Saivasiddhanta
Scuola religiosa e filosofica nata nel Kashmī’r e da lì diffusasi nel Sud dell’India, dove viene profondamente influenzata da correnti locali di bhaktì. È difficile collocare cronologicamente gli esordi della scuola, ma è possibile delineare un’evoluzione comune ad altre scuole kashmīre (➔ Abhinavagupta; Utpaladeva) e indiane in genere (➔ Rāmānuja) per cui a un primo momento prettamente religioso, in cui si riflette solo sui testi sacri riconosciuti dalla scuola, si passa a una speculazione filosofica più ampia e in grado di competere con i vari darśana indiani. Fra i primi autori della scuola c’è Sadyojyotiḥ (il cui terminus ante quem è una citazione in Somānanda, collocabile fra fine 9° e prima metà del 10° sec.), mentre posizioni filosoficamente più elaborate si trovano in Bhaṭṭa Nārāyanakaṇṭha, autore di un commento a uno dei testi sacri dello Ś., e più ancora in suo figlio Bhaṭṭa Rāmakaṇṭha (950-1000 ca.), autore di commenti a testi sacri e a opere di Sadyojyotiḥ. Ultimo grande esponente della scuola in Kashmī’r è Aghoraśivācārya (una delle cui opere è datata 1157-58). Lo Ś. si distingue dall’Advaita Vedānta e dalla maggioranza delle scuole scivaite kashmīre per il suo dualismo. Dio, il mondo e le anime individuali, sostiene lo Ś., sono entità distinte. Dio è distinto dal mondo e non entra direttamente in contatto con la materia, ma colloca a plasmarla un’anima già emancipata. Inoltre, la distinzione fra Dio e le anime individuali non è illusoria, poiché Dio solo è caratterizzato da sempre da illimitatezza spaziale e temporale e da onniscienza e onnipotenza. Al contrario, le anime individuali possono ottenere onniscienza e onnipotenza una volta eliminati i legami cui sono sottoposte, ma anche una volta raggiunta la liberazione (mokṣa) restano distinte da Dio in cui tali aspetti erano da sempre presenti. Appartengono a Dio cinque tipi di operazioni: creazione, mantenimento e distruzione (riferite al mondo), offuscamento e grazia (riferite alle anime individuali). Le anime individuali sono dette paśu (letteralmente «bestie in cattività») per enfatizzare la loro totale dipendenza da Dio e perché vincolate da tre legami: karma, māyā e il fondamentale, mala. Mala («maculazione») ottenebra infatti l’anima individuale oscurando l’onniscienza e l’onnipotenza che altrimenti le sarebbero proprie. Mentre le altre scuole scivaite kashmīre considerano tale limitazione dell’anima individuale una conseguenza di avidyā (nescienza, ossia l’oblio della fondamentale identità con Dio), per lo Ś. mala è una sostanza materiale e non può quindi essere eliminata semplicemente con una conoscenza corretta, ma richiede un’azione che la cancelli. Gli autori dello Ś. ricorrono alla similitudine di una cataratta che debba essere rimossa da un medico e spiegano che Dio stesso deve operare sull’anima (eventualmente per il tramite di un maestro) per eliminare mala. Il legame dell’anima con mala è senza inizio (➔ saṃsāra). L’esistenza del mondo è dunque necessaria e dettata dalla Grazia di Dio per permettere alle anime individuali di liberarsi di mala. Una volta calate nel mondo, le anime acquisiscono gli ulteriori legami di karma e māyā, ma allo stesso tempo tramite la fruizione (bhoga) possono consumare il karma accumulato e far maturare mala fino al punto in cui sia possibile per Dio o per il maestro suo intermediario cancellarla mediante l’iniziazione. Nell’opera che dedica alla liberazione, il commento alle Mokṣakārikā di Sadyojyotiḥ, Rāmakaṇṭha dimostra l’esistenza di Dio sulla base di argomenti cosmologici (soprattutto perché il mondo è un prodotto e richiede quindi una causa).