BARZILAI, Salvatore
Nacque a Trieste il 5 luglio 1860 da Giuseppe e da Elena Saraval. Ancora studente fu arrestato il 6 ott. 1878 per una dimostrazione, dell'agosto precedente, contro A. Dorn direttore della Triester Zeitung; processato perché in possesso di materiale di propaganda irredentista, fu poi assolto. Iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Padova, frequentò il secondo biennio del corso a Bologna, dove, nel periodo precedente il fallito attentato di Oberdan, il nucleo giovanile irredentista si ricostituì, dando vita a un giornale, L'eco del popolo, che veniva appunto stampato a Bologna e diffuso a Trieste. Del circolo, d'ispirazione carducciana e genericamente progressista, facevano parte G. Pascoli, L. Stecchetti, S. Ferrari, G. Mazzoni, L. Rava, mentre rapporti cordiali erano mantenuti con i maestri di tendenza repubblicana, da A. Saffi e G. Ceneri a O. Regnoli e a G. Albicini. Nel 1882 il B. discusse e pubblicò la sua tesi di laurea (Correzione paterna e istituti correzionali, Bologna 1882), ispirata alle idee criminologiche dell'amico E. Ferri, venuto giovanissimo a Bologna quale professore di diritto e procedura penale. Senza trascurare la produzione scientifica, il B. si recò l'anno successivo a Roma, come corrispondente dell'Indipendente di Trieste. Ivi si legò di fervida amicizia con G. Zanardelli, da poco dimessosi con A. Baccarini dal quarto gabinetto Depretis per protesta contro il trasformismo. Lo statista lo designò quale critico internazionale e teatrale del nuovo giornale fondato da G. Nicotera, passato anche lui di recente all'opposizione, la Tribuna (erano con lui A. Luzzatto, L. Mercatelli, G. Gobbi Belcredi, V. Morello e G. D'Annunzio); divenuto lo Zanardelli guardasigilli con Crispi, il B. gli dedicò una serie di ventiquattro articoli illustrativi del nuovo codice penale del 1888. Nel frattempo il principe Maffeo Barberini Sciarra, nuovo proprietario della Tribuna, lo inviava all'estero per servizi politici di grande importanza.
Il 1º ag. 1890, dovendosi sostituire il deputato dimissionario del primo collegio di Roma, Ricciotti Garibaldi, e presentandosi da parte ministeriale la candidatura del conte Pietro Antonelli, il noto diplomatico, i democratici, dopo aver sondato invano O. Baratieri, gli contrapposero il Barzilai.
La competizione acquistò una risonanza nazionale in seguito al rincrudimento della crisi irredentista per gli incidenti trentini connessi con l'inaugurazione del monumento a Dante. Intervennero a favore del B. i fratelli Garibaldi, S. Canzio, F. Cavallotti, M. R. Imbriani, G. Nicotera, A. Baccarini e la Tribuna; R. Bonghi, B. L. Odescalchi, R. Giovagnoli e il Popolo Romano sostennero Antonelli, che vinse con uno scarto minimo di voti. L'episodio - che ebbe uno strascico polemico per il tentativo di corruzione operato da Crispi, tramite il cassiere della Banca Nazionale, Grillo, poi travolto negli scandali bancari, sulla cooperativa dei muratori e denunziato da Cavallotti con lettera aperta sul Secolo al guardasigilli Zanardelli - rassodò la popolarità del Barzilai. Questa crebbe ancora nell'ottobre 1890 allorché egli confutò con due opuscoli le idee espresse da Crispi contro l'irredentismo nel discorso di Firenze (L'irredentismo, ecco il nemico!, Trieste 1890; contemporaneamente ne apparve un compendio divulgativo dal titolo Trentino e Venezia Giulia).Ilpresidente del Consiglio, che sarebbe stato direttamente confutato nella stessa Firenze dal Cavallotti, aveva creduto di poter stringere l'irredentismo nella morsa di un dilemma insolubile: o politica bellicista contro l'Austria, e quindi intensificazione degli armamenti e del gravame fiscale; o politica umanitaria, democratica, riformista, e quindi raccoglimento su piano internazionale. A queste idee del Crispi il B. oppose alcune precisazioni che rimarranno costanti nel suo pensiero: l'insistenza sull'elemento della "coscienza di nazione", al di là di quelli strettamente linguistici e geografici, per legittimare la politica dell'irredentismo e la fermezza nel rivendicare l'Istria all'Italia, rifiutando il compenso dell'Albania, come fondamento dell'equilibrio adriatico.
