RUSSIA (A. T., 11-16, 66-74 ,84-87, 102-104)
È il nome tradizionale sotto il quale s'indica tanto la regione estrema orientale dell'Europa (o regione sarmatica), quanto l'unità politica che le corrispose ed ancor oggi le corrisponde, sebbene a quest'ultima si applichi più propriamente una denominazione diversa. L'origine del nome è discussa: probabilmente gli Slavi designavano con la denominazione Rus′ i Variaghi scandinavi; questa ipotesi è suffragata dal fatto che Ruotsi è il nome usato dai Finlandesi per designare gli Scandinavi. Con l'ampliarsi del dominio zarista e con l'incipiente valorizzazione della parte asiatica di questo dominio va di pari passo l'estendersi del nome Russia oltre gli Urali. La rivoluzione bolscevica, mutando completamente i rapporti prima esistenti tra i diversi gruppi etnici costituenti lo stato russo, ha sostituito all'antica denominazione, che esprimeva in sostanza i diritti dell'elemento più numeroso, l'affermazione del comune confluire di queste diverse unità nell'unità dello stato, secondo il concetto federativo che ne è a base. Accanto alle sigle ufficiali con cui il nuovo organismo è contrassegnato (S. S. S. R. - Sojuz Sovetskich Socialističeskich Respublik, ossia "Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche" onde la sigla, comunemente usata, di U. R. S. S.), si è conservato, come s'è detto, il vecchio nome di Russia, sia limitato alla zona europea, sia esteso all'intero dominio della federazione sovietica. In senso del pari improprio (e non ufficiale) s'indica anche da taluni con Russia la Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa (R. S. F. S. R.), ossia lo stato più potente dell'Unione, in contrapposto alle altre sei repubbliche onde questa è costituita.
Non raro è infine sentir parlare di una Russia propriamente detta, formata dalle 13 regioni (kraj) di Leningrado, Mosca, Ivanovo, Ovest, Voronež, Kursk, Nord, Gor′kij (Nižnij Novgorod), Medio Volga, Saratov, Stalingrad (Caricyn), Pjatigorsk e Mar Nero, comprendenti a lor volta le due Repubbliche autonome A. S. S. R. = Autonomye Socialističeskie Sovetskie Respubliki) dei Tedeschi del Volga (Nemcev Povolž′ja) e i 10 territorî autonomi (A. O. = Avtonomnye Oblasti) dei Calmucchi (Kalmyckaja), degli Adighe (Adygejskaja), dei Karaciai (Karačaevskaja), dei Cabardini (Kabardino-Balkarskaja), degli Osseti del N. (Severo-Osetskaja), degli Ingusceti (Ingušetskaja) e dei ceceni (Čečenskaja). Né all'una né all'altra di queste due ultime accezioni corrisponde però una individualità geografica: la prima, infatti, pur estendendo il nome Russia sino alle rive del Pacifico, spezza in vario modo l'unità, o meglio le diverse unità naturali da cui risulta la parte asiatica del dominio sovietico, e la seconda non ricompone neppur quella definita in certo modo dal cimale degli Urali, dal fiume Ural e dalla depressione dei due Manyč (o magari dal displuvio del crinale caucasico), confini più volte oltrepassati o non raggiunti dal decorso dei limiti amministrativi.
Sembra per tali ragioni preferibile mantenere al nome Russia il suo valore tradizionale (prescindendo dunque da una qualunque corrispondenza ad entità politiche o amministrative), vale a dire considerandolo equivalente alla Russia propriamente europea. Sebbene la distinzione tra questa e la parte asiatica tenda a scomparire, il contrasto è ancora troppo evidente e sostanziale, perché si possa esitare a riconoscere nella prima il nucleo vitale, economico e culturale, dell'intera U. R. S. S.
La trattazione geografica, per la parte fisica e antropica, riguarderà dunque in modo particolare la Russia europea; si rimanda alle maggiori voci Caucaso, Siberia e Turkestan, nonché a quelle minori Armenia, Azerbaigian, Buchara, Chiva, Georgia, Turkmenistan, Tagikistan, Transcaucasia, Uzbekistan, ecc., per la trattazione corrispondente relativa alla Russia d'Asia. Maggiori notizie sull'Ucraina, la Russia Bianca e le altre minori divisioni politiche della Russia europea si troveranno nelle voci ad esse dedicate. Per una trattazione esauriente dell'organizzazione politico-amministrativa e delle condizioni economiche dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche si veda la voce u.r.s.s., giacchè ci si limiterà qui a dare al riguardo solo qualche accenno indispensabile.
Come ben s'intende, la trattazione sulla storia, l'arte e la letteratura russa trova posto nella presente voce in conformità alla denominazione usuale.
Sommario. - Storia dell'esplorazione (p. 265); Superficie e confini (p. 265); Struttura morfologica (p. 265); Clima (p. 268); Idrografia (p. 271); Flora e vegetazione (p. 272); Fauna (p. 272); Popolazione (p. 273); Agricoltura (p. 276); Miniere (p. 281); Industrie (p. 282); Commercio estero (p. 284); Comunicazioni (p. 285). - Preistoria (p. 286). - Storia (p. 288). - Lingua (p. 308). - Etnografia e folklore (p. 390). - Arte (p. 314). - Musica (p. 322). - Letteratura (p. 325). - Diritto (p. 332).
Storia dell'esplorazione. - Del territorio corrispondente all'attuale Russia europea gli antichi conobbero solo la parte sud-occidentale prossima all'Eusino, lungo il quale fin dalla metà del sec. VII a. C. si stabilirono colonie greche (Olbia, Panticapeo, Teodosia). Oltre il corso inferiore dei maggiori fiumi che all'Eusino confluiscono, le loro cognizioni erano monche e incerte, non solo per ciò che riguarda i caratteri fisici delle regioni settentrionali, dove era di regola collocata una grande catena di monti (Rhipei o Rhiphaei), che avrebbero dato origne a quei fiumi, ma anche per le popolazioni che vi abitavano (Sciti o Sarmati), intorno alle quali le notizie erano contradditorie e mescolate di favole. Neppure coi Romani si ebbe in questo campo un vero progresso, perché i rapporti commerciali con l'Oriente, pur non mancando, giovarono poco a una reciproca conoscenza, mantenuti com'erano in sostanza per mezzo di intermediarî. Più diretto flusso di scambî si ebbe fra Russia e Bisanzio, con l'espansione del cristianesimo, ma per oltre due secoli (XIII-XV) la conquista mongola rese sempre più difficili le relazioni fra Oriente e occidente europeo. Le missioni cristiane, prima fra tutte quella di Giovanni da Pian del Carpine (1245-47), segnano un momento capitale nello sviluppo delle conoscenze sul territorio russo, non foss'altro perché richiamano su questo l'attenzione dei popoli europei. Tuttavia solo dopo la costituzione di un forte stato unitario (principato di Mosca), la sua definitiva emancipazione dal giogo tataro (1480) e l'inizio di scambî regolari con le nazioni dell'Europa centrale, si ebbero nozioni un po' precise sul territorio russo e le sue genti, anche se limitatamente, sempre, a una parte piuttosto ristretta dell'attuale Russia europea. Le prime descrizioni geografiche di questa, dovute a Paolo Giovio (1525) e al tedesco Sigismondo di Herberstein (1549), e le prime carte geografiche a stampa (quella di Antonio Wied di Danzica è del 1542) oltrepassano di poco la Russia centrale (Moscovia) e meridionale. Per le altre regioni, e soprattutto per quelle dell'estremo settentrione, si ebbero a lungo solo notizie piuttosto vaghe e frammentarie, sì che a una conoscenza in certo modo paragonabile a quella che gli stati europei possedevano del proprio territorio già verso la metà del sec. XVII, si giunse in Russia solo un secolo dopo. Tuttavia la partecipazione di studiosi locali all'opera di ricognizione intensiva del territorio russo si è andata facendo, dopo l'Ottocento, sempre più larga e non ha nulla da invidiare, ormai, per metodo e sviluppo, al movimento scientifico dell'Occidente europeo.
Superficie e confini. - I dati di superficie riguardanti i territorî russi variano sensibilmente secondo le diverse fonti, e anche quelli ufficiali non sempre concordano fra di loro. L' U. R. S. S. si estende tra i seguenti punti estremi: 77°37′ (Capo Čéljuskin −35°38′ N. (frontiera con l'Afghanistān) e 169° 40′ O. (C. Dežnev sullo Stretto di Bering) −26°9′ E. (frontiera ucraino-polacca ad O. di Žitomir); quindi per 42° in latitudine e 164° in longitudine. L'asse O-E. (8000 km. circa) è doppio di quello N-S. Secondo dati ufficiali recenti, l'U. R. S. S. misura 21.176.187 kmq.; è perciò al primo posto fra gli stati della Terra per ampiezza di territorio continuo (la Cina con 8,5 e gli Stati Uniti con 8 milioni di kmq., rispettivamente, seguono a notevole distanza); al secondo, se si considera il complesso dei possessi, anche distaccati (l'impero britannico misura 39,8; quello francese 11,5 milioni di kmq.). Il dominio russo dilata per oltre 4/5 in Asia, e per poco meno di 1/5 in Europa, occupando di questa il 43%, di quella il 37% e rappresentando così il 4,2% della superficie terrestre e il 14,30% delle terre emerse (circa 68 volte la supeificie del regna d'Italia). La popolazione totale ammontava il 1° gennaio 1933 a 166;3 milioni di ab., ciò che assegna all'U. R. S. S. imerso posto nel mondo (dopo l'impero britannico e la Cina): popolazione della quale poco meno di 3/4 (125 milioni) appartengono alla Russia europea. In tal modo l'U. R. S. S., mentre raccoglie appena l'8% degli abitanti della Terra, assorbe da sola poco meno del 1/4 di quelli del continente europeo, superando in questo qualunque altro stato (circa il doppio della popolazione della Germania, oltre tre volte quella dell'Italia).
Il territorio dell'U.R. S. S. è delimitato per gran parte da mari: il Mare Glaciale Artico a N., il Mare Baltico a NO., il Mare di Bering, il Mar d'Ochotsk e il Mare del Giappone a E., il Mar Caspio e il Mar Nero a S., ma tutti chiusi o poco adatti alla navigazione, salvo il lembo più occidentale (costa di Murmansk) del primo, verso il quale il nuovo stato tende a dirigere il più possibile i proprî traffici. Le frontiere terrestri interessano due settori distinti. L'occidentale, o europea, pone la Russia in contatto con 5 stati: Finlandia (1590 km.), Estonia (310 km.), Lettonia (259 km.), Polonia (1407 km.) e Romania (732 km.), coincidendo talora con laghi, paludi (Rokitno) o fiumi (Dnestr). La meridionale, o asiatica, non è continua. Un primo lembo, che corre nell'istmo caspico, divide l'U. R. S. S. dalla Turchia (480 km.) e dalla Persia nordoccidentale o Azerbaigian (600 km.); oltre il Caspio, la frontiera tocca successivamente ancora la Persia (940 km.), l'Afghānistan (1800 km.), il Sin-Kiang e il Chuguchak (1450 km.), la Mongolia, il Tannu-Tuwa, la Manciuria e il Giappone; un altro piccolo lembo staccato è quello che separa, lungo il 50° N., le due metà dell'isola Sachalin, delle quali la meridionale spetta al Giappone. In questo secondo settore la frontiera s'identifica con rilievi montuosi più o meno alti e impervî, salvo nel tratto a E. (all'ingrosso) del 117° E., dove è quasi per intero rappresentata da corsi d'acqua (Argun, Amur, Ussuri, L. Chanka).
Mentre così i confini politici pongono il vastissimo dominio in relazione diretta con forme quanto mai diverse di civiltà, l'U. R. S. S. è interessata, per la sua stessa posizione geografica, a molti dei massimi problemi della politica mondiale, anche al difuori dai suoi immediati contatti: a quelli della regione balcanica nel settore del Mar Nero, a quelli dell'Asia meridionale, oltre il corridoio afghāno (India), a quelli, infine, dell'America Settentrionale attraverso il Pacifico e i mari che lo chiudono a N., dove il possesso russo fronteggia le coste degli Stati Uniti (Alasca).
Dalla Russia europea - alla quale propriamente si riferiscono le notizie che seguono - verranno tenute di regola distinte l'Ucraina e la Russia Bianca (per le quali v. alle rispettive voci); va poi sempre ricordato che i limiti amministrativi non coincidono con i confini più comunemente adottati per la regione naturale. Questa s'intende qui circoscritta, per motivi pratici, da: la frontiera occidentale, il Caucaso, il fiume Ural e gli Urali, sì che ne risulta un territorio di circa 4620 mila kmq. (quindici volte quello del regno d'Italia). Ne restano escluse le regioni transuraliche, corrispondenti agli ex-governatorati di Sverdlovsk, Čeljabinsk e Tjumen′, mentre vi si comprende quella parte (172 mila kmq.) del Kazakistan che si estende a O. del fiume Ural.
Struttura morfologica. - Entro questi limiti, la Russia europea rappresenta una delle unità naturali relativamente meglio individuate: i suoi caratteri morfologici, climatici e antropici la distinguono infatti in modo evidente dal resto del vecchio mondo, ossia da quel complesso di regioni che, appunto in contrasto con questo settore orientale estremo, viene riunito sotto il nome di Europa occidentale. Il contrasto sta essenzialmente in ciò, che al minuto frazionamento di questo, si contrappone lì una massa continentale con limitatissimo sviluppo costiero, al che si aggiunge una spiccata uniformità di caratteri su larghe superficie. Dei mari che ne bagnano il perimetro, il tratto più lungo spetta al Mare Glaciale Artico, nel quale solo il segmento più occidentale (500 km. circa; costa murmanna) è accessibile in ogni stagione; per il resto, si tratta di coste più o meno lungamente bloccate dai ghiacci invernali, pertinenti a bacini del tutto chiusi (Mar Caspio), comandati da passaggi il cui possesso non è mai stato in mano dei Russi (Baltico, Mar Nero) e comunque tali, che la linea di spiaggia non penetra in alcun luogo profondamente entro terra. Per terra, invece, il transito verso le regioni finitime è agevole in ogni direzione, anche dove (M. Urali) il perimetro terrestre si aderge in qualche modo sopra il livello di regola basso, e perfino depresso (zona circumcaspica), del tronco continentale. Di fronte all'intensità e all'efficacia degl'influssi provenienti da E. e da S., sta la relativa labilità o superficialità di quelli attribuiti all'occidente europeo, anche se questi possono essere considerati determinanti per ciò che si riferisce all'aspetto esteriore, e vorremmo dire al contenuto meccanico della civiltà moderna. Alla massiccia compattezza del territorio corrisponde l'ampio sviluppo delle sue regioni naturali, i cui caratteri, per giunta, trapassano con gradazioni appena sensibili nelle regioni finitime, rivelandosi identici o analoghi per spazî senza confronto più estesi che non accada nel dominio dell'Europa occidentale.
Nell'insieme, anzi, si può dire che tutto il territorio compreso entro i limiti sopra accennati rappresenti una zona a sé stante, cui conferisce individualità il fatto ch'esso è costituito in sostanza da un altipiano di debole elevazione media (solo eccezionalmente superiore ai 300 m.), fiancheggiato a E. da una lunga schiera montuosa, e declinante con pendio appena sensibile nelle due direzioni di N. e di S. (più dolcemente verso il Mare Glaciale); solo mal definito, caso mai, sul suo limite occidentale, dove lo continua la zona pianeggiante dell'Europa centrale. L'individualità non è però meramente orografica, ma anche geologica, e più specialmente tettonica. Zone di piegamenti si hanno solo sui margini (Caucaso, Crimea, Urali, altipiano del Donec): nel resto si è in presenza di un ampio bacino di sedimentazione, poggiante su un basamento cristallino, colmatosi in epoca precretacica, e solo debolmente disturbato dai movimenti avvenuti sul suo perimetro. A nord-ovest (dalla Finlandia alla Dvina dell'ovest) predominano terreni del Paleozoico più antico (Silurico, Devonico e Permico), terreni del Permico a NE. (dalla Pečora a Ufa), del Carbonifero nel centro (alto Volga). Trias e Giura sono pure largamente rappresentati (dagli Uvalli al fiume Ural), ma più diffuse ancora, a S., le formazioni del Paleogene (fra medio Dnepr e basso Volga), e del Neogene (margine N. del Mar Nero), che stanno in rapporto con le trasgressioni marine cui è dovuta la persistenza dei due grandi specchi d'acqua separati dal blocco caucasico.
Alla relativa semplicità dello zoccolo penepianato su cui si deposero, fa riscontro la disposizione sostanzialmente tabulare di questi sedimenti e la loro conservazione indisturbata; sulle conseguenze che per la massa così formatasi ebbe l'erosione subaerea prevalse l'attività, in complesso più agguagliatrice e livellatrice che distruttiva, esercitata dalla grande glaciazione pleistocenica, estesasi alla maggior parte della regione. A questa attività è anzi dovuto, almeno nelle sue linee generali, l'aspetto del paesaggio, anche perché proprio con il più o meno potente e vario tegumento superficiale di terreni di trasporto (blocchi erratici, morene, argilla, löss) sono in rapporto e vegetazione spontanea, e colture, e forme d'insediamento.
L'uniformità morfologica che ne risulta non deve essere presa tuttavia alla lettera, anche prescindendo dalle zone che vanno tenute distinte, per la loro genesi e le loro vicende, dall'altipiano propriamente detto. Lo stesso cammino delle correnti glaciali e fluvioglaciali venne determinato, o almeno disturbato, da condizioni di rilievo che non potevano essere senz'altro cancellate. Accanto alle incisioni apertevi dalle gronde che lo emungono, e alle emergenze disegnatevi dagli archi morenici, l'altipiano rivela tutta una serie di sia pure deboli pieghe, le quali ne accidentano la superficie (anticlinale dei Valdai, di Kasimov, M. Ergeni; una di queste accompagna, a quel che pare, il medio corso del Volga), alternandosi con zone depresse che accentuano il significato orografico di quelle. Lembi tipicamente piatti si hanno solo in vicinanza agli spartiacque, dove pendenza e perciò forza erosiva delle correnti fluviali quasi si annullano, o dove queste hanno più largamente potuto distendere le proprie alluvioni, o in corrispondenza a piattaforme costiere. Frequente l'asimmetria delle valli, dove la sponda destra (occidentale) sovrasta talora con appicchi di un centinaio di metri e più la riva opposta o scende al fiume a terrazze, come avviene dei corsi d'acqua che volgono a S.; anche più frequenti i lunghi intagli (ovragi) che le acque di dilavamento aprono con tenace erosione regressiva nella nuda planizie delle steppe meridionali.
Il 60° N. può essere assunto, all'ingrosso, come limite dei due grandi dominî idrografici che si dividono il territorio russo. Il settore che si estende a settentrione di questo limite, e che scola al Mare Glaciale Artico, comprende le zone meno elevate dell'altipiano, perché inferiori in media ai 100 m. Una cimosa di terre anche più depresse lo frangia tra la foce del Mezen′ e gli Urali, divisa in due dall'emergenza dei M. Timan, che si estendono da SE. a NO. per oltre 900 km., con una larghezza di circa 80 km.: discontinui, però, e senza apparente saldatura con gli Urali, dei quali pure costituiscono una diramazione. Le assise cristallino-paleozoiche corrugate onde sono costituiti appaiono logore per la lunga, intensa erosione (anche glaciale), il paesaggio risulta da fughe di groppe boscose, che s'alzano di poco oltre i 300 m. al massimo (926 m. nel lembo meridionale): ma non per questo spiccano meno sulla piatta uniformità del piano su cui si adergono. In questo la regione a E. dei Timan (Tundra Bol′šezemel′skaja), è anche morfologicamente più varia, per la presenza di piccoli rilievi isolati e di più copiose tracce glaciali.
Geneticamente diverso il settore che rientra nei confini della Russia a O. del Mar Bianco: tanto la tozza penisola di Kola, quanto la Carelia, che ne è la prosecuzione meridionale (oltre la Baia di Kandalakša), costituiscono un lembo della regione fenno-scandica, di cui riproducono i caratteri. La vasta platea granitico-gneissicoscistosa si presenta, qui, come in Finlandia, levigata, sparsa di argini morenici e cribrata di cavità glaciali riempite di laghi (piccoli e medî bacini lacustri occupano 1/20 della superficie dell'intera penisola di Kola); di questi i maggiori (Lago Ladoga, Lago Onega) si hanno al contatto fra la regione stessa e il limite nord-occidentale del ripiano sarmatico. In genere il rilievo non è neppur qui molto accentuato; tuttavia nella penisola di Kola si toccano i 1240 m. e lo stesso rivestimento morenico assume varietà e movenze che non si ritrovano dall'altra parte del Mar Bianco.
La zona centrale della regione russa corrisponde in sostanza al dominio dell'alto e medio Volga, fra il ripiano dei Valdai e il rilievo uralico; ampio bacino dissimmetrico, inclinato in complesso verso E., e costituito in realtà da un alternarsi di strisce rilevate con più o meno ampî lembi depressi. Oltre che con gli accidenti tettonici cui s'è accennato, l'alternanza va posta in rapporto con le oscillazioni degli apparati glaciali quaternarî: dove questi, arretratisi, vennero accumulando i materiali trasportati, si formarono allineamenti di dossi morenici, oltre i quali le acque di pressione incisero i loro solchi e distesero depositi di sabbie. Il passaggio dall'uno all'altro dei bacini fluviali che frazionano la regione è tuttavia spesso appena avvertibile: negli stessi Valdai che pur fungono da spartiacque fra tre mari (Mare Glaciale Artico, Baltico, Caspio), il paesaggio mantiene le linee molli e indecise proprie dell'altipiano: le massime altezze, che toccano 322 m. nel Kamestik, sovrastano di poco l'umile distesa di torbiere, di acquitrini e di laghi che trovan posto fra gli archi disegnati dalle morene.
Per modesta che ne sia l'altezza assoluta, questa massa rilevata si continua comunque abbastanza compatta verso S., separando il bacino dell'Oka, affluente del Volga, da quello del Dnepr, non tocca, oltre il 55° N., dai ghiacciai pleistocenici, che riuscì ad arrestare. La fronte assunta da questi nella loro massima espansione verso S. oltrepassava tuttavia il 50° in corrispondenza ai bassi corsi del Dnepr e del Don, per retrocedere press'a poco parallelamente al medio Volga e alla Kama. Funzione analoga a quella del ripiano centrale ebbero, di fronte all'estendersi del grande ghiacciaio quaternario, le due masse rilevate che lo fiancheggiano a O. (rialto podolico) e a E. (alture del Volga), delle quali la prima, incisa dai corsi del Dnestr, del Bug e del Dnepr, appartiene al blocco cristallino-granitico dell'Ucraina (l'imbasamento granitico-gneissico, corrugato e disturbato in epoca precambrica sopporta pile orizzontali e suborizzontali di scisti e calcari silurico-devonici e depositi anche più potenti di marne cretaciche e terziarie, ricoperte a loro volta dal löss); la seconda, molto più varia nella sua costituzione geologica (dai bibuli gessi permici si passa, attraverso le sabbie e le marne giurassiche, alle arenarie paleozoiche, sormontate da più o meno spessi strati di terra nera), si presenta assai meno compatta e continua, smembrata com'è dal fitto reticolo degli afluenti del Volga (specialmente nel settore compreso tra questo e il suo affluente Sura). Le massime altezze, ad ogni modo, non differiscono gran che nei due rialti: 373 m. in Podolia, 396 m. non lungi da Saratov, sul medio Volga. Il rialto centrale resta sensibilmente al di sotto di questa cifra (296 m. a E. di Kursk), ma la sua altezza media è maggiore, ciò che non manca d'influire sulle comunicazioni fra le valli del Dnepr e quelle dell'Oka e dell'alto Don. Analogamente al Volga, che corre lungo il margine orientale delle alture omonime, il corso del Dnepr lambisce sullo stesso lato il blocco podolico e quelli del Don e dell'Oka il ripiano centrale. La simmetria è tanto più perfetta, in quanto le zone a monte delle tre depressioni ne rappresentano anche le aree più svasate e più piatte: Polesia, bacini di Mosca, di Rjazan′, di Tambov e regione del Volga da Jaroslavl′ a Kazan′, procedendo da O. verso E. Il corso del Donec segna a S. il limite del blocco centrale; fra il Donec e il Mar Nero, pur continuandosi questo orograficamente (le colline che ne emergono culminano a 369 m.), si è in presenza di masse permo-carbonifere che appaiono più o meno intensamente corrugate e dislocate (il così detto altipiano del Donec; si estende da O. a E. per 300 km. su 150 di larghezza).
