SALOMONE (ebraico Shĕlōmōh; greco dei Settanta Σαλωμων [recensione di Luciano, anche Σολομών, come il Nuovo Testamento e Flavio Giuseppe])
Figlio e successore di David sul trono di Israele, il cui regno durò circa dal 972 al 932 a. C.; sua madre fu Bethsabea, la prediletta fra le mogli di David che era già stata moglie di Uria.
Il nome Salomone significa etimologicamente il "pacificon" (o, prendendo l'ebraico "pace" nel senso frequente di "felicità", significa il "felice", "fortunato") e gli fu imposto dal padre secondo il testo ebraico di II Samuele (Re), XII, 24. (dalla madre, secondo il qerē); tuttavia il profeta Nathan gl'impose il nome Yĕdīdyāh, "diletto di Jah [vè]", che è ricordato solo in II Samuele (Re), XII, 25.
Fonte della storia di S. è unicamente la Bibbia (II Sam., XII segg.; I [III] Re, I-XI; e passi paralleli delle Cronache). Dalla Bibbia dipende Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche VIII,1-8, e quel poco che egli vi aggiunge di extra biblico, o che si ritrova riportato da Eusebio (Praepar. evang., IX, 34) e da Clemente d'Alessandria (Stromata, I, 386), non ha valore storico e dipende da tardive leggende giudaiche. Ricca di notizie, tutte favolose, è la tradizione rabbinica, che trasformò S. in un personaggio quasi mitologico; altre leggende su lui si ritrovano nel Corano, XXI, XXVII-XXVIII, XXXVII, negli storici arabi (aṭ-Ṭabarī, ecc.), nelle Mille e una notte, presso gli Etiopi (Kebra Nagast), ecc. Quanto ai libri del Cantico dei Cantici, dell'Ecclesiaste e della Sapienza, come fonti della vita di S. o specchi del suo pensiero, vedi alle rispettive voci; per gli apocrifi attribuiti a lui, vedi appresso.
Nulla sappiamo di particolare circa la prima giovinezza e la formazione di S., la quale dovette svolgersi alla corte di David fra gl'interessi contrastanti dei varî figli e delle varie mogli del re, ma certamente sotto la particolare tutela dell'influentissima madre Bethsabea: è probabile che il profeta Nathan entrasse in qualche modo nell'educazione del regale fanciullo (cfr. II Sam. [Re], XII, 25).
Il giuoco degl'interessi di corte apparve chiaro quando si trattò di stabilire un successore a David, ormai vecchio e inoperoso negli affari di governo. Il figlio maggiore di David, Adonia che aveva dalla sua la maggioranza del popolo e una parte della corte, tentò di farsi eleggere re di sorpresa; ma, mentre si svolgeva questo rito poco fuori Gerusalemme, David ne fu avvisato premurosamente da Bethsabea e dal profeta Nathan, cosicché per contrapposto fece compiere un analogo rito in persona di S., il quale perciò fu riconosciuto re ufficialmente ed ebbe dalla sua l'esercito e la maggior parte della corte. Vista così salda la posizione di S., il partito di Adonia si disperse, ma il nuovo re tenne d'occhio il suo rivale.
I primi atti di S. sul trono furono diretti a eseguire le ultime raccomandazioni fattegli dal padre morente, alcune delle quali contribuivano alla saldezza del suo trono. Così, poco dopo, furono da lui messi a morte sia il fratello rivale Adonia, che non aveva abbandonato ogni aspirazione al trono, sia il vecchio generale di David, Ioab, che aveva assecondato Adonia nel suo precedente tentativo; anche il sommo sacerdote Abiatar, altro partigiano di Adonia, fu deposto e allontanato dalla corte.
Dalla politica di David differì quella di Salomone, in quanto il secondo fece pubblica esibizione della potenza creata tenacemente dal primo, e a differenza di lui curò molto più l'attività diplomatica e finanziaria del suo governo che non quella militare.
