RUSTICO di Filippo
RUSTICO di Filippo (Filippi). – Nacque a Firenze da una famiglia popolare del quartiere di Santa Maria Novella. Suo padre Filippo fu iscritto dapprima all’Arte della seta nel 1226, poi all’Arte di Calimala, cioè dei mercanti, a partire dal 1238. Non si conosce la data di nascita di Rustico: per deduzione si è pensato che il 1240 fosse la data più alta in cui collocarla, dando credito all’ipotesi di D’Arco Silvio Avalle (1977, p. 89), il quale era convinto che il ragguaglio di Brunetto Latini nel Favolello (v. 156: «se’ ’n cima saluto») fosse un riferimento alla fortuna politica di Rustico: Latini gli si rivolgerebbe con l’intento di raccomandarsi alla sua amicizia leale, dal momento che avrebbe goduto dei benefici relativi all’instaurazione ghibellina.
Da un sonetto offensivo di Jacopo da Leona, notaio aretino che gli rinfaccia di procurarsi denari elemosinando («il tale dificio», v. 3, sarebbe una metafora per ‘frecciare’, cioè, secondo l’antico fiorentino, richiedere il prestito di denari; Poeti del Duecento, 1960, II, p. 365), apprendiamo che ebbe alcune figlie (forse tre), alle quali vanno aggiunti almeno tre figli maschi: Lippo, Guccio e Lapo, «vocato Pentolino» nel Protocollo notarile di Lapo Gianni (c. 20r) (forse ladro; probabilmente da identificare con il Catino del sonetto Le mie fanciulle gridan pur vivanda, v. 6, che nel testo sarebbe una variante del soprannome ma, forse, si tratta di due persone diverse).
Nonostante Rustico godesse di una certa fama tra i contemporanei, scarse sono le menzioni, riguardanti perlopiù figli, tra i documenti d’archivio in nostro possesso. La biografia di Rustico è stata spesso, quindi, frutto di congetture, che si sono mostrate più o meno salde: se l’appartenenza al popolo di Santa Maria Novella è attestata dal Libro dei Guelfi e dei Ghibellini (nome ottocentesco del Libro del chiodo, codice conservato nell’Archivio di Stato di Firenze) e valorizzata anche dal fatto banale che la famiglia non assunse un patronimico, la congettura che lo ascrive nelle file dei ghibellini ricavata dallo stesso documento – dove è attestato che i due figli Guccio e Lippo fossero «eccettuati e non riammessi» a Firenze «cogli altri banditi e ribelli l’anno 1311 a tempo di Arrigo VII, imperatore» (in Le rime di Rustico di Filippo, a cura di V. Federici, 1899, p. 53) – è troppo ambigua per un giudizio tanto netto quanto condiviso da praticamente tutti i moderni studiosi (P.V. Mengaldo, in Sonetti..., 1971; S. Buzzetti Gallarati, in Sonetti satirici..., 2005; fin troppo sicura Saiber, 2007): non peregrina appare quindi la cauta valutazione di Nicolino Applauso (2010, pp. 388-390).
Lo studioso, riprese alcune osservazioni di Erasmo Pèrcopo (1906, p. 70) sulla complessa situazione politica fiorentina negli anni di attività di Rustico e ricordando che il Libro del chiodo include nella lista dei condannati non solo ghibellini, ma anche ribelli appartenenti alla fazione più moderata dei guelfi, come fu Dante (su cui Applauso, 2010, p. 388, intreccia un parallelo con gli eredi del nostro), afferma che i due figli di Rustico potevano benissimo essere anche guelfi bianchi. Inoltre, la stessa produzione lirica di Rustico comprendendo un solo sonetto dichiaratamente politico, dal titolo A voi, che ve ne andaste per paura, non fornisce particolari biografici utili e semmai dimostra quanto l’impegno del poeta non dovesse essere poi così intenso.