Su queste basi di temperata, ma ferma opposizione democratica il B. venne eletto, nelle elezioni generali del 23 nov. 1890, deputato nel quinto collegio di Roma che gli sarebbe restato fedele per un quarto di secolo.
L'elezione era stata preceduta da un discorso nel quale il B. si era dichiarato favorevole a un contemperamento degli interessi di Roma, di Trieste e dell'Italia, contrario a una politica bellicista e di avventure, per la rivendicazione dei diritti, dei cittadini "che soffrono e che lavorano". Un programma così sfumato e possibilista lo poneva obiettivamente più a destra di coloro che in quei mesi, dopo il patto di Roma e sotto la guida di Cavallotti, andavano evolvendosi, dietro l'esempio di A. Fortis e in aspra polemica con i repubblicani intransigenti, verso il cosiddetto radicalismo legalitario. Non è perciò meraviglia che il B., con G. Mussi, L. Ferrari, L. Rossi, ecc., votasse a favore del primo ministero Giolitti nel maggio 1892 ottenendone in cambio l'appoggio nelle successive elezioni generali, e proprio contro un mazziniano d'estrema sinistra, F. Zuccari. Il B. mostrò in seguito un'accentuata indipendenza critica di giudizio nei confronti di Giolitti: ma da questi mesi cominciò (anche attraverso l'uscita dalla redazione della Tribuna)il suoprogressivo allontanamento dalle file repubblicane fino al definitivo distacco, verificatosi in occasione della guerra di Libia, sotto l'incalzare della polemica di G. Conti, U. Della Seta e O. Zuccarini.
Interessante era perciò l'interpretazione del pensiero mazziniano, sviluppata da lui in una conferenza commemorativa del 1905 (pubbl. in Mazzini. Conferenze tenute in Genova nel maggio-giugno 1905, a cura del Comitato per le onoranze a Mazzini nel primo centenario della sua nascita, Genova 1906, pp. 364-380). Egli si studiava, in questo lavoro, di sfumare e smussare le punte politiche più acuminate e più indiscutibilmente repubblicane di Mazzini, esasperando, in termini che arieggiano il nazionalismo, il concetto mazziniano della nazionalità.
Alla Camera e sulla stampa (della cui associazione fu eletto presidente nel 1905 contro O. Roux, e poi sempre confermato fino al fascismo) il B. si occupò prevalentemente di politica estera, in posizione fortemente critica nei confronti della Triplice alleanza.
Egli accusava il 1º maggio 1899 il ministero Pelloux di responsabilità collettiva per la disastrosa impresa cinese; si pronunziava il 12 giugno 1901 a favore di una politica di parziali accordi, per fini particolari e determinati, con le varie potenze, senza che la Triplice servisse da giustificazione dell'assenza di una qualsiasi politica estera effettiva; stigmatizzava il 17 maggio 1904 l'indifferenza di Giolitti per la politica estera "male necessario" per lui come per A. Depretis; illustrava il 18 dic. 1906 l'impossibilità di una guerra contro le potenze occidentali, ironizzando sui noti tentativi di L. Bissolati per un'iniziativa distensiva da parte dei proletariati italiano e austriaco. Più importante e impegnativa, il 23 febbr. 1912, la sua difesa della proclamazione della sovranità su Tripoli, con un discorso fortemente polemico nei confronti di F. Turati, che gli costò l'uscita dal partito repubblicano, con conseguenti dimissioni da deputato, respinte dalla Camera, e costituzione di un circolo autonomo romano, presieduto da A. M. Filipperi. Volgendosi ai problemi balcanici, il B. il 17 novembre si pronunziava per uno sbocco serbo nell'Adriatico e per la confederazione balcanica, delineando il 18 dicembre successivo i primi tratti di quell'"imperialismo democratico" che fu in seguito sviluppato dal Bissolati sotto forma di una massiccia penetrazione commerciale nei mercati orientali, e che intendeva contrapporsi, almeno nelle intenzioni, al classico imperialismo colonialista.