Nelle sue relazioni con l'estero la sua autorità, creatagli dal lungo e prospero regno di David, gli permise di ottenere in moglie una figlia del faraone dell'Egitto: il racconto biblico non dà il nome del faraone, ma sembra probabile che esso sia il penultimo della dinastia XXI tanita, cioè Siamon (circa 970-950 a. C.); la principessa egiziana portò in dote a S. la città di Gezer. Col re Hiram di Tiro egli continuò e accrebbe le amichevoli relazioni che già erano esistite fra quel monarca e David. Non mancarono tuttavia ostilità alla periferia del suo regno: al nord, Rezon fondò un nuovo regno arameo con centro a Damasco e tenne sempre un atteggiamento avverso a S.; al sud, il re degli Edomiti, Hadad, già spodestato ed espulso da David, rientrò nelle sue terre dopo l'elezione di S., e almeno per un certo tempo gli dovette essere nemico.
Per la sicurezza delle frontiere e delle strade di comunicazione S. fortificò centri importanti, stabilendovi probabilmente delle guarnigioni permanenti e destinandovi carri da guerra e cavalleria (I [III] Re, X, 26), il cui grande sviluppo dovette essere una sua particolare iniziativa. Fortificazioni di questo genere furono compiute, nella Palestina settentrionale, a Hasor; più in basso, a Megiddo, dove recenti scavi hanno difatti riportato alla luce vasti impianti di scuderie; attorno a Gerusalemme, a Gezer, Beth-horon e Baalath; al sud, a Thamar (così legge giustamente il ketīb di I [III] Re, IX, 18, mentre il qerē ha falsamente Tadmor, cioè Palmira).
Queste costruzioni, che dovevano garantire fra l'altro le strade di comunicazione, avevano anche un'importanza commerciale, a motivo dello sviluppo dato da S. al traffico con l'estero. Poiché i suoi territorî, esclusivamente agricoli e pastorizî, non offrivano prodotti degni d'esportazione, S. importava dall'estero prodotti di tal genere, e lungo le strade di comunicazione del suo regno li convogliava verso regioni opposte ov'erano sconosciuti e ricercati: dalle regioni settentrionali, d'attorno alla Cilicia (Qowe, Muṣrī: cfr. il testo ebraico di I [III] Re, X, 28-29, ed Ezech., XXVII, 14), importava cavalli, che poi rivendeva a principi hittiti e aramei; tuttavia le importazioni di maggior pregio venivano tratte dalle lontane regioni a sud della Palestina. Per raggiunger le quali S. costruì espressamente ad Asion-gaber, sul vertice orientale del Mar Rosso, una flotta commerciale da lungo corso, che ogni tre anni intraprendeva un viaggio fino all'enigmatica terra di Ophir riportandone preziose mercanzie di vario genere; ma stante l'inesperienza marinaresca dei suoi sudditi, S. provvide a equipaggiare la sua flotta con esperti marinai fenici, fornitigli dal re Hiram di Tiro.
L'industriosità commerciale di S. non era né una sua particolare iniziativa, né priva di ragioni di stato. Anche prima dell'epoca sua ci è noto, dai documenti di Tell el-Amārnah, che simili scambî commerciali a scopo di lucro erano stati praticati da principi minori dell'Egitto e dell'Asia anteriore; il lucro poi, a cui mirava il commercio salomonico, era necessario per sopperire alle gravi spese da lui incontrate per le costruzioni grandiose che andava facendo nei suoi territorî e specialmente a Gerusalemme. Se infatti il suo commercio era proficuo, le spese per le costruzioni erano tante da ridurre talvolta S. in vere necessità finanziarie: così al re Hiram, che per le costruzioni di Gerusalemme gli aveva fornito materiali per 120 talenti d'oro, S. si trovò costretto ad offrire il compenso non già in denaro ma in natura, mutilando cioè il territorio del proprio regno col cedergli venti città della Galilea (che poi non contentarono affatto il regio fornitore).
Dalle relazioni commerciali di S. con le regioni meridionali fu forse provocata la visita che gli fece a Gerusalemme una innominata regina del regno arabo di Saba (Sheba), che gli offrì ricchi donativi e gli propose, secondo le usanze orientali, questioni sottili di scienza varia. L'episodio di questa visita diventò in seguito oggetto di ampie leggende, specialmente in Etiopia.
