SACRA RAPPRESENTAZIONE
. È il termine italiano con cui si designa il teatro religioso del Medioevo, che si sviluppò più intensamente durante i secoli XIII-XVI, a partire cioè dal rigoglioso maturare delle letterature nazionali fino all'epoca della Controriforma. Esso è creazione schiettamente medievale e costituisce una delle manifestazioni spirituali e letterarie più originali dell'Europa cattolica e romanza. Sorto in seno alla Chiesa e nell'ambito della cultura clericale, il dramma religioso guadagnò rapidamente il popolo, divenne strumento di poesia per l'intelligenza laica e borghese, svolgendosi con procedimenti analoghi, anche se con diversa intensità, in Spagna, Italia, Francia, e quindi in Inghilterra e in Germania, determinando infine, come avvenne specialmente in Spagna, un tipo di teatro nazionale e moderno, che il genio artistico di potenti personalità doveva sollevare nel regno dell'universale.
Il Medioevo conobbe la recitazione monodica e mimetica, ma non ritrovò che tardi il senso del teatro; il giullare portava nel suo repertorio farcito anche i racconti dialogati e le canzoni amebee, ma non riuscì a superare questa prima fase rudimentale di rappresentazione. La vera e propria letteratura drammatica sorge molto dopo, quando gli altri generi poetici hanno raggiunto la maggiore evoluzione. È vero che la tradizione della commedia latina classica sopravvisse nei settori della cultura clericale, ma come elemento archeologico e tutt'al più come esercitazione libresca, al di fuori di qualunque sentimento propriamente teatrale. I drammi latini di Rosvita (sec. X) e la notevole fioritura latina della cosiddetta "commedia elegiaca" (sec. XII-XIII) non escono dal chiuso degli antichi modelli plautini e non aspirano alla vita scenica; soltanto di qualcuna si ricordano tentativi di recitazione, e non mai di rappresentazione, che di necessità, per lo stesso strumento linguistico e per la forma letteraria non poteva interessare che poche zone intellettuali. I primi documenti della commedia volgare, quali i jeux francesi, sono peraltro coevi ai primi jeux religiosi e rispetto a questi rimangono in secondo piano e non raggiungono pieno sviluppo. Viceversa il dramma si svolse per lenta e continua evoluzione dal culto religioso, dal più profondo seno della Chiesa: dalle "sequenze", dalle "prose" o "tropi", che si vennero sviluppando a partire dal sec. IX, dapprima come integrazione musicale dell'Alleluia e poi come inserzione letteraria del testo liturgico (e si pensi, del resto, alla loro importanza anche nell'ambito della lirica medievale e romanza), fino a che, duranti i secoli X e XI, queste interpretazioni assunsero il valore di autentici dialoghi, dapprima nell'Introitus - con l'Interrogatio e la Responsio -, poi per tutti i tropi della Pasqua, del Natale, dell'Ascensione, specialmente attraverso le chiese benedettine ed episcopali. I numerosi troparî dei secoli X-XIII ci conservano moltissini documenti, originali di tutto l'Occidente cattolico: specie dalla Francia, Germania, Inghilterra, Italia: dell'Officium Sepulchri, per esempio, che è il più antico, ci resta un repertorio di oltre 230 redazioni; nella sola Italia, questa prima fase evolutiva, ancora legata al testo sacro, è rappresentata da 25 composizioni, conservate in tutto il territorio, dal Piemonte alla Sicilia; il saggio più antico (sec. X) è di Aquileia. La scenografia fu dapprima costituita dall'altare, poi dal sepolcro e dal Presepe: in ultimo dai veri e proprî palchi scenici in mezzo alle piazze; gli attori furono gli stessi ministri del culto, poi gli aspiranti alla vita clericale e monastica, finché finirono col parteciparvi tutte le classi sociali, dagli artigiani ai giullari, mentre con il sec. XV prevalsero i membri delle confraternite e in seguito gli attori di professione. I temi, che dalle manifestazioni liturgiche si estesero ai testi apocrifi e alle compilazioni devote e letterarie, portarono sulle scene le figure e i fatti che per il Medioevo rivestivano carattere universale: il teatro religioso medievale, rispetto alla sua popolarità e al suo linguaggio estranazionale, trova una rispondenza soltanto nelle arti figurative, con cui condivide, se non il travaglio e l'eccellenza artistica, certo tutto il contenuto rappresentativo ch'era di dominio comune. Dapprima nel latino ecclesiastico che era accessibile anche agli indotti, poi, poco per volta, e con ritmo accelerato, nelle parlate volgari e nazionali.
