SABINI
Antico popolo dell'Italia centrale, occupante in età storica il territorio compreso fra Tevere, Nera, Aterno, Aniene, con le città di Reate (Rieti), Nursia (Norcia), Amiternum (presso Aquila), Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino), Eretum (a NE. di Roma), Cures.
La tradizione congiunge strettamente i Sabini col periodo delle origini di Roma (ratto delle Sabine, guerra e conseguente accordo con Tito Tazio, Numa Pompilio re di Roma di origine sabina, sabina una delle tre tribù di Roma). Poi si ha un lungo intervallo in cui di Sabini non si parla più. Riprendono i contatti, stretti, nel sec. I della repubblica (episodio di Appio Claudio, Liv., II, 16; di Appio Erdonio, Liv., III, 15; guerra conclusa nel 49, Liv., III, 61). Importa ricordare che i Sabini dello strato più recente non sono necessariamente lo stesso popolo dello strato più antico, il quale poteva avere anche un nome diverso, andato perduto; come pure è ammissibile l'ipotesi opposta che il nome "Sabini" sia passato dai più antichi ai più recenti abitanti della Sabina.
La tradizione (Dionigi, II, 49) racconta che i Sabini sono degli Umbri cacciati verso mezzogiorno. Secondo Catone, il più antico luogo d'origine è Testrina, presso Amiterno, da cui si sono in un primo tempo allontanati verso occidente, occupando Cutiliae e Reate. Come i Sabini dagli Umbri, altri rami si sono staccati dai Sabini oltre a quelli immigrati in Roma. La tradizione racconta (Strabone, V, 250) che dei Sabini, in seguito a una "primavera sacra", si sono allontanati verso mezzogiorno sotto la guida di un toro, dando così origine al popolo dei Sanniti.
Della lingua sabina non conosciamo direttamente nulla, non potendosi considerare sicuramente sabina un'iscrizione dialettale trovata a Scoppito (Aquila). Manca quindi un criterio fondamentale per attribuire i Sabini al gruppo dialettale orientale che dice pis invece di quis, come gli Umbri e i Sanniti, piuttosto che a quello occidentale, cui appartiene il latino. In base a iscrizioni dialettali della regione Aniene-Fucino, lo Schrijnen (Neophilologus, VII, 223) è disposto a ritenerli prossimi ai Latini; ma la prova, tratta da iscrizioni tarde (sec. III o II), non basta a superare l'ostacolo della tradizione. Senza contare che abbiamo in Roma parole come bos, lupus (invece di vos, lucus), che presuppongono vicinanza immediata di un popolo di tipo p, e parole come lingua, lacruma (invece di dingua, dacruma) che mostrano la "volontà" di dare a parole latine un aspetto non latino, ma quasi umbro. E poiché gli Umbri non sono in contatto con Roma, questi modelli linguistici di tipo p (invece di q) e l (invece di d) non possono essere stati forniti o trasmessi se non dai Sabini. Numerosissime sono le parole che i grammatici romani considerano di origine sabina.
In connessione con questo stanno problemi storico-linguistici più particolari: se le forme più antiche dell'influenza linguistica dei Sabini su Roma possano essere state più vicine al tipo sannitico, mentre quelle più recenti a quello umbro; se gli elementi non latini, ma indoeuropei, del dialetto di Falerii possano essere considerati legittimamente sabini e così via.
Un'identificazione archeologica sulla base del rito funebre è ancora più difficile. Le tombe di Terni mostrano un passaggio graduale dal rito dell'incinerazione a quello dell'inumazione. Le tombe di Palombara Sabina, la maggior parte di quelle dei colli Albani, quelle di Tolfa e Allumiere mostrano l'incinerazione, quelle più recenti della regione sabina propriamente detta mostrano la semplice inumazione. Se si potessero considerare i Latini come portatori dell'incinerazione, la definizione archeologica dei Sabini sarebbe semplice: inumatori dell'età del ferro, documentati anche in Roma nelle tombe, ad es., dell'Esquilino. Ma quando si creda probabile o certo che i Latini siano venuti in Italia anteriormente al rito funebre dell'incinerazione, è inevitabile considerare i Sabini più antichi come incineratori, e, viceversa, solo i più recenti come inumatori.