Corrugata e dislocata è del pari l'esile (all'incirca 50 km. di larghezza su meno di 200 di lunghezza, da Sebastopoli a Caffa) frangia montuosa che s'innalza sul lato sud-orientale della Crimea: anticlinale asimmetrico, in prevalenza calcareo (costituito da assise cenomesozoiche che vanno dal Miocene al Giurassico), sul cui fianco più ripido, volto al mare, le linee di frattura sono messe in evidenza dall'emergere di piloni vulcanici (nel tratto fra Balaklava e Alušta). Massa, questa, isolata a mo' di pilone fra Caucaso e Balcani e perciò compresa nella grande area mediterranea di recente piegamento, sebbene in rapporto con una compressione anteriore a quella che determinò l'emergere dei due primi sistemi: la continuazione occidentale va ricercata nello sprone rilevato della Dobrugia. Le massime altezze si spingono in più casi oltre i 1500 m. (Roman-Koš 1544, Demir-Kapu 1541, Zeitun-Koš 1538, Čatyr Dag 1528 m.); tuttavia la montagna è ben lontana dal presentare un aspetto aspro e deciso, salvo che in corrispondenza al lato di SE., dove sprofondamenti e rigetti accidentano capricciosamente il contorno costiero. Lo stesso nome locale (Jajla), sotto il quale il sistema è conosciuto, serve a indicare i magri pascoli estivi che si distendono sugli acclivi pendii calcarei della zona di culminazione. La penisola, ampia quanto la Sicilia (25.727 kmq.), rimane però per 3/4 nel dominio della steppa circumpontica: la transizione tra questa e la massa montuosa è segnata da un triplice piano inclinato, corrispondente alla successione di tre livelli (titonico, cretacico, pontico) divisi da cuestas più o meno nettamente intagliate.
Tutta la larga cimosa di basse terre che orla da N. l'Eusino e dilata fra questo e il Caspio, per assumere la massima ampiezza fra il basso Volga e le ultime pendici degli Urali, corrisponde all'accumulo dei depositi neogenici (litoranei o lacustri) e recenti (alluvionali), che son venuti via via riducendo il dominio delle trasgressioni cenozoiche in questo depresso settore eurasiatico. La regione va degradando in complesso verso E. fino a toccare, intorno al Caspio, valori negativi (il livello di questo è a −26 sotto il comune marino); nello stesso senso si passa a poco a poco dalla steppa al deserto, e al deserto salato, che diviene la regola sulla destra del basso Volga. Unica emergenza, in questa planizie, il modesto allineamento collinare degli Ergeni, che prosegue quello delle alture del Volga: il fiume stesso ne lambiva un tempo il più ripido fianco orientale. Gli Ergeni finiscono precipiti sulla depressione dei due Manyč, attraverso la quale il Caspio comunicava con l'Eusino; depressione in parte occupata da piccoli laghi salati (il′men′) e attiva solo nella sua estremità occidentale, che finisce al Don presso Rostov.
La linea dei due Manyč è assunta di regola come limite naturale fra Europa ed Asia in questo settore: limite non meno convenzionale è quello rappresentato dal corso dell'Ural; è vero peraltro che la stessa continuazione orografica degli Urali, i M. Mugodžar (serie discontinua di groppe granitico-scistose, con intrusioni vulcaniche, che si alzano di poco oltre i 650 m. al massimo), si confonde a S. nell'ondulazione appena percettibile della steppa kirghisa.
Più evidente, in ogni tempo, il limite segnato dagli Urali, che si stendono senza interruzione dal 48° al 70° N. (dunque all'incirca per 2500 km., e anche più se si tiene conto delle propaggini che essi spingono nelle isole Vajgač e Novaja Zemlja), e rappresentano come tali la più lunga barriera montuosa di tutta l'Europa. Barriera, però, la cui efficacia è ridotta di molto dalla sua direzione quasi meridiana, dalla sua modesta larghezza (la massima si aggira intorno ai 180 km.), e soprattutto dalla debole intensità del rilievo e dalla sua morfologia. Il sistema risulta da un plesso assai vario di rocce archeozoiche e paleozoiche (scisti cristallini, calcari, rocce eruttive), corrugato innanzi la fine del Carbonifero, eroso fino a tarda maturità e sollevato in epoca geologica recente, in modo da presentare il fianco più ripido verso la piana siberiana (verso la Russia europea si scende quasi insensibilmente). La spinta orogenica, proveniente da E., venne ad urtare contro la resistenza del cosiddetto blocco di Ufa (Permico), alla quale è dovuta la caratteristica flessione che l'asse montuoso disegna intorno al 55° N. Le massime elevazioni si localizzano nella sezione settentrionale dove la Narodnaja Gora tocca i 1885 m. (di poco inferiore è lo Jaman-Tau, nella sezione meridionale), ma in genere la linea di culminazione non è segnata da creste, sibbene da dossi tondeggianti. appena ondulati, salvo in corrispondenza ai più resistenti filoni di quarzite. L'altezza resta in media sensibilmente al di sotto dei 1000 m., e anche per questo il sistema non ha mai esercitato una vera e propria funzione isolatrice né climatica né, a maggior ragione, biogeografica.
Gli Urali si distinguono di solito in tre lembi, nei quali la lunghezza viene decrescendo, e aumentando per contro la larghezza, da N. a S. Deserti sono detti gli Urali settentrionali per il carattere di nuda roccia che presentano le loro sommità: è questa la zona più impervia e compatta del sistema, e quella dove l'erosione glaciale appare essere stata più intensa, ma è anche la meno nota (è accertata l'csistenza di un ghiacciaio nel gruppo dei M. Sablja, sul 64° N. all'incirca). La si fa terminare intorno al 62° N. Gli Urali mediani, o metalliferi, che si spingono a un dipresso fino al 55° N., corrispondono alla sezione più depressa (inferiore in media ai 600 m.) e a quella dove insediamento e transito sono stati più facili: il primo per la varietà e l'abbondanza delle ricchezze minerarie, il secondo per la frequenza dei passi che interrompono la continuità della massa, e per le forme esternamente addolcite di questa, che permettono lo sviluppo delle rotabili fin nelle zone più elevate. Nella sezione meridionale (Urali selvosi) le digitazioni del sistema si fanno più numerose, separate come sono da numerose valli longitudinali, mentre le altezze tornano notevoli: e questo, meglio che l'ancora ben camuffato manto forestale, spiega perché una sola strada (seguita da una ferrovia) riesca ad attraversarla.
Il limite raggiunto dalla copertura glaciale nella sua massima espansione verso S. è segnato all'ingrosso dalla trasversale Kiev-Rjazan′-Nižnij Novgorod (Gor′kij)-Perm′, oltre la quale s'incurvano due lembi più avanzati, spingentisi lungo il corso del Dnepr sino al gomito di Dnepropetrovsk e lungo quello del Don sino alla confluenza col Choper. Le tracce che ne rimasero differiscono però dal N. al S.: con la più varia topografia morenico-lacustre della regione dei grandi laghi e della Russia settentrionale, contrasta quella, più uniforme e povera, delle zone mediane, alle quali si estesero, d'altronde, solo gli apparati della penultima più ampia espansione glaciale. In seguito la maggior parte della estrema Russia settentrionale venne ricoperta da depositi di una trasgressione marina che dall'Oceano libero giunse fino al Baltico; fase cui corrisponde, nella zona circumcaspica, la sommersione del bacino del basso Volga, sul quale dilatavano, a S. del 55°, una serie di ampî specchi lacustri.
Essenzialmente con queste vicende glaciali e postglaciali stanno in rapporto le diversità dei suoli superficiali, la cui distribuzione influenza così nettamente e profondamente i fatti d'ordine geografico. Alla tundra artica, che si estende all'ingrosso fino al circolo polare, ed è caratterizzata, come è noto, da un sottosuolo continuamente gelato a debole profondità, segue a S. la larga fascia dei terreni a podzol, col qual nome s' indica un suolo pulverulento, in prevalenza silicico, poverissimo di elementi minerali, poggiante su banchi impermeabili e rivestito di un sottile strato di humus; terreni che ricoprono circa i 2/5 dell'intera Russia e corrispondono a lembi del tutto inadatti o poco adatti alle colture. Nelle zone più fiedde la foresta, che di regola li riveste, è sostituita da lande e torbiere; verso S., invece, crescendo via via l'umificazione, si passa ai suoli grigi propriamente detti, formanti una striscia abbastanza larga e continua che dall'Ucraina pel bacino di Mosca traversa diagonalmente la Russia centrale fino all'alto Volga e alla Kama.
Oltre la linea di massima espansione glaciale, l'imbasamento roccioso è sormontato da un mantello di löss, più recente delle deposizioni glaciali, che lo ricopre infatti in corrispondenza ai due lembi estremi di cui s'è detto. Il suolo assume qui la caratteristica colorazione bruna cui deve il suo nome (černozem, o terra nera), determinata dal lento decomporsi di una folta vegetazione di graminacee entro un sottosuolo formato da finissima arena argillosa o marnosa. Questi terreni abbracciano quasi tutta la Russia meridionale e orientale, dal Mar Nero al medio Volga fino a Saratov e agli Urali centrali, oltre il qual limite trapassano nei suoli propriamente stepposi e di qui a quelli più o meno salini del deserto Circumcaspico.
Clima. - I caratteri essenziali del clima russo sono la continentalità e la relativa uniformità su vaste superficie; ambedue in evidente rapporto con quanto s'è accennato intorno alla morfologia e soprattutto al contorno costiero dell'Europa orientale. I mari che interessano la regione sarmatica, a parte il fatto che risultano di bacini più o meno chiusi, sono o troppo lontani, o d'estensione troppo limitata, per esercitare un'influenza decisiva sulla larga massa continentale, mentre la mancanza in questa di ben accentuati rilievi esclude o grandemente limita la possibilità di contrasti notevoli entro spazî ristretti, come avviene invece di regola nelle zone dell'Europa centrale. L'unica eccezione riguarda l'estremo settore meridionale della Crimea, dove la sbarra montana dello Jajla determina, sul fianco volto al Mar Nero, la comparsa di un lembo di clima mediterraneo, se pure attenuato. Gli stessi Urali, come s'è detto, data anche la loro disposizione longitudinale, restano senza efficacia sul comportamento delle zone che li fiancheggiano. L'uniformità del clima è poi favorita dall'effetto uguagliatore delle correnti aeree nelle stagioni estreme: d'inverno, perché ai miti venti oceanici (procedenti da O.), che temperano a N. gli eccessivi rigori, si contrappone a S. il freddo alito di quelli che strisciano sulle steppe circumcaspiche, provenendo dall'interno dell'Asia; d'estate, in quanto il più lungo periodo d'insolazione ha nelle regioni settentrionali un effetto analogo, perché ugualmente compensatore, a quello delle correnti oceaniche (sempre originatesi a O.) sull'opposto lato del continente.
Appunto per questo in Russia i contrasti maggiori non consistono tanto nel comportamento delle temperature, quanto nella durata delle stagioni estreme. Kola, Mosca e Astrachan, che distano reciprocamente oltre 13° e 22° in latitudine, hanno una temperatura media non molto diversa nel gennaio (−11°,2 contro −10,8 e −7°,2), ma mentre nella prima località il termometro rimane al di sotto di 0° per oltre 6 mesi, nella seconda questo periodo si riduce a 5 mesi e nell'ultima a poco più di 3. La Russia meridionale gode di un'estate più precoce e più lunga, ma d'inverno tutta la piatta cimosa che orla da N. il Mar Nero segna minimi almeno altrettanto bassi (−40°,8 a Lugansk, −31,4 a Poltava) che la tundra polare, dove, d'altro canto, non di rado si superano i 30° all'ombra, d'estate.
L'inverno è quasi dovunque più rigido che nelle altre zone d'Europa a pari latitudine; le temperature medie di gennaio sono tutte inferiori a 0°, salvo in corrispondenza al piccolo lembo mediterraneo della Crimea, dove si toccano i 3°,7 (Jalta); gli estremi opposti scendono al disotto di −24° lungo le ultime pendici settentrionali degli Urali e nel basso bacino del Pečora. L'influenza decisiva esercitata dalle correnti fredde che conseguono al persistere di aree d'alta pressione nell'interno dell'Asia è chiaramente dimostrata dall'andamento di regola longitudinale delle isochimene; le temperature tendono a decrescere più da O. a E. che da S. a N., eccetto che nell'estremo angolo di NE., dove, annullata o quasi l'efficacia mitigatrice dei venti occidentali, torna a farsi sentire quella della latitudine. Ne consegue che Kiev ha una temperatura media di gennaio inferiore a quella di Hammerfest, che è 20° più a N.; Astrachan uguaglia nello stesso mese il Capo Nord, il punto più settentrionale d'Europa; Taganrog sul Mar Nero e Kola sulla costa murmanna hanno le stesse medie invernali, mentre nel settore nord-orientale si accusano differenze di 6° a 8° entro distanze di circa 10° di latitudine. L'inverno è generalmente precoce - nella maggior parte del paese si annuncia già sul finire di settembre -, ma relativamente asciutto; oltre che alle precipitazioni nevose e ai lunghi geli, la sua triste fama è dovuta alla violenza e alla frequenza dei venti e ai bruschi sbalzi di temperatura che lo caratterizzano. Sebbene corrisponda a un periodo di forzata stasi nei lavori agricoli, questa stagione è di capitale importanza nell'economia russa, perché la più favorevole alle comunicazioni, che lo spesso manto nevoso ond'è protetto il terreno (da 20 giorni all'anno in Crimea a oltre 200 nella tundra artica) e il gelo dei fiumi (da 21/2 mesi all'anno nella zona del Mar Nero ad oltre 7 lungo l'Oceano settentrionale) rendono agevoli in ogni senso. Per contro, con lo sciogliersi delle nevi, la maggior parte delle vie di comunicazione, ridotte a pantani melmosi o del tutto cancellate dalle acque, diventano inservibili (il periodo della cosiddetta rasputica), mentre il disgelo dei fiumi si determina talora così improvvisamente, da costituire un pericolo per la navigazione, quando pure non si converta in piene rovinose.
Fortunatamente, il breve intermezzo primaverile corrisponde di solito al periodo più asciutto dell'anno (l'aprile); per contro, l'estate, che è il piû umido, coincide con valori così elevati, da attivare dovunque una fortissima evaporazione; perciò il livello dei fiumi tende a decrescere, nonostante le piogge. Di più queste ultime cadono spesso, almeno in tutta la Russia meridionale e in gran parte di quella centrale, in forma di violenti, ma brevi rovesci (fino a 60 mm. in 10 minuti), al che si aggiungono, con uguale frequenza, i danni prodotti nelle stesse regioni dal trasporto delle polveri, convogliate dalle correnti aeree che hanno origine dal solito squilibrio fra le depressioni circumpontiche e le alte pressioni del centro dell'Asia. L'influenza degli umidi venti oceanici (di NO.) è palese nel decorso delle isotere: a parità di latitudine, le temperature crescono man mano che si procede verso S. e soprattutto verso SE., dove (lembo occidentale circumcaspico) si raggiungono i valori medî più alti del luglio, che è dovunque il mese più caldo (25°,3 alla foce dell'Ural; 25°,2 ad Astrachan). I valori più bassi spettano anche in questo caso alla cimosa della tundra artica (8° alla foce del Pečora, 6°,5 nella Novaja Zemlja); quanto ai massimi assoluti invece, la differenza non è molto sensibile fra sud e centro (43°,1 ad Astrachan, 41° a Orenburg, 39°,2 a Tambov, 37°,5 a Mosca). Le località interne della Russia sono, d'estate, più calde di quelle dell'Europa centrale ed occidentale a pari latitudine (25°,2 ad Astrachan contro 21°,2 a Lione); perciò le escursioni medie annue vi attingono valori che dai 20°-21° della Crimea meridionale salgono ai 35°-40° (e anche più) del bacino medio e inferiore del Volga.
Le precipitazioni atmosferiche sono di regola poco copiose; i 4/5 del paese ricevono un quantitativo d'acqua inferiore ai 500 mm., e per larghi settori anche ai 400. I massimi si riferiscono alla regione dei medî Urali, dove si toccano e si oltrepassano i 700 mm. in media all'anno (Ufa: 726 mm.); relativamente ben irrorate risultano la regione dell'alto Dnepr (Smolensk: 650 mm.) e quella dei grandi laghi (Kalininsk: 579 mm.). L'alto Volga e il bacino dell'Oka segnano anch'essi quasi dovunque valori più alti del mezzo metro (Mosca: 533 mm.). Per contro, tutto il settore pianeggiante prossimo al Caspio accusa quantitativi bassi (Astrachan: 162). In genere la piovosità va diminuendo da O. verso E. e soprattutto verso SE., nonché dal mare verso l'interno e soprattutto verso le regioni steppose. Il numero dei giorni piovosi non decresce invece nello stesso senso, perché a S. le precipitazioni sono meno regolarmente distribuite e assumono spesso, come s'è detto, carattere temporalesco; dai 178 giorni con pioggia di Novgorod si passa ai 74 di Jalta (il minimo), attraverso oscillazioni sensibili e capricciose. Più normale è il ritmo delle piogge secondo le stagioni: da 2/5 a 1/3 del quantitativo medio annuo precipita d'estate, là dove d'inverno si ha di regola sempre meno di 1/5 e talora appena 1/7 o 1/8 del totale. Le proporzioni tendono a mutare da N. a S., in armonia col graduale passaggio dal regime centro-europeo a quello mediterraneo attenuato, che si realizza lungo l'orlo montuoso della Tauride: qui oltre 1/3 delle precipitazioni cade difatti in autunno, mentre già ad Odessa la percentuale estiva si riduce al 29%. Alla minore quantità di pioggia che interessa i settori di S. e soprattutto di SE. si aggiunge una maggiore variabilità da anno ad anno, elemento questo di grande importanza per l'agricoltura, le cui condizioni, in quei settori, non possono non apparire per ciò stesso estremamente precarie.
Una linea tortuosa che dall'imbocco del Golfo di Finlandia attraverso la media Daugava (Dvina dell'O.), l'alto Dnepr (Mogilev), l'alto Don (Voronez) e il medio Volga (Kamyšin) tagli il corso dell'Ural intorno al 50° N. segna all'ingrosso il limite meridionale della zona in cui la neve si mantiene sul suolo oltre 4 mesi. A N. di questa linea dominano climi freddi di tipo siberiano, o polare (quest'ultimo in una larga fascia intorno all'Oceano Artico e sugli Urali); a S. climi continentali più o meno decisi, che nelle regioni attorno all'Eusino e al Caspio trapassano a poco a poco in quelli stepposi, il cui carattere distintivo è dato da un'aridità via via crescente verso SE. La costa meridionale della Crimea, sul rovescio dello Jajla, rappresenta, come s'è detto, un'esile oasi mediterranea, anche pel maggior rilievo che vi assume l'autunno, e giustifica la fama di cui ha sempre goduto, in un paese che per la sua fisionomia climatica ne appare tanto diverso.
Idrografia. - Rilievo e clima spiegano perché il reticolo fluviale russo assuma una sì spiccata individualità, da non aver riscontro si può dire in nessuna altra parte della Terra, quando se ne eccettui, e solo fino a un certo segno, la fascia boreale dell'America Settentrionale.
Caratteri essenziali di quel reticolo sono: la disposizione radiale dei corsi d'acqua maggiori, che sono in pari tempo i maggiori o fra i maggiori dell'Europa; la facilità con cui si può passare dal bacino dell'uno a quello dell'altro, anche al difuori dalla zona centrale delle scaturigini - localizzata proprio nel cuore del paese - date le condizioni morfologiche di questo; il comportamento idrologico di tali corsi d'acqua, tutti tipici fiumi di pianura a debole pendenza, a regime nivale, con brevi piene primaverili e più o meno lunghi periodi di gelo; e lo sviluppo singolare dei fondi valle che riunisce talora tronchi geneticamente diversi, con direzioni in apparenza capricciose e in fasi di sviluppo contrastanti e che in definitiva favorisce il congiungimento di regioni diverse e lontane. Volga, Daugava (Dvina del Sud od occidentale, Zapadnaja D.) e Dnepr si alimentano da una zona di modestissimo rilievo (i Valdai), entro un cerchio di appena un 50 km. di raggio; e analogo è il caso delle sorgenti della Kama, della Pečora e della Dvina del Nord, tra le quali mancano del pari limiti precisi. Le sorgenti del Dnepr sono a 253 m. sul livello marino, quelle del Volga a 210, ad appena 181 quelle del Don; e i tre fiumi debbono compiere prima di raggiungere la foce un percorso che è rispettivamente di 2138, 3357 e 1808 km. Poiché lo spartiacque fra i due opposti dominî idrografici coincide all'ingrosso, come s'è accennato, col 60° N., i fiumi che ne discendono verso S. sono i più lunghi (solo il Don, fra i maggiori, si origina fuori da quello, sul ripiano centrale); lunghezza accresciuta dal fatto che questi corsi d'acqua hanno dovuto cercar foce sempre più lontana via via che si andava riducendo la trasgressione marina interessante i bacini del Mar Nero e del Caspio innanzi il glaciale (così, ad es., tutto il tratto del Volga a valle di Nižnij Novgorod è posteriore alla fine di questa trasgressione). Lo stesso è avvenuto, ma in proporzioni minori, per le correnti che sfociano nell'Oceano Artico; per contro, alla maggiore influenza che la topografia postglaciale ha esercitato nel decorso e nel modellamento delle valli nella Russia centrale e settentrionale, si contrappone, nella Russia meridionale, una più diretta aderenza ai motivi tettonici che le hanno condizionate (si pensi alle analogie di direzione che si manifestano nelle valli inferiori del Dnepr e del Don). Ne è conseguito, quasi dovunque, l'alternarsi, in uno stesso profilo longitudinale, di sezioni in avanzato stadio di maturità con altre di evidente giovinezza, e non di rado in modo che queste corrispondono ai tratti terminali del fiume, com'è, per es., il caso del Dnestr, del Bug e del Dnepr, dove sono costretti ad attraversare i rilievi granitico-gneissici che delimitano a N. la steppa circumpontica (i cosiddetti porogi, o rapide, del Dnepr si seguono, da Dnepropetrovsk a Zaporož′k, per 75 km. di corso). Rapide e cascate interrompono di frequente i fondi valle incisi nella zona invasa dai ghiacciai quaternarî (così, ad es., negli stessi alti corsi del Dnepr - a monte di Orsa - e del Volga), ma senza compromettere in complesso l'utilizzazione di quest'ampia rete di vie acquee interne, la quale per lunghezza tiene il primato in Europa. Grazie a tale rete, il Caspio è direttamente congiunto con il Mare Artico e con il Mar Baltico, mentre da questo è facile passare al Mar Nero e dal Mar Nero ai fiumi polacchi. La congiunzione tra i varî bacini è oggi rappresentata da canali; in passato era rappresentata da portages alle cui estremità si svilupparono alcuni degl'insediamenti maggiori.
Le comunicazioni fluviali non cessano di avere importanza neppure durante il gelo invernale, che vi consente il traffico con le slitte. La navigazione è ostacolata però anche dal rapido disgelo delle nevi, che provoca piene talora disastrose e spesso imponenti. Il livello del Volga sale di oltre 10 m. a Nižnij-Novgorod (Gor′kij), di 9 a Stalingrad e ancora di quasi 4 ad Astrachan, mentre dove le acque non sono contenute da argini o terrazze si determinano allagamenti che isolano intere zone abitate durante più settimane. Fortunatamente la regolarità e la periodicità del fenomeno ne riducono assai le conseguenze, tanto più che gl'insediamenti han potuto giovarsi della dissimmetria del profilo vallivo - con la sponda sinistra bassa e la destra rilevata - caratteristica di quasi tutti i maggiori fiumi russi diretti nel senso dei meridiani. Qualche difficoltà la navigazione trova anche nelle magre della tarda estate, sensibili specialmente nei minori corsi d'acqua, ma di scarsa importanza in genere, in tutta la Russia centrale e settentrionale: le oscillazioni delle portate, infatti, non raggiungono mai valori paragonabili a quelli che si riscontrano nei nostri climi (nel caso del Volga, per esempio, i minimi stanno ai massimi come 1 a 20, mentre invece il rapporto è di 1 a 65 per il Po e addirittura di i a 90 per la Loira).