Di qualche interesse è anche l'opuscolo che nel 1902, in una prospettiva di larga collaborazione tra i partiti dell'estrema sinistra, il B. compose, su generica scia mazziniana, intorno alla politica estera dei partiti popolari (La politica estera e i partiti popolari, Roma 1902).
Meno significative le prese di posizione del B. in politica interna, che vanno da un lealismo statutario formalmente corretto all'epoca dell'ostruzionismo (24 febbraio 1900) alla polemica contro il diritto di sciopero dei ferrovieri e, in genere, dei dipendenti da pubblici servizi (marzo 1905), contro la politica meridionalistica "oligarchica" di Giolitti (maggio 1909), contro ogni forma d'interferenza da parte dello Stato in problemi di natura religiosa, nel 1910. Si tratta di una posizione di sostanziale liberalismo conservatore, particolarmente allarmata contro gli aspetti del regime giolittiano che ad essa apparivano paternalistici e corruttori: cose non nuove nel B. e che, semmai, vanno riportate a quel suo crescente tecnicismo apolitico in campo internazionale in cui venivano meno anche i sempre abbastanza generici fermenti di politica democratica.
Nella crisi europea dell'estate 1914 l'atteggiamento del B. (Giornale d'Italia, 28 luglio; Messaggero, 13 e 19 ag., 2 ott.) apparve subito ispirato dal concetto che la neutralità italiana dovesse essere "saldamente armata, per garanzia di elementari incontrastabili interessi": l'ipotesi di un'Italia che giungesse intatta alla fine della guerra era da lui giudicata, degna di "profonda pietà", l'astensione condannata come insufficiente e sproporzionata alle circostanze. Dichiarate le ostilità, il 16 luglio 1915 il B. venne assunto nel gabinetto Salandra quale ministro senza portafoglio e posto a capo di una commissione consultiva per le regioni adriatica e atesina, di cui facevano parte F. Salata, C. Battisti, A. Hortis, G. Pitacco, ecc. Grandissima risonanza ebbe il discorso pronunziato il 26 settembre successivo dal B. al S. Carlo di Napoli, alla presenza di Salandra, e dedicato ad una cronistoria polemica delle nostre relazioni con l'Austria, nonché a delineare un rapporto di corrispondenza tra vittoria italiana, sviluppo del Mezzogiorno ed espansione commerciale in Oriente. La guerra italiana appare al B. necessaria e fatale, ed all'illustrazione di tale concetto egli dedicava la commemorazione bolognese di Giacomo Venezian, il 20 dic. 1915 (pubbl. Bologna 1916), il discorso genovese del 5 maggio 1916 sui danni economici e finanziari della neutralità, e una intensissima attività propagandistica.
Quanto allo specifico problema delle terre irredente, il pensiero del B. è compendiato in una biografia ufficiosa di Nazario Sauro (L'Adriatico e il suo eroe, Milano s. d.).
Alla conclusione delle ostilità il B. fu nominato membro della delegazione italiana a Versailles: l'opera da lui qui svolta può essere minutamente seguita attraverso le memorie di O. Malagodi. Egli condivise l'impostazione estremista di A. Salandra (Patto di Londra più Fiume), salvo rinunzia all'interno della Dalmazia, eccetto Zara e Sebenico: in caso di opposizione di Wilson, abbandono della conferenza. Un cedimento su Fiume gli sarebbe parso più grave della crisi di Tunisi. Giudicò comunque molto severamente i colleghi, a cominciare da S. Sonnino, volta a volta "demente, energumeno, pazzo furioso", per finire a V. E. Orlando, troppo cedevole e impressionabile per motivi di politica interna. Nel complesso, l'incapacità e l'irresponsabilità della delegazione gli apparivano parimenti gravissime.