Il testo – così come il riferimento al cardinale Ottaviano degli Ubaldini, morto nel 1273, potrebbe funzionare da termine ante quem per la composizione del sonetto Buono incomincio, ancora fosse veglio – offre anche un indizio per la data di composizione che risale a poco prima o poco dopo la battaglia di Benevento del 26 febbraio 1266, ma incerto appare il contenuto: i «primi versi alludono quasi certamente alla restaurazione guelfa» dopo la vittoria di Carlo I d’Angiò; il resto del sonetto «prende di mira, con lampi sarcastici più o meno evidenti, la paura dei guelfi in rotta» dopo la battaglia di Montaperti del 1260, come interpreta Silvia Buzzetti Gallarati (Sonetti satirici..., 2005, p. 131). Oppure, «gli inviti dei primi otto versi» potrebbero essere «intesi come ironiche rassicurazioni ai guelfi fuggiti dopo Montaperti a tornare [...], loro che per viltà mostrarono le spalle (v. 1), loro che credettero (v. 14) che i ghibellini fossero loro servi» (come interpreta Giuseppe Marrani, in I sonetti..., 1999, p. 147). L’invito sarebbe allora un ironico gesto di sfida alla vigilia della battaglia che segnò il destino della parte sveva in Italia. È possibile, però, ancora, intendere il sonetto, senz’altro ispirato in parte al planctus guittoniano Ahi lasso, or è stagion de doler tanto (come nota Levin, 1986, pp. 34-36), secondo una prospettiva di critica sociale: Rustico si sarebbe posto quale super partes, criticando, quindi, la fazione guelfa, colpevole prima di codardia nella sfida che la vide perdente e poi di fellonia una volta riacquisito il potere nel 1266. Questa, però, è solo una congettura: anche se non è completamente inopportuno immaginare un ruolo intellettuale per Rustico – magari marginale – visto il rapporto intessuto con due grandi autori coevi, l’uno guelfo e l’altro ghibellino.
Il guelfo Brunetto Latini gli dedicò il Favolello: scritto durante l’esilio, si tratta di un poemetto epistolare sull’amicizia che nella tradizione manoscritta accompagna il più celebre Tresor; nel poemetto Rustico viene nominato (v. 137) assieme all’altro poeta Palamidesso (v. 154), verosimilmente di Bellindote (nel clima cortese condiviso tra rimatori a una quaestio, proposta da Rustico con il sonetto Due cavalier valenti d’un parag[g]io, risponde, invece, il guittoniano Bondie Dietaiuti). Sembra essere stato Palamidesso ad aver informato Latini degli ottimi risultati raggiunti da Rustico nell’arte della poesia («trovato», v. 153).
Nel secondo decennio del Trecento la fama di Rustico, soprattutto come poeta comico, godette di un certo grado di apprezzabilità. A questo periodo si situa il secondo importante ricordo del ghibellino Francesco da Barberino. Nei Documenta amoris, fonte prediletta per il soprannome «barbuto» (in realtà in voga già durante la vita di Rustico come attestano il sonetto di Jacopo da Leona già ricordato e diversi documenti d’archivio), Rustico viene nominato tanto come vituperatore delle donne quanto quale misogino pentito e beffato.
La dura menzione è apparsa eccessiva per alcuni critici (su tutti Pèrcopo, 1907) che si sono spinti a identificare Rustico quale possibile autore del Fiore: il Roman de la Rose fu il testo misogino per antonomasia nel Medioevo. La proposta interpretativa, non più ripresa (ma con moderazione Buzzetti Gallarati, 1996, offre alcuni motivati riscontri della memoria di Rustico nel Fiore), venne messa in forte dubbio già da Ernesto Giacomo Parodi (Il Fiore e il Detto d’Amore, 1922). Sul giudizio di Francesco da Barberino, che lo dichiara «rusticus» oltreché «barbutus» (Doc., I 90), probabilmente deve aver giocato non tanto la produzione dichiaratamente vituperosa (come, ad esempio, Dovunque vai, con teco porti il cesso) quanto la predilezione per il doppio senso del linguaggio poetico – osceno, scurrile, finanche violento, rivolto a personaggi, quali, ad esempio, madonna Tana (di Se tu sia lieto di madonna Tana). Tale produzione fu caratteristica sufficiente a giustificarne una fama misogina e ferina, sempre che il significato di tali ambiguità fosse ben inteso da Barberino (Alfie, 2004).