Comunque, dove queste oscillazioni si fanno maggiori, sono evidenti la deficienza e la mancanza delle riserve idriche rappresentate dai laghi e dalle paludi; e questo, più ancora che il minor peso esercitato dall'alimentazione nivale, serve a caratterizzare il comportamento dei corsi d'acqua della Russia meridionale, a reticolo più rado e a regime meno regolare che nel resto del paese. Il fatto è anch'esso in rapporto con la glaciazione pleistocenica; il limite raggiunto da questa segna difatti in pari tempo, almeno grosso modo, l'estremità sud della zona in cui compaiono laghi e paludi, se pure sempre meno numerosi e ampî via via che ci si allontana dalla regione circumbaltica. In questa trovano posto alcuni dei maggiori specchi d'acqua dolce del continente europeo: del Ladoga, tuttavia, che è il massimo (18.150 kmq., poco meno di 50 volte il Garda; altezza m. 5; profondità m. 250), appartiene all'U. R. S. S. solo la metà orientale, com'è del Pejpus (3583 kmq., altezza m. 30, profondità 17 m.), al confine estone. Di quelli chiusi in territorio russo il più vasto è l'Onega (9890 kmq., altezza m. 35, profondità m. 173); seguono il Segozero (1246 kmq., altezza m. 108, profondità 99 m.), il Vygozero (929 kmq.) e l'Il′men′, quest'ultimo tra i meno profondi (appena 4,5 m., in media) e d'ampiezza molto variabile da una stagione all'altra (770-2230 kmq.). La Carelia è ricchissima di laghi (tutti d'origine glaciale), al pari della Finlandia di cui rappresenta la continuazione naturale, ma anche più a S., nella Russia Bianca, si hanno distretti (Vitebsk) nei quali circa 1/4 della superficie totale è rappresentata da laghi. Per contro la Russia meridionale ne è del tutto priva, quando si prescinda dalle formazioni litoranee sul Mar Nero, i cosiddetti liman (o lagune salmastre dovute alla sommersione delle foci fluviali delle correnti che finiscono al Mar Nero, e talora del tutto separate dal mare) e dai laghi salati della steppa kirghisa, quali lo El′ton e il Baskunčak, il cui livello è più basso di quello del vicino Caspio. Per quanto soggetti a più o meno lunghi periodi di gelo (fino oltre 5 mesi sul L. Onega), i maggiori laghi russi hanno importanza per la navigazione, soprattutto il Ladoga cui confluiscono, oltre che quelle dell'Onega (attraverso lo Svir′), le acque del Lago Saimaa (Finlandia) e dell'Il′men′ (per mezzo del Volchov). Non sorprende perciò che l'emissario di questo ampio collettore, la Neva, sebbene breve di corso (65 km.), rappresenti, quanto a portata media (2950 mc. al sec.; superiore a quello del Reno), uno dei fiumi più importanti d'Europa. Come per il Volga, il valore antropogeografico della Neva è tuttavia assai diminuito dal fatto ch'essa mette foce in un mare chiuso; di più la sua navigabilità è ostacolata, oltre che da un lungo periodo di ghiacci (intorno a quattro mesi in media l'anno), dalle rapide che ne interrompono il corso e dai rigurgiti che vi determinano non di rado i forti venti occidentali.
Larghe estensioni sono occupate, nella Russia centrale e settentrionale, da paludi e torbiere, avanzi di apparati lacustri in via d'estinzione o già estinti, per lo sviluppo della vegetazione da cui furono invasi; la zona più ampia e continua è quella che corrisponde al bacino superiore del Dnepr, o per dir meglio, al lembo triangolare, chiuso fra Pripjat′ e Desna, che scola al gran fiume, la cosiddetta Polessia, tra Russia Bianca e Polonia. Oltre che per i loro riflessi antropogeografici, tali zone occupano un posto del tutto a sé come riserve idriche, al pari dei laghi, sebbene la progressiva riduzione che è stata operata dopo il 1873 vi abbia impiantato colture e foreste a spese delle superficie liquide.
Fiumi e laghi rappresentano in Russia un elemento ben più cospicuo, nel paesaggio naturale ed umano, che non avvenga nel mondo europeo occidentale. Oltre che decisiva per gl'insediamenti e le comunicazioni, quindi per lo sviluppo economico e politico dei diversi settori, la loro funzione appare notevole anche per le attività che essi permisero e continuano ad alimentare, e in primo luogo per la pesca, quasi dovunque copiosa e certo più ricca e remunerativa, in un paese come la Russia, della stessa pesca marittima. Così si spiega la larga parte che alle acque interne è fatta nella poesia, nell'arte, nel folklore, e persino nella religione del popolo russo.
Di contro, non può sorprendere la scarsa importanza esercitata dalle attività connesse col mare (prescindendo, s'intende, dal Caspio, in realtà più lago che mare). Sebbene la tendenza all'Oceano libero abbia rappresentato uno dei motivi fondamentali della politica russa, solo in epoca relativamente recente, e in sostanza al di là dei suoi confini europei, s'è iniziato pel paese il movimento che doveva portarlo ad evadere dalla sua lunga fase d'isolamento continentale. Gli stretti per i quali il Mar Nero comunica col Mediterraneo sono da lungo tempo in mano dei Turchi, e quanto al Baltico, anche prima che le conseguenze della guerra mondiale restringessero la porzione russa all'esile striscia che l'U. R. S. S. tiene in fondo al Golfo di Finlandia, l'attività marinara vi fu sempre monopolio di genti non russe.
Le coste dell'Oceano settentrionale, quando si prescinda dalla breve costa murmana, sono per troppo tempo serrate dai ghiacci, che bloccano durante lunghi mesi le foci dei grandi fiumi siberiani. E troppo lontane dal settore europeo, che è ancora il cuore della vita russa, sono le rive del Pacifico, mentre è riuscito vano lo sforzo tentato per raggiungere quelle del Golfo Persico. Caratteristiche, ben lo si vede, tutt'altro che favorevoli allo sviluppo di una rigogliosa vita marinara.
Flora e vegetazione. - La vastità del territorio russo, sia pur limitato alla sola parte europea (per la parte asiatica v. siberia), è tale che esso comprende le più diverse regioni botaniche e quindi la sua flora e la sua vegetazione assumono svariate fisionomie. Si possono distinguere nel dominio della flora russa tre zone o regioni principali: 1. regione polare artica o glaciale; 2. regione delle foreste; 3. regione delle steppe pontiche e del Caucaso.
La prima regione sfiora il settentrione della Russia e comprende territorî che restano coperti di nevi e di ghiacci per diversi mesi all'anno; questa regione può dirsi anche dei muschi e dei licheni per la grande abbondanza di queste piante che formano il principale rivestimento del terreno. Gli alberi sono rappresentati solo da betulle rachitiche e da salici striscianti che costituiscono cespugli non più alti di 1 metro, talvolta anzi pochi centimetri. Fra i licheni si trovano la Cladonia rangiferina (il musco delle renne) e alcune Cetraria. Le Fanerogame sono rappresentate dai generi: Salix (polaris, reticulata, arctica), Ranunculus, Draba, Alsine, Potentilla, Saxifraga, Pedicularis fra le Dicotiledoni; Carex, Juncus, Luzula, Eriophorum fra le Monocotiledoni. Si tratta generalmente di piante perenni: la Koenigia islandica è una delle rare piante annue di tale regione. Delle Graminacee quella che si spinge di più verso settentrione è la Phippsia algida. Nelle vallate bagnate da corsi d'aqua si trovano verdi praterie e frutici a frutti carnosi: Vacciniun uliginosum, V. vitis idaea, Empetrum nigrum, Rubus arcticus, R. chamaemorus, Oxycoccus palustris.
La regione delle foreste dell'Europa, che comprende tutta l'Europa settentrionale (eccettuata la regione glaciale) e gran parte dell'Europa centrale, è largamente rappresentata in Russia, della quale attraversa il territorio con una linea che va dal Prut a Kiev, Kursk e Kazan′. Dominano in tutta la regione Pinus silvestris, Sorbus aucuparia, Prunus padus, che si spingono attraverso la regione settentrionale asiatica delle foreste fino al bacino dell'Amur. Si possono però distinguere alcune speciali regioni e precisamente:
a) regione delle Conifere, caratterizzata dalla Picea excelsa e obovata, Abies pectinata e sibirica, Larix sibirica, alle quali si mescola Pinus cembra che è più diffuso nell'Europa centrale;
b) regione della Quercus pedunculata, che comprende tutta la Russia centrale ed è caratterizzata da: Alnus glutinosa, Betula alba, Ulmus campestris e montana, Acer pseudoplatanus, Tilia parvifolia, Prunus avium, Fraxinus excelsior, ecc., alberi che raggiungono, ma non oltrepassano la linea degli Urali;
c) regione del faggio; gli alberi che vivono in questa regione sono: Quercus sessiliflora, Carpinus betulus e orientalis, Pinus silvestris e laricio, Ulmus campestris e montana, Fagus orientalis, Tilia grandifolia e intermedia, Acer monspessulanum e Semenovii, Arbutus andrachne, Celtis australis, Vitex agnus-castus, Juglans regia, Fraxinus sogdiana e potamophila, Laurus nobilis, ecc.
La terza regione fa parte di quella che in fitogeografia è chiamata regione delle steppe pontiche e del Caucaso e include la Russia meridionale. È una regione a clima continentale con inverni freddissimi ed estati molto calde, per cui il periodo vegetativo è ridotto dal 15 aprile al 15 luglio circa. Quivi abbondano specie perenni con organi di riserva sotterranei (bulbi, tuberi, rizomi, ecc.) che permettono di utilizzare al massimo la brevità del periodo favorevole alla vegetazione. Questa regione è circondata nella sua parte settentrionale dal pino silvestre: si possono distinguere due zone. Una sabbiosa con alberi solo lungo i corsi d'acqua (ontani, salici e pioppi); la vegetazione erbacea consta specialmente di graminacee cespugliose come Stipa pennata, capitata, Lessingiana, Richteriana; Pollinia gryllus; Poa bulbosa; Festuca sulcata; Koeleria cristata, piante con foglie strettamente arrotolate, coriacee, spesso pungenti, che costituiscono un pessimo pascolo. Questo migliora quando alle precedenti si aggiungono: Festuca ovina e alcune Leguminose, Labiate e Composte. Però il terreno steppico non è coperto uniformemente da vegetazione, presenta intervalli considerevoli completamente nudi. La proporzione poi delle specie delle varie famiglie nella steppa è variabilissima: alcune indagini compiute in zone delle steppe russe hanno dato le seguenti cifre: Stipa capillata (1000); S. pennata (300); Triticum repens e Medicago falcata (140); Artemisia austriaca, Achillea millefolium e Gerberiana (120); Vicia cracca (80); Pyrethrum millefoliatum (20); Linosyris villosa, Inula germanica, Salvia pratensis, Salsola kali (10), da cui si vede l'enorme predominio delle Graminacee su tutte le altre piante della steppa.
L'altro settore della regione delle steppe si trova verso il Caspio, ove accanto a una fioritura primaverile di Tulipa e di altre Gigliacee e Iris vi sono vasti territorî a carattere palustre e salmastro con vegetazione predominantemente alofila: parecchie specie di Artemisia, Haloxylon ammodendron, Salsola kali e arbuscula, Calligonum, Nitraria, zygophyllum, alle quali si aggiungono cespugli di arbusti spinosi dei generi Astragalus, Oxytropis, Acantholimon, Acanthophyllum, ecc.
In alcune parti di queste steppe caspiche la salsedine del terreno è tale da non permettere lo sviluppo di alcuna vegetazione e il suolo è allora completamente denudato.
La vegetazione delle idrofite è perfettamente identica a quella dell'Europa centrale.
Le terre nere della Russia meridionale (Černozem) ricche di humus accumulato da secoli sono fertilissime, e qui si pratica l'agricoltura, specialmente la vasta coltivazione dei cereali. La loro vegetazione spontanea è particolarmente abbondante: Adonis vernalis, Linum flavum, Salvia verticillata, Phlomis tuberosa, Scabiosa ochroleuca, Potentilla alba, Dianthus capitatus, Scorzonera purpurea, Centaurea ruthenica, Astragalus austriacus, Iris furcata, ecc.
La Caragana frutescens si estende nella parte meridionale degli Urali fino al Prut a nord di Odessa e non supera questo limite: vive generalmente sulle alture associata ad altre piante cespugliose: Cytisus biflorus, Prunus chamaecerasus, Amygdalus nana, Spiraea crenata e hypericifolia. Sulle rive dei corsi d'acqua crescono betulle, alni e magri tigli e, nelle zone poco erbose, cresce qualche raro gruppo di Pinus silvestris.
Quanto al Caucaso, il versante settentrionale appartiene dal punto di vista fitogeografico alla steppa europea che si spinge fino alla zona delle foreste, mentre il versante meridionale presenta le caratteristiche della steppa armena.
Nelle foreste di latifoglie del Caucaso si trovano elementi della flora dell'Europa settentrionale, come Fagus, Carpinus, Quercus, Betula, Tilia, Ulmus, Fraxinus, Populus, Acer platanoides, e accanto a queste alcune resinose come Abies pectinata, Pinus silvestris, Taxus baccata, che sono del pari elementi caratteristici dell'Europa centrale e settentrionale; non mancano poi alcuni elementi mediterranei come Castanea sativa, Quercus pubescens, Acer Lobelii, Amus cordifolia. Inoltre la presenza di Rhododendron ponticum, caucasicum, flavum, mostra l'evidente derivazione dall'antica flora arctoterziaria del Mediterraneo orientale, che ancora oggi è rappresentata nei territorî che si estendono fra il Tibet e l'Altai. Le affinità con la flora orientale e con quella delle montagne dell'ovest dell'Asia sono dimostrate dalla presenza, sul versante meridionale del massiccio, dei Juniperus excelsa e F. foetidissima; salvo alcuni gruppi di Pinus silvestris e all'ovest la presenza di querce e di carpini, non vi sono alberi della regione forestale dell'Europa centrale.
Secondo A. Engler la flora della Russia appartiene al regno floristico boreale e precisamente ai distretti: artico, subartico o delle conifere e medioeuropeo. E quest'ultimo è ripartito nelle provincie: sarmatica, pontica e caucasica.
Fauna. - Nella fauna della Russia si comprendono elementi costituenti la fauna dell'Europa nord-orientale, quella siberiana e la caucasica. Tra i Mammiferi si nota una maggiore diffusione dei Chirotteri con molte specie di pipistrelli nottole, orecchioni. Tra gl'Insettivori vanno ricordati il riccio, varie specie di toporagni (crocidure, Sorex, Crossopus), la talpa europea. Tra i Carnivori citeremo delle forme proprie della Siberia e tra queste il cane alpino, lo zibellino, che è confinato nelle regioni orientali siberiane, la Lutreola siberiana; sono inoltre da notare altre forme appartenenti a faune più meridionali che si rinvengono in Siberia quali la tigre, il leopardo della neve e ancora altre specie comuni alla Russia propriamente detta, quali la lince, il gatto selvatico, la volpe, il lupo, l'orso bruno, molte martore, il ghittone. Nel lago Bajkal vive la foca siberiana.
Gli Ungulati sono rappresentati dalla caratteristica renna, della quale si distinguono molte varietà, dal capriolo, dall'alce, dal cervo dalla groppa gialla. Per i Rosicanti, rappresentati da numerose specie, citeremo la lepre, i lagomidi, lo spermofilo dalla lunga coda, il topo economo, che fa provvista nelle sue tane di radici commestibili, oltre a molte specie di scoiattoli, ghiri, arvicole e al criceto. Molti sono i rappresentanti della classe degli Uccelli e tra questi varie cincie, tordi, allodole, lo zigolo nivale e quello lappone, il crociere comune e quello fasciato, il cardinale, varie nocciolaie, ghiandaie, il corvo siberiano, il beccofrosone, l'upupa, varie civette, allocchi, l'aquila di mare, la starna, il gallo cedrone, il francolino, varie colombe, Palmipedi tra i quali il cigno comune, l'anitra falcata, il gabbiano, il gabbianello, lo svasso aurito. I Rettili non sono troppo riccamente rappresentati; tra questi citeremo la Lacerta vivipara, la vipera palustre, il tropidonoto. Gli Anfibî annoverano uno scarso numero di specie. Citeremo, la rana verde, quella temporaria, la raganella, varî rospi e tritoni.
I Pesci d'acqua dolce sono rappresentati da ricco numero di specie e tra queste il luccio, la carpa, il salmone, la trota, lo storione, la lampreda.
L'entomofauna comprende gruppi interessantissimi dal punto di vista zoogeografico. Citeremo, tra i Coleotteri, il gruppo dei Carabidi che può considerarsi, per il numero delle specie ivi rappresentate, come caratteristico dell'Eurasia. E per gli Ortotteri il gruppo dei piccoli Acridî delle steppe, largamente diffuso in Russia e in Siberia.
Tra i Molluschi terrestri noteremo gli Arionidi e moltissime specie del genere Helix.
Popolazione. - Il territorio della Russia rappresenta, al pari di quelli dell'Europa orientale in genere, una delle zone di popolamento più recente, nell'ambito del vecchio mondo. Al principio del secolo XIX è probabile non vi fossero ancora in complesso, 10 ab. per kmq., calcolandosi al massimo a 35 milioni gli abitanti insediatisi entro le attuali frontiere europee. Intorno al 1850 questa popolazione superava di poco i 57 milioni di anime; con l'abolizione della schiavitù della gleba (1861), si inizia uno sviluppo rapido e continuo. Da 63,7 milioni di ab. nel 1860, si passa infatti a circa 78 dieci anni dopo, a 89 nel 1880, a 95 nel 1890, a 103,5 al principio del sec. XX, ciò che rappresenta un aumento del 196% fra il 1800 e il 1900, ossia il valore più elevato che si registri fra gli stati europei. Nel ventennio anteriore alla guerra mondiale la popolazione accusa un'eccedenza media annua delle nascite sui decessi che tocca fino i 3 milioni di anime, ma i tragici avvenimenti che funestano il primo quarto del secolo riducono notevolmente il guadagno numerico reale: da 112 milioni di abitanti nel 1910 si scende infatti a 108 nel 1920, in piena crisi rivoluzionaria.
Con tutto ciò le densità attuali, sia dell'intera U. R. S. S. (7,8 ab. per kmq.), sia della sua porzione europea (27, valore cinque volte più piccolo di quello italiano, e in Italia riferibile solo alla provincia di Nuoro, la meno popolata di tutte), sono piuttosto basse; quest'ultima, fra le più basse del continente, quando si prescinda dal finitimo settore fennoscandico. Occorre tuttavia tener conto non solo dell'ampiezza delle superficie, cui quelle cifre ci riportano, ma anche del fatto che, pur senza uscire dalla Russia europea, si hanno larghi settori inabitabili, o abitabili soltanto da nomadi, e altri nei quali la colonizzazione è tuttora in atto. Perciò i valori medî risultano da estremi lontani. I più alti corrispondono alle zone in cui si ha antico o recente sviluppo di industrie. Cifre superiori a 100 ab. per kmq. sono eccezionali: li segnano il distretto attorno a Mosca, e quello che lungo il Donec fa centro a Charkov (prescindendo, s'intende, dalle due città). Valori tra 60 e 100 ab. per kmq. sono registrati in quasi tntta l'Ucraina (la cui densità era nel 1933, in complesso, di oltre 72 ab. per kmq.) e in una larga striscia della Russia centrale che lega l'Ucraina alla regione di Mosca (ex-governi di Kursk, Orel, Tula e Tambov). I territorî agricoli del centro dànno cifre oscillanti fra 40 e 60 (43 in complesso nella Russia Bianca); fra 25 e 40 le steppe ucraine, il settore di NO. e la zona compresa fra la bassa Kama, il Volga e gli Urali mediani. Verso E. e soprattutto verso N. invece i valori tendono a deprimersi rapidamente: l'intero territorio al di là del 60° N. ha indici inferiori a 1 ab. per kmq. (i nella penisola di Kola, 2 in Carelia), salvo nella cimosa baltica fra la Dvina e i grandi laghi, dove si oscilla fra 5 e 10 al massimo, cifre queste ultime che ritornano nella steppa kirghisa e aumentano di non molto lungo il basso Volga.
La gran massa della popolazione è rappresentata da sedentarî; tuttavia, anche prescindendo da veri e proprî nomadi, quali i Calmucchi, viventi fra gli Ergeni e il basso Volga (circa 300 mila), e i Kirghisi, che spingono i loro avamposti sulla depressione circumcaspica tra le foci dell'Ural e del Volga (forse circa 100 mila), è da ricordare che le migrazioni interne, fra i contadini russi, assumono ben diversa frequenza e importanza che non nelle regioni italiane, provocate come sono non solo dal noto fenomeno dell'urbanesimo, accentuatosi recentemente, ma anche dalla diversa distribuzione e concentrazione stagionale dei lavori agricoli. Di più, le frequenti carestie che affliggono le regioni meridionali (tristamente famosa, fra le recenti, quella del 1921, che procurò la morte di non meno di 7 milioni di individui) - determinano l'abbandono, temporaneo o definitivo, di territorî più o meno ampî, su cui forse verranno in seguito nuovi coloni.
Assai diverso che in Italia è inoltre il rapporto fra la popolazione rurale e quella urbana, e il significato antropogeografico di questa. Sino alla metà del secolo XIII, all'incirca, solo una piccola parte della Russia contava centri cittadini (le alte valli del Volga, della Daugava, del Don e del Dnepr e la zona centrale fra queste due ultime), e quasi esclusivamente lungo i fiumi, che rappresentavano le antiche vie di comunicazione. Antichi insediamenti (d'origine mediterranea) sopravvivevano e sopravvissero lungo la cimosa litoranea del Mar Nero, ma il loro carattere commerciale contrastava con quello essenzialmente militare imposto di necessità ai nuclei della colonizzazione russa. D'altronde lo sviluppo dell'industria procedette con tanta lentezza, che ancora alla metà del secolo XIX la popolazione vivente in centri di più che 5000 ab. formava, nella Russia europea, appena l'8% della totale, quota salita al 17% nel periodo che precede immediatamente la rivoluzione. Questa, più ancora che il turbine della guerra mondiale, ebbe come conseguenza un forte contrarsi della popolazione urbana (intorno al 40% fra il 1917 e il 1920 nell'ambito della R. S. F. S. R., e in altre zone ancor più), ma lo sviluppo ha ripreso rapidissimo, nell'ultimo decennio, in armonia con l'energico impulso dato dal governo sovietico alle industrie (piani quinquennali) e col crescente abbandono delle campagne, dove la popolazione rurale, anch'essa in aumento, non sa più come sopperire ai proprî bisogni. Mentre intorno al 1920 si contavano, in territorio europeo, appena una dozzina di città con popolazione superiore ai 100 mila ab., il numero di queste si raddoppiava nel 1926, per salire ad oltre una quarantina dopo il 1935. In tutto l'impero russo ve n'erano 14 allo scoppio-della guerra mondiale; nell'U. R. S. S. se ne contavano 33 nel 1926 e circa 60 nel 1935; entro le due ultime date il numero dei centri con più di 50 mila ab. passava da 90 a oltre 130. La maggior parte di tali centri corrisponde ad entità storiche e amministrative già affermatesi per varie ragioni nell'anteguerra, ma non pochi si sono così sviluppati da piccoli insediamenti (Prokopevsk, Gorlovka, Nižnij Tagil, ecc.), o sono addirittura sorti ex-nihilo, insieme con le industrie cui è legata la loro esistenza (Magnitogorsk). In complesso, la popolazione urbana è cresciuta nell'U. R. S. S. dal 17% nel 1917 al 17,9% nel 1926 e al 22,4% nel 1933 La percentuale più alta spetta alla Transcaucasia (24,1 nel 1926; 28,6% nel 1933), la più bassa al Tadžikistan (4,6 e 8,3% rispettivamente); quanto alla Russia europea, i valori massimi si riferiscono indubbiamente alla regione centrale (Mosca) e all'Ucraina, con cifre che non superano tuttavia la media generale (Ucraina: 18,5 nel 1926, 21,9% nel 1933), atteso il contemporaneo aumento della popolazione agricola in ambedue le zone più fitta che altrove.
Mosca è diventata il centro più popoloso dello stato, con oltre 31/2 milioni di ab. (3.572.000 ab. nel 1933); di circa tre milioni è anche Leningrado (2.839.000 ab.), discesa da 2.300.000 a poco più di 700.000 ab. nel 1920-21. Seguono tre città con oltre 500.000 ab. (Charkov, Kiev e Rostov), tre con più di 400.000 (odessa, Gor′kij [Nižnij Novgorod] e Stalingrad (Caricyn), due con più di 300.000 (Dnepropetrovsk e Saratov) e sei con più di 200.000 (Perm′, Kazan′, Samara, Stalin [Jusovka], Voronež e Astrachan). Tutti questi centri hanno superato la crisi che tenne dietro allo scoppio della rivoluzione, segnando anzi un aumento rapidissimo - paragonabile in certo senso a quello di alcune città americane - nell'ultimo decennio: così, per es., la popolazione di Perm′ e di Nižnij Tagil è più che triplicata nello stesso periodo, triplicata a Stalingrad, quasi triplicata a Gor′kij, più che raddoppiata ad Arcangelo e a Stalin, quasi raddoppiata a Taganrog, Ufa, Lugansk, Zaporož′e, ecc.
La diversa età e la diversa origine dei centri si riflettono naturalmente nei loro caratteri. I più antichi conservano ancora tracce del nucleo medievale intorno a cui si vennero formando (il Kremlino, fortezza insieme e santuario, disposto in luogo di solito eminente), non foss'altro nel reticolo delle vie concentriche che ne segnano il successivo ampliamento (Mosca, Tver′, Rjazan′, Novgorod, Tula, Kostroma). Questo tipo è la regola nella regione mediana della foresta, che corrisponde al nucleo vitale dello stato russo; perciò le città che lo rappresentano sono in pari tempo le più ricche di tradizioni e di monumenti d'interesse storico e artistico.