L'opera a cui S. legò stabilmente il proprio nome, e per la quale procurava mezzi finanziarî col suo commercio, fu la costruzione del tempio e della reggia in Gerusalemme. Questa città era già stata scelta a capitale del regno da David, ma, benché fortificata naturalmente e artificialmente, non possedeva ancora ciò che secondo la mentalità dell'antico Oriente serviva da indice della potenza di una capitale e di un regno, cioè il tempio del Dio nazionale e la reggia del re teocratico. David non aveva potuto effettuare il suo disegno di mettere mano a queste costruzioni: vi provvide pertanto Salomone.
Ai tempi di S. i luoghi di culto israelitico erano i tradizionali "alti luoghi" (bamōth), di cui uno dei principali stava a Gabaon; tanto ivi, quanto in Gerusalemme davanti all'Arca dell'alleanza, S. compiva sacrifici (I [III] Re, III, 2-4,15). Sia per superare in importanza tutti questi santuarî particolari, sia per accentrare il culto nazionale nella capitale, S. vi costruì il tempio, che fu l'unico legittimo per tutta la nazione ebraica.
A sud-est del tempio, e in comunicazione con esso (per esprimere così l'idea della teocrazia che desumeva la sua autorità dal tempio), S. costruì la reggia. Questa era costituita dalla "casa della foresta del Libano", vasta sala che contava 45 colonne fatte di tronchi di cedri del Libano (donde il nome), dal "vestibolo delle colonne", dall'"aula della giustizia" dove il re pronunziava sentenze e si ergeva il suo trono, e dalla "casa del re" con una parte destinata all'harem reale e un'altra alla regina figlia del faraone. Mentre alla costruzione del tempio S. lavorò sette anni, la costruzione dei varî edifici della reggia richiese tredici anni (I [III] Re, VII,1). Per ragioni sia architettoniche sia militari S. costruì in Gerusalemme anche il "Millo", che sembra fosse una riempitura del terreno a sud del tempio, inoltre le mura della città, la quale con le nuove costruzioni si era estesa a nord ben oltre l'antico insediamento sulla primitiva collina dell'Ofel.
La costruzione del tempio e della reggia contribuì enormemente a idealizzare presso i posteri la figura di S. e a farla assurgere al valore di simbolo. I due edifici risultarono per gli Ebrei di una bellezza e di una grandiosità incomparabili, e a ogni modo divennero subito quanto il popolo d'Israele ebbe di più sacro religiosamente e di più fiero nazionalisticamente; per i posteri quindi S. fu il rappresentante tipico delle due idee accentrate nel tempio e nella reggia, e in tutta la vita di lui non si vide che un pieno avveramento del significato stesso del suo nome.
Questo processo di idealizzazione è molto antico, e se ne trovano i primi elementi nella stessa Bibbia; in essa, mentre documenti più antichi (I [III] Re, XI,1-8) narrano che S. accolse nel suo harem donne alienigene e favorì i loro culti idolatrici al punto di parteciparvi anch'egli personalmente, nelle posteriori Cronache su questa sua nera macchia viene steso un velo di riverente silenzio e non se ne parla, appunto perché essa veniva a deformare l'ideale figura di S. Ma i contemporanei, i quali giudicavano lui e il suo governo in forza dell'esperienza che ne avevano fatta essi personalmente, invece di idealizzare la sua figura presero occasione dalla sua morte per sfogare l'odio lungamente represso, e si decisero per la ribellione contro la sua dinastia e per lo scisma dell'intera nazione (v. ebrei Storia).
L'odio che portò alla ribellione e allo scisma ebbe per causa principale i pesanti aggravî economici imposti al popolo da S. I mezzi finanziarî per le sue costruzioni erano forniti solo in minor parte dal suo commercio, e il resto fu procurato con un rigido sistema di tasse e requisizioni, diretto da una speciale amministrazione. Il territorio della nazione fu ripartito in 12 distretti, secondo il numero delle tribù israelite, e ogni distretto fu affidato a un prefetto, che doveva anche provvedere per un mese al mantenimento della corte reale e delle scuderie da guerra (I [III] Re, IV, 7-28). Obbligatorie erano anche le prestazioni di mano d'opera per le costruzioni; la fornivano principalmente tre mute di lavoratori di 10.000 uomini ciascuna, che si davano il turno ogni mese, ed erano coadiuvate da molte altre migliaia di operai addetti specialmente al trasporto dei materiali. Essendo durato 20 anni l'insieme dei lavori per la costruzione del tempio e della reggia, altrettanto durarono queste prestazioni fiscali di lavoro, che complicandosi con motivi d'altro genere diffusero e approfondirono sempre più nel popolo il malcontento contro il monarca.
