SAGA
La parola (plur. sïgur) significò originariamente, in nordico antico, "ciò che si racconta", "storia" in generale; nell'uso filologico, tecnico, designa quel corpo di narrazioni in prosa (il cui tipo e il cui stile furono fissati nel "racconto" vero e proprio, elaborati in una tradizione orale), le quali costituiscono, insieme con i carmi eddici e scaldici, la parte fondamentale della letteratura islandese antica. Schematizzata a genere letterario, la parola saga è talvolta anche adoperata nell'uso moderno a designare un racconto in prosa il cui contenuto sia costituito dalla storia di una famiglia o di una schiatta (p. es., la Forsyte Saga del Galsworthy; i Malavoglia del Verga sarebbero anch'essi una saga). Meno legittimo pare invece l'uso di saga quale sinonimo di leggenda (ted. Sage), eroica o no.
A seconda del contenuto, si sogliono fare nel vasto corpo delle saghe islandesi alcune grandi partizioni generiche: saghe "familiari" o "islandesi" (Íslendingasïgur); "dei re" di Norvegia (Konungasïgur); "del tempo antico" (Fornaldarsögur). Su materia epica venuta di Germania, un islandese compose in Norvegia verso il 1250 la Thidrekssaga, la grande saga di Teodorico. Anche materia religiosa fu elaborata nella forma della saga, prova della sua vitalità e forza di assimilazione. Nel sec. XII, pure in Norvegia, furono tradotti nella forma della saga - l'unico stile prosastico che avesse una forte tradizione - romanzi cavallereschi francesi (Riddarsïgur).
Comune alle saghe " familiari" e "dei re" - le prime accentrate intorno alle lotte di famiglie islandesi, ad alcune individualità campeggianti (donde i titoli di Saghe di Egil, lo scaldo, Saghe di Grettir, Saghe di Thórir pollaiolo, e così via); le seconde, composte sullo stesso modulo e nello stesso stile, ma più vicine alle res gestae e, insieme, più libresche -, è un fondo di cronaca eroica e di storia prammatica. Le saghe "dei re" furono affidate alla scrittura prima delle saghe "islandesi", e anche delle Fornaldarsögur: ma questo non significa priorità cronologica assoluta. Tutto anzi induce a credere che la saga si sia inizialmente formata nel racconto dei fatti dei colonizzatori islandesi. Poi, e questo poté avvenire anche presto, data l'affinità di molta parte del contenuto e le relazioni fra Islanda e Norvegia, nella forma epica così stabilita saranno state narrate da Islandesi biografie dei re di Norvegia. Solo più tardi si sarà invece svolto il genere della Fornaldarsaga. Il racconto di una Fornaldarsaga c'è testimoniato, ed è la testimonianza più antica, per il 1119, e in casa di un ecclesiastico: la cosa dové parere, ed essere, nuova. Questo c'induce a supporre che al principio del sec. XII esercitati narratori abbiano cominciato a variare il loro repertorio versando nella forma, già saldamente stabilita e artisticamente elaborata, della saga realistica, e ripetendone certi motivi, derivandone nomi ed argomenti, nuova materia: romanzesca, dell'età vichinga; eroica, tratta dai carmi epici dell'Edda (Vïlsunga Saga); leggendaria e fiabesca. Qui influenze culturali straniere si facevano sentire più fortemente. Poi, con le traduzioni di romanzi cavallereschi francesi, comincia la decadenza, accentuantesi dopo il 1300.
La forma primitiva della saga è, dunque, verosimilmente, la saga "islandese", materiata di fatti familiari, biografici, avvenuti in massima parte fra il 930 e il 1030, accentrata attorno a pochi caratteri rilevati e contrapposti. Questa saga visse per un certo tempo unicamente nella tradizione orale: di qui l'unità e l'"oggettività" dello stile. Della tradizione orale rendono anche testimonianza l'ordine fisso delle parole e dei modi di dire, ineguaglianze e anacoluti.