Più recenti, in genere, i centri della zona della steppa, dove la colonizzazione ha proceduto insieme con la conquista; il loro carattere militare, quando non è stato cancellato dal tempo o da un ulteriore sviluppo in altro senso (industria, commercio), è evidente dalla pianta regolare, con vie che si dipartono in più direzioni, nonché dalla toponomastica, che serba ricordo dell'esistenza di opere difensive, affidate spesso a colonie di soldati cui venivano riserbati quartieri speciali (Charkov, Kursk, ecc.). Regolare è anche la pianta dei centri tipicamente commerciali, coagulatisi intorno a un mercato o a un castello, come accade di trovarne specialmente nelle regioni di NO. (Smolensk, Vitebsk, Minsk, Mogilev); tutto l'opposto, nelle città nelle quali l'impronta orientale è rivelata dalla caratteristica suddivisione in quartieri, in ognuno dei quali è prevalente un tipo etnico, e dall'esagerata ampiezza dell'area urbana in cui alle piccole e talora sordide case d'abitazione si alternano ampî spazî scoperti e giardini (Kazan′, Ufa). Poco numerose, dovunque, le città d'aspetto occidentale, dove, come lungo il confine con la Polonia e gli stati baltici, furono più vive e continue le influenze della civiltà medioeuropea. A tale proposito va osservato che solo in un ristretto numero di centri urbani viabilità illuminazione stradale, estetica cittadina e soprattutto servizî pubblici e igienici (acque potabili e fognature) ricordano quanto è da noi tranquillamente sottinteso nel concetto di città. Man mano che ci si sposta verso oriente, anzi, queste vengono assumendo sempre più aspetto di villaggi, e dai villaggi spesso mal si distinguono, al difuori delle proporzioni cui le ha condotte un troppo rapido o disordinato sviluppo.
Molto minore è d'altronde la varietà dei tipi d'abitazione, in gran parte legati alla povertà di materiali solidi, cui fa riscontro, in complesso, l'abbondanza del legname, che i fiumi provvedono a diffondere anche nelle zone meridionali prive d'alberi. Dalla capanna rurale (la cosiddetta izba), - che è a due piani nel nord, a un solo piano nella Russia centrale, a tetto piatto nella regione delle steppe - si è sviluppata, con insignificanti trasformazioni, la casa cittadina, anch'essa in legno, non solo nei centri minori, cresciuti di regola per semplice giustapposizione di unità ad unità, ma anche nelle slobody, o quartieri eccentrici, delle metropoli. Anche più brusco che nelle città dell'Europa occidentale risulta quindi il contrasto che, con gli edifici tradizionali, sempre bassi e senza pretese architettoniche, fanno le costruzioni moderne a più piani, in cemento o in cotto, che caratterizzano il recente periodo di trasformazione industriale di molti fra i centri storici, divenuti in pari tempo centri operai.
Quando si prescinda da poche delle città maggiori, strade e piazze sono lasciate generalmente in abbandono, anche perché non destinate a compiere una funzione, per continuità e intensità di traffico, paragonabile con l'Occidente europeo. Per contro le strade rurali sono di regola dritte e assai larghe; molto spesso vi si sono sviluppati villaggi (enormemente allungati su di esse), che, mentre nella zona delle steppe si presentano in forma accentrata, si frazionano sempre più in nuclei isolati, man mano si procede verso N. e soprattutto verso NO., dove (confine con gli stati baltici e la Polonia settentrionale) è anche una vasta zona d'insediamento sparso.
Il movimento naturale della popolazione mette in evidenza soprattutto un'elevata natalità, più elevata, anzi, che in qualsiasi altro stato (almeno fra i maggiori): le medie pertinenti alle diverse regioni europee dell'U. R. S. S., pur oscillando dal 44% (all'incirca) della R. S. F. R. (che comprende anche territorî asiatici) al 30-35% dell'Ucraina, si mantengono sempre al disopra di quelle dei paesi dell'Europa occidentale. Più elevati che in questi sono anche gli indici di mortalità (dal 19-21‰ della R. S. F. S. R. al 4-16‰ della Russia Bianca), ma va notato che, mentre la contrazione delle nascite risulta nell'ultimo venticinquennio relativamente debole (l'indice per l'impero russo era del 48,6‰ nel 1901), quella verificatasi in pari tempo nei decessi appare molto più decisa (la mortalità toccava il 31,7% nel 1901). Ne consegue un'eccedenza attiva anche più cospicua che in passato (in media del 22‰ fra il 1926 e il 1930), sì che il guadagno annuo reale della popolazione dell'U. R. S. S. è tornato a superare, come nell'immediato anteguerra, i 3 milioni di ab. La diminuzione del tasso di mortalità è in gran parte dovuta alle migliori condizioni igieniche, che hanno posto argine a epidemie aventi quasi carattere di regolarità: così, per es., i decessi per tifo intestinale, che erano del 2,66‰ nel 1913, si sono ridotti appena al 0,88‰ nel 1926.
La pressione demografica ha trovato e trova solo in parte sbocco nell'emigrazione transoceanica (1,8 milioni di individui fra il 1890 e il 1914), scesa a cifre insignificanti nei nostri giorni (appena 1200 Russi si trasferirono nel 1931 nell'America Settentrionale), molto più intenso è il flusso delle migrazioni interne, comprendendovi anche quelle volte alla Siberia (dove nel secolo XIX emigrarono oltre 7 milioni di ab.) e all'Asia centrale.
La composizione etnica dell'U. R. S. S. riflette in sostanza le vicende attraverso le quali si è realizzata l'unità dell'impero, e la partecipazione che a quest'opera hanno preso i varî popoli che si trovarono a contrastare o a favorire la funzione storica assunta dai Russi. Popoli, le cui caratteristiche etniche e culturali tanto meglio poterono conservarsi, quanto più refrattarie o resistenti si dimostrarono al processo di assimilazione, ossia di russificazione, cui vennero sottoposte, fino a che, cambiate col regime bolscevico le basi dell'organizzazione statale, a individualità che andavano via via dissolvendosi in quel processo tornò ad essere restituita, o venne offerta, la possibilità di uno sviluppo in parte almeno spontaneo e autonomo.
Non è facile mettere ordine nell'incastro di popoli e di stirpi che appare sulla carta etnografica dell'U. R. S. S.; meno che mai secernere l'entità numerica dei singoli gruppi nell'ambito del territorio europeo, sia per le mescolanze che vi si produssero, sia per la mancanza di statistiche attendibili che a quel territorio si riferiscano. Comunque, l'assoluta prevalenza dell'elemento slavo, cui spetta oltre il 78% della popolazione dell'U. R. S. S., è anche più perentoria ad occidente degli Urali (Russia centrale e meridionale). Di questa massa il gruppo numericamente più cospicuo è quello dei Grandi Russi, che occupa in sostanza il bacino del Volga e la regione di NO. fin oltre il 60° N. e rappresenta da solo oltre 2/3 delle popolazioni slave. Poco più di 1/4 del totale dell'U. R. S. S. spetta agli Ucraini (noti anche col nome Piccoli Russi, che superano i 31 milioni di ab.), appena il 3,2% ai Russi Bianchi (4,7 milioni di ab.), gruppi ambedue diffusi sopra un'area alquanto più estesa di quella che forma le corrispondenti repubbliche federate.
Prescindendo dalle altre popolazioni slave (Polacchi: 728 mila abitanti, Bulgari 111 mila, Cèchi, Serbi) e da quelle baltiche (Lettoni: 151 mila, Lituani) che s'infiltrano al confine nord-occidentale, il rimanente è costituito soprattutto dai gruppi turcotataro e ugrofinnico, ai quali seguono, per importanza numerica (sempre s'intende al difuori del settore asiatico) gli Ebrei, gli altri Europei e i Mongoli. Questi ultimi, che sono rappresentati dai Calmucchi superstiti dell'ultima (1630) invasione orientale subita dalla Russia e non superano probabilmente i 90 mila, vivono nomadi tra Volga e Manyč. Molto più numerosi gli Europei non slavi, fra i quali primeggiano i Tedeschi, stabiliti come coloni nella Volinia orientale, in Crimea e soprattutto sul Volga, a valle di Samara, dove hanno costituito una repubblica autonoma. Il censimento 1926 li fa salire a 2,4 milioni (contro 1,2 in quello del 1920-21). Nell'Ucraina si è insediata una forte minoranza di Greci (213 mila), sparsi un po' dappertutto, e di Romeni (284 mila), concentrati essenzialmente nella parte SO. Quanto agli Ebrei, che superavano i 2,6 milioni di persone nel 1926, è certo che la parte maggiore spetta al settore europeo, e in questo alle città del S. e dell'O. (Ucraina e Russia Bianca), dove non di rado costituiscono la percentuale più alta della popolazione (così, per es., a Vitebsk, a Minsk, a Mogilev, a Kamenec, ecc.).
Degli altri due grandi ceppi cui s'è accennato, il turcotataro e l'ugrofinnico, il primo prevale numericamente, ma bisogna ricordare che il secondo corrisponde a uno strato etnico più antico, e, come tale, ormai più differenziato e nell'insieme meno compatto. D'altronde, alla sua assimilazione hanno contribuito non solo i Russi, ma anche le stesse popolazioni turco-tatare, penetrate in area europea durante il basso Medioevo.
Di queste, il nucleo più cospicuo è rappresentato dai Tatari, che in tutta l U. R. S. S. toccano quasi i 3 milioni e anche al di qua degli Urali appaiono assai largamente distribuiti (Crimea, zona circumcaspica), pur essendo concentrati soprattutto sul medio Volga, dove costituiscono un'importante repubblica autonoma (Kazan′). Loro affini e vicini (medio Volga) sono i Ciuvasci (1, 1 milioni in tutta l'U. R. S. S.), pur essi organizzati in repubblica autonoma (Čeboksary, a O. di Kazan′), cui tengon dietro, per efficienza numerica, i Baschiri (713 mila), insediati fra medio Volga e Urali e dilaganti fino all'alto Tobol. A poche migliaia ammontano invece complessivamente i Kirghisi che vivono come nomadi fra il basso Ural e la foce del Volga.
Le popolazioni pertinenti al gruppo ugrofinnico si possono riunire sostanzialmente in tre gruppi, tenendo conto della loro attuale distribuzione geografica. La massa più cospicua è quella fissatasi sul medio Volga: vi si distinguono i Mordvini (1,3 milioni), dispersi fra il fiume e gli Urali, e i Mari o Ceremissi (428 mila), insediatisi a N. dei Ciuvasci fra Gor′kij. e Kazan′ - ambedue organizzati in distretti autonomi -. Il secondo gruppo, o gruppo di NE., è formato dai Votiachi (504 mila), stabiliti fra Vjatka e Kama, dai Komi o Sirieni (226 mila) della Pečora, e dai Permiani (150 mila), dispersi nell'alto bacino della Kama: delle tre popolazioni solo l'ultima non corrisponde ad alcuna unità amministrativa. Meno numeroso il gruppo nordoccidentale, nel quale rientrano, insieme con i pochi Lapponi (1700) della costa murmanna e i Samoiedi della Tundra (15 mila), i Carelî (248 mila), spostatisi dalla regione omonima verso quelle di Novgorod e Kalinin, gli Estoni (155 mila) e i Finni (135 mila), abitanti nella zona circumbaltica. Di questi soltanto i Carelî vivono riuniti in repubblica autonoma.
Non si posseggono dati statistici recenti riferibili al territorio europeo, e anche quelli relativi alle varie unità politico-amministrative dell'U. R. S. S. differiscono non poco a seconda delle fonti. Ma è fuori dubbio che la percentuale della popolazione attiva dedita all'agricoltura supera in ogni caso nella Russia europea i 4/5 (comprendendo in questa voce anche gli addetti alla silvicoltura e alla pesca: per l'intera U. R. S. S. non si è lontani dal vero fissandola intorno all'83-85% (91,3 nella Russia Bianca, 83,9 nell'Ucraina), cifre che corrispondono sostanzialmente a quelle dell'anteguerra. Industria e artigianato assorbono intorno al 6%, commercio e trasporti circa il 3% di quel totale; il resto (6-7%) spetta agli addetti alle pubbliche amministrazioni (2,2%), alle forze armate (0,8%), alle professioni liberali (0,2%), ai servizî domestici, ecc. (2-3% non specificati).
Agricoltura. - Le precedenti cifre mettono bene in evidenza il carattere sostanzialmente agricolo dell'U. R. S. S., ciò che non contrasta con l'accentuata tendenza all'industrializzazione che caratterizza gli sforzi del governo sovietico. È poi da aggiungere che questi sforzi hanno operato le maggiori trasformazioni fuori del territorio europeo, la cui economia, per quanto è possibile giudicare da un periodo come quello attuale, non sembra essere stata ancora profondamente alterata, almeno per ciò che si riferisce al rapporto reciproco fra i suoi elementi sostanziali.
I dati statistici riguardanti l'utilizzazione del suolo che si leggono presso varî autori sono così disparati, da consigliare una certa prudenza nell'utilizzarli. Contentandosi di una larga approssimazione, si può ritenere che per l'intera U. R. S. S. si abbiano: da 1/3 a 2/5 foreste, circa 1/5 prati e pascoli, un altro 1/5 arativi e il rimanente, intorno a 1/4, produttivo non agricolo e improduttivo. È probabile che queste proporzioni siano un po' diverse nel settore europeo, dove tanto le colture quanto i boschi occupano aree relativamente più estese, ma difettano dati attendibili. Comunque, un sensibile aumento nelle superficie destinate ai seminativi è registrato per l'U. R. S. S. dal dopoguerra ai nostri giorni, come appare dalla seguente tabella.
La stessa tabella mostra anche come la parte fatta alle colture cerealicole sia andata man mano riducendosi proporzionalmente, a beneficio delle altre. Ciò nonostante, grano, segala, avena, orzo e granturco occupano da soli dal 70 all'80% dei seminativi; con i cereali minori e le patate si sale all'80-90% Per le variazioni in tutta l'U. R. S. S. delle superficie destinate alle colture cerealicole più importanti v. la tabella sotto riportata.
Le diminuzioni segnate nell'immediato dopoguerra vanno poste in rapporto con crisi generali e locali (guerra civile); le oscillazioni recenti con le inevitabili scosse determinate nell'economia rurale dal deciso processo d'unificazione delle sparse piccole aziende individuali - caratterizzate da un'agricoltura a tipo generalmente estensivo, e in condizioni quasi primitive - in organismi statali (sovetskoe chozjajstvo, o sovchoz) o collettivizzati (kollektivnoe chozjajstvo o kolchoz), creati appunto per favorire il miglioramento tecnico della produzione. Il trapasso dall'uno all'altro sistema è, per ciò che riguarda le colture cerealicole, sintetizzato nello specchietto a piè di pagina.
Nel 1933 le aziende rurali individuali, comprendenti il 35% di tutta la popolazione agricola dell'U. R. S. S., interessavano dunque una piccola parte delle aree coltivate a cereali, e delle profonde ripercussioni che il processo di unificazione ha determinato in tutta la Russia, specie nel suo settore europeo, è da tener conto esaminando le statistiche della produzione agricola, che mal si confrontano a tutta prima con quelle del periodo prebellico.
Grano, segala e avena rappresentano i cardini di questa produzione, ma solo di recente il primo ha finito con l'assumere una decisa prevalenza sulle altre due, di cui l'ultima è impiegata largamente anch'essa, oltre che per l'allevamento, per l'alimentazione umana. L'avena è coltivata soprattutto nella Russia centrale e meridionale, dall'Ucraina di NE. attraverso l'alto Don, l'Oka e il medio Volga, alla Kama inferiore e agli Urali mediani (poco più di 1/10 del raccolto è dato dall'Ucraina, 1/25 dalla Russia Bianca).
Più larga l'area di diffusione del grano, che si spinge oltre il 60° N., ma trova nel settore europeo le più favorevoli condizioni di sviluppo nella Russia meridionale, massime nelle steppe ucraine, anche se la cattiva distribuzione delle precipitazioni e la loro insufficienza vi determinano, con triste frequenza, carestie disastrose, seguite da spostamenti in massa della popolazione agricola (insignificante la produzione della Russia Bianca; circa 1/3 del totale europeo è dato invece dalla sola Ucraina). Più largo ancora il dominio della segala, che abbraccia tutta la Russia europea, ad eccezione dei distretti aridi sul basso Ural e della Tundra artica; i settori in cui la produzione è più intensa corrispondono tuttavia press'a poco a quelli in cui si concentra la coltura dell'avena (1/4 del raccolto europeo viene dall'Ucraina; dalla Russia Bianca circa 1/25). Orzo e miglio hanno del pari ampia diffusione; il primo preferisce comunque la cimosa circumpontica e la Russia meridionale (circa la metà del raccolto spetta all'Ucraina), mentre il secondo è coltivato assai anche nella Russia centrale (all'Ucraina meno di 1/3 del quantitativo europeo). Frumento e segala hanno conservato, o di poco aumentato, quanto ad area coltivata, le posizioni d'anteguerra; hanno invece perduto terreno avena e orzo; solo il granturco ha più che quadruplicato il proprio dominio, che dal litorale pontico si spinge lungo il Dnepr sino al 52° N. (e perciò circa i 2/3 del raccolto si debbono all'Ucraina). Dei cereali minori merita ricordo il grano saraceno (Polygonum fagopyrum), d'origine asiatica, che trova buone condizioni di sviluppo nella Russia meridionale ed è coltivato su circa 2 milioni di ettari. Insieme con i cereali ha un peso decisivo nel consumo interno la patata, diffusa specialmente nei settori centrale e settentrionale; la superficie coltivata è salita nel 1933 a oltre 6,2 milioni di ha. (circa 1/5 del prodotto europeo si debbono all'Ucraina).
Quanto ai raccolti, i dati statistici dell'intera U. R. S. S. si possono per i cereali più importanti (e le patate) riassumere come nella tab. precedente.
I raccolti del miglio e del fagopiro segnarono 2,9-3,2 e 1,6-1,3 milioni di tonn. all'incirca rispettivamente, fra il 1928 e il 1932. La produzione unitaria, in confronto con l'anteguerra, mette in evidenza oscillazioni di piccola portata; i vantaggi di una migliore attrezzatura tecnica appaiono ancora neutralizzati dal disagio che la trasformazione dei sistemi di conduttura ha prodotto nelle masse rurali; disagio tradottosi in frequenti esodi dalle campagne e conseguente abbandono di colture.
Nel periodo prebellico la Russia era la più grande esportatrice nel mondo di prodotti cerealicoli, fornendo essa solo, nel quinquennio 1909-13, circa 1/5 del frumento, 1/3 della segala e dell'avena e oltre 3/5 dell'orzo esportato. Perdute, durante la guerra e la crisi rivoluzionaria, queste posizioni, l'U. R. S. S. ha veduto anche rapidamente aumentare il consumo interno, per la cresciuta massa operaia e lo stesso mutato livello di vita delle classi rurali, sì che l'eccedenza destinata alle esportazioni si è andata via via riducendo. In pari tempo si è però attenuato lo squilibrio fra zone produttive e consumatrici che caratterizzava la situazione prebellica, tendendo evidentemente gli sforzi del governo sovietico a un'autonomia anche regionale, che eviti le scosse determinate dalle oscillazioni nei raccolti e negli scambî che vi debbono fare assegnamento.
Lo sviluppo delle colture industriali nel periodo postbellico è riassunto nella tabella precedente che si riferisce, è bene ripeterlo, all'intera U. R. S. S.
Il cotone è quasi tutto coltivato fuori d'Europa (trascurabile è il quantitativo che se ne produce in Crimea e nel basso Volga, dove d'altronde la sua introduzione è recentissima); il lino essenzialmente nella Russia Bianca, e nella regione centrale (alto Volga) per la fibra, nell'Ucraina e sul basso Volga per il seme. Molto minori l'estensione e l'importanza della canapa, cui si dedicano i contadini della Russia meridionale (Ucraina e distretto di Penza): l'area relativa ha oscillato, negli ultimi anni, da 800 a 950 mila ha., con una produzione di 400-500 mila tonn. di seme e di 350-450 mila di fibre. Anche la barbabietola da zucchero viene prodotta quasi tutta in Ucraina e nella Russia meridionale (distretti di Voronež); la contrazione segnata dai raccolti degli ultimi anni è in rapporto con l'intensa trasformazione delle aziende agricole che ne sono interessate. Grande importanza ha, fra le piante oleacee, il girasole, sempre più largamente impiegato per l'alimentazione e diffuso, oltre che in Ucraina, nella Russia centrale e meridiomle.
Non meno notevole è il posto fatto, fra le piante industriali al tabacco, la cui coltivazione si spinge, dalla Crimea e dal Kuban′, alla Russia centrale. L'area relativa è più che raddoppiata dal 1929 al 1933 (85 mila ha.), ma con la partecipazione di varî settori extraeuropei. Prodotto (intorno a 100-120 mila tonn. annue) ed esportazione sono in via di aumento.
Fra le colture orticole figurano, per quantitativi non trascurabili all'esportazione, le lenticchie e i piselli. Delle prime, coltivate nella zona delle terre nere e nelle regioni del medio e del basso Volga, l'U. R. S. S. produce il 70 ed esporta il 75% circa del quantitativo mondiale (340-350 e 60-65 mila tonn., rispettivamente, negli ultimi anni); per i secondi, che provengono ugualmente dalla Russia meridionale, partecipa con 1/4 in cifra tonda alla produzione e all'esportazione mondiale.
Scarso è il peso che nell'economia agricola hanno le colture arboree. Salvo che in alcuni ristretti lembi lungo le sponde del Mar Nero, il basso Don e soprattutto in Crimea, la vite è sconosciuta al territorio russo; la produzione del vino ha quindi importanza poco più che locale, nonostante il pregio di alcune delle qualità prodotte (Crimea, basso Volga). Più diffusa invece la frutticoltu̇ra (mele, prugne, albicocche, pere, ecc.), che si ritrova come attività agricola complementare ed anche specializzata (Podolia, bassa pianura del Dnepr) in varî luoghi della Russia meridionale e fin sul medio Volga e nella Russia centrale; in primo luogo appaiono coltivate le mele, che servono per lo più alla preparazione delle bevande (sidro).
Foreste. - L' U. R. S. S. è al primo posto nel mondo per l'ampiezza delle sue foreste che coprono poco più di 2/5 del suo settore europeo, e poco meno di 2/5 di quello asiatico. In complesso si può calcolare in circa 7 milioni di ha. la superficie boschiva dell'U. R. S. S. (il 27% della superficie boschiva mondiale); di questa però appena 1,7 milioni di ha. si trovano in Europa; di più, mentre le regioni settentrionali sono qui ben fornite di alberi, l'Ucraina ne è piuttosto povera e del tutto mancante la larga cimosa di basse terre che circonda il Mar Nero e il Caspio. L'importanza economica di questa immensa riserva naturale - per oltre 1/3 non ancora sfruttata - è accresciuta dalla grande varietà delle essenze che la costituiscono; alle conifere (pino e abete soprattutto), che ne rappresentano la parte più cospicua (oltre il 65% del totale) e ricoprono le sezioni settentrionale e nord-orientale del paese, si uniscono, nel centro e nell'ovest, più specie di latifoglie (betulla, ontano, pioppo, frassino, rovere, quercia, faggio), mentre anche a sud, poco oltre i limiti della regione europea, si hanno il noce, il bosso e il samšit (bosso) della zona caucasica. Alla scarsa viabilità dei territorî boschivi (di cui circa il 40% manca di buone comunicazioni), che ne ha impedito o ritardato su ampie superficie lo sfruttamento, sopperisce fortunatamente la facilità dei trasporti che i fiumi permettono in ogni stagione; l'enorme consumo che di legname si fa in Russia appare evidente quando si rifletta che questo entra per il 90% nella costruzione delle case e per il 95% nel loro riscaldamento. Si può calcolare tuttavia che la produzione attuale, aggirantesi intorno ai 175-200 milioni di mc. annui, rappresenti appena 1/4 della produzione utile possibile. Di quella, inoltre, circa 2/3 sono costituiti da legname da ardere, e appena 1/5 da legname da opera.
Che la silvicoltura occupi ancora nell'U. R. S. S. un posto assolutamente impari all'ampiezza delle riserve, è dimostrato pure dalla scarsa entità dell'esportazione del legname, nella quale il livello d'anteguerra è stato raggiunto solo nel 1929-1930, come appare dalla tabella seguente:
Nell'ultimo quinquennio questo commercio ha rappresentato, in valore, meno del 15% del totale delle esportazioni russe (150-170 milioni di rubli); va tuttavia aggiunto che circa la metà del quantitativo è costituito da legnami lavorati, i quali assorbono circa il 70% del valore complessivo. Inghilterra, Germania ed Olanda sono i maggiori clienti del legname dell'U. R. S. S.; la prima assorbe da sola quasi la metà dell'esportazione russa e più della metà dei prodotti lavorati.
Allevamento. - La tabella seguente mette bene in evidenza la contrazione che il patrimonio zootecnico della Russia ha subito nell'ultimo quarto di secolo, e la parte via via più cospicua che di fronte al settore europeo è venuto assumendo quello asiatico.
