SACRALITÀ
. Il concetto del sacro appartiene alle categorie fondamentali della moderna fenomenologia della religione, specialmente in rapporto all'essenziale distinzione di sacro e profano, di potente e di relativamente privo di potenza. È appunto necessario intendere questa differenza per capire le basi ultime della religione, perché in ogni religione si riscontrano l'esaltazione del sacro e la sua delimitazione da tutto ciò che non è sacro, molte volte anche nei riguardi etici. Un tempo, in vista della concezione biblica della santità, si usava comprendere sotto il concetto del sacro la perfezione morale. Nell'epoca israelitico-giudaica prevale bensì il carattere cultuale, in quanto il concetto era orientato verso l'adempimento di doveri di culto; ma noi possiamo osservare anche come l'esperienza religiosa profetica (Isaia, VI) sia stata scossa dall'immensità di questa misteriosa rivelazione. Con questa esperienza della santità si fa strada un significato più raffinato del concetto, in cui di contro alla prassi razionale si accentuano i momenti sovrannaturali e irrazionali del sacro. Il sacro vi è sottratto al regno etico e sollevato sul piano assolutamente religioso, che, al di sopra del mondo immanente dell'esperienza sensibile, ha il suo centro nell'esperienza del numinoso. È merito di N. Söderblom e di R. Otto di aver scorto la categoria puramente religiosa del sacro e di averla introdotta nei quadri della storia della religione. Il sacro, in senso di "numinoso", è un sentimento religioso fondamentale e primordiale e un importantissimo criterio per definire l'essenza della religione: "Tanto i momenti razionali quanto gl'irrazionali della complessa categoria del sacro sono momenti a priori... la religione non è vassalla né del Telos né dell'Ethos, e non vive di postulati. E anche l'irrazionale, che vi è in essa, ha le sue autonome radici nelle nascoste profondità dello spirito" (R. Otto).
Poiché però questo elemento irrazionale del sacro non può essere espresso concettualmente in maniera adeguata, viene colto soltanto per mezzo di un'esperienza affatto personale. Il sacro trasferisce appunto l'anima in una realtà di fatto metafisica, nel sentimento di qualcosa di completamente diverso, da cui soltanto può scaturire la possibilità di esprimersi in qualche modo sul sacro. Ma questa esperienza soggettiva del sacro non poggia su un'illusione o finzione, ma sulla realtà ed efficacia dell'oggettivo, che proprio "nell'esperienza religiosa fondamentale viene appreso come qualcosa di completamente eterogeneo all'uomo" (G. Mensching). Questo qualcosa di affatto diverso, come contenuto della categoria della sacralità, è anzitutto il sentirsi afferrato da una potenza d'altra natura, da un mana, che produce tutto quanto va al di là della forza comune dell'uomo. Questo concetto fu menzionato per la prima volta dal missionario R. H. Codrington in una lettera a F. M. Müller e reso pubblico da costui nel 1878 nelle sue Lectures on the Ori in and Growth of Religion sotto il titolo di Mana, a Melanesian name for the Infinite, finché R. H. Codrington stesso espose compiutamente le sue osservazioni sul mana nell'opera The Melanesians (Oxford, 1891): "questo qualcosa di straordinariamente efficace è una potenza o un influsso, non fisico e in certo senso sovrannaturale; esso si manifesta però nella forza corporea o in ogni genere di forza e capacità, che l'uomo possiede". Dovunque si mostri qualcosa d'inconsueto, di trascendente la realtà quotidiana, che appartenga a un'altra sfera dell'esistenza, al misterioso e al sovrannaturale, c'è il mana.
