SALUZZO, Tommaso
III da, marchese di Saluzzo. – Figlio del marchese Federico II (1332-1396) e di Beatrice (1335-1392), figlia di Ugo dei conti di Ginevra, nacque probabilmente nel 1357 o l’anno successivo.
La data è stata a lungo discussa: se nel 1830 Delfino Muletti la collocava fra il 1349 e il 1356 e, nel 1893, Nicolae Jorga la fissava al 1356, un’attenta rilettura delle fonti indusse nel 2003 Robert Fajen a posticiparla agli anni 1357-58.
Poco o nulla è noto della sua formazione intellettuale, ma è molto probabile che egli avesse assimilato la cultura francese sin dalla giovane età. Accompagnò probabilmente il padre in terra di Francia nel 1374-75 per meglio far valere i diritti della famiglia contro il conte di Savoia davanti a Ludovico, fratello di re Carlo V, al cui arbitrato le parti si erano sottomesse. Nel 1389-90 vi si recò invece per assistere al famoso torneo di Saint Denis e ottenere ancora una sentenza contro le pretese egemoniche del conte di Savoia, questa volta dal Parlamento di Parigi. Ancora lo troviamo Oltralpe, a rinsaldare i propri legami con la corte e l’aristocrazia francese, negli anni 1403-05. Espressione esplicita di tale ricerca di sostegni è, nel 1403 (a circa 25 anni dalla nascita del suo primo figlio naturale, Valerano), il matrimonio con Margherita, figlia di Ugo II conte di Roucy e di Braine, e madre del suo successore Ludovico I.
Il quarto di secolo circa di governo del Marchesato da parte di Tommaso III, iniziato secondo il cronista Gioffredo Della Chiesa nel 1391 o 1392 quando il padre (morto nel 1396) era ancora in vita, trascorse soltanto apparentemente lungo i binari consuetudinari dei rapporti vassallatico-beneficiari intrattenuti con l’aristocrazia locale (i cui diritti furono confermati da numerose investiture) e con le comunità rurali (che ottennero il riconoscimento di antichi privilegi e talora nuove carte di franchigia). Elementi di novità, nel senso di un orientamento tendenzialmente unificatore del suo dominio, sono evidenziati da tre suoi editti, emanati negli anni 1400-01, che regolarono aspetti non marginali della vita associata ed economica. Ordinò infatti che si procedesse in modo sommario in tutte le cause civili e criminali; proibì l’introduzione nel Marchesato di vini forestieri e l’estrazione di grani e legumi; ne uniformò pesi e misure.
Il punto debole del suo governo fu però la mancanza di appoggi concreti da parte della monarchia francese, impegnata in una fase assai delicata della guerra dei cent’anni, che espose la dominazione saluzzese alle ambizioni espansionistiche sabaude. Nel 1394 Amedeo di Savoia, principe d’Acaia, lo sconfisse a Monasterolo presso Savigliano, lo fece prigioniero e lo liberò soltanto due anni dopo dietro il pagamento di un riscatto di 20.000 fiorini d’oro. In tutta evidenza il suo piccolo Marchesato era troppo fragile per poter resistere alla potenza sabauda: una ventina di anni dopo, nella primavera del 1413, temendo di essere assediato a Saluzzo dal conte Amedeo VIII di Savoia, Tommaso III si arrese, entrò nell’orbita del conte e gli prestò omaggio vassallatico.
Fondamentale per comprendere l’esperienza umana e culturale di Tommaso III è il suo riferimento costante, in essa, all’orizzonte cavalleresco, in cui svolse un ruolo decisivo la sua ‘vestizione’ a cavaliere del Santo Sepolcro, avvenuta durante un pellegrinaggio a Gerusalemme nel novembre del 1391. Non fu questo, tuttavia il suo solo titolo. Nel 1413 egli ne acquisì un altro: sconfitto dal conte Amedeo VIII di Savoia, dovette dichiararsi suo vassallo e questi, per legarlo a sé, lo fece cavaliere dell’Ordine dinastico sabaudo del Collare. Tommaso, però, attaccatissimo al ricordo gerosolimitano della sua prima esperienza cavalleresca, fino all’ultimo si considerò essenzialmente un cavaliere del Santo Sepolcro. Nell’ottobre del 1416, dettando il suo testamento, impegnò infatti gli eredi a far costruire a Saluzzo, in contiguità con la chiesa domenicana di San Giovanni, una cappella funeraria dove volle essere sepolto: la capella Sepulcri Domini.
Oggi meglio nota come cappella funeraria dei marchesi, fu eretta a fatica dai suoi successori e costituisce ancora il frutto artisticamente più maturo dell’architettura tardogotica saluzzese. Come un lascito ereditario giunto sino a noi, tale cappella evoca in modo tangibile – accanto alla non lontana torre quadrata del castello saluzzese, al Livre du chevalier errant e agli affreschi del castello della Manta commissionati da Valerano, il figlio naturale avuto a soli diciott’anni – l’orizzonte storico, religioso e culturale di cui si nutrì questa singolare figura di marchese.
La testimonianza più importante delle sue idealità cavalleresche è il Livre du chevalier errant, che egli avviò nel 1394 durante la prigionia nel castello di Torino e che con ogni probabilità ultimò nei primi anni del Quattrocento.