Pur tenendo conto delle perturbate condizioni postbelliche e soprattutto delle conseguenze della collettivizzazione delle aziende agricole che ha portato un rude colpo all'allevamento, oltre che per lo straordinario aumento dei mezzi meccanici, anche per l'intenso abbattimento di capi che ha tenuto dietro alla socializzazione del possesso terriero, è innegabile che quella contrazione si è accentuata per le cattive condizioni nelle quali l'allevamento era praticato (mancanza di precauzioni igieniche, epidemie, deficiente alimentazione, ecc.), per la forte svalutazione monetaria postbellica, per la diminuita o cessata esportazione, ecc. Comunque, in rapporto alla sua popolazione, l'U. R. S. S. conta più capi di bestiame che le rimanenti porzioni d'Europa e di Asia, fatta eccezione per i suini, mentre in rapporto alla sua superficie il confronto col resto d'Europa prova il contrario:
Se si tien conto delle larghe possibilità del paese, appare evidente come l'allevamento vi abbia ancora un'importanza piuttosto modesta; e più apparirebbe evidente, se sulla ineguale distribuzione del patrimonio zootecnico nelle diverse regioni dell'U. R. S. S. si possedessero elementi analitici precisi.
Nonostante la fortissima riduzione subita in confronto con l'anteguerra, gli equini di cui dispone l'U. R. S. S. rappresentano ancora circa 1/3 del quantitativo mondiale, ponendo così la Russia al primo posto, per questo riguardo, fra gli stati della terra. Le estese praterie del S. e del SE. (Don, basso Volga) sono quanto mai adatte all'allevamento dei cavalli; ottime, qualitativamente, anche le razze podolica e settentrionale, che, come quella della steppa, si rivelano adatte a impieghi diversi. Il recente sviluppo degli automezzi ha senza dubbio ridotto l'uso del cavallo come animale da traino, senza però poterlo sostituire, data la deficienza o la cattiva manutenzione della maggior parte delle strade. Al trasporto e al traino provvedono d'altronde, nell'estremo N., la renna, e nelle zone aride prossime al Caspio il cammello, animali ambedue caratteristici, almeno come regola, di popolazioni nomadi; asini e muli, limitati alle regioni meridionali, si aggirano intorno a 5-600 mila capi al massimo.
Per numero di bovini, l'U. R. S. S. occupa uno dei primi posti nel mondo, ma tanto il relativo allevamento, quanto l'organizzazione delle industrie che gli vanno connesse abbisognano ancora di molte cure. La densità dei bovini è massima nei distretti del Don e del medio Volga, minima nei territori aridi di SE. e sull'altipiano centrale, dove difettano i pascoli; di più, mentre a N. si mira soprattutto alla produzione del latte, nella Russia meridionale ed in primo luogo in Ucraina si allevano di preferenza animali da macello.
Quanto ai prodotti industriali, il periodo immediatamente prebellico aveva visto un promettente sviluppo di quello del latte prima, delle pelli e della concia poi, nella Siberia occidentale, dalla quale alcuni prodotti subivano un'ulteriore manipolazione nella Russia europea. Il burro siberiano era tuttavia preparato, sotto il regime zarista, da piccoli caseifici con attrezzamento poco progredito; di qui gli sforzi del governo sovietico per riorganizzarne l'industria su basi tecniche, ciò che ha spostato, in parte, i centri produttori nel settore eur0peo e specialmente nelle regioni baltica, centrale, nell'Ucraina e sul medio Volga. Tuttavia, mentre la produzione del latte è salita nell'ultimo quinquennio a 270-300 milioni di quintali, l'esportazione del burro è rimasta a un livello piuttosto modesto (30 mila tonn. nel 1932), corrispondente in valore al 3% circa del totale delle esportazioni. Molto minore, e parimenti modesto, il commercio delle carni e delle pelli, la cui lavorazione è fatta quasi tutta nella Russia centrale e nell'Ucraina.
Anche più gravi che per il grosso bestiame appaiono le oscillazioni numeriche e la generale diminuzione per gli ovini e i caprini che trovano le migliori condizioni di sviluppo nella zona semiarida prossima al Ponto e al Caspio. Dopo l'India britannica, l'U. R. S. S. è lo stato che ne raccoglie il quantitativo maggiore, ma ormai circa la metà di questo spetta ai territorî dell'Asia centrale, del Caucaso e della Siberia meridionale. Nel settore europeo i centri più importanti del commercio delle lane restano Char′kov, Voronež e Saratov; la produzione, che s'era aggirata fra il 1925 ed il 1930 intorno a 1,5 milioni di quintali, è diminuita a meno della metà dopo questa data (0,6 milioni di tonn. nel 1932).
Con la perdita delle provincie polacche e lituane, la Russia ha veduto ridursi di molto il numero dei suini, allevati soprattutto nelle regioni occidentali, che corrispondono al dominio della quercia. Con tutto ciò l'U. R. S. S. resta al quarto posto nel mondo, dopo la Germania, avendo in parte compensato quella perdita col fiorente sviluppo che l'allevamento stesso è venuto assumendo specialmente in Ucraina.
Qualche cosa di simile è avvenuto per gli animali da cortile, che dalla Russia occidentale venivano nell'anteguerra largamente importati sui mercati tedeschi (specie le oche). Pollame e uova costituiscono una notevole risorsa economica per alcune zone della Russia centrale, ma è ancora troppo recente l'istituzione di stabilimenti appositi attrezzati in armonia coi dettami della tecnica moderna. Comunque, chiusasi la parentesi bellica e rivoluzionaria, l'U. R. S. S. ha riguadagnato rapidamente i vicini mercati, assorbendo da sola, nell'ultimo decennio, circa il 40% del pollame (abbattuto) importato in Germania. Non altrettanto continuo è stato invece l'aumento nella produzione delle uova, la cui esportazione ha subito sbalzi notevoli.
Scarsa importanza ha, nel settore europeo, l'allevamento del baco da seta (Ucraina); maggiore invece quello delle api, che si pratica, oltre che nell'Ucraina e nel basso Volga, dov'è più intenso, in tutta la regione boschiva della Russia centrale.
Caccia. - La caccia rappresentò in passato uno dei cespiti più cospicui dell'economia russa, ma già nel periodo prebellico le sue possibilità erano notevolmente ridotte dal rapido aumento della popolazione, e più ancora dal lungo e disordinato sterminio della selvaggina, che tendeva via via a migrare verso le plaghe meno battute dell'estremo NE. Le spedizioni si proponevano essenzialmente la cattura di animali da pelliccia (scoiattoli, ermellini, martore, zibellini, lepri e volpi polari, volpi azzurre, ecc., nonché lupi e orsi), che venivano poi radunati sui mercati della Russia europea (Nižnij Novgorod, Kazan′, Astrachan, Perm′, Vologda, ecc.), di dove le pelli, per lo più grezze (circa il 70% della produzione nell'anteguerra), erano esportate per l'ulteriore lavorazione. Diminuite però via via le riserve venatorie a occidente degli Urali, la maggior parte dei cacciatori preferì naturalmente portarsi sulla più ricca tajga siberiana. Perciò il grosso della produzione dell'U.R. S.S. viene ora radunato a Omsk, dove il governo sovietico ha disposto appositi magazzini. I centri principali della caccia agli animali da pelliccia nel settore europeo si sono spostati nella regione di Arcangelo e in Carelia; in pari tempo si è sempre meglio organizzata l'industria nazionale per la lavorazione del prodotto, tanto da registrare, fra il 1926-27 ed il 1928-29, un aumento del 70% nell'esportazione delle pelli lavorate e tinte. Quanto alle pelli grezze, la loro esportazione ha ripreso rapida dopo il 1923, per toccare nel 1928-29 una cifra d'oltre 120 milioni di rubli, ciò che rappresenta più del 12% in valore dell'esportazione totale dell'U. R. S. S. Il prodotto russo è per circa la metà assorbito dalla Germania.
Pesca. - Anche più notevole, economicamente, è la pesca, specie quella interna. Tutti i fiumi e i laghi della Russia, in particolar modo quelli pertinenti al dominio del Caspio e del Mar Nero, sono eccezionalmente pescosi, ciò che va messo in rapporto soprattutto con la debolissima pendenza delle correnti (e perciò la pescosità si accentua nel Volga e nell'Ural), la quale permette a varie specie marine di risalirle spesso fin nei tratti superiori. Anche a questo proposito si può ripetere quanto si è accennato a proposito dell'intenso, disordinato sperpero delle risorse venatorie, specie riferendosi al duro periodo dell'immediato dopoguerra, nel quale, ai danni della pesca di frodo e fuori stagione si aggiunsero (e tuttavia si continuano) quelli determinati dal largo consumo di nafta dei natanti. Già negli ultimi tempi del regime zarista si era cercato di proteggere con opportuni provvedimenti legislativi l'ittiofauna, non escluso, fra questi, il ripopolamento artificiale, cui il nuovo governo ha dato largo impulso. Con tutto ciò, la pesca, anche interna, è nell'U. R. S. S. ancora ben lontana dal rendere quanto potrebbe sulla base di un razionale sistema di sfruttamento; anzi, per ciò che riguarda fiumi e laghi della zona europea, solo nel settore estremo di SE., vale a dire lungo il basso Volga, rappresenta, per una cospicua parte della popolazione, l'unica fonte di guadagno. Nella Russia centrale e settentrionale, invece, è rimasta, in fondo, un'occupazione accessoria, anche perché molto minore è qui il reddito per la minore densità del popolamento animale (vi si catturano quasi soltanto tinche e salmoni); in passato l'attività peschereccia dovette però essere ben diversamente intensa, come attesta la stessa toponomastica. Lungo i bassi corsi del Dnepr, del Don, del Volga e dell'Ural, si pescano in gran quantità salmoni, carpe e storioni, questi ultimi impiegati, com'è noto, nella preparazione del caviale. Sebbene il consumo del mercato interno sia cospicuo, l'eccedenza destinata all'esportazione - nelle varie forme in cui il pesce è preparato - alimenta qui un discreto numero di industrie. I mercati più animati sono, sul Volga, Astrachan e Stalingrad, e sul Don, Rostov; nella Russia centrale e occidentale Char′kov, Kiev e Gor′kij; nell'estremo nord Arcangelo. La regione del basso Volga provvedeva prima della guerra mondiale oltre la metà del fabbisogno nazionale, proporzione che è negli ultimi tempi probabilmente anche cresciuta. Il prodotto della pesca si aggira ivi sulle 180-320 mila, tonn. annue, compreso il caviale, di cui le qualità più scadenti vengono destinate al consumo locale, mentre per le più pregiate si fa largo impiego degli storioni del basso Ural.
Di fronte alla pesca interna, quasi trascurabile è l'importanza di quella marittima, eccezione fatta per una parte del Caspio, del Mar Nero e specialmente del Mar d'Azov, dove, accanto alle specie migranti nei fiumi, vivono, in banchi, quelle che popolano la bassa zona litoranea, e i laghi e le lagune che frangiano per largo tratto il settore russo del Mar Nero (sardine, cefali, sgombri, ragni, merluzzi, anguille, ecc.).
La regione della Meotide è d'altronde nota fino ab antiquo per la sua attività peschereccia, nella quale si sono specializzate le popolazioni dei villaggi costieri. Molto minore, invece, è il profitto che la pesca marittima dà sul Golfo di Finlandia e sul Mare Glaciale. In quest'ultimo, pescatori lapponi e norvegesi (trascurabile è il numero di quelli russi) si dànno alla cattura di foche e cetacei, ma economicamente più redditizia è la pesca del merluzzo, che nella provincia di Murmansk ammontava nell'immediato anteguerra a 6-8 mila tonn. annue, quantitativo alquanto più elevato di quello che appare registrato negli ultimi anni.
In complesso i prodotti della pesca entrano appena per 1,5-2% nel valore delle esportazioni (per metà rappresentate da caviale; 15 milioni di rubli annui, in media, nell'ultimo quinquennio, per l'intera U.R. S. S.; v'è quindi da tener conto dell'apporto, sempre più largo, del settore asiatico, e specialmente dell'Estremo Oriente), mentre poi, per sopperire ai bisogni del mercato interno, è necessario rifornirsi all'estero, sia pure con quantitativi modesti (aringhe e baccalà: 0,7% del valore delle importazioni).
Miniere. - L'U. R. S. S. occupa uno dei primissimi posti nel mondo per la copia e la varietà delle sue risorse minerarie. La maggior parte di queste spetta, è vero, al settore asiatico; tuttavia anche limitatamente al territorio che è ad occidente degli Urali, nessuno stato europeo e pochi negli altri continenti possono competere con la Russia sotto questo riguardo. Con tutto ciò, solo in epoca assai recente si è avviata in modo adeguato l'estrazione, in tanta dovizia, di materie prime; la scarsa potenzialità dell'industria estrattiva, il suo frazionamento, la mancanza o la deficienza delle vie di comunicazione, la stessa imperfetta conoscenza della reale entità dei singoli depositi hanno fatto sì che la Russia abbia partecipato in misura relativamente modesta al fabbisogno mondiale; ricorrendo, anzi, per quello interno, all'importazione di minerali che pure ha in abbondanza nel proprio sottosuolo. Già le necessità del periodo bellico avevano stimolato una più intensa ricerca di varî minerali; la tendenza a raggiungere, anche in questo campo, non solo una larga autonomia, ma la possibilità di un conveniente grandioso sviluppo industriale, ha costituito uno dei cardini della politica sovietica. D'altra parte, le condizioni necessarie a questo scopo erano state preparate, almeno in potenza, dal regime zarista, sotto il quale una buona parte delle ricchezze minerarie del settore europeo erano state riconosciute, studiate e sottoposte a un primo, sia pure imperfetto, trattamento.
Di queste ricchezze, le più cospicue sono forse rappresentate dalle riserve dei combustibili, carbone e nafta, per le quali l'U.R. S. S. ha il vantaggio non solo della quantità, ma anche della opportuna distribuzione geografica, trattandosi di depositi che interessano più regioni. distinte. Anche per la nafta, infatti, i cui depositi sono concentrati quasi tutti in Asia (l'unico che si trovi in territorio europeo, presso Syzran′, sul medio Volga, è di entità quasi trascurabile), il Caspio e il Mar Nero rappresentano una facile e comoda via verso le regioni della Russia meridionale dal settore caucasico, che provvede da solo l'80% del quantitativo estratto.
Se per il petrolio si calcola che le riserve contenute nel sottosuolo russo rappresentino non meno del 35% di quelle mondiali (da 2,8 a 3,5 miliardi di tonn. secondo le stime), per il carbone è probabile che la proporzione non sia altrettanto elevata; tuttavia par certo si possa contare almeno su 475-500 miliardi di tonn., quantità del pari enorme, della quale circa il 65% rappresentato da litantrace e il 30% da antracite. Di questa massa di combustibili, meno di 1/5 soltanto appartiene al settore europeo - costituito essenzialmente dai tre maggiori bacini del Donec, di Mosca e degli Urali - ma si tratta appunto dei depositi più intensamente coltivati, come mostra la tabella seguente che ripartisce le quantità estratte nei settori europeo ed asiatico dell'U. R. S. S.
Il bacino del Donec, pertinente dal Carbonifero medio, copre una superficie di 23 mila kmq. Il minerale vi affiora direttamente, si trova a piccola profondità, e consta per la maggior parte di ottima antracite; si calcola anzi che questa si ammassi in una riserva di quasi 40 miliardi di tonn. sui 60 circa di cui si fa capace il deposito. L'estrazione, che era salita a 28 milioni di tonn. nel 1913, ha da varî anni largamente superato questa cifra. Anche più esteso è il cosiddetto bacino di Mosca (a E. e a S. della città, tra Tula e Kaluga), ma le sue riserve non oltrepassano probabilmente i 12 miliardi di tonn.; di più la sua coltivazione è ancora di data troppo recente. Quanto agli Urali, i depositi di carbone vi sono numerosi, ma l'unica zona che cada in territorio europeo è quella di Kizel, sulla destra della Kama, poco a N. di Perm′; importante tuttavia per la relativa vicinanza ad altre miniere (metallifere), a ottime vie d'acqua e alla Transiberiana. Molto minore l'apporto delle altre miniere, fra le quali, tuttavia vuol essere ricordata quella di Povenec, sul Lago Onega.
Il largo consumo locale dei combustibili - tanto più largo, ora, per l'intenso ritmo impresso alle industrie - non impedisce che quantitativi sempre più cospicui dell'estrazione vengano esportati (da 97 mila tonn. nel 1913 a 1.800 mila nel 1930; per altro le oscillazioni da anno ad anno sono sempre forti); pure, il carbone e il coke figurano tuttavia con cifre troppo modeste nel complesso del commercio estero dell'U. R. S. S. (l'1,7% nel 1930, poco più del 2% nel 1933).
Ricchissima è l'U. R. S. S. di minerali metalliferi; per ciò che riguarda il ferro le sue riserve sono state calcolate in oltre 2200 milioni di tonn. (i/i0 di quelle europee, 1/25 circa di quelle mondiali): esse sono per oltre il 9% concentrate nel settore europeo, dove si distinguono tre principali gruppi di depositi: l'uralico, il centrale e l'ucraino, ognuno dei quali costituito da più giacimenti. Il primo, che è anche il più antico (il minerale vi cominciò ad essere estratto alla fine del secolo XVII), forniva fino al 1870 più dei 2/3 del prodotto nazionale: le miniere si dispongono sui due versanti degli Urali dal 60° N. all'incirca, fin oltre Zlatoust. Il secondo risulta da tutta una serie di giacimenti solo in parte e da poco tempo conosciuti e coltivati: di quelli che si stendono nel bacino del Sejm si pretende che rappresentino la più ricca riserva di minerale non pure dell'Europa, ma della Terra intera. Più importante di tutti, attualmente, il gruppo ucraino, formato dai pozzi di Krivoj Rog sulla destra del Dnepr, e da quelli del bacino del Donec, estesi da Artemovsk al Mar d'Azov. Questi ultimi, pur acquistando speciale interesse data la vicinanza delle più ricche miniere di carbone dell'U. R. S. S., la cedono di gran lunga ai giacimenti della zona dell'Ingulec, che fa centro a Krivoj Rog. Il minerale (ematite rossa) vi ha un rendimento medio di ferro del 60-62%, che però giunge spesso al 70%, e si trova alla profondità di appena 200 m. Le riserve si calcolano a circa 575 milioni di tonn.; l'estrazione, che per tutta l'Ucraina non superò nel 1931 le 470 mila tonn., ha dato oltre 5 milioni nel 1930 dal solo settore di Krivoj Rog.
Anche in questo caso, il consumo interno assorbe buona parte della produzione dell'U. R. S. S., alla quale contribuiscono, sia pure in misura relativamente modesta, le miniere della Siberia e del Caucaso; il quantitativo di minerale estratto negli ultimi anni (oltre 10 milioni di tonn. annue) pone la Russia per questo riguardo al terzo posto nel mondo; quello esportato segna già cifre superiori alle cifre d'anteguerra (551 mila tonn. nel 1929 contro 462 mila nel 1913).
Prima del 1914. la Russia era la più grande fornitrice di manganese nel mondo, provvedendo da sola a oltre il 50% della relativa esportazione (furono estratte nel 1913 1,4 milioni di tonn. di minerale). I due giacimenti più cospicui, che si localizzano nella Transcaucasia e sul basso Dnepr (Nikopol′; trust "Ruda"), hanno una potenza di poco dissimile (70-80 milioni di tonn. di riserve il primo; 60-70 il secondo); altri di minore importanza sono in Crimea e nella stessa Ucraina. L'estrazione ha subito qualche sbalzo nell'ultimo decennio, e del pari l'esportazione (da 1,2 milioni di tonn. nel 1913 a 0,7 nel 1931); va però tenuto conto del largo impiego che il minerale trova nell'industria degli acciai, la quale ha ricevuto un deciso impulso dai piani quinquennali.
Nessuno, si può dire, degli altri più importanti minerali metallici manca all'U. R. S. S., ma pochi hanno interesse paragonabile a quelli di cui s'è fatto parola - la produzione del rame, del piombo (8,5 mila tonn. nel 1929; 16,1 nel 1931) e dello zinco (3,2 mila tonn. nel 1929; 20 nel 1931), per es., ha solo riflesso locale o nazionale - oppure provengono dai giacimenti del settore asiatico, come è anche il caso dei metalli preziosi, e in primo luogo del platino, nella cui produzione l'U. R. S. S. conserva il primato mondiale. D'altra parte, quando si parla della zona mineraria dell'Ural, la separazione fra i due versanti ha significato del tutto convenzionale, non solo perché si è in presenza di un'unità topografica e genetica, ma anche perché qui, con maggiore evidenza che altrove in Russia, la concentrazione delle ricchezze minerarie ha determinato, nel loro sfruttamento, un'interdipendenza, da cui la vita della regione assume una propria originalità. Comunque, per quel che riguarda il settore propriamente europeo, va ricordato, fra i minerali non metallici, la magnesite, che si estrae dai giacimenti di Satka, non lungi da Zlatoust (capacità valutata: 30 milioni di tonn.), e alimenta una discreta esportazione.
Parimenti notevoli sono il mercurio (presso Artemovsk) e le fosforiti dell'Ucraina, e l'apatite della penisola di Kola: a quest'ultima, scoperta nel 1930, si deve addirittura lo sviluppo di una nuova città (Chibinogorsk). La Russia meridionale contribuisce largamente alla produzione del sale (salgemma di Artemovsk, nel distretto del Donec, saline del Mar Nero, della depressione dei Manyč, d'Astrachan, ecc.) e del gesso. I quantitativi che si riferiscono all'estrazione delle materie prime più importanti negli ultimi anni risultano dalla tavola precedente.
Industrie. - Come s'è accennato, gli ultimi anni han visto uno sviluppo straordinariamente rapido dell'industria in Russia, mentre ancora allo scoppio della rivoluzione questa conservava forme antiquate e insufficienti ai cresciuti bisogni del paese, sebbene nel decennio precedente la guerra mondiale il governo zarista avesse compiuto serî e fortunati sforzi per metterla al passo con gli altri paesi europei (fra il 1900 e il 1911 il numero degli opifici era cresciuto di oltre 1/3. Con la perdita, avvenuta per effetto della guerra, delle regioni occidentali, sotto tal riguardo meglio attrezzate (e soprattutto della Polonia, dove si concentrava una buona parte dell'industria russa d'anteguerra), e con le gravi scosse determinate dalla rivoluzione nella compagine economico-sociale, la crisi andò facendosi sempre più acuta, sì che il governo sovietico fu costretto ad affrontare in pieno il problema di una radicale riorganizzazione. I suoi sforzi furono perciò diretti non tanto a favorire la ripresa delle attività per dir così tradizionali, o anche soltanto l'intensificazione e il perfezionamento tecnico delle vecchie aziende, ma ad accrescere prima di tutto, nel volume generale dell'industria, l'approntamento dei mezzi e degli strumenti necessarî allo sviluppo e all'autonomia nazionale della produzione. Prendendo come indice il livello raggiunto nell'immediato anteguerra, l'industria russa si è quasi quadruplicata in un ventennio, fino ad assumere un posto di comando nell'economia del paese. Il valore dei prodotti dell'industria rappresentava infatti nel 1933, nel complesso dell'economia, il 70,4% (in confronto del 42,1% che le spettava nel 1913), ma il posto più notevole era occupato dalla costruzione di apparecchi e di macchine destinati appunto a ricostruire, su basi diverse, tutta l'attività del paese, entro e al difuori del settore propriamente industriale.
La localizzazione delle nuove attività prova che anche queste tendono a sempre meglio aderire ȧlle condizioni geografiche che ne condizionano e ne regolano lo sviluppo; così, per es., il concentrarsi della siderurgia e delle industrie meccaniche nelle zone minerarie (Urali, Ucraina, bacino di Mosca), delle molitorie nelle regioni granarie, delle chimiche nell'Ucraina e negli Urali, delle tessili nella zona centrale, ecc. Tuttavia, per lo stesso intenso sviluppo dell'urbanesimo, che accompagna sempre il processo di industrializzazione, e tanto più con metodi che lo caratterizzano in molte regioni della nuova Russia, si determina spesso la convenienza o la necessità dell'impianto, in queste, di forme via via diverse di attività industriali, com'è avvenuto, oltre che nelle due grandi capitali storiche, nell'Ucraina, nella regione del medio Ural, e si ripete nelle zone di recente colonizzazione della Siberia e dell'Asia centrale.
Quattro maggiori distretti si possono isolare nel territorio europeo dell'U. R. S. S. Il più complesso e il più importante è certo quello ucraino, che s'allarga sui bassi corsi del Dnepr e del Don; oltre che della sua grande varietà di materie prime, questo settore si avvantaggia non poco della sua maggiore vicinanza al mare, che lo mette in comunicazione con territorî ai quali è economicamente legato. Le industrie estrattive metallurgiche e meccaniche ne formano il nucleo più notevole (Odessa, Dnepropetrovsk, Sialin, Slavjansk, Artemovsk, Char′kov, Rostov, Zaporož′e, ecc.), ma vi sono largamente rappresentate anche le chimiche (non foss'altro col modernissimo impianto di Gorlovka per la preparazione dell'azoto sintetico), e le alimentari che contano grandi stabilimenti per la conservazione delle carni (Poltava, Odessa) e per la lavorazione del latte.