Francia. - Il primo dramma in volgare francese a noi noto (a prescindere dai drammi liturgici in latino, di cui la Francia fu ricca, e da qualche testo bilingue, come, per es., Le jeu des Vierges sages et des Vierges folles) è quello anonimo del Jeu Adam (cioè "Rappresentazione di Adamo"), che risale alla seconda metà del sec. XII; esso presenta una tecnica che si è già evoluta e si è distaccata dall'informe ufficio liturgico, ma si appaga tuttavia di un'azione drammatica così semplice e lineare che rivela ancora un carattere primitivo. È tutto in francese, tranne il latino dei "versetti e delle "risposte", cioè di quei brani liturgici che dovevano essere cantati dal prete o dal coro e che s'inserivano nel corpo della rappresentazione, quasi tenace residuo della primordiale azione liturgica. Dalle didascalie che corredano la "rappresentazione", s'intende ch'essa avveniva nella pubblica piazza, con la scena addossata alla chiesa, e probabilmente in corrispondenza dell'ingresso, da cui doveva accedere il prete e il corteo ecclesiastico. Il Jeu Adam è d'ispirazione schiettamente biblica e tradisce la mano di un chierico non privo di talento: è la storia della caduta d'Adamo e di Eva, con la fosca vittoria del Male, fino all'assassinio di Abele, a cui si fa seguire la processione di tutti i profeti che hanno annunziato l'avvento del Messia. L'azione rapidissima, schematica, che accenna anziché svolgere, in accordo con la levità ed esiguità dei piccoli versi ottonarî, sprigiona una sua particolare poesia, che rimarrà il fascino maggiore del genere. Questo primo documento è redatto nel dialetto anglo-normanno, a cui appartiene anche un altro jeu sulla Resurrezione, del quale però ci è giunto il solo inizio: si può datare dai primissimi del sec. XIII. Entrambi si riconnettono alle feste solenni della Chiesa ed entrambi si richiamano al contenuto delle Sacre scritture, a cui lo spirito dell'autore doveva adeguarsi con devota e trasparente semplicità. Viceversa un'altra fonte, più ampia e più libera, era costituita dalle leggende dei santi, dai loro miracoli, dagli episodî edificanti della loro esperienza umana e religiosa; era una materia che si prestava alla rielaborazione personale e offriva all'immaginazione del poeta una molteplicità di spunti, di episodî, di toni più realistici e nello stesso tempo più letterarî; con le agiografie "rappresentate" s'immettono nel teatro religioso motivi novellistici, romanzeschi, avventurosi, fortemente individuali e perciò più saldamente drammatici. Il carattere teatrale e più decisamente laico è infatti offerto dal Jeu de Saint Nicolas, opera del trovero Jean Bodel, della fine del sec. XII, se non dei primi anni del successivo. San Nicola è il patrono degli scolari, dei goliardi, della gente che bazzica le chiese, i conventi e le loro scuole, ed era stato perciò cantato più volte, specie in versi ritmici latini; ora trovava cittadinanza nella poesia in volgare di Jean Bodel, spirito vivacissimo, la cui ispirazione religiosa non mortificava il suo estro realistico, non alieno di atteggiamenti comici. La trama, assai più complicata dei primi jeux per quanto ancora troppo svelta e precipitosa, si vale d'un miracolo di s. Nicola; ma l'azione si svolge in Terrasanta, dove i cristiani soccombono sotto la preponderanza schiacciante degl'infedeli, e poi in un'osteria, in un ambiente dissoluto e spregiudicato, che mette sulla scena figure e atteggiamenti vivacemente profani e popolareschi: la chiusa, nella quale per merito del miracolo del santo si determina una conversione generale, ristabilisce l'atmosfera solenne e devota a cui mirava il dramma. Esso è affine al genere dei miracles, che nei secoli XII-XIII