Per la data di morte, decisivo è ancora una volta il Protocollo notarile di Lapo Gianni: dove viene nominato alla data del 23 e del 30 gennaio 1299 il figlio «Lippus quondam Rusticci Filippi» (c. 13v). Rustico, come sostengono Vincenzo Federici (Le rime..., 1899, p. XV) e Fabian Alfie (The art of insult, 2014, p. 2), doveva essere deceduto, secondo l’uso notarile dell’avverbio latino, da non più di cinque anni.
La fortuna della produzione poetica superò la stima degli autori coevi: a distanza di circa due secoli dalla morte, l’umanista Angelo Colocci postillò tutte le poesie di Rustico trascritte nel codice Vat. Lat. 4823, di sua proprietà, affine al monumentale Vat. Lat. 3793, che tramanda tutti i 58 sonetti che costituiscono la produzione totale dell’autore. La produzione di Rustico viene generalmente indicata come bifrontale: tale rigida etichetta proposta da Mario Marti (1953, p. 45) – e giustificata, al netto di problematiche filologiche (Santangelo, 1928; Panvini, 1953; Levin, 1986, e Holmes, 2000) dallo stesso Vat. Lat. 3793, dove la produzione cortese è separata da quella satirica –, secondo il quale la divisione era opportunamente motivata anche da una evidente divaricazione stilistica, rafforzata da un’ampia casistica di allotropi (Marti, 1953, pp. 54-56), è stata messa in dubbio da Giuseppe Marrani (I sonetti..., 1999). Se la produzione è perfettamente divisa tematicamente (vi sono 29 sonetti satirici e 29 cortesi), stilisticamente le serie individuate da Marti non rispecchiano la divisione formale/tematica: ad esempio, i termini della «coppia bellezza / bieltate [...] non sono rispettivamente distribuiti nelle rime giocose e nelle amorose, bensì entrambi appartengono a queste ultime» (Marrani, in I sonetti..., 1999, p. 33).
La fortuna di Rustico nella letteratura italiana è certamente legata, però, alla parte di produzione giocosa: egli viene generalmente riconosciuto quale maestro incontrastato della satira, della parodia, del comico. Tra i poeti delle origini è indicato quale caposcuola di quella maniera realistica che annoverava anche Jacopo da Leona, Mino da Colle, Jacopo dei Tolomei e il successivo Cecco Angiolieri (oltre che Nicola Muscia o Muscia da Siena). Se tale etichetta sembra essere una marca ideale, simbolica, di certo egli è l’«iniziatore» dello stile comico («certamente per noi», Suitner, 1983, p. 30). Le prove cortesi, comunque, meritano il confronto con la lirica coeva: esemplare il sonetto Dovunque eo vo o vegno o volgo o giro, organizzato attorno a un avvolgente e lento ritmo nell’attacco, a cui Tommaso Casini (1913) accostò addirittura Francesco Petrarca.
Opere. Importante soprattutto per i testi di corrispondenza è Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli 1960; le poesie di Rustico, a oggi, si leggono nell’edizione Sonetti, a cura di P.V. Mengaldo, Torino 1971; Giuseppe Marrani ha curato un’eccellente edizione commentata, pubblicata, però, solamente in rivista: G. Marrani, I sonetti di Rustico Filippi, edizione critica commentata, in Studi di filologia italiana, LVII (1999), pp. 33-199; infine Silvia Buzzetti Gallarati ha curato un’edizione dei soli Sonetti satirici e giocosi, Roma 2005. Ancora utile è l’edizione Le rime di R. di F., a cura di V. Federici, Bergamo 1899, soprattutto per l’Appendice contenente i documenti relativi alla biografia da consultare però con gli avvertimenti di V. Cian, rec. a Le rime, in Bullettino della Società dantesca italiana, VII (1899-1900), pp. 152-157. I sonetti sono stati tradotti in francese nel lavoro Les sonnets comiques et courtois, a cura di N. Bisiacco-Henry - S. Trousselard, La Rochelle 1998; si registra, infine, un’eccellente traduzione inglese: The art of insult, a cura di F. Alfie, Cambridge 2014.