Metallurgia e industrie meccaniche spiccano anche nel distretto uralico, che si stende da S. a N. per oltre un migliaio di km. (all'ingrosso fra il 52° e il 62° N.), e vi si alleano del pari con le industrie chimiche (Solikamslc), con quelle del legno, della carta, delle pelli, del cuoio, ecc. I centri più notevoli sono qui Perm′, Ufa e Zlatoust.
Il distretto centrale, che prende nome da Mosca, è caratterizzato soprattutto dalla diffusione delle filande e delle tessiture, che vi rappresentano l'attività industriale di più antica data; insieme con la capitale, hanno grandi e moderni opifici Vladimir, Ivanovo Voznesensk, Tver′, Jaroslavl′, Kaluga, Vyšnij Voloček e Kostroma. Rimontano al periodo prebellico i primi impianti, nella stessa regione, di stabilimenti metallurgici e meccanici, di recente ampliati e trasformati; notevole vi è la produzione di automobili (Nižnij Novgorod iGor′kij], Jaroslavl′, Mosca), locomotive (Sormovo, Brjansk, Kolomna), materiale ferroviario, velivoli, trattrici, macchine agricole, ecc. Anche le industrie chimiche vi sono rappresentate, insieme con la lavorazione del caucciù (Mosca, Kolomna), della carta, del cuoio, del vetro, ecc.
Ultimo e più settentrionale di tutti è il distretto baltico, che fa centro a Leningrado; fra le tante industrie che qui vi sono stabilite, van ricordate, per la buona attrezzatura tecnica e la tradizione relativamente lontana, quelle dei cantieri navali, delle ceramiche e della carta.
Quanto alla produzione industriale dell'U. R. S. S., le statistiche mettono prima di tutto in evidenza i progressi conseguiti nel ramo della siderurgia e della metallurgia (relativamente il meno progredito nell'anteguerra), come appare dalla tabella sotto riportata.
Nonostante lo sforzo compiuto, però, l'U. R. S. S. è ancor ben lontana dal coprire il fabbisogno nazionale; né fa meraviglia, quando si pensi che fra il 1929 e il 1933 il numero delle sole trattrici messe in esercizio è salito da 35 mila a oltre 204 mila, è più che sestuplicato quello degli autocarri e più che decuplicato quello delle automobili leggiere (la produzione nazionale è passata da meno di 2000 a circa 50 mila veicoli all'anno fra il 1929 e il 1933).
Non meno notevole appare il cammino fatto dalle industrie chimiche, il cui moderno attrezzamento è in definitiva quasi tutto postbellico (al principio del sec. XX queste assorbivano appena il 2,5% degli stabilimenti industriali di tutta la Russia).
Fra le industríe tessili, che erano di gran lunga le meglio progredite nell'anteguerra, il cotonificio è il ramo più cospicuo (9,2 milioni di fusi nel 1932, contro 6,2 nel 1900). Pur non bastando ancora al consumo interno, è riuscito almeno a riconquistare le posizioni d'anteguerra. Setificio e lanificio lo seguono a grande distanza; interessa poco più che locale ha il linificio, attivo soprattutto nella Russia settentrionale (Vologda, Arcangelo).
Dato il larghissimo impiego che il russo è costretto a fare del legno, non sorprende che il trattamento industriale di questo abbia in tutto il paese, massime nelle regioni del centro e del nord, una lunga e onorata tradizione. Accanto alla grande industria, che, poco progredita nell'anteguerra, conta ormai numerosi opifici modernamente attrezzati, ha ben resistito e continua a resistere la lavorazione domestica di un artigianato ancora abbastanza numeroso, specie nella Russia centrale. L' aumento della produzione della cellulosa, sia meccanica sia chimica, appare molto modesto, né molto maggiore è quello della carta e dei cartonami, che debbono essere anzi importati in misura non trascurabile.
Anche le industrie alimentari contano una breve vita (almeno come attrezzatura moderna); quella della conservazione delle carni è stata anzi introdotta dopo la guerra mondiale, e il caseificio attende ancora una conveniente sistemazione nel settore europeo. Lo zuccherificio è fiorente solo nell'Ucraina; la produzione globale dell'U. R. S. S. è invece sensibilmente inferiore a quella d'anteguerra.
Discreta la diffusione dell'industria ceramica (Russia centrale); anche più ampia quella della cementizia, che ha considerevolmente superato i quantitativi prebellici (da 1907 a 3489 mila tonn. fra il 1913 e il 1928).
Il sempre più largo impiego che le industrie fanno dell'energia elettrica ha dato un vigoroso impulso anche all'utilizzazione delle risorse idriche. Queste sono valutate per l'intera U. R. S. S. a oltre 16 milioni di HP, dei quali 8,4 spettano al settore europeo. La potenza installata è però appena di 360 mila HP in questo, di circa 100 nel settore asiatico. Le centrali più notevoli sono, a occidente degli Urali, quelle di Dneprostroj (che dispone di 800 mila HP) e di Samara. L'energia prodotta in tutta l'U. R. S. S. è più che raddoppiata in quattro anni, passando da 6252 a 15.855 milioni di kWh. fra il 1929 e il 1933.
Commercio estero. - Nonostante il profondo mutamento impresso nel dopoguerra alla vita economica del paese, il commercio con l'estero mostra sostanzialmente inalterata nel ventennio 1913-1933 la propria struttura, e il suo andamento risulta, nel complesso - prescindendo cioè da fluttuazioni di carattere transitorio o artificiale -, pressoché identico a quello d'anteguerra. Le differenze più notevoli consistono nelle variazioni relative a un certo numero di paesi fornitori e clienti e più ancora nel fatto che la bilancia commerciale ha accusato di regola nell'ultimo decennio disavanzi più o meno gravi; è tuttavia evidente lo sforzo compiuto dal governo per contenere questi in limiti quanto più possibili ristretti e finalmente realizzare saldi attivi, com'è avvenuto pel 1929 e il 1933. La tabella che segue mostra poi anche una sensibile disarmonia fra il volume delle importazioni e quello delle esportazioni, ciò che è in rapporto sia con la diversa composizione delle partite, sia con le oscillazioni, sempre sensibili, dei poteri d'acquisto.
Il disavanzo commerciale è certo dovuto in buona parte al bisogno di materiali industriali d'alto costo, determinato dallo sviluppo dei piani quinquennali; è tuttavia interessante rilevare che la bilancia degli scambî con l'estero si chiudeva in Russia con un saldo attivo nel periodo immediatamente anteriore allo scoppio della guerra mondiale, che fu del pari caratterizzato, nell'economia interna, da un deciso orientamento verso l'autonomia e l'industrializzazione. Nel 1911 infatti le importazioni rappresentarono appena il 42% del valore complessivo del commercio estero russo.
Quanto alla composizione delle due correnti commerciali, la tabella seguente permette di constatare come tanto nel periodo prebellico, quanto dopo l'attuazione del primo piano quinquennale, alla prevalenza dei prodotti manifatturati nell'importazione corrisponda, nell'esportazione, quella delle materie prime e dei generi alimentari. Variazioni non trascurabili si mostrano tuttavia evidenti; così, per es., l'introduzione di alimenti e bevande dall'estero è stata ridotta dal 1913 al 1933 alla metà dei valori prebellici, mentre l'industria sovietica ha potuto nello stesso periodo raddoppiare quelli dei prodotti esportati.
L'analisi delle singole voci che entrano a far parte degli scambî con l'estero rivela naturalmente non lievi fluttuazioni da anno ad anno; fermandosi al periodo più recente, che parrebhe anche di una maggiore stabilità, notiamo che delle importazioni la parte senza confronto più cospicua è rappresentata di regola da macchine, strumenti e apparecchi diversi, massime metallici (da più di circa 1/3, in media, del valore totale delle importazioni nell'ultimo quinquennio) - metalli grezzi e semilavorati (10-15%), materie prime tessili (10-20%), articoli e macchine elettrici (5-10%), generi alimentari (5-10%) e prodotti chimici - mentre delle esportazioni più della metà è costituita dalle quattro voci: cereali, pelli e pellicce, petrolio e derivati, legno e prodotti di legno, la cui importanza relativa è andata però soggetta a forti variazioni dopo il 1925. Comunque, si può calcolare che, in media, ognuna di queste voci assorba all'incirca dal 10 al 15%, in valore del totale delle esportazioni; seguono i prodotti alimentari (zucchero, pollame, pesci, burro, uova), i tessuti di cotone, i minerali grezzì (specialmente platino e manganese), ecc.
Nessun sostanziale mutamento può dirsi avvenuto, in complesso, tra il 1913 e il 1933, quanto alla proporzione con cui i fornitori della Russia partecipano al suo commercio d'importazione; s'intende, sulla base del valore globale delle varie partite, come risulta dall'unita tabella.
La Germania avoca a sé circa la metà delle merci importate, delle quali un altro quarto è fornito da Gran Bretagna, Cina, Persia, e Polonia; di contro alla sorprendentemente scarsa partecipazione del Giappone, è da rilevare il sensibile aumento della quota spettante all'Italia. Le nazioni europee e gli Stati Uniti provvedono sopra tutto prodotti industriali e tessili, i paesi dell'Asia generi alimentari e materie grezze.
Per quel che riguarda l'esportazione, Germania e Gran Bretagna assorbono insieme circa metà del totale, in proporzioni quasi identiche (e così in tutto il ventennio). Seguono a distanza Olanda, Francia, Belgio e Italia; molto meno regolare è la parte spettante ai paesi asiatici, fra cui spicca sempre per le troppo modeste proporzioni il Giappone.
L'esportazione verso i paesi europei consiste essenzialmente di materie prime, quella verso la Persia, la Cina e la Mongolia anche di manufatti.
La partecipazione italiana al commercio russo si è sensibilmente contratta nel dopoguerra, anche se nel quinquennio 1929-33 non sono mancati i segni di una evidente ripresa. In questo stesso periodo la bilancia commerciale si è sempre chiusa in vantaggio per l'U. R. S. S.: il giro d'affari ha toccato circa 840 milioni di lire (delle quali 560 all'importazione dalla Russia) nel 1931, per discendere però a 570 (di cui 330 all'importazione) nel 1932. Nell'immediato anteguerra 1911-13) la Russia partecipava al commercio d'importazione dell'Italia col 6,4% e all'esportazione col 2,3% dei relativi totali; queste percentuali si sono ridotte al 3,2 e 0,8% rispettivamente nel 1930, per risalire al 4,1 e 3,7% nel 1932. Gli ultimi anni segnano la tendenza a un maggiore equilibrio, essendo cresciute di più, in proporzione, le esportazioni italiane. Queste risultano essenzialmente di macchine, apparecchi e loro parti (2/3 del valore totale nel 1931), aeroplani, automobili, agrumi, tessuti e manufatti (massime di cotone e di seta), zolfo, prodotti chimici, ecc. L'Italia importa dall'U. R. S. S. prima di tutto petrolio e derivati (il 40% del valore totale nel 1931), cereali (frumento e avena), legno e legnami, pelli e carbon fossile.
Comunicazioni. - Tanto nel settore europeo, quanto in quello asiatico la rete stradale è nell'U. R. S. S. assolutamente impari ai bisogni del paese, non solo perché ancora troppo rada e mal distribuita, ma soprattutto per la sua deficiente manutenzione. Quando si prescinde, anzi, dalle poche vie di grande comunicazione, che il regime zarista costruì soprattutto per necessità strategiche, e da quelle che uniscono i ganglî vitali dello stato, si hanno essenzialmente carreggiabili a fondo naturale, lasciate di regola in quasi assoluto abbandono e per lo più intransitabili durante il periodo delle piogge e lo scioglimento delle nevi. Dei 1,3 milioni di km. di strade che costituiscono la rete russa, appena il 3,1% è rappresentato da rotabili a fondo sistemato, sì che molti degli stessi centri urbani più popolosi rimangono non di rado isolati gli uni dagli altri, dato che la condizione delle carrarecce non consente, per periodi talora anche lunghi, l'uso degli automezzi. Le condizioni migliorano alquanto nei territorî del confine occidentale, e nella regione mediana che fa centro a Mosca, dove il reticolo stradale si fa anche più fitto; si aggravano invece tanto nell'estremo nord quanto nella Russia meridionale, nella quale pure il bisogno di comode comunicazioni stradali si fa sempre più imperioso per il rapido sviluppo delle industrie.
In compenso l'U. R. S. S. è dotata di un eccellente sistema di acque navigabili, che in molti casi sostituisce le strade e misura in totale non meno di 160 mila km., di cui circa 5 costituiti da canali. Per lungo tempo, anzi, il trasporto di molte delle merci di scambio (legname, carbone, cereali, petrolio) non si compì se non su queste vie, e tuttora vi si continua in misura cospicua, oltre che per mancanza di rotabili, per convenienza economica. Di tale rete rientrano nel settore europeo intorno a 60 mila km. (compresi 2 mila di canali - per 30 mila km. utilizzabili dai natanti; della rete europea più di 1/3 spetta al solo Volga), rappresentati però dai fiumi di maggiore importanza per il traffico. La direzione prevalentemente meridiana di questi permette facili scambî fra regioni economicamente diverse, mentre i corsi d'acqua pertinenti ai bacini superiori del Volga e della Dvina, disegnandosi anche da O. a E. (o viceversa), pongono in comunicazione l'uno con l'altro, a mezzo di canali, tutti e quattro i mari a cui i fiumi europei convogliano le proprie acque. La navigabilità è nondimeno limitata da alcune condizioni che non possono essere senz'altro eliminate: il più o meno lungo periodo del gelo invernale (da un minimo di tre mesi per il Dnepr a Cherson, si giunge a un massimo di quasi 8 per la Pečora a Pustozersk; sul Volga si va da oltre 5 mesi e mezzo nel suo corso superiore a poco più di tre ad Astrachan; 31/2 mesi è chiuso il Don alla foce, 41/2 la Daugava, in media; 5 la Neva e l'Ural a Oremburgo; 61/2 la Dvina settentrionale ad Arcangelo), le variazioni delle portate, l'instabilità degli alvei, ecc.; con tutto ciò, il traffico fluviale assume in Russia un'importanza mal paragonabile con quanto si riscontra in altre regioni d'Europa, anche perché la maggior parte dei corsi d'acqua non è seguita da ferrovie. La flotta relativa contava nel 1930 circa 3400 piroscafi e 10 mila chiatte, per una stazza globale di 4,3 milioni di tonn., ciò che indica una sensibile contrazione in confronto dell'anteguerra (5500 piroscafi e 24 mila chiatte per una stazza di 13,4 milioni di tonn. nel 1913).
Poco è stato finora fatto, relativamente all'ampiezza della rete, per favorire e regolare il traffico su fiumi e laghi con opere di correzione degli alvei, e gli stessi canali sono in parte antiquati o addirittura inservibili. Dei canali il numero maggiore spetta ai distretti prossimi al Baltico, che essi congiungono da un lato al Mare Glaciale (Ladoga-Svir′-Onega-can. Maria-Suchona-Dvina), dall'altro col Mar Nero attraverso il Volga (oltre che col canale Maria, pel canale Tichvin e la Mologa, oppure pel canale Vyšnij Voloček, che utilizza Volchov e Msta): recentissima, in questo distretto, la costruzione del canale Stalin, destinato a mettere in comunicazione il Golfo di Finlandia col Mar Bianco per il L. Onega e l'Onda. Il Volga è poi a sua volta collegato con il Mare Glaciale mediante la Kama e la Dvina (canale Caterina); per contro, del tutto insufficienti sono i raccordi che consentono il passaggio per via d'acqua al Mar Nero; il Dnepr è legato alla Daugava (canale della Beresina) e ai fiumi polacchi (Vistola e Niemen), ma quanto ai fiumi della Russia meridionale un facile congiungimento reciproco è ancora da realizzare: sebbene Don e Volga non distino, presso il gomito di Stalingrad, più di 55 km., il transito per via fluviale, dall'uno all'altro, non può aver luogo se non attraverso il lungo giro Oka-Upa.
Più ancora che per le strade ordinarie, irregolarità e disarmonia di distribuzione sono in Russia palesi per le ferrovie. In complesso la rete ferroviaria dell'U. R. S. S. misurava 77.631 km. (di cui più di 2/3 nel settore europeo) alla fine del 1930 (74.351 nel 1913), ciò che equivale a oltre 3 volte e mezzo il chilometraggio italiano (0,4 km. di linea ogni 100 kmq. e 5,2 ogni 10 mila ab., contro 7,4 e 5,5 in Italia), ma mentre nella Russia centrale e meridionale si contano all'incirca 25-30 km. di linee ogni 10 mila kmq., nella regione del basso Volga si scende ad appena 9 km., e territorî ampî più dell'Italia sono nella Russia settentrionale del tutto privi di ferrovie. Lo scartamento normale che interessa circa i 9/10 della rete è di m. 1,524 (contro m. 1,435 di quello europeo), ma una buona parte delle linee secondarie è costruita su scartamenti minori (m. 1,067; m. 0,896; m. 0,750 e m. 0,666), la cui promiscuità, suggerita da ragioni militari, è di sensibile impaccio alle comunicazioni e al traffico. Prevalentemente a ragioni militari è dovuta la disposizione in complesso a raggiera della rete europea, che fa capo a Leningrado e soprattutto a Mosca, divenuta anche per questo il centro ferroviario di gran lunga più importante dell'U. R. S. S. Solo negli ultimi tempi del regime zarista sulle maglie di quella rete si venne inserendo un certo numero di linee trasversali, destinate allo sviluppo dei traffici locali, ma in sostanza il quadro complessivo delle comunicazioni ferroviarie ha mutato di poco nell'ultimo venticinquennio, a eccezione del settore occidentale, dove i nuovi confini hanno alterato più o meno decisamente le condizioni d'anteguerra, e in parte per l'Ucraina, cui ha indubbiamente giovato, sotto questo riguardo, la propria autonomia amministrativa (attualmente è, nell'U. R. S. S., l'unità meglio dotata di ferrovie). Data la morfologia del territorio russo, costruzione ed esercizio delle linee non presentano qui difficoltà paragonabili a quelle che si son dovute affrontare in altre regioni europee; nondimeno è mancata, nell'economia del paese, almeno finora, la spinta ad un incremento in armonia con le possibilità e i bisogni del paese. Se a questo si aggiungono le conseguenze della guerra mondiale e della crisi rivoluzionaria, che non hanno mancato di riflettersi nella diminuita efficienza dei servizî, è facile rendersi conto della scarsa entità che il movimento ferroviario russo presenta nel quadro europeo (343 milioni di viaggiatori, e 153 tonn. di merce nell'esercizio 1928-29; le cifre si riferiscono a tutta l'U. R. S. S. e sono pertanto di gran lunga inferiori a quelle della sola Germania).
Più confortante è l'esame del traffico marittimo, per il quale sono state superate le cifre del periodo prebellico (48,2 milioni di tonn. in complesso, nel 1931, contro 44,4 nel 1913 pel tonnellaggio complessivo delle navi giunte e partite da tutti i porti dell'U. R. S. S.), ciò che è tanto più notevole, in quanto la Russia ha perduto con la guerra mondiale un buon numero di porti sul Baltico, senza aver potuto neppure ricostruire la sua flotta mercantile. Di contro ai 747 piroscafi del 1913, stazzanti in complesso 852 mila tonn., le cifre del 1931 registrano appena 383 piroscafi per 604 mila tonn. Il commercio con l'estero si compie perciò quasi tutto su navi straniere; in quello di esportazione il naviglio sovietico ha caricato meno del 10% in media nell'ultimo decennio (13,7% nel decennio 1904-14). La proporzione varia sui quattro mari; da un minimo di 0,3 per il Mar Nero si sale al 25% per il Baltico. Solo sul Caspio il dominio della bandiera russa è incontrastato. Il Mar Nero è quello su cui il commercio marittimo con la Russia appare oggi più attivo, ciò che va messo in rapporto con l'intensa industrializzazione non solo dell'Ucraina, cui serviva anche prima di sbocco, ma della ricca regione caucasica. Ad intensificare i traffici ha comunque giovato il migliore attrezzamento portuale, che ora si basa sul criterio della specializzazione, applicato anche alle altre zone: accanto a Odessa (che si mantiene alla testa di tutti i porti dell'U. R. S. S.), Rostov e Taganrog, si sono sviluppati soprattutto Mariupol′, Tuapse e Batum, destinati all'esportazione, il primo del carbone del Donec, gli altri due (fuori del settore europeo) della nafta caucasica. Leningrado ha vista concentrata nel suo porto l'attività prima frazionantesi su almeno una decina di altre località del Baltico, e figura come uno dei più forti esportatori di legname dell'Europa settentrionale. Rapido è stato lo sviluppo dei porti del Mare Glaciale, Murmansk e Arcangelo, cui verrà ad aggiungersi presto un nuovo emporio per l'esportazione del legname nella baia di Indiga.
Infine non va dimenticato l'impulso dato recentemente in Russia alle comunicazioni aeree; quanto mai opportune in uno stato qual'è l'U. R. S. S. La lunghezza delle linee in esercizio nel 1933 raggiunse circa 50 mila km., trenta volte le cifre del 1923. Parallelo è stato l'aumento del numero dei passeggeri, che s'aggirava sui 40 mila alla stessa data (1500 tonn. di merci, posta e bagagli). Le linee europee fanno tutte centro a Mosca; com'è naturale, la massima estensione del sistema concerne però il settore asiatico.
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Per ciò che si riferisce alle carte, cfr. Edmond De Martonne, La cartographie en Russie soviétique, in Bull. du Serv. topogr. de France, LIV (1930). Il territorio europeo è rilevato per intero (680 fogli) nelle mappe militari alla scala di 1 : 126 mila (tre verste), ormai invecchiate; fu iniziata dopo il 1845 una nuova carta (10 verste; compiuta fra il 1865 e il 1871) alla sca a di 1 : 420 mila (180 fogli); abbraccia, oltre la parte europea, anche il Caucaso. In preparazione una carta a colori al 200 mila, a cura del Comitato geodetico e altre tre carte alla scala di 1 : 100 mila, 1 : 50 mila e 1 : 25 mila (dopo il 1921). Lo stesso territorio figura nella Carte géologique internationale de l'Europe à 1 : 500.000 (fogli 4-6, 11-4, 18-21, 21-25-28, 32-34); più recente e in corso di pubblicazione è una carta geologica al 420 mila, a completamento di quella, già edita, in 6 fogli (1915), alla scala di 1 : 2.500.000.
Preistoria.
Paleolitico. - Le più antiche tracce dell'uomo nella Russia europea furono scoperte da Boncz-Osmołowski nella grotta di Kiik-Koba (Crimea), la quale fornì pure 2 scheletri del tipo di Neanderthal. I rinvenimenti, considerati dallo scopritore come appartenenti all'industria acheuléana, probabilmente appartengono solo all'industria moustériana inferiore. Altre stazioni moustériane conosciamo nella grotta del Lupo a Simferopol′ (Crimea), poi presso la foce del Derkul nel Donec, a Ilskaja (Kuban′) e a Alagöz (Armenia). Giacimenti dell'industria aurignaciana inferiore furono scoperti in Crimea. L'unica stazione dell'industria aurignaciana superiore di tipo francese è rappresentata da quella di Borševo I (Ucraina). Nell'Ucraina occidentale (specialmente in Podolia) e sul Don (Kostenki, Gagarino, ecc.) incontriamo numerosi giacimenti dell'industria aurignaciana superiore di carattere medioeuropeo. Invece certe stazioni dell'industria aurignaciana superiore nell'Ucraina centrale e settentrionale (Mezen′) e altre hanno un carattere prettamente locale, che si manifesta principalmente in strumenti ossei e in una differente arte plastica e decorativa (meandri). Non è escluso che tali stazioni corrispondano cronologicamente appena al periodo solutréano e forse anche al magdaleniano, dal quale provengono certamente anche altre stazioni con industria aurignaciana superiore (Borševo II, Honcy e altre).
Mesolitico. - Sui territorî delle steppe della Russia meridionale apparisce al principio del mesolitico la cultura tardenoisiana, con carattere locale (punte di frecce peduncolate, ecc.). A una fase più recente del mesolitico bisogna certamente ascrivere le stazioni della cultura campignana, che si notano su terreni ricchi di buonissima selce: nell'Ucraina occidentale, nella Russia settentrionale (alture di Valdai) e in quella Pentrale (rive del Volga superiore e dell'Oka).
Neolitico ed eneolitico. - Le zone a terra nera (černozem) in Ucraina sono occupate dalla cultura agricola di Tripolie (Tripol′e) con ceramica dapprima ad ornati incisi, poi dipinti. Nelle steppe del Mar Nero si sviluppa in quel tempo la cultura dei kurgani (tumuli sepolcrali) con scheletri rannicchiati tinti di rosso, ascritta ai Kimmerici. La ceramica dei tumuli più antichi, con tombe a fossa, mostra chiare associazioni con la ceramica ornata a pettine; invece quella dei tumuli più recenti, con tombe a camera, indica una certa influenza della ceramica di Tripolie, con ornamenti a spirale. Un differente carattere locale ha il gruppo dei kurgani della provincia di Kuban′, ricchi in oggetti di rame ed in vasi d'argento e d'oro, il quale dimostra una forte influenza o rientale.