Ma più tardi, a costruzioni ultimate e a scisma avvenuto, tutti questi aggravî furono dimenticati presso quella minor parte del popolo rimasta fedele alla dinastia di S., e allora cominciò il processo di idealizzazione di chi aveva costruito il tempio e la reggia.
L'epoca di S. fu perciò un'epoca d'oro. Ai suoi tempi i suoi sudditi dimoravano in tranquillità ciascuno sotto la sua vite e sotto il suo fico, da Dan fino a Bersabea, per tutti i giorni di S." (I [III] Re, V, 5 [IV, 25]); in quel tempo l'argento non aveva più valore, perché il monarca aveva fatto sì che quel metallo fosse comune in Gerusalemme come i sassi, e il prezioso legno di cedro fosse abbondante come legno dozzinale (ivi, X, 21,27); a parte altri proventi, egli riscuoteva ogni anno di solo oro 666 talenti, cioè circa 100.000.000 di lire oro (ivi, X, 14-15). Lo sfarzo della sua corte fu proporzionato a tanta opulenza: e poiché un indice della potenza d'un monarca orientale era la numerosità del suo harem in quello di S. si contarono 1000 donne, di cui 700 con qualità di mogli di primo grado e 300 di secondo (ivi, XI, 3). Personalmente poi S. fu dotato di sapienza e dottrina meravigliose: "la sapienza di Salomone superò la sapienza di tutti gli Orientali e tutta la sapienza dell'Egitto...; ed egli pronunciò 3000 proverbî e i suoi carmi furono 1005. Ragionò egli delle piante, dal cedro del Libano fino all'issopo che spunta dalla muraglia; ragionò pure degli animali, e degli uccelli, e dei rettili e dei pesci. E si veniva da tutti i popoli ad ascoltare la sapienza di Salomone, e da parte di tutti i re della terra che avevano avuto notizia della sapienza di lui" (ivi, V, 10-14 [IV, 30-34]).
Come prova dell'acume di S. si portava specialmente l'episodio del "giudizio di S." (ivi, III, 16 segg.). Due meretrici, che vivevano insieme, divennero madri quasi nello stesso tempo; una di esse, dormendo, soffocò involontariamente il proprio bambino, e accortasene lo mise a fianco dell'altra che dormiva, prendendone il bambino vivo e tenendolo con sé l'altra, svegliatasi e avvedutasi dello scambio, reclamò il bambino vivo, e poiché non l'ottenne la questione fu deferita al giudizio di S. Egli finse di voler accontentare ambedue le parti, ordinando che il bambino vivo fosse diviso con una spada a metà e fosse dato mezzo a ciascuna. La madre fittizia accondiscese; non così la madre vera a cui premeva l'incolumità di suo figlio, e perciò costei preferì che il bambino fosse ceduto vivo alla madre fittizia. Da ciò S. scoprì la madre vera, e le restituì illeso il bambino. Siffatto procedimento psicologico, mirante a scoprire la verità in una questione giudiziaria in forza dell'affetto materno, fece enorme impressione nel popolo e se ne parlò come di un accorgimento sapientissimo. L'episodio era notissimo anche in ambienti pagani ai tempi ellenistici, certamerite mediante la diaspora giudaica, e se ne è trovata la raffigurazione in caricatura in un affresco di Pompei.
Ma, nonostante lo sfarzo e la fama di S., il malcontento del popolo si diffondeva sempre più e le prime avvisaglie della rivolta avvennero anche prima della morte di lui. Geroboamo, sovrintendente di una muta degli operai regi, colse l'occasione dello stato di cose per aspirare al trono, appoggiato com'era non soltanto dal popolo oppresso ma anche da taluni circoli del profetismo (ivi, XI, 26-40); il re cercò di metterlo a morte, ma Geroboamo fuggì in Egitto, donde tornò dopo la morte di S. per realizzare i suoi progetti con la scissione della nazione. Degli ultimi anni di S. non abbiamo notizie particolari, salvo la sua partecipazione all'idolatria per compiacenza verso le donne alienigene del suo harem (v. sopra).
