saggezza
Capacità di seguire la ragione nel comportamento e nei giudizi; equilibrata prudenza nel distinguere il bene e il male, nel valutare le situazioni e nel decidere, nel parlare e nell’agire. A differenza della sapienza (➔), che, almeno nell’accezione moderna, riguarda la perfezione intellettuale, la s., espressione anch’essa di perfezione spirituale, interessa soprattutto il comportamento morale e in genere l’attività pratica ed è virtù che, pur basata su un fondamento teoretico, si realizza come disciplina razionale dell’esperienza umana e come capacità di discernere e determinare ciò che è bene e ciò che è male. Il termine greco utilizzato in ambito filosofico è φρόνησις (➔ phronesis), impiegato per significare quella forma di conoscenza che è capace di indirizzare la scelta. Nel Socrate tramandatoci da Platone e ancora nella ricostruzione consegnataci da Aristotele, i concetti di s. e di σοφία sembrano confondersi nella dottrina intellettualistica per cui la conoscenza (φρόνησις/σοφία) sarebbe la condizione necessaria e sufficiente per orientare l’azione secondo virtù. Nel ritratto dei Memorabili senofontei si afferma che Socrate «non distingueva σοφία e σωφροσύνη [temperanza], ma considerava saggio e temperante colui che, conoscendo le cose belle e buone, sapesse servirsene, conoscendo le brutte, sapesse guardarsene» (III, 9, 4): l’accento sembra qui cadere su un’accezione della conoscenza che investe e riguarda non solo la dimensione intellettuale dell’uomo, ma lo coinvolge nella sua interezza, come soggetto morale. Anche in Platone i termini φρόνησις e σοφία ricorrono con significati simili e talvolta sovrapponentisi: un sapere che si esaurisca nella sfera intellettuale, rivelandosi fine a sé stesso, è infatti concezione estranea alla sua filosofia. Ecco allora che nella Repubblica (428 b) la sapienza (σοφία) è la scienza che «sa attuare buone scelte» e quindi, in ultima analisi, φρόνησις, mentre nel Protagora (352 b-c) della vera scienza si dice che deve avere la forza e la capacità di guidare le azioni dell’uomo e che è l’aiuto più valido nell’agire pratico e nella scelta del bene. Una distinzione chiara si profila invece in Aristotele nell’Etica Nicomachea, in cui la s. (φρόνησις) è definita come «una disposizione vera, accompagnata da ragionamento, che dirige l’agire e concerne le cose che per l’uomo sono buone e cattive» (VI, 5, 1140 b 4). Essa presuppone la conoscenza dei particolari, anzi, è proprio questa peculiarità a specificare il sapere proprio della s., essendo essa la disposizione che dirige l’azione e avendo questa come oggetto i particolari, mentre la sapienza (σοφία) attiene agli universali e alle realtà eterne e immutabili, per questo rappresenta una forma di conoscenza più alta e degna per l’uomo. La s. è invece tesa a indicare all’uomo la via della felicità (VI, 13, 1143 b 20; spiegherà Tommaso d’Aquino: «considerativa operationum humanarum ex quibus homo fit felix»; In libros ethicorum, 6, lec. 10) e questa prospettiva influenzerà la concezione della s. affermatasi nelle filosofie ellenistiche, che ne rivendicano la superiorità sulla stessa filosofia (Epicuro, Lettera a Meneceo, 132: «La s. è il massimo bene ed il principio di tutte queste cose. Per questo motivo la s. è anche più apprezzabile della filosofia stessa, e da essa vengono tutte le altre virtù. Essa insegna che non ci può essere vita felice se non è anche saggia, bella e giusta; e non v’è vita saggia, bella e giusta che non sia anche felice») e ne conservano la caratterizzazione come sapere pratico (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 126; I frammenti degli stoici antichi, I, 375; II, 1005). Questo aspetto si manterrà costante nella filosofia moderna, confermato nella Préface ai Principes de la philosophie (1647; trad. fr. dei Principia philosophiae pubblicati nel 1644; trad. it. Principi di filosofia) di Descartes e ribadito da Leibniz, che definisce la s. come «science de la felicité» (Nuovi saggi, III, 11, 10), o «parfaite connoissance des principes de toutes les sciences, et de l’art de les appliquer» (Scientia generalis. Characteristica, V). Con il termine Weisheit Kant esprimerà un’idea della s. come perfezione morale propria soltanto di Dio e rappresentante una sorta di ideale regolativo per l’uomo: essa consiste nella conoscenza del sommo bene e nel conformarsi a esso della volontà (Kritik der praktischen Vernunft, 1788, II, I; trad. it. Critica della ragion pratica). Nel 20° sec. l’attualità del concetto di s. come sapere pratico è stata sostenuta dal neoaristotelismo, mentre il concetto di phronesis aristotelica è stato esaminato da Gadamer in Wahrheit und Methode (1960; trad. it. Verità e metodo) nel processo di definizione della ragione come ermeneutica; Abbagnano, infine, ha sottolineato una stretta connessione della s. con la filosofia, definendola come ricerca «delle vie o dei modi con cui l’uomo può vivere meglio la sua vita» (La saggezza della vita, 1985).