ebbero grande diffusione nella letteratura puramente narrativa e che successivamente, specie durante il sec. XIV, arricchiranno il patrimonio teatrale del dramma religioso, per sé stesso condannato a ripetersi: soprattutto i Miracoli della Vergine. Il Miracle de Théophile, dovuto a Rutebeul, che poetava nel sec. XIII inoltrato, si riferisce alla leggenda di Teofilo, un prete ambizioso della Cilicia, del sec. VI, che aveva venduto la sua anima al diavolo per riavere una carica perduta, ritrovando poi la sua salvezza per intercessione della vergine. Un codice della Bibliothèque Nationale di Parigi (il ms. Cangé) ci ha conservato una silloge di 40 miracles drammatici, tutti dedicati alla Vergine, opera di varî autori della seconda metà del sec. XIV. Le loro fonti sono costituite dalla letteratura narrativa contemporanea, in primo luogo dal poema ciclico di Gautier de Coincy, Miracles de Marie (sec. XIII) e poi dalle agiografie, dalle cronache, dalle Chansons de geste e perfino dai romanzi d'avventura; si tratta per lo più di piccoli episodi sceneggiati, in cui Maria Vergine non fa che una brevissima apparizione risolutiva; il centro di composizione e d'irradiazione è sempre religioso, e anzi in gran parte essi erano destinati alla sola recitazione nelle confraternite semireligiose e semiletterarie, i cosiddetti puys, durante le feste solenni per Maria (i 40 miracles superstiti sembrano appartenere a un puy di Parigi); i loro autori erano legati al mondo clericale, come denota la familiarità del latino e dei testi sacri, a cui non contraddice l'ingenua sensibilità religiosa che inonda la fragile poesia dei distici ottonarî. Ma tuttavia l'interesse principale consiste nel carattere laico, umanissimo che questi miracles vanno scoprendo, tanto da costituire, pur nella loro semplicità, il genere più felice delle sacre rappresentazioni francesi. A parte l'intervento di Maria, peraltro assai fugace, il miracle svolgeva temi varî e passioni umane diverse, da quelle volgari e crude a quelle nobili e tragiche, percorrendo una scala di valori psicologici e individuali e di ambienti sociali schiettamente borghesi e popolari, che portavano gli autori a toccare, anche se ancora in forma embrionale e inesperta, una ricca gamma di toni e di colori: dall'appassionato al comico, dal doloroso al ripugnante, dal delicato allo scurrile, dal solitario al plateale, con prevalenza per le zone umane più umili. Essi furono presto superati dall'invadente fioritura di un genere affine: il cosiddetto "mistero"", che nel sec. XV raggiunge un'enorme popolarità, senza tuttavia sapersi sollevare dalla mediocrità.
Il termine mystère (da ministerium) indicava un'"azione" una "rappresentazione", con un significato che è anch'esso di stretta derivazione ecclesiastica (per il senso corrisponde all'italiano funzione, allo spagnolo auto, una specie cioè di officium, con cui si designa il culto pubblico, che è esso stesso un'azione rappresentata). Non si afferma che nel sec. XV, in sostituzione del vocabolo più diffuso e più generico di jeu, e dell'altro più specifico di miracle; la prima volta, in tal senso, appare nel 1374, e in un'ordinanza di Carlo VI, del 1402, la voce mystère è applicata esplicitamente al teatro; a mano a mano che si procede nel sec. XV, l'uso si estende a tutte le opere teatrali di carattere religioso, specie con il propagarsi della stampa, sostituendo definitivamente la dotta terminologia clericale di ludi, repraesentationes, historiae repraesentandae, con cui si designavano i drammi liturgici, e applicandosi finanche ad opere che esulavano da ogni ispirazione religiosa (per es., Mystère du siège d'Orléans; Mystère de la destruction de Troie, ecc.).
