ALEPUS (Alapsius, Alapus, Salparus, Salepusius, Salapusius), Salvatore Alessio
Nacque a Morella (Valencia) nel 1503 da Gabriele e da Caterina MancaPio, ambedue nobili. Educato a Valencia, ricevette giovanissimo, il 29 genn. 1524, l'arcivescovado di Sassari e Torres. Causa l'età non ebbe il titolo di arcivescovo che nel 1530, mentre il pallio arcivescovile e l'autorità metropolitana gli furono concessi solo nel 1539, anno in cui probabilmente ricevette la consacrazione episcopale. Tenne l'importante diocesi sarda per più di quarant'anni e iniziò l'opera di restaurazione della vita religiosa e di introduzione dei decreti del concilio di Trento.
Nel 1525 e ancora nel 1534, 1535 e 1536 si tennero in diocesi sinodi, nei quali furono approvate alcune norme fondamentali per la riforma del clero. Di particolare importanza l'esame dei candidati agli ordini sacri, l'istituzione presso la cattedrale di una scuola di canto, l'obbligo per gli ecclesiastici di vestire secondo l'uso clericale e di non portare armi. Questa attività, svolta sotto il governo dell'A. e forse da lui ispirata, fu però attuata dai due vescovi ausilliari, Bernardino de Monacellis e Francesco Mexia de Molina, rispettivamente vescovi titolari di Cartagine e di Fez, e soprattutto dal vicario generale, il canonico Giovanni Serra.
Quasi certamente l'A. nel 1535non aveva ancora messo piede a Sassari: il 6 luglio di quell'anno infatti la madre, già vedova, provvide in qualità di procuratrice del figlio, il quale nell'atto è ancora qualificato come "electus archiepiscopus et metropolitanus turritanus et sassarensis", a nominare nuovo vicario generale dell'archidiocesi un proprio congiunto, Geraldo Manca. L'atto, assolutaipente in-consueto, si può spiegare solo con l'assenza del giovane arcivescovo e la sua piena soggezione alla madre. Nel 1543, quando ormai risiedeva sicuramente a Sassari, suscitò le lamentele della città, i cui rappresentanti nel parlamento regionale chiesero che si istituisse una prebenda per un predicatore, dato che l'arcivescovo non predicava personalmente. Il 10 genn. 1546 iniziò la sua presenza al concilio di Trento, che lasciò solo nell'autunno del 1552, dopo la fine del secondo periodo.
Nel periodo sotto Paolo III (1545-47) fu molto solerte nella partecipazione ai lavori condiliari, intervenendo ripetutamente nelle discussioni dogmatiche e di riforma. Tenne una posizione oscillante tra il gruppo dei prelati fedeli alla Corona spagnola e quelli più vicini ai legati papali, finché nel marzo del 1547 si associò senza riserve all'opposizione degli spagnoli nei confronti del trasferimento del concilio da Trento a Bologna. Con lo stesso gruppo di oppositori, rimase a Trento, per sottolineare la protesta contro la traslazione arbitraria. La nuova convocazione del concilio sotto Giulio III (1551-52) lo trovò ancora a Trento. La fermezza dimostrata in questi anni ebbe l'effetto, insieme alla sua buona preparazione teologica, di farne uno dei prelati più in vista del gruppo spagnolo, proprio nel periodo in cui questa nazione ebbe maggior peso nel concilio. Nei suoi voti si ispirò frequentemente alla teologia agostiniana; assunse una posizione di particolare interesse nella discussione sull'Eucarestia, quando si associò al Seripando, sostenendo che la comunione sotto le due specie fosse più ricca di grazia di quella sotto una sola specie.
Durante l'assenza dalla diocesi per la celebrazione del concilio, si manifestarono contro l'opera dei suoi vicari opposizioni crescenti, dettate sia da motivi di lotta politica locale sia da insofferenza per i primi tentativi di restaurazione religiosa. Già nell'agosto del 1546 l'A. desiderava di poter ritornare in diocesi per sedare queste opposizioni. La continuazione del concilio non consentì il suo allontanamento e la situazione a Sassari continuò a peggiorare, soprattutto dopo la morte, nel 1548,della madre dell'A., che ne rappresentava con vigore gli interessi. L'atteggiamento di protesta dopo il trasferimento del concilio a Bologna non fu gradito alla Curia romana, che si oppose alla richiesta, che Carlo V fece fare nell'autunno del 1551,di trasferire l'A. alla sede vacante di Tortosa in Spagna.
Poco prima del suo rientro in Sardegna, Giulio III chiuse la controversia aperta contro l'A. dal capitolo della cattedrale di Sassari, per la nuova istituzione di un decanato a Torres, approvando l'operato dell'arcivescovo. Questi, che già durante la permanenza a Trento aveva cercato invano di ottenere l'invio in diocesi di almeno un padre gesuita, iniziò nel febbraio del 1553 una visita pastorale generale che ebbe il suo epilogo nel sinodo celebrato il 26 Ott. 1555 per la riforma della diocesi secondo i decreti sino ad allora approvati dal concilio. Nella stessa occasione venne indetta una nuova visita pastorale. Questa energica attività riformatrice riaccese le vecchie opposizioni, a causa delle quali nel 1560 dovette recarsi a Roma per difendersi da accuse avanzate contro di lui in Curia. Qui, nella seconda metà del 1561, ebbe a subire alcuni mesi di carcere in Castel S. Angelo, il cui motivo rimane ancora oscuro, ma che dovettero quasi certamente essere l'effetto di uno dei tanti intrighi orditi in quegli anni contro i vescovi riformatori, che non godessero di forti appoggi a Roma. Nel 1562 doveva essere stato dissipato ogni dubbio: ebbe infatti l'ufficio di referendario e fu ammesso nella famiglia papale di Pio IV. Non si conoscono i motivi per i quali non intervenne all'ultima parte del concilio di Trento (1562-63), ma si limitò a dare la propria procura a un teologo spagnolo; da parte spagnola fu avanzata l'ipotesi che la Curia romana volesse impedirgli di solidarizzare nuovamente con l'opposizione conciliare.
Certamente più tardi poté rientrare in diocesi e riprendervi anche l'opera di riforma, per la quale cercò nuovamente di ottenere l'aiuto dei gesuiti, offrendo loro i mezzi per aprire un collegio in Sardegna. La morte, che lo colpi nel novembre del 1566, non consentì che egli portasse a termine i suoi progetti.
Con una bolla del 15 marzo 1567 Pio V incaricò il vescovo di Ampurias di recuperare i frutti ingiustamente percetti dall'A. durante l'assenza dalla diocesi. In dipendenza delle sue origini nobiliari, ebbe una notevole parte nelle turbolente vicende politiche sarde di quei decenni, donde derivarono anche altre difficoltà per la sua opera pastorale.
Fra molte opposizioni e qualche debolezza personale l'A. segnò, insieme all'arcivescovo di Cagliari Castillegio, la fine della decadenza religiosa dell'isola e la ripresa di un governo pastorale ispirato ai bisogni delle anime. Gli successe Giovanni Segna il 23 luglio 1568.
Scritti: Salvatoris Salapusii Archiepiscopi Turritani et Sassarensis Oratio in publica solemni Sessione a resumpto Concilio tertia, ad Patres ha bit a Tridenti un-decima mensis octobris, quae fuit Dominica coena nuptiarum, Anno Domini MDLI, Venetiis apud Gabrielem Iolitum de Ferrarils, et Fratres. MDLI.
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