Fonti e Bibl.: Il Protocollo notarile di Lapo Gianni è conservato nel Notarile antecosimiano dell’Archivio di Stato di Firenze (n. 11484, già L.76), dove sono conservati la maggior parte dei documenti relativi all’autore pubblicati poi da Federici, 1899, nell’Appendice dell’edizione delle rime da lui curata. Si ricorda, infine, che Il libro del chiodo, è stato riprodotto in facsimile con edizione critica a cura di F. Klein, Firenze 2004.
Oltre all’introduzione e ai commenti delle edizioni riportate si ricordano, almeno: E. Pèrcopo, La poesia giocosa, Milano 1906; Id., Il “Fiore” è di Rustico Filippi?, in Rassegna critica della letteratura italiana, XII (1907), pp. 49-59; T. Casini, Un poeta umorista del sec. XIII, in Scritti danteschi, Città di Castello 1913, pp. 225-255; Il Fiore e il Detto d’Amore, a cura di E.G. Parodi, Firenze 1922; I. Comunale, R. di F., Salerno 1928; L. Russo, La letteratura “comico-realistica” nella Toscana del Duecento e R. di F., in Studi sul Due e Trecento, Bari 1951, pp. 151-207; M. Marti, Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante, Pisa 1953; D’A.S. Avalle, Ai luoghi di delizia pieni. Saggio sulla lirica italiana del XIII secolo, Milano-Napoli 1977; F. Suitner, La poesia satirica e giocosa nell’età dei comuni, Padova 1983; S. Buzzetti Gallarati, Sull’organizzazione del discorso comico nella produzione giocosa di Rustico Filippi, in Medioevo romanzo, IX (1984), pp. 189-214; H.J. Levin, R. di F. and the Florentine lyric tradition, New York 1986; S. Buzzetti Gallarati, La memoria di Rustico nel “Fiore”, in Studi di filologia medievale offerti a D’Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli 1996, pp. 65-98; P. Orvieto - L. Brestolini, La poesia comico-realistica: dalle origini al Cinquecento, Roma 2000; S. Buzzetti Gallarati, Alle origini di un linguaggio: la poesia satirica di Rustico Filippi, in Medioevo romanzo, XXIV (2000), pp. 346-384, XXV (2001), pp. 82-113; Ead., Rustico“cortese” in Va (ms. Vaticano latino 4823), in Rivista di studi testuali, IV (2002), pp. 77-103; M. Cursietti, Motti e facezie da Rustico Filippi al Burchiello, in La parola del testo, VII (2003), 1, pp. 63-90; F. Alfie, The morality of misogyny: the case of Rustico Filippi, vituperator of women, in Quidditas, XXV (2004), pp. 43-70; G. Inglese, Latini, Brunetto, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma 2005, pp. 4-12; A. Saiber, R. di F. (Rustico Filippi), in Encicopedia of Italian literary studies, II, New York 2007, pp. 1635-1637; R. Manescalchi, Osservazioni sulla “lonza” in Rustico Filippi e in Dante, in Studi danteschi, LXXIV (2009), pp. 127-147; N. Applauso, Curses and laughter: the ethics of humor in Rustico Filippi’s Invectives, in Laughter in the Middle Ages and early modern times: epistemology of a fundamental human behavior, its meaning, and consequences, a cura di A. Classen, Berlin 2010, pp. 383-412. Sulla posizione delle liriche di Rustico nel Vat. Lat. 3793 si vedano, almeno, S. Santangelo, Le tenzoni poetiche nella letteratura italiana delle origini, Genève 1928; B. Panvini, Studio sui manoscritti dell’antica lirica italiana, in Studi di filologia italiana, XI (1953), pp. 5-135; O. Holmes, Assembling the lyric self. Authorship from troubadour song to Italian poetry book, Minneapolis-London 2000.