TORELLI, Salinguerra
– Secondo di questo nome, figlio di Torello di Salinguerra I, nacque forse attorno al 1164, da una famiglia di rango capitaneale di origine bolognese radicata a Ferrara (v. la voce in questo Dizionario).
Il primo esponente noto della famiglia poi denominata Torelli è un Pietro del fu Lamberto, nipote di Remengarda figlia di Adalberto della famiglia dei conti di Bologna, attivo almeno dal 1062, che è appellato nella documentazione de Remengarda, verosimilmente per riallacciarsi alla dinastia comitale. Pietro de Remengarda fu in stabile e fedele contatto con i Canossa almeno dal 1079 (in un placito matildico a Ferrara) al 1109, e ancora nel 1112 è presente, menzionato come capitaneus, a un placito nel Ferrarese. A Ferrara si radicò definitivamente ed ebbe relazioni con il vescovo Landolfo e con l’abbazia di Pomposa, pur senza perdere i contatti con l’area emiliana. Nella documentazione ferrarese, ove compare sin dal 1083 nella curia dei vassalli vescovili (citato per primo), egli è successivamente detto Pietro Torello. Il soprannome diventerà cognome, quantunque il prestigioso matronimico resti vivo (il fratello di Salinguerra II è appellato nella documentazione, fra XII e XIII secolo, Pietro di Remengarda).
Il figlio di Pietro, Salinguerra I, noto dal 1123, a sua volta è detto capitaneus. Fu teste nel 1135 della donazione alla Chiesa di Roma del terreno per la costruzione della cattedrale di Ferrara, e nel 1151 rector del Comune di Ferrara nella importante controversia con il Comune di Verona per il controllo di Ostiglia. Scomparve attorno al 1163 e fu avvicendato dal figlio Torello (II), attivo sino al 1196. Costui partecipò attivamente alla vita pubblica del Comune di Ferrara e fu presente alla pace di Venezia nel 1177, con un seguito di 20 armati, adeguato al suo rango di capitaneus. Fu forse anche imparentato con la famiglia ducale ravennate dei Traversari; suo figlio Ariverio sposò una figlia di uno dei principali vassalli estensi, Alberto da Baone.
Lungo tutto il secolo XII, il patrimonio fondiario dei Torelli (avvocati di Pomposa) si consolidò mediante investiture, ma anche usurpazioni, di beni ecclesiastici (delle Chiese ravennate e ferrarese, con cospicue decime); dalla Chiesa di Roma ebbero investiture di beni ex matildici (confermati ancora nel 1209) e non mancarono concessioni degli Estensi. In questa fase, i Torelli cedettero i beni bolognesi.
La già solida posizione della famiglia nella società ferrarese fu poi indirettamente rafforzata dall’inattesa estinzione dell’altra famiglia capitaneale presente in Ferrara, i Marchesella Adelardi, l’eredità politica e sociale dei quali (racconta Riccobaldo) fu orientata dai Giocoli e da Pietro Traeversari verso gli Estensi. Ciò favorì il coagularsi attorno a Salinguerra II di una pars (denominazione che compare nel 1202). L’intera esperienza politica di Torelli, svoltasi nel cinquantennio 1190 circa-1240, si inscrive in questo quadro, e parzialmente si intreccia con le vicende della pars Imperii nell’Italia nordorientale. In quegli anni, infatti il consolidarsi delle fazioni intercittadine scompaginò i rapporti politico-territoriali in tutta la Marca trevigiana, e anche i rapporti di Torelli con le città venete ne furono influenzati; se sino ad allora avevano prevalso nei rapporti intercittadini la definizione di ambiti territoriali/distrettuali e del Lebensraum tra le città (per esempio, nel 1188 il castello torelliano di Fratta Polesine era stato conquistato dal Comune di Verona), le cose in qualche misura cambiarono.
La carriera politica di Torelli iniziò nel 1191, a fianco del padre, e nel 1195 dopo la sua scomparsa era già podestà del Comune di Ferrara e destinatario di un diploma imperiale che gli concedeva diritti giurisdizionali sul suo proprio patrimonio e sul palazzo imperiale di Ferrara. Ricoprì nuovamente la carica nel 1199 e 1203. Già in questi anni la sua politica interna sembrava orientata a incarnare le esigenze d’insieme del mondo urbano ferrarese (anche dei ceti produttivi), promulgando forse (1195) il primo corpus statutario, e circoscrivendo autonomie e giurisdizioni ecclesiastiche. Nel 1197 fu incaricato da Enrico VI di riammettere Nonantola nei suoi beni, che erano stati usurpati.