Le aree silvane della Russia centrale e settentrionale sono occupate durante il Neolitico da una cultura nomade con ceramica a pettine, concentrata più densamente nel Volga superiore. Nel periodo eneolitico apparisce qui la cultura di Fatjanovo, legata visibilmente con l'Occidente (ceramica e martelli guerrieri di pietra).
Età del bronzo. - Le steppe sul Mar Nero fino all'Ural e più avanti in Siberia sono sempre occupate dalla cultura dei kurgani con scheletri tinti di rosso, chiamata nel Volga inferiore cultura di Chwalynsk (Chvalynsk) e nei dintorni di Minusinsk (Siberia) cultura di Andronova. I sepolcri hanno allora per lo più la forma di casse di legno e la ceramica è ornata da motivi geometrici (meandri, svastiche, ecc.). Dell'Ucraina e della Russia meridionale conosciamo una grande quantità di ripostigli di bronzi. A fianco di oggetti di carattere nettamente locale, si riscontrano qui forme che dimostrano forti influenze della cultura del bronzo ungherese; più deboli appaiono quelle della cultura caucasica e microasiatica. Sotto una netta influenza della cultura del bronzo ucrainica si trovava la industria del bronzo della Russia orientale, che manteneva pure vive relazioni con la Svezia orientale (importazione di asce del tipo di Malar).
Età del ferro. - Nelle steppe del Mar Nero, nelle aree comprese tra le frontieme della Polonia fino al Don, appariscono nel sec. VII a. C. gli Sciti iranici, con una propria cultura originale, che dimostra forti influenze delle colonie greche del Mar Nero. Sotto una chiara influenza della cultura scita, dalla quale prese l'ornamentazione animale, si sviluppava nel Volga superiore e nella Kama la cultura di Anan′ino, che presenta una sicura continuazione della civiltà del bronzo della Russia orientale. La cultura d'Anan′ino è caratterizzata da un forte uso del ferro, da sepolcri a inumazione, senza tumuli, e castelli di tipo Djakovo. Nel Kuban′ si sviluppa in quel tempo una cultura separata non ariana, sottoposta a forti influenze dell'Asia anteriore. Nel sec. IV appariscono nell'Ucraina occidentale i Celti, che arrivano fino al Volga inferiore. Circa il 250 a. C. piomba sulla Russia meridionale l'invasione dei Sarmati iranici, che soggiogano gli Sciti e padroneggiano qui fino a circa 200 anni d. C. Nei loro sepolcri (kurgani ad inumazione, e individuali) assai più poveri di quelli degli Sciti, incontriamo numerosi oggetti di importazione romana e greca, come pure avanzi, specchi, ecc., che testimoniano delle relazioni commerciali con la Cina. Nell'Ucraina occidentale, cominciando dal sec. III a. C., cessa l'uso dei kurgani, ed al loro posto appariscono le tombe a lastre al rito della cremazione, con fibule di tipo La Tène, e ceramica con segni di influenze elleniche. Verso la metà del sec. III d. C. vengono in Ucraina i Goti germanici, ai quali si ascrivono le tombe a lastre con sepolcri a inumazione e a cremazione. Al loro dominio mette fine l'invasione degli Unni nel 375. Nella Russia orientale, nella Kama inferiore, nei primi secoli d. C. si sviluppa la cultura di Pianobor, probabilmente ugrofinnica, formando un'ulteriore continuazione della cultura d'Anan′ino.
Storia.
Dai primordi della storia russa alla conversione al cristianesimo. - L'immensa, sconfinata superficie del territorio compreso tra il Mare Baltico e il Mar Nero, tra i Carpazî e gli Urali, a mezza strada tra i paesi toccati sia pure superficialmente dalla civiltà occidentale e l'Asia vera e propria - inesauribile deposito di tribù desiderose di riversarsi sull'Europa -, colpisce l'attenzione di chiunque si accinga allo studio della Russia. Non può quindi recar meraviglia che i principali storici russi, anche quelli che più riecheggiarono idee del Hegel, si siano mostrati proclivi, nel considerare il passato del loro paese, ad un certo quale determinismo geografico, anzi talvolta a vedere nel fattore geografico quasi il movente unico di tutto lo sviluppo del popolo russo, di tutte le trasformazioni della sua struttura politica e sociale. La lotta con la steppa, lo sviluppo della penetrazione russa lungo il corso dei grandi fiumi, le guerre con le tribù più o meno nomadi - ecco in grandi linee i tratti essenziali che caratterizzano i primordî della storia russa.
Anticipando, con un errore del resto comprensibile e scusabile, l'aspetto civilizzatore della colonizzazione russa ad un'epoca-in cui gli Slavi orientali avevano su per giù lo stesso grado di civiltà dei popoli che incontravano sul loro cammino o con i quali si fondevano, taluni storici russi, specialmente i seguaci della corrente "slavofila", desiderosi ad ogni costo di stabilire un'originalità ed una missione universale del loro popolo, vollero vedere la nota caratteristica dell'espansione russa in una "pacifica colonizzazione" che si distinguerebbe profondamente dalle violente conquiste fatte dai popoli occidentali. Ma più che di un'indole pacifica congenita, crediamo che si debba parlare della possibilità concreta di colonizzare quasi senza lotta immensi territorî disabitati o semidisabitati. Soltanto in tempi più vicini a noi la colonizzazione russa in Asia centrale e nei territorî dell'Estremo Oriente ha cominciato in pieno a identificarsi con la diffusione almeno degli aspetti materiali della civiltà europea, con l'impostazione all'ordine del giorno anche per quelle remote regioni dei problemi nazionali, politici, sociali affermatisi già in occidente.
Gli antenati degli odierni abitatori della Russia scesero probabilmente dai Carpazî nel sec. VII, prima verso il Dnepr, estendendo poi, a mano a mano, la loro penetrazione; tra le principali tribù si possono menzionare i Poljani, i Voliniani, i Severiani, i Drevliani, i Krivici, ecc. A settentrione essi vennero a contatto con i Finni, più ad ovest con i Lituani; tra Dnepr e Volga incontrarono una popolazione di razza turca, i Chazari, sul medio Volga i Bulgari, popolo di sangue misto, con prevalenza di elementi turchi.
Dediti principalmente all'agricoltura, alla pesca, alla caccia, i Russi cominciarono a mano a mano ad occuparsi anche del commercio, specialmente per influsso di una popolazione normannica: i Variaghi. I piccoli centri fortificati, costrutti come difesa contro le aggressioni di nomadi, si trasformano, con la diffusione del commercio, in veri e proprî nuclei urbani, tra i quali si possono citare assai presto Kiev, Polock, Novgorod, Rostov, ecc. (cfr. anche la voce slavi).
Il contatto fra Russi e Variaghi si spiega col fatto che questi ultimi, nelle loro spedizioni dalla Scandinavia verso Costantinopoli, traversavano quasi necessariamente la Russia. Secondo una leggenda le tribù russe erano travagliate da gravi discordie: una ambasceria sarebbe quindi stata inviata presso i Variaghi, affinché costoro venissero per ristabilire l'ordine e per instaurare il loro regno. Infatti tre fratelli variaghi, Rjurik (v.), Sineus e Truvor avrebbero accettato l'invito; morti i due ultimi, Rjurik (862-879) regnò da solo.
È certo difficile a stabilirsi quanto di vero possa esserci in questa leggenda e se la dominazione variaga sia stata, oppure no, instaurata con la forza. Se i Variaghi per la loro audacia ed energia ricordavano i loro fratelli Normanni, d'altro lato numericamente essi erano assai pochi e finirono infatti ben presto per essere assimilati dall'ambiente slavo. Allo spirito d'iniziativa del nucleo dominante variago si deve però in prima linea l'avvicinamento dei Russi a Bisanzio ed alla grande civiltà che di colà emanava. È uno spirito decisamente attivistico e militare che si afferma con questi uomini del nord e quasi involontariamente viene fatto il confronto con la penetrazione in Russia - in epoche a noi relativamente recenti - di istruttori militari, funzionarî, tecnici tedeschi: anche questi recarono una certa disciplina in Russia, costituendo talvolta quasi una piccola classe dominante, troppo esigua però per non venire a mano a mano assimilata.
Tutti gli storici russi vanno d'accordo nel vedere la "tendenza verso Bisanzio" come un movimento favorito dallo stesso corso dei fiumi della Russia meridionale; sotto questo punto di vista essi spiegano anche il fatto che i duchi di Russia abbiano sentito assai presto la necessità militare e geografica di stabilire la loro sede a Kiev, la quale divenne in tal modo non solo un centro strategico di grande importanza, ma una città commercialmente al primissimo piano, favorita, sotto questo ultimo aspetto, anche dalla sua relativa vicinanza all'Europa centrale.
I primi sovrani della Russia, dopo Rjurik, sono Oleg (879-912), Igor (912-945), figlio di Rjurik, Svjatoslav (945-972), figlio di Igor, Vladimiro, detto il Grande o il Santo (980-1015), figlio di Svjatoslav, Jaroslav, detto il Savio (1019-1054), figlio di Vladimiro. Come si vede, assai presto (cioè da Svjatoslav), i nomi di questi sovrani si fanno decisamente slavi. I Russi insomma, non molto dotati di spirito d'iniziativa, avevano tuttavia fino dai primordî della loro storia la capacità di assimilare - con la massa del loro numero e mediante la vastità delle terre da essi occupate - tutti quegli stranieri, anche superiori per civiltà, che erano venuti a stabilirsi tra loro.
Le prime incursioni di Svjatoslav negli immediati dintorni di Bisanzio miravano non soltanto al saccheggio, ma al desiderio di ottenere dai Greci vantaggiose concessioni di carattere economico-commerciale. Desideroso evidentemente di dare una certa quale stabilità ai rapporti commerciali con Bisanzio, desideroso anche di avvicinarsi a questo grande centro di civiltà, Svjatoslav tentò una vera e propria conquista delle terre danubiane. Tuttavia i Bulgari si schierarono dalla parte di Bisanzio e le truppe mercenarie peceneghe ed ungare passarono pure dalla parte dei Greci. La guerra prese una brutta piega per i Russi: lo stesso Svjatoslav, assediato in una fortezza sul Danubio, ottenne dai Greci la libera uscita con i suoi guerrieri a durissime condizioni: cioè di rinunciare definitivamente ai territorî bulgaro-danubiani e di promettere il pieno rispetto delle frontiere e dei diritti di Bisanzio.
Vladimiro il Grande continuò tuttavia la politica di Svjatoslav conquistando una città greca della Tauride: Chersoneso. Era naturalmente assai più vantaggioso per i Russi di combattere nella Tauride che non nella Penisola Balcanica, a breve distanza da Bisanzio. La pace in seguito conclusa stabiliva il matrimonio tra Vladimiro ed Anna, sorella di Costantino e Basilio II. Questo matrimonio doveva essere della massima importanza per l'avvenire della Russia. Vladimiro accettò la religione cristiana e nel 988 fece battezzare i suoi sudditi.
In tal modo il popolo russo accettava il cristianesimo da Bisanzio: la tradizione bizantina, la quale concepiva la Chiesa come strettamente legata al potere laico, doveva quindi piantare le sue radici in Russia. Ancora nell'epoca moderna e in tempi molto recenti, il clero ortodosso russo poteva infatti avere una inframmettenza nelle faccende dello stato in forme difficilmente concepibili in Occidente; nella concezione russo-bizantina era incomprensibile la tradizione occidentale per cui lo stato poteva valersi dell'appoggio della Chiesa, mantenendo peraltro la sua indipendenza nelle questioni "terrene".
Con l'accettazione del cristianesimo da parte di Vladimiro, il popolo russo faceva un passo decisivo verso l'Europa, si differenziava dalle tribù primitive e barbariche al di qua e al di là degli Urali. Con la gerarchia ecclesiastica si rafforzava anche l'ordine interno dello stato, la legalità tutta quanta. Si affermava anche il monachismo: i monasteri cominciarono presto a diventare centri irradiatori di civiltà, anzi di una nuova e superiore concezione spirituale della vita. Il cristianesimo si affermò in Russia senza incontrare grandi resistenze: non bisogna infatti perdere di vista quanti interessi confluivano verso Bisanzio e la civiltà che di là emanava; ogni ulteriore permanere nella primitiva rozzezza pagana diveniva oramai un ostacolo a qualsiasi sviluppo territoriale e commerciale.
Accettando il cristianesimo da Bisanzio, la Russia si era oramai inserita nell'Europa orientale, segnando - per i secoli futuri - il suo distacco dall'Occidente. Quando, in epoca moderna, sovrani illuminati, specialmente sotto l'impulso di immediate necessità belliche, sentiranno il bisogno di accettare elementi di civiltà occidentale (specialmente gli aspetti materiali e tecnici di questa civiltà), sarà compito estremamente arduo di inserire questi elementi in un apparato statale bizantino che tende alla conservazione e all'immobilità.
La Russia dalla conversione al cristianesimo all'invasione dei Tatari. - Il brusco spostarsi di tutti i centri d'attività della Russia, nel sec. XII, dalla regione di Kiev verso nord-est, nella regione di Suzdal′, può considerarsi come l'inizio di un periodo nuovo della storia russa: a prima vista è piuttosto difficile spiegarsi questo cambiamento di scena, rintracciare i legami che intercorrono tra le due epoche. Questa emigrazione di imponenti masse russe verso il nord-est si può interpretare soltanto mediante la grave crisi sociale che travagliava la pur così fiorente regione della Russia meridionale e le continue incursioni dei Polovcy (Polovzi). Il fatto che Kiev era un importantissimo centro commerciale, aveva fatto confluire grandi ricchezze in tutta la contrada, aveva impresso a tutta la vita un tono dinamico e movimentato: nei principali centri urbani boiari e commercianti vivevano nell'opulenza. Affluivano artisti stranieri: come dimostrano edifici, chiese, musaici, la civiltà aveva raggiunto un alto grado, anche se limitata a strati assai ristretti della popolazione.
Il clero era divenuto di più in più influente, accanto ai boiari (proprietarî di terre) ed ai mercanti ricchi. Tuttavia il benessere economico degli strati privilegiati della Russia di Kiev poggiava in grado assai notevole sul commercio degli schiavi verso il Mar Nero e l'Oriente. Accanto all'attività commerciale si andò a mano a mano costituendo e rafforzando il latifondo: gli storici sono più o meno concordi nello spiegarsi questo fatto con la sovrabbondanza degli schiavi, enormemente aumentati nel corso di spedizioni militari fortunate. I ricchi proprietarî cittadini pensarono d'usufruire dell'eccedente mano d'opera rivolgendo la loro attenzione all'agricoltura. Il latifondo poggia dunque, fin dal suo sorgere, sul lavoro degli schiavi. "La terra è mia, perché sono i miei schiavi che la lavorano": in questo concetto il Ključevskij sintetizza il sorgere della grande proprietà agraria nella Russia di Kiev. Questo sviluppo agrario ebbe per conseguenza un aumento del prezzo degli schiavi: una legislazione particolarmente spietata doveva impedire ogni evasione o tentativo di ribellione. Praticamente la situazione dei zakupy, contadini che dal punto di vista strettamente giuridico potevano considerarsi quasi liberi, andava sempre più identificandosi con quella dei veri e proprî schiavi (cholopy). Il potere statale apparteneva al duca nonché al veče, assemblea degli "uomini liberi": vigeva quindi, accanto al duca, una specie di democrazia, che escludeva rigidamente la gran massa popolare dei zakupy e dei cholopy. Accanto al duca si trovava la družina, cioè un gruppetto di uomini che lo assistevano durante l'attività bellica, oppure si prendevano cura dei suoi interessi finanziarî.
La concezione gentilizia del possesso terriero vigente nella Russia di Kiev aveva per conseguenza che alla morte di un duca il territorio da lui posseduto venisse suddiviso tra i successori, comunque questi venissero designati. Ma nonostante questo frazionamento accentuato, per un certo tempo lo stato di Kiev aveva tra gli altri ducati una posizione preminente e al suo "granduca" spettava un indiscutibile primato sui duchi; il veče poi aveva sempre da interloquire anche in faccende riguardanti direttamente i regnanti.
Col tempo tuttavia le discordie fra i duchi si accentuarono. La selvaggia tribù dei Polovcy stringeva Kiev sempre più da vicino: gli stessi duchi, nelle discordie che li dividevano, chiamavano in loro aiuto ora questo ora quello tra i khān dei Polovcy, accelerando in tal modo la decomposizione generale. Ciò spiega l'emigrazione in massa delle popolazioni russe verso regioni meno fertili, ma che potevano con fondato motivo apparire più tranquille. Quando Andrea Bogoljubskij (1169) si impadronì di Kiev, egli non vi si volle stabilire e decise di restare nell'avito Suzdal′.
La boscosa regione di Suzdal′ si andò dunque assai rapidamente popolando. Ma non ci troviamo soltanto dinnanzi a un cambiamento di scenario geografico (dalla steppa del mezzogiorno alle selve del nord): al posto del veče, mediante il quale i ceti privilegiati esercitavano un decisivo controllo sul sovrano, nelle terre di Suzdal′ già giuridicamente e materialmente in possesso del granduca, i nuovi venuti devono accettare la situazione di fatto che trovano al loro arrivo, cioè un regime in cui il granduca è sovrano assoluto.
Il granduca di Suzdal′ dalla città di Vladimir (v.) cerca di divenire coI tempo sempre più una specie di "autocrate" a cui i duchi si devono inchinare. Ma Vladimir non era in grado di esercitare sulle altre regioni della Russia il fascino morale che poteva esercitare Kiev. Mentre Polacchi e Ungheresi si vanno affermando sempre più in Volinia e in Galizia, l'importante città di Novgorod (v.) - dove nel veče locale l'aristocrazia, ad un tempo latifondista e bancaria, aveva una posizione fortissima -, gelosa della sua autonomia già al tempo del predominio di Kiev, sente anche più fortemente la sua volontà d'indipendenza di fronte all'autocrazia del Suzdal′. Fenomeni analoghi si manifestano un po' dovunque.
In Galizia e in Volinia si era mantenuto al potere un ramo dei Rjurikoviči: la vicinanza dell'Ungheria e della Polonia aveva avuto per effetto non soltanto occupazioni militari ungheresi e polacche, ma anche il costituirsi, a mano a mano, della družina in vero e proprio ceto feudale.
I Polovcy intanto continuano le loro incursioni nella Russia meridionale, saccheggiando e devastando ogni cosa che incontravano al loro passaggio. Ma con l'inizio del sec. XIII appaiono sulla scena i Tatari - popolazione mongolica - guidati dal famoso Genghiz khān: costoro, dopo aver conquistato e devastato vaste regioni dell'Oriente, cominciavano ora a rovesciarsi sull'Europa con una veemenza e con una capacità organizzativa superiori certo alle concrete possibilità aggressive delle precedenti orde asiatiche. Gli stessi Polovcy chiesero ora ai varî capi dei ducati russi amicizia ed alleanza contro il nuovo, comune nemico. Dinnanzi al pericolo incombente, Russi e Polovcy, dimentichi delle sanguinose lotte che fino ad allora li avevano messi di fronte, si allearono contro i terribili e potenti invasori: ciò nonostante essi furono sconfitti nel 1223 in una battaglia presso il fiume Kalka. Nel 1237 s'inizia già in pieno l'invasione tatara della Russia: i singoli duchi cercano di impedire l'avanzata del nemico, ma i Tatari hanno con relativa facilità il sopravvento su questi duchi che lottano separatamente, sempre più o meno in dissenso tra loro.
La Russia, incendiata e devastata in lungo e in largo, diviene oramai uno stato vassallo del famoso khānato dell'Orda d'oro. I Tatari lasciarono al potere i varî principi e principotti russi, ma in qualità di vassalli costoro dovevano pagare al khān regolari tributi. Ai sovrani degli staterelli russi non restava altro da fare che cercare di evitare guai peggiori per sé e per i proprî territorî, obbedendo a tutte le richieste del khān, accettando umiliazioni e dando in ogni occasione prova di zelo; particolarmente abile nel barcamenarsi verso i Tatari si mostrò Alessandro Nevskij, sovrano del Suzdal′.
Il principe Daniele di Galizia (1201-1264), uomo di temperamento sentimentale e dinamico, volle ribellarsi ai Tatari, ma invano. Egli si era propiziata la Santa Sede, convertendosi al cattolicismo, aveva obbligato i suoi figli a sposare le figlie del re d'Ungheria e del duca di Lituania; ma quando i Tatari lo affrontarono e ne devastarono le terre, nessuno dei suoi presunti alleati mosse in sua difesa.
Mentre dall'Oriente si era precipitata sulla Russia l'ondata tatara, a occidente della Russia, sotto i suoi capi Mindaugas e Ghediminas, la Lituania era divenuta una grande potenza e si era grandemente estesa verso l'est. Tuttavia, la vastità dei territorî russi occupati dai Lituani rese impossibile ogni snazionalizzazione: anzi la lingua russa diventò nello stato lituano la lingua di corte.
In questo periodo il ducato di Mosca comincia ad occupare un posto di più in più notevole nella storia della Russia. Mosca si trovava in una posizione centrale, al punto d'incrocio di vie importantissime per il commercio: il duca aveva in tal modo la possibilità di arricchirsi con dazî e tributi varî che poteva richiedere ai negozianti, obbligati a passare attraverso il suo stato. La posizione centrale riguardo alle varie parti del paese aveva anche avuto come conseguenza un addensamento notevole della popolazione, che si sentiva più sicura da invasioni straniere. Inoltre i duchi di Mosca, gretti ed avari, si guardavano bene dal lanciarsi in avventure pericolose, cercando invece di sviluppare gradualmente i proprî dominî, di accumulare sempre maggiori ricchezze. Essi seppero conquistarsi la fiducia dei khān tatari, dominatori del paese, i quali avevano oramai tutto l'interesse a che regnasse la pace e che i tributi dei vinti potessero regolarmente riscuotersi. Con il 1329 il ducato si trasforma in granducato. Inoltre i sovrani di Mosca ebbero dal khān l'incarico di raccogliere per lui tutti i tributi della Russia, il che significava una garanzia pressoché completa contro incursioni di predoni tatari, nonché una discreta possibilità di arricchire - più o meno legalmente - in margine a questi tributi. Sotto Ivan Kalita, caratteristico "raccoglitore", la potenza di Mosca aumenta grandemente.
Un grande prestigio venne a Mosca pure dall'appoggio sempre più deciso del clero. I "metropoliti" diventeranno, accanto alla aristocrazia, uno dei sostegni fondamentali dello stato: anzi, essi manifesteranno un vero fanatismo nell'appoggiare lo stato "ortodosso" moscovita, prosperante sotto la protezione del khān tataro. Ciò si spiega col fatto che le condizioni di vita del territorio sottoposto a Mosca erano eccezionalmente tranquille e sicure per tempi così procellosi. La chiesa russa possedeva oramai latifondi in tutte le parti del paese: quanto più un solido e organizzato potere era in grado di sostituirsi a principotti continuamente in lotta, a garantire, con la sua prudenza, una dominazione "pacifica" dei khān, tanto più la chiesa poteva essere tranquilla. Né si dimentichi in proposito quanto abbiamo accennato da principio riguardo alla tradizione bizantina e alla sua simpatia per una monarchia autocratica.
Sotto il regno di Dimitrij (1362-89) la potenza di Mosca è già notevolissima. Un particolare prestigio gli derivò dalle vittorie su Mamaj, khān dell'Orda d'oro, e specialmente dalla grande vittoria sui Tatari a Kulikovo (1380). È vero che i Tatari si riebbero presto dalla sconfitta, imponendo il tradizionale tributo, ma il fatto nuovo consisteva nello sfatarsi della leggenda dell'invincibilità dei Tatari. È insomma un periodo in cui la potenza tatara comincia a declinare e in cui Mosca, pur non potendo ancora sviluppare gli effetti delle prime vittorie, alza di più in più la testa.
Con i successori del vincitore di Kulikovo, lo stato di Mosca si identifica sempre più con i limiti etnografici dei territorî grandi-russi. Nelle sue lotte contro i Tatari da un lato, contro i Lituani dall'altro, lo staterello moscovita si è venuto sempre più trasformando in grande potenza, sempre più parificando con il concetto di Russia. È appunto in quest'epoca che si può cominciare a parlare di una vera e propria nazionalità russa, identificantesi con una lingua, una religione, in certo qual modo anche con un potere centrale.
Dalla cacciata dei Tatari a Ivan il Terribile. - Accanto all'ascesa della potenza moscovita si svolgeva un graduale sgretolamento interno della potenza tatara. L'Orda d'oro si era suddivisa e frazionata: sul Volga si era costituito il khānato di Kazan′, mentre al sud si era formato il khānato di Crimea. Mentre i Lituani spronavano i Tatari dell'est a guerreggiare contro Mosca, i signori di Mosca, con abilissima mossa diplomatica, si erano alleati contro i Lituani con il khān di Crimea.