Una tradizione antica, che l'autorità di W. Schulze ha rafforzato, definisce i Sabini come gli uomini discendenti dal dio Sabus. Questo però non solo non è documentato, ma ha potuto essere ricostruito soltanto in luoghi, in cui si pronunciava la parola Sabini, cioè a Roma. La forma indigena era Safini, che non è identica, ma simile alla forma Safinim, attestata da una moneta sannitica e che deriva da un tema Safnio (questi a sua volta da Safno, v. sanniti). Le due forme Safno-Safnio sono dunque alla base dei due popoli, di origine comune, Sabini e Sanniti. Non si arriva a stabilire con questo se il nome sia di origine indoeuropea o autoctono, né che cosa possa aver significato.
Dalla metà del sec. V alla fine del IV, i rapporti fra Roma e i Sabini sono normali, essendo evidentemente cessata qualsiasi spinta dal settentrione: molto più intensa è in questo periodo l'attività dei Sanniti. Con la fine del sec. IV è invece l'espansione romana che provoca fatti nuovi: l'alleanza del 308 a. C. con Ocricolo, città prossima alla confluenza della Nera col Tevere; nel 300 la fondazione nella città sabina di Nequinum della colonia di Narnia (Narni). Con la vittoria di Sentino (anno 295) e gli episodî susseguenti (293) i Romani conquistano de Samnitibus la città sabina di Amiterno (Liv., X, 39), il territorio sabino viene annesso, gli abitanti ricevono la cittadinanza, dapprima senza suffragio, nel 268 con suffragio; nel 241 sono assegnati alle tribù Velina e Quirina.
Nell'elenco dei contingenti fornito a Roma dagli alleati nel 229 a. C. (Polibio, II, 24) i Sabini non figurano, secondo il Beloch perché confusi con i 50.000 fanti e 4000 cavalieri etruschi, di cui avrebbero costituito circa una metà. Durante la guerra annibalica e quella sociale non diedero luogo a nessun incidente.
La mancanza d'iscrizioni rende difficile qualsiasi notizia diretta sui culti e sugli ordinamenti cittadini. Le fonti indirette (Catone combinato con le tavole iguvine) ci permettono di supporre la genealogia degli dei: Sancus padre di Pidus (umbro Fisu) Sancius, padre di Dius Fidius, padre a sua volta dell'ipotetico Sabus. Le diverse figure compaiono fuse nel dio romanizzato Semo Sancus Dius Fidius.
Della città di Tiora Matiene, Dionigi d'Al. (I, 14) riferisce che Marte sotto le spoglie di un picchio vi distribuiva da una colonna di legno oracoli. Luogo sacro era il Lago di Cutilia con un'isola galleggiante nel mezzo.
Per gli ordinamenti cittadini abbiamo l'aiuto di alcune iscrizioni di Trebula Mutuesca, Nursia e Amiterno. Il Rosenberg (Der Staat der alten Italiker, p. 40-46) ne ha ricavato che nelle città sabine doveva esistere una magistratura di octoviri, oltre a un cosiddetto magister iuventutis. Gli octoviri erano divisi a coppie, non conservate nello stesso modo in tutte le città, distinti, p. es., a Trebula Mutuesca in due octoviri fanorum (addetti ai templi), due aerarii (alle finanze), due aedilicia potestate (alla polizia). L'ultima coppia che non si riesce a rintracciare, secondo Rosenberg, dovrebbe essere stata costituita da due magistri iuventutis. Ma è cosa dubbia.
Bibl.: Philipp, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I A, coll. 1570-1584; G. Devoto, Gli antichi Italici, Firenze, 1932; per il territorio, J. Beloch, Röm. Gesch., Berlino 1926, p. 596-7; H. Rudolph, Stadt und Staat im röm. Italien, Lipsia 1935, p. 66 segg. (sull'octovirato).