Sul piano esterno, Torelli entrò in relazione stretta con le città venete, in particolare Verona. Qui fu due volte podestà, nel 1200 e 1201; una fonte veronese, il Syllabus potestatum, lo definisce falsus. Le due podesterie si inscrivevano in una precisa strategia di collegamento con le fazioni delle città venete: a scambio con lui, nel 1200 era podestà a Ferrara un esponente dei Monticoli veronesi, Tebaldo Turrisendi, mentre suo fratello Pietro di Remengarda era podestà a Treviso. Durante la podesteria veronese Torelli non solo svolse un ruolo di arbitro su scala regionale mediando il conflitto fra il Comune di Treviso e il patriarca Wolfger di Aquileia, ma con l’esercito veronese conquistò e distrusse, per conto del Comune di Ferrara, il castello di Argenta (che apparteneva all’arcivescovo di Ravenna).
Per alcuni anni i rapporti con gli Estensi non furono conflittuali (per esempio, nel 1202 Azzo VI e Torelli mediarono un contrasto di confine fra Modena e Reggio, e nel 1204 Torelli fu presente in Friuli al contratto matrimoniale fra Azzo VI e Ailice di Antiochia). Un sostanziale perseguimento degli obiettivi interessi di consolidamento territoriale di Ferrara (per esempio, nel 1205 fu testimone a trattative tra il Comune di Ferrara e la Chiesa ravennate per Argenta) si intrecciò con le logiche di fazione. Tuttavia, nel 1205, mentre Torelli era podestà a Modena, Azzo VI attaccò un castello dei Torelli e tra il 1207 e il 1208 le controversie di partito s’inasprirono nell’intera Marca, coinvolgendo Ferrara nella politica sovracittadina dei marchesi. Azzo VI (nel 1208 podestà di Verona, Mantova e Ferrara) espulse dalla città, con la sua pars, Torelli, che si accostò politicamente ai da Romano. La reazione di Torelli portò alla riconquista della città (primavera del 1209), cui seguì la restituzione del castello di Argenta all’arcivescovo di Ravenna (largo di investiture verso Torelli).
Pochi mesi dopo, la discesa in Italia di Ottone IV mise temporaneamente la sordina ai contrasti (vividamente tratteggiati dal cronista Maurisio nella narrazione di un violento scontro verbale avvenuto a Ossenigo in Val d’Adige, nella curia regis, fra Ezzelino II, Torelli e il marchese). Nel settembre del 1209 Torelli fu a Bologna al seguito dell’imperatore (con Azzo VI ed Ezzelino II), e poi a Ferrara con il podestà imperiale Ugo di Worms; scortò Ottone IV verso Roma, presenziando alla concessione di molti privilegi, compresa l’investitura della Marca di Ancona ad Azzo VI. Fallito, nel marzo del 1210, un tentativo di conciliazione fra lui e Azzo VI operato in Ferrara da Ottone IV, Torelli gli restò fedele anche dopo la scomunica e fu cacciato dalla città agli inizi del 1211, insieme con un seguito cospicuo di partigiani e con il podestà imperiale.
Nel 1213 la morte di Azzo VI (fine 1212) e la crisi della pars estense favorirono però un accordo tra Torelli e Aldobrandino d’Este, e il rientro in Ferrara, con l’impegno a governare insieme la città, eleggendo comuniter il podestà. Il compromesso resse abbastanza a lungo. In effetti gli interessi politici estensi spaziavano anche (e soprattutto) sulla Marca e su Mantova, mentre solo su Ferrara insistevano quelli di Torelli che pure non trascurò i rapporti con le città venete (podesterie a Treviso, 1214, e a Mantova, 1221) e con Ezzelino III da Romano, e il consolidamento patrimoniale (transazione col Comune di Modena per i beni ex matildici, investiture dall’arcivescovo di Ravenna, 1218). Nel 1217 a Roma presenziò all’investitura papale della Marca agli Estensi.
Solo nel 1222-24 vi fu, temporaneamente, una fase molto acuta di contrasto. Nel 1222 Torelli catturò Rizzardo conte di San Bonifacio, esponente della pars Marchionis, e lo tenne prigioniero alcune settimane; gli Estensi e Rizzardo assediarono il castello torelliano di Fratta e uccisero molti suoi familiares e uomini de masnata, costringendo Torelli a un precipitoso rientro dalla podesteria mantovana. Neppure in questo caso peraltro le conseguenze furono violente o irrimediabili. Il successivo accordo (stipulato nel 1224), che prevedeva la spartizione delle cariche cittadine fra le due partes, durò nella sostanza per quindici anni.
In riferimento a questo periodo (1224-39) di preminenza informale, ma indiscutibile, Torelli è stato connotato per la sua «adesione alla patria cittadina» (Vasina, 1987, p. 94), o come «vero signore ante litteram» (Trombetti Budriesi, 1987, p. 170); Ernesto Sestan (1968) ha parlato di «sostanziale signoria» (p. 205), Andrea Castagnetti (1985) di «soluzione signorile [...] inevitabile: si trattava solo di scegliere fra Torelli ed Estensi» (p. 256). In ogni caso il rispetto delle istituzioni comunali era pieno (Caciorgna, 2013, p. 351), e Torelli seppe tener conto degli interessi commerciali e politici della società urbana, senza esasperare i pur gravi contrasti politici (non molti furono i fuorusciti), assecondando forse (specie durante l’ultimo periodo di predominio) l’organizzazione e l’affermazione sociopolitica dei ceti artigianali. Svolse inoltre in qualche momento un ruolo di mediazione in altre città (Verona).