Un concetto irrazionale corrispondente all'idea del mana e delle sue sottospecie è quello del tabu, che dà potere a persone e oggetti conferendo loro una sorta di santità sacrale, di consacrazione numinosa. Questa parola, traducibile anch'essa difficilmente, ha il significato di "proibito" con l'aggiunta di "sacro o di sovrannaturalmente pericoloso" (K. Th. Preuss); una cosa o una persona non deve essere toccata o adoperata, poiché è riempita di una forza spirituale o è particolarmente esposta all'influenza di queste forze. Nel primo caso la persona è considerata sacra; nel secondo il concetto profano-pratico coincide con quello del sacro, perché anche il santo viene accuratamente schivato: egli solo può sopportare questa forza, e chi casualmente lo tocchi, diventa pure tabu e deve restituirgli la sua forza con particolari cerimonie. ll concetto di tabu è diventato così importante nella storia delle religioni, perché rappresenta la manifestazione del sacro come temibile, del divino anche nella sua figura demonica; è l'atteggiamento spirituale espresso in Esodo, III, 5: "Togliti i calzari poiché il luogo, sopra il quale tu stai, è terra santa". Questa potenza demonica desta nell'animo dell'uomo un segreto timore, che si manifesta come paura e insieme come sentimento d'attivazione. Non c'è religione senza terrore, ma neppure senza amore; a siffatta potenza è propria una qualità tutta particolare, che s'impone come minacciosa all'uomo religioso; "il pericoloso non è però sacro, ma è il sacro che è pericoloso" (G. van der Leeuw). Certamente tale sacro timore può divenire nell'esercizio del culto un'osservanza formalistica, quale si può oggi ancora riconoscere nelle formule liturgiche delle diverse religioni. Anche negli antichi usi della popolazione contadina, persino nel solenne cerimoniale delle corti e delle accademie sopravvive qualcosa di questo segreto timore. In quanto momento irrazionale della natura umana, esso non è guidato da principî etici o razionali, ma comincia là dove cessano le nostre parole e i nostri pensieri, davanti alla santità dell'altare. In questa esperienza religiosa i primitivi sono in contatto con le persone pie di tutti i tempi: infatti le particolarità caratteristiche di questa esperienza irrazionale sono state in tutti i tempi le medesime.
Questo sentimento della creatura che si schiude all'Infinito è stato analizzato da R. Otto, nella sua opera Das Heilige, anzitutto come quel mysterium tremendum, che "il sentimento della propria nullità, del proprio inabissarsi, come interno tremito e ammutolire dell'anima fin nelle sue ultime radici, suscita dinnanzi al Terribile e al Grande, sperimentato oggettivamente nel timore stesso". Vi si aggiungono l'esperienza della maestà e della potenza sovrannaturale, di fronte a cui l'uomo sente la propria assoluta dipendenza. Il contenuto del sacro-numinoso viene determinato da un lato da questi momenti del Tremendum e anche dell'Energico (ira e gelosia di Dio), dall'altro anche da qualcosa di particolarmente attraente, di cattivante, di affascinante, sicché nasce un'armonia di contrasti, che appartiene ai più strani fenomeni della storia delle religioni. "La creatura, che trema dinnanzi al divino-demonico col più umile sbigottimento, ha tuttavia sempre l'impulso a rivolgersi ad esso, anzi a piegarlo in qualche modo a sé". Come terzo momento essenziale del numinoso R. Otto indica l'Augustum (gr. σεμνόν), in quanto "profonda obligatio o impegno per la coscienza morale e vincolo di essa, obbedienza e servigio, non in seguito a mera costrizione della potenza sovrannaturale, ma in seguito a riconoscimento e ossequio dinnanzi a un valore santissimo", da cui alla fine proviene l'idea del peccato. Il Sacro che soggioga viene incontro all'uomo come una potenza che giudica.
Questa credenza in una numinosa regione del sacro, piena di vivente timore, può esser posta in stretto rapporto col concetto romano di religio, che originariamente non significava altro che "tabu". L'originario sacro terrore "sopravvive in vecchie usanze, così quando una morte improvvisa viene considerata un segno (portentum) della Potenza oppure una malattia viene scongiurata con le parole: hanc religionem evoco educo excanto de istis membris...". Da questa concezione è nata l'eccellente definizione del religioso fornita dal romano Masurio Sabino: religiosum est, quod propter sanctitatem aliquam remotum ac sepositum a nobis est. La più probabile derivazione della parola religio è infatti quella da relegere, "osservare", "stare attenti". Un homo religiosus è quindi l'opposto di un homo neglegens (G. van der Leeuw). Così anche Pindaro, convinto non soltanto della maestà e purezza degli dei e degli eroi, ma anche della loro potenza, ha per primo attribuito loro il predicato "santo" sottraendoli con ciò all'ordinamento naturale del cosmo. Ma anche il commercio col sacro richiede nell'uomo un particolare stato di santità, una maggiore forza, purezza e castità. Persone dotate di siffatta forza sono considerate dai primitivi gli sciamani e stregoni, perché sono tabu, e spetta loro la medesima designazione che, a un livello superiore, spetta alle persone parimenti orendistiche (v. mana), che vengono chiamate ἅγιοι, sancti, santi, presso i Greci e i Romani, cioè agli uomini divini (ϑεῖοι ἄνδρες), ai veggenti e sacerdoti; nei loro atti ed operazioni si manifesta quel "qualcosa di completamente diverso", e a seconda della sfera cui appartengono, essi sono designati δαιμόνιοι, πνευματικοί, sancti.