Tuttavia appare evidente che nella coscienza linguistica il mistero drammatico è quasi magico: il dramma liturgico che si determinava dai grandi misteri dell'Incarnazione e della Resurrezione, a cui si aggiunsero le due solennità della Pasqua e di Natale, si allargò verso la fine del sec. XIV in una rappresentazione ciclica, vasta, grandiosa. Il "mistero", al pari della "sacra rappresentazione", si può considerare come la messinscena dell'Antico e del Nuovo Testamento, come l'esposizione dialogata e mimetica delle vite dei santi, dagli apostoli fino ai più recenti eroi della fede, come S. Domenico, S. Francesco, S. Luigi, ecc. La trasformazione avvenne in seno alle confraternite: le più antiche a noi note, la "Confrérie de la Passion" di Nantes (1374), la "Confrérie de la Charité" di Rouen (1374), quelle di Parigi (1380), rappresentavano già da mezzo secolo un particolare e monotono repertorio di "misteri", coevi press'a poco ai miracles (un ms. della Bibl. di Sainte-Geneviève ci ha conservato gli archetipi: vite di santi, la Natività, i Tre re magi, la Resurrezione); ma è il tema della "Passione" che finisce col prevalere, forse perché più ricco di caratteri altamente drammatici: dalla Passion des Jongleurs, attraverso alla Passion cosiddetta "palatina" (ms. della Bibl. Vaticana), alla Passion d'Autun, si giunge, nei primi del sec. XV, alla Passion de Semur, d'origine borgognona, e a quella più elaborata e più scaltrita: la Passion d'Arras, il cui autore, probabilmente Eustache Mercadé, morto nel 1440, aveva messo a profitto le opere precedenti, introducendo però elementi teologici, eruditi, concettuali che penetrarono saldamente nella vita del genere letterario: in particolar modo le personificazioni d'idee morali, quali la Pace, Verità, Giustizia, Fede, Carità, Misericordia, ecc., con un procedimento che fu largamente sfruttato dalla drammatica posteriore, e che altrove, nell'auto sacramental spagnolo, doveva invadere l'intero organismo dell'opera. E appunto sulla traccia del Mercadé, con altrettanta educazione teologica e con più vigoroso talento scenico, il prete Arnoul Gréban, organista di Notre-Dame e maestro di grammatica e di musica ai giovani del coro, componeva la più grandiosa Passion (1450-1451), di vasta concezione (34.574 versi, e in quattro giornate). È l'opera che raggiunse la maggior fortuna, rappresentata per tutto il Quattrocento (nel 1486 ad Angers subì "correzioni e aggiunte" da un dotto medico, Jehan Michel) e trasmettendo il suo ricco contenuto e la sua matura tecnica ad altre "Passioni": fino a quella di Valenciennes, rappresentata nel 1547 con una sfarzosa messinscena.
L'arte di questi "misteri" rispondeva oramai a un senso religioso più sollecito degli effetti spettacolosi che dell'intimità cristiana; all'umiltà e alla semplicità dei mezzi e degli scopi che stavano a base dei primitivi uffici liturgici e poi anche dei primi jeux e degli stessi miracles, succedeva con l'opulenza del Rinascimento una grandiosità costruttiva e un'esuberanza stilistica, che finivano con lo scambiare la vera solennità della fede con la magnificenza dell'apparato scenico. Si vennero così a formare veri e proprî cicli di "misteri", ordinati secondo le fonti, e dovuti a varî autori e a varie epoche, ma tutti composti fra il 1400 e il 1550. Con il comune titolo di Mystère du Vieux Testament, si fusero con malgarbo, durante la seconda metà del sec. XV, parecchi "misteri" inizialmente distinti, con un totale di circa 50.000 versi (edito nel 1500 da Geffroy de Marnef); l'immenso Mystère des Actes des Apostres dei fratelli Arnoul e Simon Gréban, di circa 62.000 versi, rifà la storia degli Apostoli dall'Ascensione di Cristo fino al loro martirio: opera farraginosa, senza legami interni, che nel 1536 fu rappresentata a Bourges durante quaranta giorni consecutivi. Altri invece si limitano a singoli episodî dell'esistenza di Cristo (Natività, Resurrezione, Passione - la più fortunata), alle diverse vite dei santi, fino a quelli di contenuto profano: Mystère du siège d'Orléans - celebrazione di Giovanna d'Arco; Mystère de la destruction de Troie, di Jacques Millet, studente di legge a Orléans (1452), ecc.; in tutto, un insieme di circa un milione di versi, nei quali complessivamente si avvertono i caratteri di una composizione precipitosa, improvvisata, senza meditazione artistica, anche se spesso piena di toni spontanei, nativi, istintivamente aderenti alla realtà quotidiana e agli aspetti sociali e morali più immediati: basti pensare all'elemento comico e caricaturale per lo più rappresentato da personaggi accessorî ma vivi e presenti all'immaginazione della folla: contadini, giullari, valletti, mendicanti, ciechi, che introducono elementi d'attualità, per lo più con un senso di piacevole e spassosa satira. Nella versificazione prevale il distico ottonario a rime incrociate e piatte, sebbene in genere vi siano rappresentati gli altri moduli ritmici, specie il verso di dieci sillabe, a cui si ricorre soprattutto nei passaggi solenni, e lo schema delle ballate, di rondeaux, dei lais, dei chants royaux, tutte le volte che il poeta voleva rendere il carattere lirico ed elegiaco. Si arriva così a metà del sec. XVI, quando la cultura umanistica, fattasi sempre più invadente e decisiva, e la crisi religiosa della Riforma, portano il più grave colpo alla sacra rappresentazione: il 17 novembre 1548 un decreto proibiva alle confraternite di rappresentare "le Mystère de la Passion Notre sauveur ne autres Mystères sacrez".
