Sajat nova/Cvet granata
(URSS 1968, 1969, Il colore del melograno, 73m); regia: Sergej Paradžanov; produzione: A. Melik-Sarkissian per Armen′film; soggetto: dai poemi di Sajat nova; sceneggiatura: Sergej Paradžanov; fotografia: Suren Šachbazian; montaggio: Sergej Paradžanov; scenografia: Stepan Andranikjan; costumi: E. Akhvedjani, I. Karaljan; musica: Tigran Mansurjan.
Il film descrive la vita del poeta armeno Sajat nova (vissuto nel 18° secolo) a partire dalle sue opere. Diviso in otto capitoli, è preceduto da una didascalia in cui si dice che non si assisterà alla biografia dell'artista, ma a un tentativo di evocarne la figura facendo ricorso alle immagini della sua poesia. I capitoli sono i seguenti: 1. Prologo. 2. La giovinezza del Poeta. 3. Il Poeta alla corte del Principe ‒ Preghiere prima della caccia. 4. Il Poeta entra in monastero. 5. Il sogno del Poeta ‒ Ritorno alla morte del Padre. 6. Il Poeta invecchia e lascia il monastero. 7. L'incontro con l'Angelo della Morte ‒ Il Poeta seppellisce il suo amore. 8. La morte del Poeta. All'interno di ogni episodio ‒ così come per l'intero film ‒ sta allo spettatore comporre o ricomporre le immagini, libere e misteriose, in una 'trama'.
Sergej Paradžanov è scomparso nel 1990, un anno prima del crollo del regime comunista e della fine dell'Unione Sovietica. Come nel caso di Andrej Tarkovskij (al quale è stato spesso paragonato), potremmo chiederci che cosa avrebbe fatto il regista, in assenza della censura di cui era stato vittima e che gli aveva permesso di realizzare soltanto quattro film tra il 1965 e il 1988. Tutto ciò che possiamo affermare è che Paradžanov, nel 1980, di sé stesso diceva: "Non sono un dissidente, ma soltanto un cineasta maledetto; non piaccio, dò fastidio, sono anticonformista". Due anni dopo queste parole venne arrestato per la seconda volta, con l'accusa di speculazione. Nel 1974 era stato accusato di traffico illecito di oggetti d'arte e di omosessualità : condannato a cinque anni di detenzione in un campo di lavoro, nel 1977 era stato rilasciato in seguito a una campagna internazionale in sua difesa incentrata sul glorioso ricordo di Teni zabytych predkov (L'ombra degli avi dimenticati, 1965), che aveva ottenuto premi e riconoscimenti nei festival internazionali, e sulla visione di una copia pirata in 16 mm di Sajat nova, proibito in patria. Ma l'anticonformismo di Paradžanov è dimostrato anche dal fatto che le sue opere, dopo un paio di decenni di accensione critica, sono oggi sempre più dimenticate.
Il critico inglese Tony Rains, maggior esegeta del cineasta georgiano, si è interrogato sulle ragioni che hanno spinto la Armen′film ad affidare proprio a lui un progetto difficile come quello di Sajat nova. Certo Paradžanov aveva alle spalle il grandissimo successo ottenuto con Teni zabytych predkov, ma, secondo Rayns, poteva contare anche sul sostegno del movimento nazionalista armeno, desideroso di affermare la propria cultura (nello stesso momento in cui anche altre repubbliche socialiste rivendicavano la loro). Probabilmente le autorità reputarono che per la grande forza evocativa della letteratura, della musica e della pittura armene valeva la pena di correre il rischio. Sajat nova, pseudonimo di Aruthin Sajadjn (1712-1795), è il più celebre poeta armeno. Nato a Tbilisi come Paradžanov, aveva profondi legami con la cultura georgiana, anche se era quella armena a dare linfa alla sua arte del verso amoroso. Il colore del melograno (da cui il titolo alternativo del film, Cvet granata) è uno dei due colori nazionali dell'Armenia (l'altro è il blu scuro, colore dell'uva), così come armena è la scritta che compare sui libri all'inizio del film. Una simile affermazione della cultura armena non poteva risultare gradita al potere centrale, e certo ancor meno gradita era l'importanza attribuita alla vita del poeta nel monastero, alla sepoltura cattolica, al ruolo della Musa, con il rosso e il bianco che ritornano a ricordare la tradizione religiosa dell'Armenia. Così si spiegano la censura e i divieti che il film si trovò a subire. Paradžanov si vide costretto a ricorrere a Sergej I. Jutkevič per realizzare un nuovo montaggio, che avrebbe assicurato al film "un aspetto logico e razionale". E ancora oggi Sajat nova è conosciuto soltanto nella versione montata da Jutkevič, che Paradžanov non approvò e in cui mancano venti minuti rispetto alla versione originale, perduta per sempre. "Che perfino in circostanze del genere e dopo le mutilazioni infertegli Sajat nova conservi la dignità e la grandezza che possiede è la prova del genio del suo autore, il quale, in ciò che rimane del suo film, brilla del medesimo splendore che possiede il genio di Orson Welles tra i resti di The Magnificent Ambersons (L'orgoglio degli Amberson, 1942)". L'osservazione, assolutamente appropriata, è del critico portoghese Manuel Cintra Ferreira.
Sajat nova è un film 'a chiave'. Ma non è necessario conoscere la cultura armena e l'opera di Sajat nova per comprenderne tutta la portata. La straordinaria successione di quelli che, a torto, sono stati definiti i 'quadri' di questo film ricorda piuttosto la struttura di un crittogramma indecifrabile, o forse esprime soltanto la 'bellezza convulsa' di un'opera pur eseguita su commissione. Si comincia con il sangue, con l'acqua e con il vino, simboli cristiani rafforzati dall'immagine del pesce. La bellezza è poi ovunque, sacra e profana, indimenticabile nell'immagine delle pecore e dei feretri cattolici, che probabilmente sarebbero piaciuti a Buñuel. Intenzionalmente o meno, il film possiede dunque un lato surrealista ricollegabile alla logica onirica e alle associazioni di 'immagini dell'inconscio'. Come Paradžanov, il celebre poeta Sajat nova ‒ poeta dell'amore, e dell'amore carnale ‒ non era un déraciné o un mistico. Il regista ne assume pienamente le contraddizioni quando si dilunga sui bambini sempre troppo belli, sulle gote troppo rosse di fanciulle meravigliose, sulle trine e sui corpi che si sfiorano eroticamente, sull'angioletto che volteggia sul fondo di uno specchio, sui corpi nudi di donne in cui appena si scorge l'ombra di un seno o di una natica. Su Sajat nova è stato scritto molto; ma, a ogni nuova visione del film, la sola interpretazione che sembra appropriata è quella che chiama in causa la logica del sogno. È il sogno che separa la vita di Sajat nova dalla sua morte, facendolo ritornare all'infanzia dove ritroverà tutti i segni e tutti i corpi che l'hanno ossessionato nel corso delle sue visioni. Il passato era migliore del presente, il presente è migliore del futuro. E una parte dell'anima di Sajat nova è rimasta in questo mondo. L'immagine dissolve nel nero e per molto, molto tempo si sentono soltanto gli orologi.
Interpreti e personaggi: Sofiko Čaureli (poeta da giovane/musa del poeta/monaca/angelo della morte/mimo), Melkoj Alekjan (poeta da bambino), Vilen Galstjan (poeta nel convento), Georgij Gegečkori (poeta da vecchio), Onik Minassjan (principe), G. Bagatšvili, M. Džaparidze, G. Macukatov, M. Bibilešvili, G. Margarian, L. Karamian, V. Mirianašvili.
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