Ultimo a regnare sull'intero Israele, Salomone fu certamente il più potente ed illustre di tutti i monarchi di quella nazione; ma, mentre la sua potenza e splendore erano in realtà frutto del sagace ed energico governo di suo padre David, S. per conto suo non fece che dissipare quanto trovò accumulato, preparando con i suoi metodi di governo autoritarî e oppressivi il dissolvimento della nazione: dal punto di vista politico, ciò che David aveva edificato, fu demolito per sempre da Salomone.
Nel Nuovo Testamento, Salomone è ricordato come simbolo di sfarzo (Matteo, VI, 29) e di sapienza (ivi, XII, 42). Divergenti sono i giudizî dei Padri su lui: mentre S. Agostino e generalmente i Padri latini gli sono sfavorevoli e mettono in dubbio ch'egli si sia salvato (a motivo della sua idolatria finale), S. Giovanni Crisostomo e il più dei Padri greci gli sono favorevoli. Con questi ultimi si schiera Dante (Paradiso, X, 109-116) che mette S. nel Sole insieme con i dottori e lo fa presentare da S. Tommaso; ma allude pure all'incertezza che si aveva sulla terra riguardo alla sua salvazione, quando ricorda che "tutto il mondo - laggiù ne gola di saper novella".
Folklore. - Nessun personaggio dell'antichità biblica occupa il posto di Salomone nella tradizione popolare, la quale abbraccia un complesso di racconti, che sono derivati da fonti varie, storiche, morali, poetiche, e appartengono a popoli diversi (Arabi, Persiani, Turchi, ecc.). Essa narra dell'illimitato potere che Iddio avrebbe concesso a quel principe, cui ubbidivano non solo gli animali della terra, del cielo e del mare, ma i genî di ogni natura e categoria e tutte le cose del creato. La tavola, il diadema, il tesoro, il trono, risplendente e adorno di leoni e di uccelli magicamente animati, la coppa entro cui si vedevano riflessi come in uno specchio gli avvenimenti, l'anello, e soprattutto il sigillo con cui S. piegava ai proprî voleri ogni forza e disponeva dei venti che lo trasportavano da un capo all'altro dell'universo, sono l'oggetto di speciali racconti meravigliosi, che fanno del figlio di David un mago vero e proprio. A lui si attribuiscono rimedî atti a scongiurare mali e malefizî veri o presunti, forze avverse e insidiose della salute umana e a operare prodigi e incantesimi. Per mago egli passò nel Medioevo, e a lui, già noto come presunto autore della Sapienza e di altri scritti biblici, furono attribuiti i proverbî, noti come i Detti di Salomone o di Salomone e Marcolfo dal nome dell'interlocutore che scioglie le questioni poste dal primo (Les dits de Marcoul et de Salomon). Questa leggenda è registrata anche da scrittori, tra cui Gregorio di Tours (Hist. Francor., I, 13).
Col nome di "segno", "sigillo" o "nodo di Salomone" il popolo indica speciali figure geometriche o simmetriche derivate dal pentalfa o dall'esalfa, di origine astrologica, che venivano adoperate nelle pratiche stregoniche per allontanare o disperdere i malefizî e le fatture.
Tutte le storie degli Ebrei e i dizionarî biblici trattano di S.: per cui v. la bibl. alle voci ebrei; bibbia. Inoltre, L. Desnoyers, Histoire du peuple hébreu, III, Salomon, Parigi 1930. Per il folklore, v.: L. de Vasconcellos, Signum Salomonis, in O Archeologo Portugues, XXIII (1918), pp. 203-316; Le Roux de Lincy, Le livre des proverbes français, Parigi 1859; R. Basset, Salomon dans les légendes musulmanes, in Revue des traditions populaires, III (1888), p. 353 segg.; IV (1889), p. 52 segg.
I Salmi e le Odi di salomone.
A Salomone furono apocrifamente attribuiti sia un gruppo di Salmi composti da un giudeo nel sec. I a. C., sia un gruppo di Odi, che sono un prodotto cristiano, probabilmente del sec. II.
I Salmi sommano a diciotto. Alcuni offrono elementi storici che permettono di datarli; l'avvenimento che li domina è l'occupazione di Gerusalemme da parte dei Romani guidati da Pompeo Magno nel 63 a. C. e la profanazione seguitane del tempio. A tale fatto, che turbò profondamente l'anima ebraica, si concatenano altri che lo precedettero e lo seguirono: le lotte fraterne fra gli Asmonei Aristobulo ed Ircano, e ancor prima le stragi di Farisei e di insigni personaggi giudei compiute da Alessandro Ianneo.