Italia. - La sacra rappresentazione italiana, pur inquadrandosi nella comune evoluzione del dramma religioso medievale e romanzo, presenta una sua speciale formazione, tanto più vitale e più espressiva in quanto è strettamente legata a determinati movimenti spirituali. I suoi legami con gli ambienti ecclesiastici e con la cultura clericale sono meno esclusivi di quelli che si possono rintracciare per il teatro religioso francese, e, meglio di quest'ultimo, attingono ispirazione da un clima più laico e più popolare. A determinare queste particolari condizioni vi ha concorso senza dubbio il ritardo stesso con cui è sorta la produzione drammatica in Italia, che si è valsa, accanto agli svolgimenti della tradizione più propriamente liturgica, dell'esperienza della lirica religiosa laica: specialmente delle laudi monodiche. Anche per la sacra rappresentazione il centro propulsore è l'Italia centrale, la terra che aveva visto diffondersi la nuova fede francescana e che nel 1260 ridestava il fervore mistico con la predicazione di Raniero Fasani e con i moti dei flagellanti; l'ambiente in cui sorge è lo stesso; i poeti e gli spiriti che hanno tentato la lauda lirica la trasformano successivamente in lauda drammatica; uguali sono le vie attraverso cui si propaga il nuovo teatro religioso e le masse a cui si rivolge: l'Umbria e i paesi attigui: Abruzzi, Toscana, Roma. Si risale al sec. XIII, con la costituzione di compagnie laicali di "disciplinati", che esprimevano il loro culto cantando laude e inscenando rappresentazioni in volgare: associazioni assai diverse dalle confréries de la Passion e dai puys di Francia, di cui erano più popolari e più laiche, ma al pari di esse suscitatrici di letteratura. Alla fine del Duecento si costituivano già alcuni modelli di teatro religioso, che in progresso di tempo raggiunse il massimo sviluppo, specie con il sec. XV; e proprio per uso dei confratelli di Perugia, nei primi anni del sec. XIV, si componeva e si raccoglieva un Libro de Laude, in cui gli schemi ritmici appaiono modificati e innovati, rispetto al primitivo tipo di lauda (per es., rispetto a quelle di Iacopone e al laudario della confraternita di S. Croce in Urbino), con il modulo della ballata maggiore, introducendo la strofa di otto versi (Canto di Pasqua) e creando la sestina (Canto di Passione), alle quali la sacra rappresentazione rimarrà fedele. Cosicché, mentre altrove il dramma sacro si svolgeva per gradi da quello liturgico, in Italia si costituiva soprattutto per l'azione di vicende pubbliche e di moti popolari, ricollegandosi a motivi spirituali e a forme poetiche squisitamente profane, anche se in stretto contatto con la Chiesa, con la sua educazione, con gli ordini monastici più diffusi (francescani e domenicani), e sebbene non del tutto immemore degli antichi procedimenti liturgici. Il repertorio drammatico dell'Italia arriva a circa 300 composizioni, di cui molte si ripetono, si rifanno, si riadattano a catena, con il maggiore disdegno per l'originalità e per la meditazione estetica, frutto come sono di una cultura media, della borghesia più modesta, pronta a improvvisare e a impadronirsi di pochi schemi e d'altra parte restia a staccarsene e a rinnovarsi. I momenti più evolutivi della storia drammatica si possono individuare in Abruzzo, con un laudario quattrocentesco della confraternita di s. Tommaso d'Aquino di Aquila, a Roma, con la confraternita del Gonfalone e la Passione e la Resurrezione del Colosseo, dove i due grandi drammi erano rappresentati, in Toscana, con una Santa Caterina, composta a Siena, con una fiorentina Discesa al Limbo, e in ultima analisi nella Firenze quattrocentesca e umanistica, che cercò di dare forma d'arte più riflessa e più personale, fino dalle prime, databili intorno alla metà del sec. XV: la Rappresentazione del dì del giudizio di Antonio di Miglio (intorno agli anni 1444-48), Abramo e Isac di Feo Belcari (1449) e una vecchia Rappresentazione dell'Annunciazione, che lo stesso Belcari rielaborava. Passato in mani colte, come avveniva con Lorenzo il Magnifico, il genere non si evolveva, e restava in definitiva soffocato dal teatro umanistico, limitandosi a sopravvivere, con vita grama e in modi stilizzati nelle zone popolari e regionali, dal Piemonte alla Sicilia.
