Salimbeni
Consorteria magnatizia senese di grande antichità, la quale ebbe numerosi palazzi, logge e torri.
Un Salimbene partecipò alla prima crociata, e fu nominato patriarca di Antiochia dopo la conquista della città. I S. presero parte attiva al governo di Siena sin dal periodo consolare; ebbero il dominio di 19 importanti castelli e borgate del contado, compresa la città di Chiusi; specialmente estesi furono i loro domini in Maremma. Originariamente ghibellini, passarono in prosieguo di tempo alla Parte guelfa. Nella seconda metà del sec. XII ebbe inizio quella loro irriducibile inimicizia con i Tolomei che per due secoli insanguinò Siena e costituì il centro di violente lotte faziose nella città.
A volte vincitori, forse più spesso vinti, i S. si alternarono con i Tolomei nell'esilio. Verso la seconda metà del Trecento erano divisi in quattro rami principali ed era a capo della consorteria Giovanni d'Agnolino, il quale nel 1362 si fece promotore di una congiura per abbattere il governo dei Ventiquattro. Il complotto venne scoperto, e alcuni dei congiurati pagarono il fio con la vita; invece Giovanni riuscì a trovar scampo nella fuga, e fu perciò bandito e dichiarato ribelle. La famiglia, dopo aver dato alla repubblica personaggi di valore in tutti i campi e un gentile poeta quale Benuccio, si estinse nella seconda metà del Quattrocento.
I S., pur non menzionati esplicitamente da D., s'inseriscono nel suo mondo in quanto dalla maggioranza dei commentatori sono ritenuti membri di questa famiglia, e precisamente figli di messer Giovanni S., lo Stricca e il Niccolò di If XXIX 125-129, ricordati da Capocchio quali esempi della vanità dei Senesi: Stricca in quanto scialacquatore, Niccolò in quanto goloso (che la costuma ricca / del garofano prima discoverse). Per Stricca si è ipotizzata, invece che ai S., l'appartenenza alla famiglia Tolomei, o anche ai Marescotti (per tutta la questione, v. STRICCA); mentre Niccolò è stato da alcuni ritenuto un Bonsignori (v.). A proposito di quest'ultimo personaggio le ricerche di I. Del Lungo hanno sollevato qualsiasi dubbio sulla sua appartenenza ai Salimbeni.
Non abbiamo particolari notizie su Niccolò: oltre al suo gusto per la cucina esotica tramandatoci da D. e confermato dai commentatori, sappiamo che fra i castelli signoreggiati dalla sua famiglia ebbe Castel delle Selve nel suo patrimonio personale.
Fuoruscito da Siena alla calata di Enrico VII, raggiunse l'imperatore e si mise al suo seguito, partecipando al parlamento che questi tenne ad Asti. Il Compagni (III 27) afferma inoltre che Niccolò fu lasciato vicario a Milano da Enrico VII nel 1311; ma, come ha dimostrato il Del Lungo, in questo caso si tratta di Niccolò dei Bonsignori. Fu anche rimatore a carattere lombardeggiante e gli si attribuisce il sonetto Ecci venuto Guido a Compostello, che è ritenuto prova di un suo pellegrinaggio a San Giacomo di Compostella con il Cavalcanti; altro suo sonetto si riferisce alla brigata godereccia e sembra indirizzato a Lano dei Maconi. È da escludere invece che col S. si possa identificare il Niccolò cui Folgore da San Gimignano dedica i sonetti sui mesi.
V. anche BRIGATA: Brigata spendereccia.
Bibl.-G. Gigli, Diario senese, I, Siena 1854², 309-316; L. Passerini, Armi e notizie storiche delle famiglie toscane che son nominate nella D.C., in L'Inferno di D. Alighieri, a c. di G.G. Warren Lord Vernon, Londra 1862, II, Documenti, 567-568; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, II, Firenze 1879, 596-604. Importante per alcuni feudi dei S. nel contado, A. Verdiani-Bandi, I castelli della Val d'Oncia e la Repubblica di Siena, Siena 1927²; A. Lisini - G. Bianchi Bandinelli, La Pia dantesca, ibid. 1939, 89.