L'autore della raccolta sembra unico: esso doveva appartenere al partito fariseo che, dalle persecuzioni violente sotto Alessandro Ianneo era passato, dopo la morte di lui, al dominio della cosa pubblica sotto la vedova Alessandra Salomè, e di nuovo era osteggiato dal figlio Aristobulo.
La composizione dei Salmi si scagliona tra il 69 e il 48 e forse fino al 40 a. C. Si sono conservati in lingua greca, in cui furono tradotti tra il 40 a. C. ed il 70 d. C. L'idea del Hilgenfeld, che il greco fosse originale, è ora del tutto abbandonata: un fariseo palestinese è inverosimile che adottasse per esprimere i suoi lamenti la lingua dei pagani.
Pervasi da vivo senso religioso, i Salmi mirano a giustificare Dio nei suoi terribili giudizî, stigmatizzando i costumi rilassati, le profanazioni, le violenze, le compromisssioni che disonoravano il giudaismo contemporaneo e specialmente il partito dominante dei Sadducei; a rinnovare nell'anima dei Giudei l'attaccamento alla teocrazia, al Signore Re, alle sue leggi, al tempio e al suo culto; a risvegliare e fortificare la speranza nel regno definitivo del Messia, atteso come prossimo.
L'attesa messianica, la cui formulazione ha una speciale importanza perché precede di poco il sorgere del cristianesimo, è delineata specialissimamente nei Salmi VIII, XI, XVII. Il Messia, eliminata la dinastia degli Asmonei, sarà, secondo l'antica speranza, figlio di David. Queste idee messianiche dei Salmi e il nome di Salomone sotto cui figurano, li fecero penetrare anche negli ambienti cristiani. Essi sono così elencati nel catalogo di libri biblici del Codex Alexandrinus, uniti alle Odi: ma non ebbero larghi consensi e furono ben presto dimenticati.
Le Odi, note in Occidente fino a Lattanzio e in Oriente fino al sec. VI, andarono poi perdute: solo nel 1909 Rendel Harris ebbe la fortuna di rintracciarle, insieme con i Salmi, in lingua siriaca in un manoscritto del sec. XV-XVI. Altro manoscritto, frammentario, rintracciò F.C. Burkitt al British Museum (Add. 14538). Sottoposte a uno studio appassionato, le opinioni degli studiosi a loro riguardo non furono concordi. La lingua originaria sembra essere stata la greca; così almeno giudicò la maggioranza dei critici, compreso l'editore R. Harris, il quale però nella seconda edizione (curata insieme col Mingana; v. bibl.) mutò parere, giudicando originale il siriaco. Più probabile pare tuttavia l'origine greca, per varie osservazioni filologiche che è qui impossibile esporre: il traduttore che volse dal greco i Salmi poté tradurre anche le Odi che con quelli erano congiunte.
Il carattere cristiano delle Odi è oggi ammesso comunemente, e che vi sia una larghissima parte cristiana è iridiscutibile. A. Harnack, seguito da altri al momento della scoperta, pensò ad un substrato ebraico largamente interpolato da mano cristiana. Testi d'appoggio all'idea erano l'ode IV che insegna l'immutabilità del luogo del Santuario ("Nessuno muta il luogo tuo santo, Dio mio, e nessuno vi sarà che lo muti e lo stabilisca in luogo diverso", IV,1-2), e l'Ode VI ("tutto travolse e trasportò al Tempio", VI, 8). Tuttavia le Odi presentano un simbolismo straordinariamente sviluppato: e la prima antichità cristiana, nella deficienza sentita di appropriati luoghi di culto, conobbe interpretazioni in senso spirituale del Tabernacolo o del Tempio di Gerusalemme, o la loro sostituzione con un Tempio ideale. Ciò può dare spiegazione delle frasi addotte delle Odi. Simili concezioni si riscontrano infatti nel Nuovo Testamento (lettera agli Ebrei), nella II Clementis (XIV), nel Pastore di Erma (Visione, II, 4), e più nitidamente nella cosiddetta Epistola di Barnaba (XVI), la quale intende dimostrare che il Tempio vero ed immutabile non era quello di Gerusalemme, bensì il cuore dell'uomo o la Chiesa e il Paradiso.