Spagna e altri paesi. - Nella Spagna, più che in Inghilterra, il genere ebbe una singolare storia, tanto da confondersi con il vero e proprio teatro umanistico, costituendo un aspetto vitalissimo della produzione drammatica "classica" come risulta dalla storia dell'auto, che ha un raggio di diffusione iberico, cioè anche portoghese, oltre che spagnolo. Dei più antichi monumenti non ci restano che testimonianze occasionali, e un solo frammento d'opera, l'Auto de los Reges magos (147 versi, forse della metà del sec. XIII); il termine via via significò ogni "azione" teatrale, ma già il portoghese Gil Vicente si limitava a designare con auto il dramma di carattere religioso. Per lo più l'auto non aveva divisioni in atti o in giornate, ed era assai meno esteso della "commedia"; adibito per le solennità religiose, secondo la più pura tradizione medievale, finì col prevalere l'auto sacramental e con Calderón de la Barca assunse un supremo valore d'arte. Mentre cioè in Germania la sacra rappresentazione rimase legata a un tipo popolare - il "miracolo", la "moralità", e specialmente la "passione" - che rielaborato nell'epoca barocca si perpetuò nell'età moderna (come il teatro di Oberammergau), e in Inghilterra, al pari di quanto avveniva nel continente europeo, si svolgeva un contenuto analogo con forme affini (i Miracleplays), in Spagna la cultura umanistica e l'arte barocca adeguavano con procedimenti simbolici e intellettualistici un patrimonio letterario di natura modesta, anonima e collettiva a esigenze fantastiche d'ordine superiore, attraverso a una potente individualità fantastica, qual'è quella di Calderón de la Barca: i suoi autos sacramentales, come El gran teatro del mundo, El gran mercado del mundo, La cena de Baltasar, ecc., si confondono per la sostanza ideale con gli altri suoi drammi religiosi, filosofici e tragici: avviene cioè la fusione dell'ispirazione medievale con il teatro moderno.
V. tavv. CV e CVI.
La musica delle sacre rappresentazioni. - Per ciò che si riferisce alla musica dei drammi liturgici (sec. XI-XIV) su testo interamente latino o latino con farciture romanze, v. dramma liturgico. Quanto alla sacra rappresentazione in lingua volgare, fiorita in Italia soprattutto nel sec. XV, è fuor di dubbio che la musica vi ebbe parte, se non continua (forse nemmeno nei saggi più antichi) tuttavia notevole, e con varietà di forme così vocali come istrumentali. Ma quanti e quali fossero, in realtà, i motivi e passi e componimenti musicali introdotti nelle rappresentazioni sacre è impossibile dire, mancandoci in proposito documenti concreti. A differenza delle laude, di cui si possiede una serie copiosa d'intonazioni (v. lauda), nessun testo di rappresentazione reca passi musicalmente notati, né si conoscono per altra via (all'infuori di alcune melopee liturgiche) musiche espressamente e specificamente riferibili alle sacre rappresentazioni. Onde - e sempre a differenza dalle laude - è necessario concludere che, mentre nella lauda s'ebbe, almeno fino a metà del '300, una vera e organica compenetrazione tra musica e poesia, determinatasi in profonde aderenze di struttura e di espressione, nella sacra rappresentazione tale compenetrazione, cioè tale funzione della musica in quanto concepita e foggiata su un dato testo, viene a mancare: il che può anche rafforzare eventuali dubbi circa la discendenza della rappresentazione dalla lauda. Quello insomma che nella rappresentazione sacra fu un elemento musicale fisso, trasmesso tradizionalmente e a poco a poco caduto in disuso, non ebbe altra natura se non di un modulo melodico che serviva a intonare la stanza (ottava), qualunque fosse il suo contenuto poetico: schema quindi affatto generico e indifferente al mutare degli argomenti e delle situazioni drammatiche. Purtroppo anche codesto modulo, che il Vasari ricorda come un "canto semplice e antico", è perduto (un erudito fiorentino del '600, il Cionacci, pensò di farlo trascrivere dal musicista suo contemporaneo Matteo Coferati, ma la notazione che si dovrebbe leggere nel ms. Magliab., VIII, 9, oggi non vi si trova); gli si può forse attribuire qualche vaga somiglianza con le rudimentali intonazioni dei maggi toscani.
