TOMMASI, Salvatore Giacomo
– Nacque a Roccaraso, a sud dell’Aquila, il 26 luglio 1813, primogenito di Francesco e di Maria Giuseppa Marini.
Poiché la famiglia era originaria di Accumoli, al confine tra Lazio e Marche, per la sua prima educazione vennero scelte la parrocchia del vicino paese di Poggio Vitellino e, nel 1825, la scuola del seminario di Ascoli Piceno. Insofferente della disciplina e della povertà intellettuale dell’insegnamento, Tommasi manifestò presto uno spirito ribelle. Aderì agli ideali risorgimentali in occasione dei moti del 1831 e per questo venne espulso dal seminario e registrato come sobillatore dalla polizia politica dello Stato pontificio.
Si trasferì all’Aquila, dove il liceo serviva come succursale dell’Università di Napoli. Studiò medicina e nel 1834 si recò a Napoli, dove avrebbe conseguito la laurea nel 1838. Le prime esperienze cliniche all’ospedale della Pace e l’incontro con Oronzo Costa, presidente dell’Accademia degli Aspiranti Naturalisti, lo convinsero che la comprensione delle manifestazioni patologiche dovesse essere fondata su conoscenze fisiologiche da consolidare con lo studio dell’anatomia comparata e con la sperimentazione. Nella facoltà medica predilesse le lezioni di Pietro Ramaglia, pur riconoscendo i limiti di una patologia generale basata principalmente sulla pratica, e di Francesco Prudente. Nel 1844 pubblicò la rivista Il Sarcone. Giornale di medicina e scienze affini, il cui titolo onorava Michele Sarcone, autore di una fondamentale ricerca sulle epidemie (Istoria ragionata dei mali osservati in Napoli nel corso dell’anno 1764, Napoli 1765).
In essa Tommasi promosse una campagna per la riforma della medicina a partire dalla fisiologia e contribuì alla diffusione delle ricerche sviluppate negli altri Stati italiani ed europei. I suoi punti di riferimento erano François Magendie e Karl Friedrich Burdach, ma le sue letture si estendevano alle fonti medico-filosofiche di Marie-François Bichat, Pierre-Jean Cabanis, Carl Friedrich Kielmeyer e ai contributi di Friedrich Schelling alla filosofia della natura e della medicina negli Jahrbücher der Medicin als Wissenschaft (1805-1808).
Nel 1845, dopo aver concorso senza successo alla cattedra di patologia generale, ottenne la meno prestigiosa cattedra di patologia interna o medicina pratica, come comunemente veniva menzionata. Ebbe l’opportunità di partecipare al Congresso degli scienziati italiani, che quell’anno si teneva a Napoli, con un intervento sulla patogenesi delle febbri che ebbe notevole risonanza (poi pubblicato nel Sarcone nel 1845).
Gli studi e le ricerche maturarono in Tommasi «l’aspirazione all’unità del pensiero che facea di lui un biologo che comprendeva fisiologia, patologia e filosofia» (Moleschott, 1890, p. 15). Le Istituzioni di fisiologia (Napoli 1847) costituirono la prima sintesi di questo progetto e offrirono alla comunità medica un testo dal carattere profondamente innovativo e di ampio respiro: l’arte medica diventava il frutto sia della ricerca in biologia e chimica organica sia della riflessione filosofica sul rapporto tra sapere medico e sviluppo scientifico.
In quei medesimi anni Tommasi si avvicinò alla filosofia di Georg Hegel attraverso l’interpretazione di Bertrando Spaventa e Francesco De Sanctis, e dunque in chiave politica, dato che a Napoli la filosofia della storia di Hegel venne programmaticamente letta a sostegno della lotta risorgimentale. Il 1848 si aprì con grandi speranze per i liberali del Regno. Tommasi partecipò in prima persona alla battaglia politica e fu eletto deputato al Parlamento nato dalla costituzione del 29 gennaio 1848. Quel breve, intenso e tormentato periodo sconvolse interamente la sua vita: la reazione lo punì con la rimozione dal ruolo universitario e la prigione; inoltre, nel frattempo erano morti i due figli e la moglie.
Costretto all’esilio, visitò Parigi e Londra, e infine si stabilì a Torino. Il pur breve viaggio oltre le Alpi gli dischiuse nuovi orizzonti e indirizzò il suo percorso intellettuale nel decennio che avrebbe trascorso a Torino, in particolare verso l’abbandono delle concezioni filosofiche hegeliane e l’approdo a un naturalismo di matrice evoluzionistica. In questo processo ebbe sicuramente rilievo la lettura di Jacob Moleschott (Der Kreislauf des Lebens, Mainz 1852), Rudolf Virchow (Die Cellularpathologie, Berlin 1858) e Charles Darwin (On the origin of species, London 1859).
A Torino si mantenne con la professione medica, ma non abbandonò la ricerca: collaborò con Luigi Vella, che nel periodo 1849-51 aveva lavorato con Claude Bernard a Parigi; contribuì alla fondazione della Società delle scienze biologiche; preparò la seconda edizione delle Istituzioni di fisiologia (Torino 1852-1853). Sul versante politico, sostenne con forza il progetto sabaudo di unificazione promosso da Camillo Cavour e per questo impegno, dopo l’annessione della Lombardia al Regno di Sardegna (1859), ottenne la cattedra di clinica medica a Pavia. Nel settembre del 1860, inoltre, intervenne nelle difficili trattative tra Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi sulle sorti del Regno delle Due Sicilie. Sostenitore della causa monarchica, incontrò Vittorio Emanuele II ad Ancona per consegnargli la petizione con cui le municipalità abruzzesi chiedevano di unirsi al nascente Regno d’Italia e aprivano la strada verso Napoli all’esercito piemontese. Nel 1864 fu nominato senatore del Regno d’Italia.