Che dalla Norvegia i colonizzatori dell'Islanda non abbiano portato seco anche l'arte del racconto in prosa di contenuto realistico, la "saga", risulta da plurimi segni: p. es., dai magrissimi riferimenti a casi anteriori all'870, cioè alla scoperta e all'insediamento dell'isola; dal fatto che anche la saga dei re è opera di Islandesi e che le saghe norvegesi hanno pregio assai scarso. Questo ha indotto studiosi a supporre che il genere della saga sia derivato dall'Irlanda, dove appunto fioriva l'arte della narrazione in prosa, e dove narratori di saghe frequentavano le piccole corti. Sennonché la saga islandese è intrinsecamente diversa da quella d'Irlanda, e sarà perciò difficile che essa sia figlia diretta della prosa narrativa celtica. Questo però non vuole escludere influenze e contatti attraverso nordici d'Irlanda: sarà anzi verosimile che sotto l'impressione della saga irlandese Nordici artisticamente dotati siano stati per la prima volta spinti a innalzare le loro cronache a prosa d'arte, e ad inserire in questa, sul modello irlandese, dei versi.
A questo fiorire della saga, l'Islanda offriva condizioni ideali. Per i colonizzatori, fior fiore dei Norvegesi, la nuova terra segnò una nuova vita, come mostrano gli accenni poverissimi al periodo anteriore alla venuta nell'isola. Cominciava dunque una nuova storia. E i fatti più importanti furono naturalmente tramandati nel racconto: essi costituiranno in seguito la trama oggettiva, il contenuto della saga. Anche dopo, quando il racconto cronachistico si sarà sollevato a narrazione d'arte, le saghe conserveranno il segno della loro preistoria: intenderanno restare sul terreno dei fatti, continueranno a essere tenute dagli uditori per "storie vere". Di qui l'alto valore documentario, l'attendibilità, anche per particolari, della saga realistica.
La saga sorse, dunque, quando il racconto cronachistico fu innalzato a narrazione d'arte. Sotto la sua influenza, e da essa in gran parte assorbite, scomparvero nell'oblio o nell'ombra le precedenti rozze "storie", delle quali possiamo farci qualche idea servendoci delle genealogie, delle saghe meno artisticamente elaborate, di elementi rimasti "cronaca" nelle saghe maggiori. Ci fu dunque un momento nel quale sul cronista sorse il poeta; e il suo esempio non restò isolato, fondò una salda tradizione di epica in prosa. E fu qui, forse già nel sec. X, che a questo innalzamento della narrazione cronachistica al piano dell'arte le storie narrate dai professionali irlandesi dovettero verosimilmente servire da modello. Il racconto si fece quindi più vivo e drammatico, la composizione più unitaria, lo stile una lingua d'arte alla quale versi scaldici permettevano di raggiungere nei punti culminanti effetti intensi. Il narrare saghe divenne una tradizione fissa, sebbene non esercitata, a quanto risulta, da professionali; e nell'Allthing gli uomini delle saghe avevano modo d'incontrarsi, di controllarsi e d'imparare a vicenda: là si può anche pensare che si facesse a gara a chi raccontava meglio.
Quando le saghe cominciarono a venire trascritte, i fatti che ne costituivano la materia erano già relativamente antichi, remoti due o anche tre secoli; e il genere della saga esisteva già da un pezzo nella tradizione orale. Che tale tradizione fosse buona, lo prova il confronto delle varianti "orali", le quali, per divergere tutte poco da una base comune, provano che le saghe avevano raggiunto una forma fissa, che la tradizione s'era mantenuta bene. Ciò naturalmente non importa che le saghe, quali le abbiamo, rispecchino fedelmente e unicamente la tradizione orale. Se infatti alcune saranno state trascritte con fedeltà, per altre il momento della trascrizione dovette segnare insieme un rifacimento, altre infine sorsero per la rielaborazione di fonti già scritte.