All'infuori di siffatto elemento, che si qualificava come canto o aria delle Rappresentazioni ed era, ripetiamo, generico e tradizionale, tutto il resto era musica che s'introduceva volta per volta, secondo l'opportunità e la disponibilità del momento, prendendola a prestito dal repertorio liturgico o dal popolare. Non ne occorreva, quindi, la notazione: bastava, a suggerir l'impiego di un dato pezzo, indicarlo più o meno esattamente nella didascalia. Il D'Ancona ricorda parecchie di tali indicazioni: Abram... dice questa stanza a ballo (cioè sull'aria delle ballate in endecasillabi); una vergine ebrea canta in su la lira; un tale dice così cantando come e' respetti; un altro canta a bandire (sul modo dei banditori); Pilato risponde cantando alla imperiale. Anche le laude, che ogni tanto s'introducono nelle rappresentazioni, non hanno più melodie proprie, ma, come avviene dalla fine del '300, si cantano su arie di ballate profane di ugual metro. Così, per la lauda di Santa Margherita, basta il rimando all'intonazione delle vaghe montanine pastorelle di Franco Sacchetti. Altre volte si hanno indicazioni di pezzi liturgici (Puossi cantare il Taddeo) o di derivazione liturgica ma con ritmo e fioriture ben cadenzate: Fanno sagrificio e cantano un inno figurato; Suonasi e ballasi: non stare' male un canto figurato. La scelta, s'intende, era commessa al direttore dello spettacolo.
Oltre alle didascalie, si hanno accenni alla musica in cronache e relazioni di spettacoli. Anche in questi accenni, da litanie a frottole, da mottetti a pezzi strumentali, c'è un po' di tutto e non c'è nulla di preciso. Si avverte però, massime nel corso del '500, che quanto più divien raro il canto inserito nella rappresentazione, tanto più si concede posto alla musica durante i famosi intermezzi. E col '500 gli strumenti sempre più tengono il campo, o insieme con le voci, o da soli.
La sacra rappresentazione si valeva, per l'apparato musicale, di ciò che meglio le convenisse e si potesse praticamente procurare. Onde, in mancanza di uno stile omogeneo, di una struttura musicalmente organica e originale, e anche di esempî concreti delle sue disparate centonizzazioni, essa non ha importanza nella storia della musica se non in quanto, mantenendo viva nel ceto popolare italiano l'antica tradizione monodica, e valendosi del canto accompagnato, solistico e corale, per dar comunque risalto a episodî drammatici, si può considerare un'espressione, sia pur rozzamente precorritrice, del dramma musicale moderno.
Testi e bibl.: É. du Méril, Origines latines du théâtre moderne, Parigi 1849; E. de Coussemaker, Drames liturgiques du moyen âge, Rennes-Parigi 1860 (con notaz. musicali); C. Lange, Die lateinischen Osterfeiern, Monaco 1887; N. Bohme, Das lateinische Wiehnachtspiel, Lipsia 1917; N. Monmerqué e F. Michel, Le théâtre franåais au moyen âge, Parigi 1839, voll. 3; A. Jeanroy, Le théâtre religieux en France du XIe au XIIIe siècle, ivi 1924 (traduz. moderna dei primi testi); G. Cohen, Le théâtre en France au moyen âge, I: Le théâtre religieux, ivi 1932. Per le ediz. dei singoli testi: si veda la bibl. in J. Bédier e P. Hazard, Hist. de la littér. franå., I, Parigi 1923. Inoltre: G. Gautier, Histoire de la poésie liturgique au moyen âge: les tropes, ivi 1886; L. Petit de Julleville, Les Mystères, ivi 1880, voll. 2; id., Répertoire du théâtre comique en France au moyen âge, ivi 1885; id., nella Histoire de la langue et de la littérature franå., II, ivi 1896, pp. 399-421; E. Fournier, Le théâtre franåais avant la Renaissance: mystères, moralités et farces, ivi 1872; A. Gasté, Les drames liturgiques de la chatédrale de Rouen, Évreux 