Scartata la tesi di un substrato ebraico, le Odi rimangono il più antico innario cristiano. Di qui la loro importanza, accresciuta dalla loro reale elevatezza e bellezza. Il sentimento religioso vi è delicato e profondo. Risentono frequentemente del IV Vangelo, da cui il cantore attinge le idee del Logos apparso in Cristo, dell'onore reciproco resosi dal Padre e dal Figlio (Ode VII, 18), del Cristo che assoggetta il mondo con la sua passione (Ode X, passim), la frequenza dei concetti di luce, vita, verità, grazia, via. Le immagini sono spesso delicate e fini, quasi si direbbe di grazia femminile: e non mancano nemmeno, accanto a pagine strane, gli svolgimenti ampî e profondi.
Purtroppo non è concesso di fissare la data con precisione. Il Fries ed il Conybeare pensarono a un'origine delle Odi dalle correnti del montanismo; il Newbold ne suggerì come autore Bardesane; ma rimasero isolati. Il Bernard insisté sui simbolismi battesimali delle Odi, che interpretò, troppo sistematicamente, come inni rituali per il battesimo chiamato in Oriente "illuminazione"; in tal caso (e accenni al rito non mancano) la raccolta si dovrebbe riportare alla fine del sec. II o all'inizio del III.
Un originale siriaco fu propugnato ultimamente da R. Harris e dal Mingana che pongono l'origine delle Odi ad Antiochia nel sec. I, o non lungi per tempo e per spazio. Una tesi più diffusa e che sembra raccogliere le maggiori probabilità colloca le Odi tra la composizione del IV Vangelo e il fiorire dello gnosticismo.
Una vaga tendenza gnostica, nell'assegnazione d'una speciale importanza alla gnosi e nello svolgimento di un processo di liberazione spirituale iniziantesi nella mente, è manifesta nella raccolta: la loro origine sembrerebbe quindi potersi datare verso il 120.
Le Odi sono un prodotto "gemello del IV Vangelo"; così le aveva definite A. Harnack. E la critica recente, la quale cerca le origini della mistica del IV Vangelo in una mistica d'ambiente, non manca d'accogliere questa tesi. Ma la idea del Logos-Cristo, svolta in piano organico dal IV Vangelo, appare nelle Odi desunta altrove, non creata da esse. Quel soffio di elevato misticismo che le distingue dovette spirare dall'anima di un'alta personalità spirituale, e non poteva essere possedimento quasi autoctono d'una folla anonima: ora, la più alta personalità in cui quella mistica s'afferma è l'autore del IV Vangelo.
Per i Salmi: E. Kautzsch, Die Apocryphen und Pseudepigraphen des Alten Testaments, II, Tubinga 1900; rist., 1921; J. Viteau, Les Psaumes de Salomon, Introduction, Texte grec et traduction, Parigi 1911; una versione siriaca fu trovata ed edita da Rendel Harris assieme con le Odi; O. v. Gebhardt, Die Pslalmen Salomo's, in Texte und Untersuch., XIII, ii, Lipsia 1895; R. H. Charles, Apocrypha and Pseudepigrapha, Oxfort 1913.
Per le Odi: Rendel Harris, The Odes and Psalms of Salomon, now first published from the syriac version, Cambridge 1909; id. e A. Mingana, The Odes and Psalms of Salomon (testo in facsimile, introduzione e nuovo commento) voll. 2, Manchester 1920; F. C. Burkitt, A new ms. of the Odes of Solomon, in The Journal of theological Studies, gennaio 1913; J. Flemming e A. Harnack, Ein jüdisch-christliches Psalmbuch aus dem ersten Jahrhundert, in Texte und Unters., XXXV, iv, Lipsia 1910; J. Labourt e P. Batiffol, Les Odes de Salomon, Parigi 1911; J. H. Bernard, The Odes of Solomon, in Text and Studies, VIII, iii, Cambridge 1912; L. Tondelli, Le Odi di Salomone, Roma 1914; W. Bauer, Die Oden Salomo, in Kleine Texte, LXIV, Berlino 1933.