Il credito ottenuto nei confronti del sovrano gli permise di chiedere l’istituzione di un ospedale per le cliniche universitarie (con la riqualificazione del convento di Gesù e Maria nel 1863) e di tornare a Napoli nel 1865 come titolare della cattedra di clinica medica. I primi anni non furono facili e fino al 1868, quando si trattò di combattere l’epidemia di tifo esantematico, fu abbastanza isolato. In seguito, si diffuse la sua idea che contro l’abuso della teoria e dei ‘sistemi’ nella pratica medica non bastasse il ‘ritorno a Ippocrate’, con la centralità dell’osservazione e del paziente, ma fosse necessaria la medicina scientificamente fondata.
La collaborazione con Il Morgagni, la rivista della facoltà medica napoletana fondata nel 1857 e che diresse dal 1862, e la terza edizione delle Istituzioni di fisiologia (Torino 1860) gli offrirono la possibilità di esplicitare queste concezioni e di rielaborarle in un periodo di radicale trasformazione delle proprie posizioni filosofiche. L’abbandono del vitalismo e l’idea di spiegare il vivente con il solo riferimento alla materia e alle sue trasformazioni si coniugarono con l’entusiasmo per la teoria di Darwin. A partire dagli anni Sessanta, Tommasi divenne uno dei più influenti sostenitori del positivismo in Italia.
Ad Angelo Camillo De Meis, che difendeva il vitalismo contro il materialismo e rivendicava la sistematica medica contro la ‘tirannia’ dell’empirismo e dei fatti, Tommasi replicò dalle pagine del Morgagni (Le dottrine mediche e la clinica, VIII (1866), pp. 2 s.) che il suo positivismo era in continuità con l’idea, da lui sempre sostenuta, di una medicina scientifica. Non si trattava di assumere pregiudizialmente che il vivente fosse riducibile alla materia inerte o che i fatti fossero superiori alle teorie; bisognava però riconoscere che il vitalismo appariva sempre meno sostenibile alla luce delle nuove conoscenze scientifiche e che dai sistemi non era mai scaturito un avanzamento della scienza medica paragonabile a quello derivato, proprio in quegli anni, dalla ricerca empirica e dalla sperimentazione.
Secondo Tommasi, il medico-ricercatore realizzava appieno la sua missione soltanto se accettava la sfida, di natura filosofica, di comprendere come il progresso delle scienze e delle tecniche contribuisse a modificare il mondo e a migliorare le condizioni di vita. Per questo intervenne anche su tematiche di rilievo sociale: come consigliere comunale collaborò al dibattito sull’igiene pubblica e favorì l’ammodernamento del sistema idrico e fognario di Napoli; rifletté sulla natura della criminalità in relazione alla ricerca antropologica; intervenne sul ruolo dei medici come periti nei procedimenti penali.
Nel 1883 diede alle stampe a Napoli una raccolta di testi (elaborati tra il 1857 e il 1882) con il titolo programmatico Il rinnovamento della medicina in Italia. Insieme alle Istituzioni di fisiologia, l’opera rappresentò l’eredità intellettuale di un protagonista dell’Italia unificata che guardava alla ricerca biomedica in Europa e alla riflessione filosofica come essenziali per lo sviluppo e la prosperità.
Dall’inizio degli anni Settanta le precarie condizioni di salute limitarono la sua attività pubblica e di docente, ma i suoi scritti ne consolidarono la fama e il prestigio intellettuale.
Morì a Napoli il 13 luglio 1888.
Ai suoi funerali fu presente «l’Italia intera, che vi prese parte con rappresentanze del senato, delle più grandi città e di quasi tutti i suoi atenei» (Capozzi, 1890, p. 35). Alla nuova biblioteca dell’Aquila, che gli venne intitolata, egli donò il suo patrimonio librario.
Fonti e Bibl.: J. Moleschott, Commemorazione del senatore S. T., Roma 1888; D. Capozzi, Vita di S. T., Napoli 1890; J. Moleschott, S. T. e la riforma della medicina in Italia, Roma 1890; G. Gentile, La filosofia di S. T., in La Critica, VII (1909), pp. 29-46; S. Tommasi, Il naturalismo moderno. Scritti vari, a cura di A. Anile, Bari 1913; R. Simari, S. T. il patriota del 1860, Sulmona 1962; F. Bazzi, S. T., J. Moleschott, F. Orsi e la pretesa riforma della medicina italiana, in Medicina nei secoli, VIII (1971), 4, pp. 3-14; M. De Luzenberger, La psichiatria italiana dell’Ottocento e il concetto di devianza: il positivismo evoluzionistico di S. T., in L’ospedale psichiatrico, XLVII (1979), pp. 347-368; C. De Pascale - A. Savorelli, L’archivio di Jakob Moleschott. Con documenti inediti e lettere di F. de Sanctis, S. T. , A.C. de Meis, in Giornale critico della filosofia italiana, LXV (1986), 2, pp. 216-248; G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea alla guerra mondiale (1348-1918), Roma-Bari 1995.