Nel generale tramonto postbellico dell'estrema sinistra non socialista anche il B. fu indotto a non ripresentare la propria candidatura, quantunque F. S. Nitti gli offrisse la presidenza della nuova Camera. Nel settembre 1920 Giolitti lo creò senatore ed egli lo ripagò, il 15 dicembre successivo, difendendo il trattato di Rapallo e rinunziando alle sue tesi sulla Dalmazia e all'estremismo fiumano (Il trattato di Rapallo, Roma 1920): mirando a D'Annunzio, negò che alcuno potesse sovrapporsi alla volontà della nazione, stremata dal disagio economico e avida di pace, e tornò ad auspicare la nascita di un'intesa tra l'Italia e gli Slavi meridionali.
Dopo la marcia su Roma il B., il quale era allora presidente dell'Associazione nazionale della stampa, inviò a Mussolini un telegramma che auspicava la tutela della libertà di stampa, ma il presidente del Consiglio replicò, accondiscendendo, a patto che la stampa stessa riconoscesse i propri doveri. Donde le dimissioni del B. dal suo ufficio e la sua sconfitta nelle successive elezioni (ma il 27 nov. 1922, illustrando un suo ordine del giorno di fiducia al govemo, egli tornò sull'argomento al Senato). Ancora nel luglio 1924, a proposito del progetto di legge presentato dopo il delitto Matteotti, rivendicava al Senato la necessità dell'opera critica esercitata dalla stampa. In seguito, peraltro, la sua adesione al fascismo divenne più fervida, specialmente in polemica con la Società delle Nazioni e in occasione dell'impresa etiopica. Ricordiamo a questo proposito il discorso del 6 giugno 1933 sul Patto a quattro e quello del 19 maggio 1936 per la fine delle sanzioni, in entrambi i quali, pur aderendo strettamente alle impostazioni mussoliniane, il B. auspicava che esse potessero inquadrarsi in un clima di mutua collaborazione tra i popoli, soprattutto tra quelli dell'Europa occidentale.
Il B. morì a Roma il 1º maggio 1939.
Scritti princ.: La recidiva e il metodo sperimentale, Roma 1883; La criminalità in Italia, ibid. 1885; Modi di combattere la recidiva, Roma 1885; Per la evasione dal carcere, Roma 1886; L'istruttoria segreta, ibid. 1886; Vita internazionale, Firenze 1911; Vita parlamentare - 9 Discorsi e profili politici, Roma 1912; Dalla Triplice Alleanza al conflitto europeo. Discorsi parlamentari e scritti vari, ibid. 1914; L'Italia in armi. Scritti e discorsi, Milano 1917; Moniti del passato, ibid. 1917; Luci ed ombre del passato - Memorie di vita politica, ibid. 1937; Palcoscenico e platea. Memorie della scena di prosa, ibid. 1940.
Bibl.: Oltre alla pref. di V. Morello a Vita internazionale e di F. Martini a Vita parlamentare, v. Nel XX anniv. dell'elez. a deputato di S. B., Roma 1910; J. Déstrée, S. B., in Riv. d. nazioni latine, II (1917), pp. 206-224; G.G. Guerrazzi, Ricordi di irredentismo. I primordi della "Dante Alighieri" Bologna s. d. [ma 1922], pp. 120-142, 335, 337; F. Meda, I cattolici ital. nella guerra, Milano 1928, passim, G. Giuriati, La vigilia (gennaio 1913-maggio 1915), Milano 1930, pp. 224-228; A. Salandra, L'intervento (1915). Ricordi e pensieri, Milano 1930, passim; A. Sandonà, L'irred. nelle lotte politiche e nelle contese diplom. italo-austriache, III, Bologna 1938, v. Indice; L. Albertini, Venti anni di vita politica, 5 voll., Bologna 1950, v. Indici; P. Alatri, Nitti, D'Annunzio e la quest. adriatica, Milano 1959, v. Indice; O. Malagodi, Conversazioni della guerra 1914-1919, a cura di B. Vigezzi, Milano-Napoli 1960, II, pp. 485 s. e passim; V.E. Orlando, Memorie, Milano 1960, p. 380; Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni di polit. italiana, 3 voll., Milano 1962, v. Indici; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, 2 voll., Roma 1963, v. Indice; G. Salvemini, Come siamo andati in Libia e altri scritti dal 1900 al 1915, a cura di A. Torre, Milano 1963, pp. 21-23 e passim.