Non stupisce che nella sua opera egli presentasse la storia della casata dei Saluzzo come la storia di un declino e che Robert Fajen (2000) vi individuasse un tono narrativo prevalente, ossia la malinconia di un lignaggio.
Tràdito da due manoscritti quattrocenteschi (Parigi, Bibliothèque nationale de France, ms. fr. 12.559; Torino, Biblioteca nazionale, L.V.6) è stato edito da Marwin J. Ward nel 1984 e tradotto in francese moderno (Thomas D’Aleran, Le chevalier errant, a cura di D. Chaubet, 2001). Basata sul codice parigino, caratterizzata soprattutto dal recupero in forma versificata di significative porzioni di testo che Ward aveva presentato in veste prosastica, è una ulteriore recente edizione, curata da Marco Piccat (2008) e accompagnata da una traduzione italiana di Enrica Martinengo.
Romanzo a sfondo autobiografico, il Livre narra un viaggio virtuale e metaforico tra realtà e finzione, nei tre regni successivi di Amore, Fortuna e Conoscenza. Contrariamente alle aspettative suggerite al lettore dalla tripartizione dell’itinerario del cavaliere nei diversi regni, vi ricorrono spesso gli argomenti consueti nella letteratura cavalleresca: le armi, la caccia, gli amori. Non sono, però, affatto gli unici. Vi risulta centrale, al di là della sua collocazione nella narrazione, il tema della Fortuna, la dama che gestisce in modo assolutamente imperscrutabile il destino degli uomini. La riflessione di Tommaso sulla propria esistenza, sul suo passato, sul ruolo sociale e politico del proprio casato e della cavalleria, comincia da un tiro mancino che Dama Fortuna gli gioca nel 1394: la citata sconfitta a Monasterolo e la successiva prigionia. È proprio nel momento della sua sventura (méchance), che egli scrive il suo libro, sorretto dal disagio (ennui) per la privazione della libertà e dal desiderio di recuperarla.
Nonostante le allegorie in cui gli episodi sono inquadrati, il Livre du chevalier errant è stato definito, a ragione, autobiografico. È infatti, sotto le mentite spoglie del romanzo cavalleresco, l’autobiografia di un aristocratico di alto lignaggio, la cui esperienza chiave è evocata nelle prime e ultime pagine dell’opera, in cui Tommaso racconta la sua vita.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Corte, Marchesato di Saluzzo, Cat. IV, Investiture e omaggi, mm. 5-6; i rapporti con i Principi d’Acaia in Protocolli ducali, n. 69, cc. 317, 319, 327, 343, 346; n. 407, c. 649; n. 411, cc. 696, 785; D. Muletti, Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città e ai marchesi di Saluzzo, IV, Saluzzo 1830, pp. 214-385. Edizioni del Livre: M.J. Ward, A critical edition of Thomas III, marquis of Saluzzo’s Livre du chevalier errant, dissertazione inedita, University of North Carolina, Chapel Hill 1984; Thomas D’Aleran, Le chevalier errant, a cura di D. Chaubet, Moncalieri 2001; Tommaso III di Saluzzo, Il Libro del cavaliere errante (BnF ms. fr. 12559), a cura di M. Piccat, Boves 2008. Bibliografia esauriente dell’opera in https://www.arlima.net/qt/ tommaso_3_di_saluzzo.html (26 giugno 2017).
V.A. Cigna Santi, Serie cronologica de’ cavalieri dell’Ordine supremo di Savoia detto prima del Collare, indi della Santissima Nunziata, Torino 1786; P. Durrieu, Procès-verbal du martyre de quatre frères Mineurs (1391), in Archives de l’Orient Latin, I (1881), pp. 539-546 (in partic. pp. 540, 545, sul suo adoubement); N. Jorga, Thomas III marquis de Saluces. Étude historique et littéraire avec une introduction sur la politique de ses prédécesseurs et un appendice de textes, Saint Denis 1893; G.A. Brunelli, Thomas III, marquis de Saluces, in Dictionnaire des Lettres françaises, Le Moyen Âge, Paris 1964, p. 713; M.L. Meneghetti, Il manoscritto fr. della Bibliothèque nationale di Parigi, T. di Saluzzo e gli affreschi della Manta, in Romania, CX (1989), pp. 511-535; C. Ballario, L’autunno della cavalleria nello Chevalier errant di Tommaso III di Saluzzo, in Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, CXIII (1995), pp. 101-120; C. Segre, Tommaso III di Saluzzo e Griselda, ibid., pp. 121-132; R. Fajen, Malinconia di un lignaggio. Lo Chevalier Errant nel castello della Manta, in Romania, CXVIII (2000), pp. 105-137; Id., Die Lanze und die Feder. Untersuchungen zum Livre du Chevalier errant von Thomas III., Markgraf von Saluzzo, Wiesbaden 2003; L. Provero, L’onore di un bastardo: Valerano di Saluzzo e il governo del marchesato, in Ludovico I marchese di Saluzzo. Un principe tra Francia e Italia (1416-1475), a cura di R. Comba, Cuneo 2003, pp. 73-103; R. Bordone, Une tres noble jouste, in Tommaso III di Saluzzo, Il Libro del Cavaliere Errante, cit., pp. 27-35; M. Piccat, T. III, marchese errante: l’autobiografia cavalleresca di un Saluzzo, ibid., pp. 5-26.