L'autore della saga poté dunque essere sia un artista analfabeta, limitandosi lo scrivano alla trascrizione, sia coincidere con lo scriba stesso. E bisognerà poi guardarsi dal credere che una volta cominciato a scrivere saghe, a farne libri, esse morissero subito nella tradizione orale. Questa tradizione continuò invece ad esistere, e con essa saranno da spiegarsi molte aggiunte nei testi più recenti. Inoltre, non è da escludere che, come avviene per la poesia popolare, una saga scritta potesse ripassare nella tradizione orale.
La scrittura favorì di certo la costruzione di unità maggiori. Nelle grandi saghe (quali la Laxdoela o la Njála) si nota una più grande libertà rispetto alla tradizione, una elaborazione consapevole. E via via che la saga decadeva, l'importanza delle fonti letterarie aumentava: i capitoli iniziali della Flóamanna Saga derivano dal Landnámabók; la Vïlsunga Saga trasporta in prosa, strofe per strofe, carmi eroici. Ma certi ampliamenti per incorporazione di episodî di saghe parallele e, soprattutto, di Thaettir (brevi racconti nella stessa forma della saga, narranti un solo fatto della vita di un Islandese) possono essere avvenuti, anche per saghe corte, già nella tradizione orale.
A trascrivere saghe furono soprattutto uomini di chiesa, sebbene sia difficile discernerne volta a volta l'opera: rari sono infatti i casi nei quali, come per il rifacitore della Fóstbroeda Saga, s'intravede chiaramente la mano del prete. E questo poi è certo: che l'età della scrittura non segnò un trapiantamento delle saghe sul terreno clericale: nell'insieme esse conservarono il loro carattere eroico, di storie nelle quali si respira un'aria simile a quella dell'epica germanica più antica.
Descrizione e rappresentazione di una società intrinsecamente non solo precristiana ma preromana, per il suo realismo cronachistico sollevato ad arte epica, per la scarsezza d'influenze letterarie, la saga realistica islandese si stacca nettamente dal complesso della letteratura del Medioevo: testimonianza e monumento insieme del mondo germanico antichissimo.
Edizioni: Le raccolte maggiori o migliori di testi sono: le ed. critiche del Samfund til Udgivelse af gammal nordisk Litteratur di Copenaghen, 1880 segg.; l'Altnordische Saga-Bibliothek, Halle 1892 segg. (critica, con commenti); i fascicoletti delle Íslendinga sïgur di Reykjavík; le Origines Íslandicae, testo crit. e trad. inglese, di G. Vigfusson e F. York Powell, voll. 2, Oxford 1905; la nuova serie Íslenzk Fornrit, con introd. e note, Reykjavík 1933 segg. La maggiore e più comoda serie di traduzioni è Thule (a cura di F. Riedner, Jena).
Un notiziario completo ed esauriente su manoscritti, edizioni, traduzioni e letteratura troviamo in H. Hermannsson, Bibliography of the Icelandic Sagas and minor Tales, Ithaca 1908 (Islandica, I; dalla collez. islandese Fiske); Bibl. of the Sagas of the Kings of Norway and related Sagas and Tales, 1910 (Islandica, III); Bibl. of the mythical-heroic Sagas (Fornaldarsïgur), 1912 (Islandica, v); Old Icelandic Literature, 1933 (Islandica, XXIII): storia delle edizioni e divulgazioni delle saghe nei varî paesi del mondo.
Bibl.: Fondamentali: A. Heusler, Die Anfänge der isländischen Saga, nelle Abhandl. dell'Accad. Prussiana (1913), Berlino 1914; Kn. Liestøl, Upphavet til den islendske Aettesaga, Oslo 1929. Amplissime esposizioni dànno: F. Jónsson, Den oldnorskė og oldislandske litteraturs historie, II, 2ª ed., Copenaghen 1920-24; E. Mogk, nel Grundriss. d. german. Philol. del Paul, 2ª ed., II, sez. 1ª, Strasburgo 1901-09, pp. 730-899.