SALOMONI (Salomonio) DEGLI ALBERTESCHI, Mario
– Membro di una famiglia della nobiltà romana, nacque a Roma da Giovanni in una data difficile da precisare, ma probabilmente più vicina al 1460 che al 1450 ipotizzato a suo tempo da Mario D’Addio (1954, p. 3).
Si addottorò in diritto all’Università di Roma sotto la guida di Giovanni Battista Caccialupi. Nel 1494 Alessandro VI lo nominò membro della commissione per riformare gli statuti della città. Dal 21 ottobre 1498 al 20 aprile 1499 fu capitano del popolo e pretore della Repubblica fiorentina. Salomoni fece valere in quel contesto l’esperienza che aveva maturato quattro anni prima a Tivoli, dove era stato inviato «pro arduis discordiis sedandis» (Cartari, 1656, p. 110). Firenze si trovava infatti in un momento difficile: pochi mesi dopo il rogo di Savonarola, i cittadini erano ancora «inter se dissidentes», come attestano le Orationes ad priores Florentinos tenute in quell’occasione e conservate nel codice Pluteo LI.19 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (Marii Salomonii de Alberteschis..., 1955, p. 82).
Tornato a Roma, nel 1503, alla morte di Pio III, venne nominato provvisore della città, una carica che doveva gestire le spese legate all’elezione del nuovo papa. Sempre durante la sede vacante fu anche custode della porta dell’assettamento del palazzo del Campidoglio (D’Addio, 1954, p. 7). Dopo un periodo trascorso alla guida della provincia ecclesiastica della Campania, come racconta il cronista Paride Grassi, Salomoni e l’altro nobile romano Marco Antonio Altieri, durante un’altra sede vacante (a seguito della morte di Giulio II), arringarono la folla, affermando che il popolo romano non aveva alcun debito di gratitudine con lo Stato della Chiesa («nullam gratiam haberent cum statu ecclesiastico»), protestò contro l’eccessiva tassazione imposta alla cittadinanza dalla Curia e l’inflazione della nuova moneta introdotta da Giulio II, chiedendo infine che si mantenessero le antiche prerogative statutarie del popolo romano, contro le forzature autocratiche del pontefice appena defunto (p. 8). L’elezione di Leone X segnò la vittoria delle istanze portate avanti da Salomoni: il 19 marzo 1513 il nuovo pontefice concesse lo statuto al comune di Roma e nominò il giurista professore di diritto civile alla Sapienza. Sempre Leone X, il cui legame con Salomoni ci è testimoniato tra l’altro da una consolatoria a lui indirizzata in occasione della morte di Lorenzo de’ Medici duca d’Urbino, lo nominò conte palatino, cavaliere e avvocato concistoriale e lo incaricò di scrivere un commento al Digesto, conclusosi al primo libro e pubblicato a Roma da Francesco Calvo nel 1525.
Dedicata a Leone X è anche la sua opera principale, il De principatu, dialogo in sette libri tra un filosofo (nel cui punto di vista è riconoscibile quello dell’autore, favorevole a un’origine contrattuale del potere del principe), un giurista che ne sostiene invece la potestà assoluta, un teologo e uno storico, che forniscono le prove tratte dalle loro rispettive discipline per corroborare le tesi del filosofo. Composto nel pieno dello scontro politico – di cui fu protagonista – tra le richieste di autonomia del Comune di Roma e la volontà accentratrice della Curia, il De principatu di Salomoni postulava l’origine convenzionale dello Stato: quando, per soddisfare i bisogni della società da Dio creata in perfetta uguaglianza, non era più sufficiente l’opera dei privati, si rendeva necessario l’intervento di un potere superiore. L’origine del potere risiedeva, dunque, nel popolo ed era nel suo interesse che il sovrano doveva esercitarlo.
Secondo D’Addio (1954) «l’arditezza delle tesi sostenute dall’Alberteschi e la denuncia delle posizioni mondane assunte dalla Chiesa e dalla Curia romana [...] dovettero consigliare l’autore a non divulgare l’opera» (p. 15), che venne pubblicata postuma nel 1544 a Roma dai torchi di Girolama Cartolari con la collaborazione del tipografo veneziano Michele Tramezzino. Data la preziosità dei due codici che lo trasmettono (entrambi conservati a Roma, Biblioteca apostolica Vaticana, Reg. lat., 861 e Biblioteca nazionale, Vitt. Em., 427) e soprattutto visto che lo scontro tra il comune e la Curia papale era ormai tramontato quando esso venne concluso, è più probabile che il De principatu non sia andato in stampa perché destinato a una circolazione interna agli ambienti della nuova Curia di Leone X.
A partire dal titolo, dalla data di stesura (1513), dalla dedica a un membro della famiglia Medici (papa Leone nel primo caso, suo nipote Lorenzo nel secondo) e dal comune destino di una pubblicazione postuma, il De principatu è stato accostato al De principatibus di Niccolò Machiavelli (meglio noto con il titolo volgare Il Principe), con cui condivideva altresì il rifiuto delle armi mercenarie e un certo sentimento anticuriale (Cian, 1900). Altri studiosi hanno invece affermato «che tutto il De principatu è volto a confutare la tesi principale del De principatibus, dato che l’idea contrattualistica nasce per l’appunto come esigenza di dimostrare che la summa potestas non può rivendicare un fondamento estraneo agli individui che formano la società» (D’Addio, 1954, p. 115).