Nel complesso, la sua politica fu a lungo molto più ‘ferrarese’ che imperiale o filoimperiale; e prova una volta di più l’astrattezza e il formalismo giuridico delle distinzioni fra ‘regime comunale’ e ‘regime signorile’ nel Duecento italiano, quando vi sia una figura dotata di prestigio, forza militare, capacità di interpretare le esigenze di fondo di una società cittadina. Quanto alla natura del suo governo, nel 1240 Paride da Cerea lo disse senz’altro dominus Ferrarie (Il Chronicon veronense..., a cura di R. Vaccari, 2014). Di dominium («dominium Ferarie optime habuit») parla espressamente anche Salimbene de Adam, che definì Torelli anche «potens homo et famosus et nominatus et magne sapientie reputatus» (Cronica, a cura di G. Scalia, 1966, p. 242, per ambedue le citazioni). Sulle qualità politiche di Torelli, comunque, l’apprezzamento dei cronisti contemporanei è generalizzato: «vir nobilis prudens et bellicosus», è la definizione del cronista filoezzeliniano Gerardo Maurisio (Cronica dominorum Ecelini et Alberici..., a cura di G. Soranzo, 1913-1914, p. 16), mentre qualche tempo dopo Rolandino da Padova (Cronica in factis et circa facta..., a cura di A. Bonardi, 1905-1908, pp. 31, 71) insistette maggiormente sull’intelligenza politica: «probus, sapiens et astutus», «ingeniosus et cautus».
Già fra gli anni Venti e Trenta, tuttavia, si profilò per il Comune di Ferrara e per Torelli un problema di crescente importanza: la definizione dei rapporti fiscali e commerciali con Venezia. Tra il 1226 e il 1234 l’andamento fu alterno, fra aperture agli interessi veneziani e tutela (anche con la forza) delle prerogative del Comune e degli operatori locali. Proprio l’ostilità prima latente e poi palese di Venezia segnò la crisi della politica di Torelli: dal 1236-37 la città lagunare sostenne in modo deciso il fronte antifedericiano. Torelli, che aveva tentato di mantenere una politica equilibrata ‒ come attestano i trattati con le città della Lega lombarda e con Padova, del 1234 e 1235 (Brescia), e con l’imperatore (1236) ‒, si trovò in crescente difficoltà, anche per la pressione interna del partito filoestense e per le scelte ostili alle istituzioni ecclesiastiche da lui compiute.
La situazione precipitò nel 1239. Ferrara fu costretta ad accettare ora un podestà imperiale, segno di quella obbligata adesione che Torelli barcamenandosi con abilità aveva a lungo cercato di evitare. Dopo la scomunica di Federico II e il bando imperiale contro gli Estensi (primavera del 1239), si erano saldati gli interessi di Venezia, del marchese, del papa e del suo legato, di Filippo da Pistoia vescovo di Ferrara, e si giunse alla guerra. Perduti vari castelli nel territorio, la città fu conquistata nel giugno del 1240 dopo un assedio di alcuni mesi; iniziò allora per Ferrara il plurisecolare dominio estense.
Torelli, catturato con l’astuzia durante le trattative di pace, fu posto al confino a Venezia, ove morì il 25 luglio 1244, e fu sepolto presso la chiesa di S. Nicolò del Lido.
Torelli si era sposato tre volte (con una Retrude di famiglia ignota, con Sibilla di Uguccione da Montefiore, e con Sofia di Ezzelino II da Romano, vedova di Enrico da Egna). Tra i figli, hanno rilievo Bartolomea (figlia di Retrude, morta ante 1252) che sposò nel 1215 Giacomino Rangoni; di secondo letto, Tommaso, capitano delle milizie bolognesi nel 1228, e Iacopo, dal quale nacque Salinguerra III, rientrato precariamente in Ferrara nel 1260 con la sua pars, ma successivamente fuoruscito ‘ghibellino’ a Verona ove sposò una sorella di Piccardo di Bocca Della Scala (nipote dunque del signore, Alberto I Della Scala) e generò (ma da una Mattea poi sposata in seconde nozze nel 1312) Tommaso (poi cognominato Salinguerra), legittimato nel 1309 da un conte palatino e nel 1324 dal vicario in Italia di Ludovico IV il Bavaro, attivo politicamente dapprima con Federico di Piccardo Della Scala, poi nell’area imperiale (ottenendo dal Bavaro l’investitura di tutti i beni nei territori di Ferrara, Bologna, Modena e Reggio) e successivamente nell’entourage del doge Francesco Dandolo, che forse vedeva in lui un possibile candidato a rivendicazioni su Ferrara. Tommaso si radicò a Treviso e sposò una Ubriachi di Firenze; morì nel 1369.
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