1893; M. Sepet, Le drame religieux au moyen âge, Parigi 1903; id., Les origines catholiques du théâtre moderne, ivi 1901; E. Roy, La comédie sans titre, ivi 1902; id., Le mystère de la passion en France du XIVe au XVIe siècle, Digione-Parigi 1903-1904; per le prime rappresentazioni dei misteri a Parigi, cfr. G. Cohen, in Romania, 1909, p. 587, e A. Thomas, ibid., 1910, p. 373; Les Miracles de Notre-Dame, a cura di G. Paris e U. Robert, voll. 8, Parigi 1876-1893; Mystères inédits du XVe siècle, a cura di A. Jubinal, ivi 1837, voll. 2; Le "Mistère du Viel Testament", a cura di J. Rothschild e E. Picot, ivi 1878-1891, voll. 6; Le Mystère de la Passion de A. Gréban, a cura di G. Paris e G. Raynaud, ivi 1878; per i rapporti con la storia generale del teatro, v. W. Creizenach, Geschichte des neueren Dramas, Halle 1894-1903, voll. 4 (interessa il vol. I, nuova ediz. 1911). Per la messinscena, G. Cohen, Histoire de la mise en scène dans le théâtre religieux franåais du moyen âge, Parigi 1906, nuova ediz. 1926; id., Le livre de conduite du régisseur et le compte des dépenses pour le Mystère de la Passion joué à Mons en 1501, Strasburgo 1901; V. Galante Garrone, L'apparato scenico del dramma sacro in Italia, Torino 1935. Per i rapporti con le arti figurative, É. Mâle, L'art religieux à la fin du moyen âge, Parigi 1908; id., L'art religiuex du moyen âge en France, ivi 1931, voll. 3; L. Bréhier, L'art chrétien. Son développement iconographique des origines è nos jours, ivi 1928; per altra bibl., cfr. L. Réau, L'art du moyen âge, ecc., ivi 1935; per i rapporti con la civiltà medievale, cfr. G. Schnürer, L'Église et la civilisation au moyen âge, II, ivi 1935; O. E. Albrecht, Four latin Plays of St. Nicholas (Text and Commentary, ecc.), Filadelfia 1935. - Per l'Italia, A. D'Ancona, Le origini del teatro italiano, 2ª ed., Torino 1891; C. de Batines, Bibliografia delle antiche rappresentazioni italiane sacre e profane stampate nei secoli XV e XVI, Firenze 1852 (con l'appendice di E. Narducci, nel Bibliofilo di Bologna, 1882); E. Monaci, Uffici drammatici dei disciplinati nell'Umbria, in Rivista di filologia romanza, 1872-1875; A. D'Ancona, Sacre rappresentazioni dei secoli XV e XVI, Firenze 1872; A. Lumini, Le sacre rappresentazioni italiane dei secoli XIV, XV, XVI, Palermo 1877; F. Torraca, Il teatro italiano dei secoli XIII, XIV e XV, Firenze 1885; La Passione di G. C., rappres. sacra in Piemonte nel sec. XV, a cura di V. Promis, Torino 1888; M. Vattasso, Le origini della poesia drammatica in Italia, Bologna 1924; id., Il teatro abbruzzese, ivi 1924; A. Tenneroni, Sacre rappresentazioni per le fraternite d'Orvieto, Perugia 1916; P. Toschi, L'antico dramma sacro italiano, Firenze 1926-1927, voll. 2; B. Croce, Letteratura del Trecento: letteratura di devozione, in La critica, XXIX (1931), pp. 321-340; F. Neri, La "Passione" del ms. Magl. VII, 760, Torino 1929, nella collezione Pallante, fasc. 2; id., Per la storia del dramma sacro in Piemonte, in Annali dell'Ist. sup. di Magistero del Piemonte, II (1928), pp. 83-95; F. Liuzzi, La lauda e i primordi della melodia italiana, Roma 1935, I, cap. 6°; id., L'espressione musicale del dramma liturgico, in Studi Medievali, II, 1929, fasc, 1; id., Drammi musicali dei secoli XI-XIV, ibid., III, 1930, fasc. 1; E. Levi, La leggenda dell'"Anticristo" nel Teatro medievale, in Studi Medievali, n. s., VII (1934), pp. 52-63; P. Toschi, Il Teatro medievale, in Storia del Teatro ital., a cura di S. D'Amico, Milano 1936, pp. 33 segg. Si veda inoltre N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1934, p. 556 segg.; V. Rossi, Il Qattrocento, ivi 1933, pp. 286-307.