Siffatte persone sacro-potenti si trovano in tutte le religioni in cui sopravvive qualche elemento magico, sia pure nella forma più spiritualizzata fra tutte del carisma sacerdotale.
La potenza demonica che riempie di spavento può anche cogliere singoli individui, che si credono allora ossessi da un altro essere, il quale parla e opera attraverso loro (p. es., in Africa gli uomini-leopardi). Tanto presso i primitivi quanto nelle religioni superiori anche la parola scritta godette di una speciale venerazione e il possesso di scritti sacri diede, come nell'orfismo, lo spunto a usi magici oppure diede la garanzia di una formulazione canonica della rivelazione, onde la formazione dei diversi canoni di scritture sacre, la quale tuttavia porta con sé il pericolo dell'osservanza puramente tradizionale ed esteriore e d'un formalismo esegetico. In singoli casi anzi, nelle religioni fondate su libri sacri, la parola scritta ebbe un valore quasi magico. Naturalmente il concetto del "sacro" si è trasformato nel corso del tempo e, nella sfera altissima del Nuovo Testamento, il sacro "non è mai il semplice numinoso, ma è sempre compenetrato e pervaso di momenti razionali, finalistici, personali ed etici". Nella professione di fede cristiana Dio è designato anzitutto come sacro Amore, perché all'amore sono proprî tutti i momenti essenziali del sacro. Nella dottrina degli attributi di Dio l'elemento della trascendenza e assolutezza, già riconosciuto nell'idea del sacro è espresso dalla dottrina dell'onnipotenza di Dio, e così pure nel concetto della creazione sono sviluppati i momenti del sentimento di creatura da parte dell'uomo e di maestà da parte di Dio. Persino la trascendenza di Dio di fronte allo spazio e al tempo, che ha il suo fondamento nell'essenza della sua santità, viene espressa nella dogmatica cristiana dal duplice attributo dell'onnipresenza e dell'eternità.
Bibl.: R. Otto, Das Heilige, 21-22ª ed., Monaco 1932 (trad. it., Il sacro, Bologna 1926); id., Das Gefühl des Überweltlichen (Sensum numinis), ivi 1932; G. van der Leeuw, Phänomenologie der Religion, Tubinga 1933; id., Einführung in die Phänomenologie der Religion, Monaco 1925; N. Söderblom, Das Werden des Gottesglaubens, 2ª ed., Lipsia 1926; F. R. Lehmann, Mana. Der Begriff des ausserordentlich Wirkungsvollen bei Südseevölkern, ivi 1922; id., Die polynesischen Tabusitten, ivi 1930; J. Hänel, Die Religion der Heiligkeit, Gütersloh 1931; W. Link, De vocis Sactus usu pagano, Dissert., Königsberg 1910; W. Nestle, Griechische Religiosität von Homer bis Pindar und Äschylos (Griechische Religiosität, I), Berlino 1932; C. Clemen, Die Religionen der Erde, ihr Wesen und ihre Geschichte, Monaco 1928; O. Bachhofer, Das Metareligiöse. Eine kritische Religionsphilos., Lipsia 1930; U. Bunzel, Der Begriff der Heiligkeit im A. Test, Dissert., Breslavia 1914; W. James, The varieties of religious experience, New York 1902 (trad. it., Torino 1904); G. Mensching, Das Heilige im Leben, Giessen 1925; J. W. Hauer, Die Religionen, ihr Werden, ihr Sinn, ihre Wahrheit, I, Stoccarda 1923; articoli Heilig, di F. Pfister e G. Mensching, e Mana, di K. T. Preuss, in Die Relig. in Gesch. u. Gegenwart, 2ª ed., II, Tubinga 1928.