salmo
Con il termine ‛ Salmi ' o con l'altro, equivalente, di ‛ salterio ' si indica la raccolta biblica di inni, preghiere, lamentazioni; ma il vocabolo ‛ salmo ' può anche indicare una singola composizione compresa nella raccolta.
Oltre a questo significato proprio (per cui v. oltre), s. è usato nell'accezione estensiva ironica di " discorso " in If XXXI 69 " Raphèl maì amècche zabì almi ", / cominciò a gridar la fiera bocca, / cui non si convenia più dolci salmi; in Fiore XLV 4 alquanti motti ch'i' voglio ancora dire / a ritenere intendi e a udire, / ché non potresti apprender miglior salmi; e in Detto 343 Or sì t'ho letto il salmo.
Il Libro dei Salmi. - I vocaboli s. e ‛ salterio ' derivano dal greco (ψαλτήριον = strumento a corde; ψαλμός = canto di un testo poetico con accompagnamento, del ψαλτήριον o di strumento analogo); in ebraico solo il termine usato per i singoli s., ossia mizmôr, allude a uno strumento musicale, mentre la raccolta intera è chiamata " Inni " oppure " Preghiere ". I s. sono centocinquanta; ma il loro numero reale è alquanto minore (vi sono s. ripetuti due volte nella raccolta, mentre per altri sussiste il dubbio se vadano uniti insieme oppure sdoppiati). Per lo più si tratta di composizioni poetiche anonime, di epoche diverse; alcuni presentano indizi di un'origine molto antica, altri sono certamente del periodo postesilico (secoli V-III a.C.).
Nella Bibbia ebraica molti s. sono attribuiti a David; fra gli antichi padri della Chiesa era assai comune l'idea che questo re della fine del sec. XI a.C. fosse l'unico autore del salterio. Anche se non lo dice espressamente, sembra che D. condividesse tale opinione: David è il cantor de lo Spirito Santo (Pd XX 38) ed è considerato un autore ispirato dell'importanza di Mosè, cui era attribuito il Pentateuco (Mn III IV 11), il salmista (Cv II III 11, V 12, IV XXIII 8, Pg X 65; cfr. Mn I XV 3, III XIV 6, Quaestio 77) o il profeta per eccellenza (Cv III IV 8, Mn II I 5, III III 12).
É degno di nota il verso (Pd XXIV 136) per Moïsè, per profeti e per salmi, senza dubbio dipendente da Luc. 24, 44, ove in tal modo si indicano le tre parti della Bibbia ebraica (è naturale il nome dell'autore, cioè Mosè, per " Pentateuco " o " Torâ "; la rara sostituzione salmi per " scritti " o " agiografi " - secondo le due denominazioni della terza parte - denota l'importanza assunta dal libro nella raccolta, che pure include testi come Giobbe).
Specialmente nella Commedia (cfr. Pg II 47, V 24, IX 140-145, XXIII 10-12, XXX 82-84, XXXIII 1-3, Pd X 139-148, XXV 98) D. allude spesso al canto corale dei s. (cfr. Pd VI 124).
Di solito D. cita i s. in latino, secondo il testo della Volgata; alcune lezioni particolari (come Labïa mëa, Domine, in Pg XXIII 11, per " Domine, labia mea " di Ps. 50, 17) sono dovute a necessità di metrica e non a una recensione specifica del testo; nella Commedia solo in Pd XXV 73-74 - ma si ripete parzialmente in latino nel v. 98 - si cita la traduzione italiana di Ps. 9, 11. Per lo più vengono riportate soltanto alcune parole, magari rilevando che il s. era cantato per intero (Pg II 48, V 24); le citazioni dirette - se si eccettua Pd XXXII 12 = Ps. 50, 3 - compaiono solamente nel Purgatorio (II 46 = Ps. 113, 1; V 24 = Ps. 50, 3; XIX 73 = Ps. 118, 25; XXVIII 80 = Ps. 91, 5; XXIX 3 = Ps. 31, 1; XXX 83-84 = Ps. 30, 2-9; XXXI 98 = Ps. 50, 9; XXXIII 1 = Ps. 78, 1). Ovviamente sono in latino le citazioni nella Monarchia (I XIII 5 e 7; XV 3; Il I 1; IX 1 = Ps. X 8; III XIV 6 = Ps. 49,16; 71, 2; 4, 8; 2, 1; 94, 5: quest'ultimo testo è citato nella forma che aveva nell'Invitatorium al Mattutino), nelle epistole (V 21 = Ps. 94, 5; XI 9 = Ps. 68, 10, con adattamento eius per tuae; XIII 62 = Ps. 138, 7-9) e nella Quaestio (77 = Ps. 138, 6). Fra le varianti, oltre a quelle già rilevate, vanno ricordate la sostituzione di Dei a ipsius (Dei est mare, etc.) in Ep V 21 (anche qui si cita il s. secondo la forma pregeronimiana mantenuta nell'Invitatorium) e quella di Mn III III 12 (Testamentum, quod " in ecternum mandatum est " ut ait Propheta), che deve riprodurre liberamente Ps. 110, 9 (" mandavit in aeternum testamentum suum "). Nel brano della Monarchia è da notarsi la triplice distinzione dei testi sacri: l'Antico e il Nuovo Testamento sono ante Ecclesiam; cum Ecclesia sono i testi conciliari e quelli dei grandi dottori; post Ecclesiam quelli giuridici (le Decretales). Comunque si giudichi la triplice divisione, è certo che D. distingueva la Bibbia, perché ispirata, non solo dalla terza categoria ma anche dalla seconda (i padri conciliari e i dottori furono a Spiritu Sancto adiutas, ma non ispirati in senso stretto).