Studi più recenti interpretano il rapporto tra le due opere in modo più sfumato (De Benedictis, 2015). Non solo la visione di Machiavelli come precursore dell’assolutismo monarchico non è più accolta, ma la critica al potere tirannico sviluppata nel De principatu può essere altresì accostata a certe pagine filorepubblicane dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio dello stesso Machiavelli, il quale poteva essere venuto a conoscenza delle idee di Salomoni tramite le orazioni ai priori fiorentini, recitate tra il 1498 e il 1499 – periodo che coincise con la sua nomina a segretario della seconda cancelleria – e caratterizzate da diverse somiglianze con il suo pensiero (Biasiori, 2014).
Indipendentemente dal suo rapporto con Il Principe, il De principatu ebbe un buon successo nella seconda metà del secolo, quando fu considerato un’opera fondamentale per la riscoperta dell’origine contrattuale del potere, idea già presente nella sofistica e nel pensiero di Guglielmo di Ockham e di Marsilio da Padova, ma resa di bruciante attualità dagli scrittori cosiddetti monarcomachi, che tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo sostenevano la liceità del tirannicidio contro quei monarchi che conculcavano la libertà religiosa dei sudditi. Proprio in questo periodo l’opera di Salomoni conobbe un momento di grande fortuna, quando fu ripubblicata dall’esule fiorentino Iacopo Corbinelli a Parigi nel 1578 (tipografo D. Duval). La ristampa di Colonia (tipografo I. Gymnicus) di tre anni successiva sta a dimostrare l’attualità nell’Europa delle guerre di religione del pensiero antitirannico e contrattualista di Salomoni, che fu oggetto delle lodi di tutti i maggiori giuristi dell’epoca (D’Addio, 1954, p. 12, n. 17).
Tra le sue opere si ricordano anche un’Enarratio in epistolas pontificias de probationibus (allegata ai due manoscritti del De principatu);il De potestate cardinalium mortuo vel impedito papa – alla copia della Bibliothèque nationale di Parigi, segnalata da D’Addio (p. 18) andrà aggiunta anche quella della Biblioteca Casanatense di Roma – in cui si stabilivano i limiti del potere dei cardinali in attesa dell’arrivo a Roma di Adriano VI, successore designato di Leone X, morto nel 1521. Gli In L. Gallus et in responsa prudentum paradoxa, stampati prima a Roma nel 1519 dal tipografo di origine lorenese Étienne Guillery e poi a Basilea presso Andreas Cratander nel 1530, con dedica a Giulio de’ Medici (Clemente VII), erano invece un’analisi della legge romana che prevedeva la possibilità per il testatore di estendere l’eredità ai futuri nipoti.
Tale circolazione europea delle sue opere mostra la grande stima in cui il giurista era tenuto anche nell’Europa protestante. Nonostante gli accenni anticuriali del De principatu e la simpatia di cui l’opera godette tra i monarcomachi calvinisti, egli rimase però fedele fino alla fine a quella Chiesa romana che tanto lo aveva beneficato. Nella dedica a Clemente VII del commento al Digesto lamentava che mai la religione cristiana era stata «maiori in discrimine», non solo per la costante minaccia turca, ma anche per «contagiosa illa haereticorum pestis, quae simplices animas inficit». Amico di un fiero avversario di Martino Lutero, come il ciceroniano fiammingo Christophe de Longueil, che lo ricorda in una sua lettera (Epistolarum libri tres, Lione 1542, p. 370), Salomoni fu altresì oggetto di un carme del poeta veronese Faustino Boturino (Biblioteca apostolica Vaticana, Ott. lat., 1519, c. 23v) e di un’enfatica lettera dell’umanista e segretario di Leone X, Angelo Colocci, riprodotta anche alla c. 4v dell’edizione romana del 1544 del De principatu.
Nel 1524 e nel 1532 fu conservatore della Camera capitolina, carica che comprendeva il controllo degli acquedotti, delle mura cittadine, dei prezzi e dell’accesso ai diritti di cittadinanza.
Morì con ogni probabilità nel 1533 a Roma, visto che il suo nome non viene più ricordato nei Repertori di famiglie nobili di Domenico Jacovacci a partire dall’anno successivo (D’Addio, 1954, p. 10).
In edizione moderna. Marii Salamonii de Alberteschis de principatu libri septem nec non orationes ad priores Florentinos, a cura di M. D’Addio, Milano 1955.
Fonti e Bibl.: C. Cartari, Advocatorum sacri concistorii syllabum, Roma 1656, p. 110; V. Cian, Un trattatista del Principe a [sic] tempo di Niccolò Machiavelli: Mario Salamoni, estratto da Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, XXXV (1900), pp. 799 ss.; M. D’Addio, L’idea del contratto sociale dai Sofisti alla Riforma e il “De principatu” di Mario Salamonio, Milano 1954; C. De Dominicis, Membri del Senato della Roma pontificia, Roma 2009, ad. ind.; P. Carta, Salamoni degli Alberteschi, Mario, in Dizionario biografico dei giuristi italiani, a cura di I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 1766 s.; L. Biasiori, Salomonio degli Alberteschi, Mario, in Enciclopedia machiavelliana, II, Roma 2014, pp. 473 s.; A. De Benedictis, Principato civile e tirannide: il capitolo IX del Principe e il De Principatu di Mario Salamonio degli Alberteschi, in Machiavelli Cinquecento. Mezzo millennio del Principe, a cura di G.M. Anselmi et al., Milano 2015, pp. 57-72.