi tutte le province meridionali. Ancora una volta, il partito rivoluzionario si propose il definitivo riconoscimento da parte del governo napoletano, ora guidato dal dittatore Garibaldi, del passaggio di Benevento nel nuovo Stato, legittimando la sua posizione con il raggiungimento dell’antico obiettivo condiviso da settori importanti delle élites cittadine. Poche settimane dopo il generale firmò il decreto che accoglieva la richiesta. L’azione del governo rivoluzionario locale fu simile a quella delle altre giunte provinciali filounitarie: riduzione delle tasse, istituzione di tribunali civili, mantenimento della continuità dell’apparato amministrativo. Ricominciò però la contrapposizione tra gli uomini del Partito d’azione e i moderati, collocati nel campo cavouriano, per qualche momento sospesa di fronte all’emergenza rivoluzionaria.
Nel Napoletano la crisi fu risolta da Garibaldi e dai suoi uomini con una doppia mediazione: la convocazione del plebiscito e la nomina di governatori delle province appartenenti ai diversi gruppi che avevano sostenuto il cambio di regime (radicali, autonomisti, moderati). Rampone, anche per il suo carattere autoritario e spesso intollerante, fu sostituito come governatore dallo stesso Torre. Gli uomini del Partito d’azione tentarono di resistere. Il governo di Napoli inviò un corpo armato di volontari siciliani, esasperando le tensioni in città e determinando l’espulsione dell’arcivescovo Domenico Carafa della Spina. Pochi giorni dopo, Rampone subì un dramma ancora più grave: l’uccisione del fratello (impegnato con i garibaldini in Molise) da parte di insorgenti borbonici.
Negli anni successivi continuò il suo impegno nella politica locale. Fu tra i capi dell’opposizione radicale alla Destra, dove si erano collocati i suoi avversari sanniti. Fondò e diresse, dal 1863, il Nuovo Sannio, un giornale politico-amministrativo che diventò, secondo le consuetudini dell’epoca, il principale strumento di battaglia politica a livello regionale. Nel 1876 fu nominato presidente dell’Associazione progressista beneventana. La Sinistra di Giovanni Nicotera, ministro dell’Interno del primo governo Depretis, aveva conquistato buona parte della deputazione parlamentare meridionale. Ancora una volta si confermò la connessione tra processi politici nazionali e locali. A Benevento la Sinistra liberale, guidata da Rampone e da giovani dirigenti, occupò a catena tutti gli enti locali, travolse i moderati, portò il vecchio rivoluzionario nel Consiglio provinciale e i suoi alleati alla guida della città.
La sua vita privata fu complessa quanto quella pubblica. Nel 1864, a soli 24 anni, morì la prima moglie. Dopo qualche anno sposò una donna spagnola conosciuta a Napoli, Anna Maria Gonzales, con la quale ebbe tre figli, Pietro (che morì giovane), Edgardo e Adolfo. Anche la seconda moglie morì, nel 1876, e fu ricordata da Rampone in un elogio funebre in cui accostò le due donne scomparse. Pochi anni dopo si sposò una terza volta con una nobile di Pavia, Sofia Pavesi Negri.
Negli ultimi anni di vita si impegnò, come molti veterani del Risorgimento, a monumentalizzare la propria esperienza. Pubblicò le memorie sulla lotta politica beneventana (Memorie politiche di Benevento dalla rivoluzione del 1799 alla rivoluzione del 1860, Benevento 1899), ultima testimonianza di uno stretto rapporto fra storia locale e costruzione della nazione italiana.
Morì a Benevento il 30 marzo 1915.
Fonti e Bibl.: Fondamentali per la ricostruzione del percorso biografico di Rampone sono le sue citate Memorie politiche e l’opuscolo autografo Ricordi agli elettori politici dell’8 e 15 novembre 1874, s.l. 1874. Inoltre: R. De Cesare, La fine di un Regno, II, Città di Castello 1909, pp. 343 s.; M. Barricelli, S. R. presidente del governo provvisorio nel 1860, in Rivista storica del Sannio, II (1915), 3, pp. 185-192; A. Zazo, Per S. R. Ricordo delle onoranze tributategli in Benevento il 2 giugno 1925, Benevento 1925; Id., Il Sannio nella rivoluzione del 1860. I Cacciatori Irpini, Benevento 1927, pp. 10, 32 s. 49; Id., Il Sannio e l’Irpinia nella rivoluzione unitaria, in Archivio storico per le province napoletane, n.s., XL (1961), 79, pp. 161-184; F. Romano, Le vicende del Sannio storico e la provincia di Benevento nella rivoluzione meridionale, Benevento 1953, ad ind.; G. Vergineo, Storia di Benevento e dintorni, III, Benevento 1987, ad ind.; E. De Rimini, Storia della stampa sannita, Benevento 1997, pp. 44-46; Uomini eccellenti. La ritrattistica risorgimentale nel Museo del Sannio, Roma 2000, pp. 29, 46, 69; C. Pinto, La rivoluzione disciplinata del 1860. Cambio di regime ed élite politiche nel Mezzogiorno italiano, in Contemporanea. Rivista di storia dell’800 e del ’900, XVI (2013), 1, pp. 39-68.