Riguardo all'interpretazione non sempre risulta chiaro il pensiero di D.; è da notarsi come in Mn II I 1-7, contro la tradizione, egli veda nell'Uncto non Gesù Cristo, esplicitamente citato in Ps. 2, 2c, ma l'imperatore. In Ep XIII (20-21) l'inizio di Ps. 113 è preso per spiegare i quattro sensi della Bibbia (uscita dall'Egitto = senso letterale; redenzione = senso allegorico; passaggio dal peccato alla grazia = senso morale; passaggio dalla presente alla vita eterna = senso anagogico).
Più interessante è l'uso del salterio nel Convivio; ivi si ha sempre una traduzione italiana, probabilmente opera dello stesso poeta, ma non è da escludersi l'utilizzazione di un lavoro preesistante; inoltre di solito si offre anche un'interpretazione del testo biblico. In Cv II III 11 Ps. 8, 2 è citato a conferma della meraviglia dei vari cieli, specialmente dell'Empireo: Questa è quella magnificenza, de la quale parlò il Salmista, quando dice a Dio: " Levata è la magnificenza tua sopra li cieli ". È indubitabile lo stupore del salmista per le meraviglie del creato; ma il plurale cieli non implica certamente il concetto dei dieci cieli. Nel medesimo contesto compare la citazione di Ps. 18, 2 (Li cieli narrano la gloria di Dio, e l'opere de le sue mani annunzia lo fermamento), in Cv II V 12. Con maggiore aderenza al significato del s., in Cv IV XIX 7 viene riportata buona parte di Ps. 8, che esalta la nobilitade umana, che in tanti e tali frutti fruttifica, mentre Ps. 99, 3 (Dio è segnore: esso fece noi e non essi noi) è inserito in un aneddoto (battibecco fra imperatore e prete), ed è introdotto con una formula che ne indica l'autore (David) e il libro (e sono queste parole del Profeta, in un verso del Saltero, Cv III IV 8). In maniera libera si cita (Cv IV XXIII 8) Ps. 103, 8 (Ponesti termine, lo quale passare non si può), identificando il termine con quello della morte naturale che nessuno può scavalcare; in realtà nel s. si tratta del limite fissato da Dio alle acque perché non inondino la terra.
Più numerose, ma talvolta discutibili, appaiono le allusioni al salterio attraverso l'utilizzazione di qualche sua espressione. Nella Commedia compaiono innanzi tutto nella seconda e terza cantica, ma - a differenza delle citazioni dirette - ci sono anche nella prima (cfr. If I 65, VII 76, XXI 131, e Ps. 50, 3; 103, 2; 34, 16). In Pg XIV 143-144 si parla di un duro camo che avrebbe dovuto tenere a freno l'uomo; si confronti con Ps. 31, 9 (" in camo et freno maxillas eorum constringe "); anche i botoli ringhiosi del medesimo canto (vv. 46-47) ricordano i " catuli leonum rugientes " (Ps. 103, 21); l'aceto e 'l fele di Pg XX 89 direttamente provengono da Matt. 27, 34-48, ma in ultima analisi da Ps. 68, 22; l'affermazione di Stazio (Pg XXV 34-36), che presenta le sue parole come lume, ricorda il detto del salmista " Lucerna pedibus meis verbum tuum et lumen semitis meis " (Ps. 118, 105). Casi simili non sono rari; ma nel complesso l'utilizzazione del salterio risulta piuttosto limitata. Si vede che sul poeta influì il giudizio negativo sulla traduzione latina (cfr. Cv I VII 15); non potendo risalire alla bellezza e armonia del testo originale, preferì limitare le sue citazioni e allusioni, anche se si trattava senza dubbio del libro biblico più conosciuto, almeno dopo i Vangeli.
V. anche BIBBIA.