Oramai il rapporto delle forze tende di più in più a capovolgersi: con il 1480 Mosca cessa il pagamento dei tributi, liberandosi così dall'ultima ignominia della dominazione straniera. Con i primissimi anni del secolo seguente la potenza tatara ha cessato praticamente di esistere: al posto di un nemico che intere generazioni avevano ritenuto invincibile, sorgono piccoli khānati come quello di Astrachan. La potenza tatara, per lungo tempo fronteggiata dai signori di Mosca col sistema della prudenza e dell'obbedienza talvolta servile, crolla per sfaldamento, quasi inavvertitamente.
Ed è in questo tempo che i granduchi Giovanni III e Basilio III cominciano a usare talvolta anche il titolo di zar. I sovrani di Mosca sentono insomma di più in più che spetta a loro di essere sovrani di tutte le terre russe: ed è così che essi guardano con vivo interessamento verso Kiev e la Galizia, sperando di avere occasione di respingere verso ovest i granduchi lituani e il re di Polonia. Desiderio di potenza, antiche tradizioni a cui ci si vuole riconnettere, volontà di espansione economica, vaga tendenza a identificare lo stato moscovita con la nazionalità russa, nel senso più largo della parola. È su quest'ultimo punto che insistono taluni storici russi: ma occorre stare molto guardinghi per non attribuire ai signori moscoviti degli albori del sec. XV idee sulla nazionalità che nacquero invece in Russia nel sec. XIX, per effetto delle campagne napoleoniche nonché sotto l'influsso tanto degl'illuministi francesi, quanto degl'idealisti tedeschi.
La Russia entra oramai nel giuoco della politica europea. Questo immenso stato finora quasi ignoto e leggendario comincia ad apparire come un possibile, potente alleato nei contrasti tra gli stati dell'Europa; inoltre il livello complessivamente arretrato della Russia rende questo paese, nonostante la difficoltà derivante dalle immense distanze, un notevole mercato di consumo per i paesi più sviluppati dell'Occidente. È sotto questo duplice aspetto di paese agrario consumatore dei prodotti dell'industria europea e di potenza militare, che per secoli le potenze occidentali si interesseranno della Russia.
E la Russia, ora con maggiore, ora con minore abilità diplomatica, approfitterà delle lotte tra Svedesi e Danesi, fra i Turchi e la repubblica di Venezia. E intanto il paese, almeno nei suoi strati superiori, si civilizza: dall'Italia cominciano a venire artisti d'ogni genere. Sofia Paleologo, sposa di Giovanni III, accentua usanze e tradizioni bizantine.
Lo stato centralizzato si sostituisce di più in più ai vecchi ducati; sotto Giovanni III e Basilio III la disciplina più severa, anzi certe volte spietata, vige non solo per la massa dei sudditi ma anche per gli aristocratici di rango più elevato. L'aquila bicipite di Bisanzio si fonde nel nuovo stemma con l'immagine tradizionale di S. Giorgio.
Ivan il Terribile. - Ivan (Giovanni) IV, chiamato generalmente il "Terribile", terzo dei "sovrani" di Mosca, nacque nell'agosto del 1530. Le sue stranezze e le sue crudeltà, le sue intuizioni acute e i suoi momenti di misticismo e di follia gli hanno creato una fama di grandezza e di genialità alla quale i fatti corrispondono solo parzialmente: nonostante le sue notevoli qualità di scrittore, nonostante la sua astuzia politica, egli non riuscì a dare una direttiva unica, una linea conseguente alle attività da lui intraprese, sempre sospettoso, nevrastenico, sadico e poi ridondante di sentimentalismo gonfio. Orfano fino da piccolo, non vide intorno a sé che violenze e spargimento di sangue: trascurato o tiranneggiato dagli adulti preposti alla sua sorveglianza, allorquando il bambino saliva al trono vedeva boiari russi e principi tatari spodestati inginocchiati dinnanzi a lui. Già da ragazzo si mostra capace ad un tempo di amicizia sincera e di crudeltà efferata: questa duplicità di comportamento resterà caratteristica per lui: da un lato egli sente il bisogno dell'introspezione, di convincere con le sue argomentazioni l'avversario, dall'altro si abbandona a orge, capricci, stragi.
A sedici anni, questo ragazzo patologicamente predisposto, ma dotato di una straordinaria energia, dinnanzi al quale tremavano i rappresentanti delle più vecchie famiglie aristocratiche, si fece proclamare zar. Anche se questa proclamazione avveniva in un'atmosfera di sangue e di sospetti, l'importanza ne era grandissima: di più in più Mosca diveniva "la terza Roma" vaticinata dal monaco Filoteo, la città destinata a prendere l'eredità di Bisanzio (già il matrimonio di Giovanni III con Sofia Paleologo aveva segnato una tappa importante su questo cammino).
Le qualità positive di Ivan, derivanti dalla sua energica anche se incostante volontà, dal fervente misticismo per cui si sentiva chiamato a grandi cose, ebbero modo di manifestarsi nel periodo della sua gioventù. L'esercito fu alquanto modernizzato e rafforzato, furono ordinate misure energiche per tutelare la popolazione contro le sopraffazioni continue dei governatori, fu riunita un'assemblea di sacerdoti e di laici influenti; artisti e tecnici furono chiamati dall'Occidente, mentre attivi rapporti commerciali si stabilirono con l'Inghilterra e l'Olanda, mediante i quali il ceto commerciale russo rafforzò le sue posizioni e aumentò le ricchezze. Kazan′ e Astrachan furono conquistate e la gloria di queste conquiste faceva dimenticare a vasti strati di popolazione gli aspetti negativi del giovane autocrate. Verso la fine del suo regno la conquista russa si estese profondamente anche in Siberia. Lotte accanite e con alterna vicenda si svilupparono per il possesso della Livonia e del litorale baltico in generale.
Divenuto nel corso del tempo sempre più sospettoso verso i boiari, assegnò vasta parte del territorio dello stato a uno speciale corpo chiamato opričina, destinato a essere lo strumento più fedele di tutte le volontà dello zar; questo territorio crebbe a mano a mano che numerosi boiari venivano trucidati con le loro famiglie, oppure espropriati. Le stragi venivano accompagnate da orge e da coreografiche scene di pentimento denotanti il continuo aggravarsi della sua pazzia. Egli ebbe sette mogli: dall'ultima di queste gli nacque un figlio chiamato Demetrio; un altro figlio, nato da un precedente matrimonio, Teodoro, era quasi deficiente. Il disordine interno accompagnato dal continuo versamento di sangue (Ivan oscillava tra il mistico compito di una "grandezza russa" da difendere e ampliare e la mentalità del signorotto che vuole estirpare gli altri signorotti, possibili rivali) non poteva non indebolire la potenza esterna del paese. L'avanzarsi sempre più deciso dall'Occidente del re di Polonia, obbligò lo zar a chiedere la mediazione del pontefice. Anche la Svezia riuscì a solidificare le sue posizioni a Narva, e, in genere, sul litorale baltico.
Ormai malato di corpo e di mente, Ivan morì il 18 marzo 1584.
Il periodo dei torbidi. - Mentre Svedesi e Polacchi divenivano sempre più minacciosi, all'interno del paese la lotta divampava tra la vecchia nobiltà e gli opričniki, ex-pretoriani del defunto zar, divenuti una vera e propria casta.
Teodoro succedette al trono di suo padre, ma mostrò sino dall'inizio l'incapacità di governare. Fu il fratello di sua moglie, Boris Godunov, che divenne di fatto il padrone. Legato originariamente agl'interessi degli opričniki, scarsamente colto, non mancava tuttavia di un notevole ingegno. Cercò di mantenere buoni rapporti con la Polonia, per non essere costretto a combattere contemporaneamente contro troppi nemici; all'interno cercò di ristabilire una certa legalità. Sotto di lui il metropolita di Mosca venne nominato patriarca, nomina che contribuiva a dare un valore spirituale grandissimo alla capitale della Russia.
Il piccolo Demetrio e sua madre vivevano in una specie di esilio a Uglič. L'improvvisa morte del bambino fece nascere la voce che Boris Godunov lo avesse fatto uccidere per sbarazzarsi di ostacoli sulla via del trono. Qualche anno dopo (6 gennaio 1598) moriva l'ultimo discendente di Rjurik, lo zar Teodoro. Boris Godunov fu allora nominato zar ed egli ebbe l'abilità politica di farsi supplicare a lungo, affinché si mettessero a tacere le voci che lo accusavano quale assassino del piccolo Demetrio, e quindi aspirante al trono. Ma una volta zar, Boris prese un atteggiamento decisamente autocratico, chiedendo a tutti un'obbedienza servile.
Le guerre, le lotte interne, le carestie che avevano da tempo dilaniato la Russia ebbero come conseguenza il formarsi di grosse bande di contadini ribelli, specie nel mezzogiorno, che attaccavano i possessi dei ricchi boiari e dei ricchi commercianti. La lotta sociale in Russia si fa di più in più acuta ed assume aspetti curiosi e complessi. Le masse contadine in rivolta seguiranno degli avventurieri che per legalizzare la loro posizione ed acquistare ascendente su altri ceti si presenteranno come "Demetrio scampato miracolosamente alla morte" e quindi a buon diritto autentici sovrani della Russia. La bassa aristocrazia, spesso vivente in condizioni miserabili, fa in genere causa comune con i contadini - pur differenziandosene in molte sfumature - contro i boiari più influenti e i ricchi commercianti. Boiari e commercianti cercheranno di far leva sulle plebi di città contro i contadini insorti, ma se queste plebi partecipano talvolta a repressioni e stragi, altre volte tendono ad unirsi ai contadini ribelli. E a queste vicende s'inframezzano le lotte con la Polonia: i Polacchi, desiderosi di estendere il loro dominio, appariranno spesso come alleati dei contadini e delle plebi cittadine contro Mosca; ma essi sono un alleato pericoloso per le forze "popolari", perché un'alleanza così eterogenea poteva essere solo momentanea.
Così si spiega che i due campi russi in lotta, quello conservatore e quello rivoluzionario, cercassero degli accordi e dei compromessi tra di loro contro l'invasore polacco. Ma anche indipendentemente dalla Polonia, una parte dell'aristrocrazia appoggiante il regime "conservatore" cerca contatti con l'ala più moderata degl'insorti, costituita dalla bassa nobiltà. Questa, in poche parole, l'intricatissima situazione della Russia in quell'epoca in cui il sangue scorre a fiotti e si susseguono le devastazioni.
Nel 1604, in Polonia, con l'appoggio della corte polacca, fa parlare di sé un uomo che si presenta come Demetrio scampato alla morte. Questo "discendente di Rjurik", facendo leva sui Cosacchi e sulle bande contadine in ribellione, riesce a entrare trionfalmente in Mosca. Lo aveva aiutato anche la circostanza della morte improvvisa di Boris (1605).
Nonostante la vasta base di massa che da principio possedeva, Demetrio regnò soltanto dal giugno del 1605 al maggio del 1606. Egli commise l'errore di non rispettare tradizioni e usanze a cui i Moscoviti erano assai attaccati e di circondarsi di troppi Polacchi: i boiari, la cui posizione politica ed economica si era indebolita, nonché le rimanenti forze "conservatrici" ebbero poi buon giuoco nel prendere la rivincita contro l'"alleato degli stranieri". Demetrio fu ucciso nel suo letto da una banda armata organizzata dal principe Basilio Sujskij; anche numerosi Polacchi del suo seguito furono trucidati.
Lo zar Basilio Sujskij (Basilio IV), nonostante le personali tendenze dispotiche, era lo zar dei boiari e dei mercanti ricchi. Ben presto cominciò contro di lui una ribellione non solo di contadini e di servi, ma anche di piccoli proprietari e di bassa nobiltà che facevano causa comune con le masse contadine. Nel 1608 apparve nel sud della Russia un nuovo falso Demetrio, che, accentuando l'aspetto socialmente rivoluzionario del suo programma, appoggiato per altri motivi dai Polacchi, avanzò verso Mosca, stabilendosi nel villaggio di Tušino a pochi chilometri dalla capitale. Vaste masse di popolo guardavano con speranza al falso Demetrio, mentre i boiari e i mercanti gli dettero il nome di "ladrone di Tušino". Lo zar Basilio che, per combattere i contadini ribelli, aveva fatto leva sul fatto che costoro erano "alleati dello straniero", a sua volta fece un'alleanza con gli Svedesi: dovette rinunciare alle rivendicazioni russe sulla Livonia e su altri territorî; in cambio però le forze svedesi inflissero alcune disfatte ai ribelli. Ma l'aumentata forza e l'aumentato prestigio della Svezia spingevano a sua volta la Polonia a rafforzare ed estendere il suo dominio in Russia. Le correnti conservatrici di Mosca mandarono una delegazione al re Sigismondo di Polonia, affinché mandasse suo figlio Ladislao nella capitale russa, garantendola contro il "ladrone di Tušino". Nell'agosto del 1610 Ladislao divenne infatti zar: in seguito a ciò, gli Svedesi, vedendo pencolare le forze conservatrici russe verso la Polonia, divennero i nemici degli alleati di ieri e occuparono addirittura Novgorod. Frattanto (dicembre 1610) era morto il falso Demetrio e lo stesso re Sigismondo intrigava contro suo figlio per il possesso della corona di Moscovia.
La Russia fra i "tempi torbidi" e Pietro il Grande. - L'invasione polacca e svedese accentuò anche nel campo dei ribelli l'avversione contro gli "stranieri"; nelle lotte contro i Polacchi che seguirono a questa nuova situazione, i Cosacchi e i contadini da un lato, le forze conservatrici russe dall'altro, combattono talvolta apparentemente come alleati: in realtà però restano avversarî e cercano in circostanze propizie di mettersi di nuovo separatamente d'accordo con i Polacchi. Tuttavia la forte e comune avversione contro lo straniero rese possibile una soluzione di compromesso: non doveva stare alla testa del paese né uno straniero (polacco o svedese) né il rappresentante di un determinato ceto (le forze rivoluzionarie e conservatrici si equilibravano e le lunghe lotte avevano finito con lo stancare tutti).
Il nuovo zar, al quale spettò il compito pacificatore, fu il giovane Michele Romanov (1613-1645) che soddisfaceva per le sue origini i legittimisti e che proveniva da una famiglia la quale aveva aderito al "campo di Tušino", sia pure all'ala più moderata di questo campo.
A prezzo di notevoli sacrifici fu ottenuta una pacificazione con la Svezia (1617) e con la Polonia (1618). La Svezia, in definitiva, si era ripresa i territorî conquistati da Ivan il Terribile, la Polonia manteneva Cernigov e Smolensk.
Sotto Michele, primo zar dei Romanov, e sotto i suoi successori Alessio, Teodoro e Giovanni V, la struttura sociale della Russia si andò trasformando. L'immensa superficie della Russia, la sua scarsa popolazione, i numerosi nemici, la maturità politica assai scarsa delle masse contadine furono le cause del rafforzarsi della servitù della gleba. Lo stato era finanziariamente troppo malandato per mantenere un esercito centralizzato: i nobili-guerrieri divengono quindi proprietarî oltreché delle terre, anche delle "anime", che, in tempo di guerra, da contadini diverranno soldati. La legge del 1649 che stabiliva giuridicamente la servitù della gleba mostrava tuttavia taluni aspetti di "compromesso" in quanto dava ai contadini anche alcuni diritti. Nei due secoli successivi questi "diritti" andarono però sempre più scomparendo. I nobili, obbligati al servizio militare, avevano una netta posizione di predominio; soltanto, di più in più essi si trovavano legati all'autorità dello stato. Ciò spiega che le rivolte contadine, specie nel mezzogiorno del paese, dove le lotte sociali si mescolavano alle guerre contro i Polacchi e i Tatari della Crimea, non si spegnessero mai del tutto (v. in proposito anche polonia: Storia).
La più importante di queste rivolte della seconda metà del sec. XVII, quella che ha lasciato ricordi più profondi nel folklore e nella memoria del popolo, si riconnette al nome di Sten′ka Razin. La fama di questo audace avventuriero comincia con le sue spedizioni sulla costa persiana. Egli era generoso con i poveri e gli umili, fiero e inflessibile verso i ricchi e i potenti: un fascino straordinario emanava dalla sua personalità. Nel 1670 Razin si era impadronito di Caricyn, Saratov, Samara e avanzava decisamente verso Mosca. Lo seguivano bande di contadini ed il popolo minuto delle numerose città conquistate. Ma l'entusiasmo di queste forze eterogenee era certamente maggiore della disciplina e delle possibilità organizzatrici: il governo riuscì infatti a sconfiggere le forze ribelli; nel 1671 Sten′ka Razin veniva fatto torturare e poi decapitare in presenza del popolo.
La civiltà russa prima di Pietro il Grande. - Già nella seconda metà del sec. XVII la civiltà russa presenta alcuni contrasti caratteristici fra tradizione autoctona e influsso europeo, i quali si accentueranno sotto Pietro il Grande, e, successivamerite, tutte le volte che l'Occidente verrà considerato il modello da seguire in modo più o meno pedissequo.
Accanto all'arte russa si affermeranno sempre più architetti e pittori occidentali; boiari e personaggi di corte, abituati alle norme di vita del despotismo e alle orge di tipo asiatico, con atteggiamento da primitivi, cercheranno di procurarsi le creazioni dell'ultima moda francese e inglese: orologi con macchinarî di precisione, ornamenti per i salotti, pistole e fucili, strumenti musicali. Rigida tradizione ortodossa e bizantina da un lato, dall'altro lato interesse appassionato per gli ultimi meccanismi di fabbricazione europea: ecco già un tratto caratteristico della civiltà russa, che non dovremo perdere di vista; passerà parecchio tempo prima che ci si renda conto che la Russia stessa può produrre alcuni oggetti che importa dall'Occidente, ma quando si giunge a questa conclusione, il nuovo macchinario sarà il più recente e il più perfezionato; con mentalità da pedanti e da autodidatti si imiteranno gli illuministi e i riformatori politico-sociali della Francia e dell'Inghilterra; ma da questo contrasto tra un mondo primitivo, vergine, sconfinato e l'ultimo pensiero occidentale scaturirà pure un ardimento disposto a ogni sacrificio, una volontà di raggiungere la meta senza preoccuparsi dei salti nell'ignoto, un'intensità di sentimenti e un'originalità di problemi che troverà poi la sua più evidente espressione nel corso del secolo XIX.
Già nell'attività svolta dal boiaro Ordin-Naščokin, uomo di fiducia dello zar Alessio, si notano alcuni tratti di quell'attività riformatrice che sotto Pietro il Grande acquisterà una concretezza e un ritmo accelerato: egli richiede un minimo di iniziativa libera per gli ambasciatori all'estero e per i comandanti delle forze armate; vede grandi possibilità per un futuro sviluppo economico e politico da una conquista delle rive del Baltico (a questa visione s'inserisce il suo assai accurato studio del mercantilismo europeo); si interessa a progetti di trasformazione dei tribunali, come alla penetrazione in Russia di tutto ciò che possa apparire "utile" della civiltà occidentale. Ma nell'organismo mastodontico e atarassico della Russia, tra gli ostacoli opposti dai concreti interessi conservatori, le più notevoli idee, i più serî progetti di riforme dovevano avvizzire, trasformarsi fino all'irriconoscibile, la loro attuazione doveva essere rimandata all'infinito.
Pietro il Grande e le sue riforme. - Nato il 30 maggio 1672, Pietro mostrò fino da giovinetto un interesse spiccato per la vita militare, anzi, la precisa volontà di organizzare sul serio le forze armate della Russia: a diciassette anni aveva già eseguito veri e proprî assedî di città e costituito due reggimenti che dovevano diventare in seguito molto rinomati nella storia dell'impero russo. Contemporaneamente Pietro imparava l'arte del tipografo, del fabbro, del falegname: non c'era mestiere che egli non volesse conoscere almeno in grandi linee. La sua forma mentale non subirà più cambiamenti sostanziali: allorquando si recherà in Olanda e in Inghilterra, saranno i grandi progressi tecnici di quei paesi che lo entusiasmeranno; per i problemi della cultura ostenterà quasi il suo disprezzo. E disprezzo sembra avere per ogni problema "teorico", per ogni questione che non si riconnetta ad una evidente "utilità" del momento. Tutte le grandi riforme di Pietro derivano da necessità pratiche: un secolo e mezzo più tardi, i "nichilisti", i quali combatteranno una lotta a oltranza contro il regime zarista, saranno animati dallo stesso spirito "pratico" ed empirico nei progetti di riforme che sogneranno per il futuro.
Infanzia e giovinezza rudi quelle di Pietro: all'età di dieci anni assiste alle orge di sangue avvenute in occasione della rivolta degli strelcy; qualche anno dopo, la sua vita è continuamente in pericolo durante le rischiose esercitazioni marinaresche sui grandi laghi della Russia. Fino dai suoi più giovani anni egli si è dunque abituato a non considerare troppo né la propria vita, né la vita altrui. Deciso a modernizzare e occidentalizzare i costumi della Russia, ricorrerà, se necessario, a crudeli sistemi di tirannia asiatica per realizzare i suoi piani: e, probabilmente, senza questi sistemi "asiatici", ogni tentativo di riforma sarebbe arenato contro le forze della tradizione e dell'indifferentismo. Necessità quindi, per valutare l'opera di Pietro, di non dimenticare l'utilità che avevano per la Russia idee e progetti che in un ambiente più civile avrebbero potuto apparire veramente semplicistici o grossolani; di non dimenticare neppure che i sistemi con i quali le sue riforme furono realizzate non possono essere considerati astrattamente, senza che si tenga conto insieme dell'ambiente reale in cui le riforme dovevano aver luogo.
Le orge del giovane zar insieme all'amico Lefort, oppure in compagnia di Matteo Naryškin e della sua "Compagnia della sbornia", raggiungono spesso i limiti estremi della volgarità e dell'oscenità; in stato di piena ubriachezza, questi allegri gozzovigliatori imitano le cerimonie religiose della chiesa ortodossa. Sembra che il giovane Pietro voglia sfidare le generazioni anziane, tutto il passato della Russia bizantina dai kaftany lunghi. Il giovane zar si veste all'europea e diventa un fedele frequentatore del cosiddetto "rione tedesco" della capitale; colà egli fa conoscenza di Tedeschi e Olandesi e impara a conoscere abitudini e usanze dell'Occidente. Qualche anno più tardi, sfidando lo sdegno di tutte le correnti tradizionaliste (che organizzarono contro di lui un complotto, presto e sanguinosamente represso) lo zar prende la decisione di fare personalmente un viaggio all'estero. Infatti questo "viaggio di studî" ebbe luogo negli anni 1697 e 1698. A Königsberg Pietro si perfezionò nell'uso delle armi da fuoco, ad Amsterdam studiò la costruzione di fregate da guerra, in Inghilterra si mise a studiare ingegneria navale, frequentò a Woolich le fonderie e si esercitò a tiri di artiglieria.
Il viaggio all'estero fu però interrotto dall'annuncio di una nuova rivolta degli strelcy, che, appoggiati dagli elementi conservatori, credevano, data l'assenza dello zar, di avere un facile successo. La rivolta di questo corpo di pretoriani fu repressa con estrema energia dalle truppe fedeli. Intanto Pietro cercava di tornare a Mosca col massimo di velocità: oramai lo zar era deciso a vendicarsi di quanti lo avevano terrorizzato in passato, di quanti minavano continuamente il suo trono, di quanti cercavano in tutti i modi di opporsi alla sua opera di modernizzazione della Russia. Lo sterminio degli strelcy, compiuto in parte personalmente dallo stesso Pietro, rimane certamente un episodio di eccezionale ferocia repressiva.
Le riforme interne di Pietro, pure essendo dettate da necessità impellenti e avendo un carattere così marcatamente empirico, trasformarono il volto della Russia.
Il servizio militare assunse un aspetto tutto nuovo: fino ad allora i nobili, proprietarî di terre, dovevano, alla mobilitazione, presentarsi equipaggiati coi loro uomini e cavalli; il servizio militare si spostò dalla "terra" alle "persone fisiche"; non poteva oramai più bastare che lo stato sussidiasse i nobili durante la guerra: l'aspetto sempre più complesso delle azioni belliche richiedeva che dell'esercito si interessasse finanziariamente (anche in tempo di pace) esclusivamente lo stato. Dal 1705 la leva militare cominciò a divenire più o meno regolare. La disciplina dell'esercito divenne particolarmente severa. Senza questo rafforzamento dell'esercito la conquista del litorale baltico non avrebbe infatti mai assunto un aspetto stabile (è evidente l'importanza che tale sbocco al mare veniva assumendo per tutti gl'interessi connessi con il commercio). Contemporaneamente ebbe origine la flotta da guerra russa del Baltico.
Le enormi spese causate dalla guerra obbligarono Pietro ad aggravare le imposte; il sale e parecchi altri generi di vasto consumo furono dichiarati monopolio di stato. D'altro lato Pietro ordinò la costruzione di strade e di canali e diede forte incremento all'industria abbassando i dazî sulle materie prime e, da buon mercantilista, tenendo alti i dazî sulle importazioni. L'amministrazione statale tutta quanta fu modernizzata. Al posto della cosiddetta duma dei boiari fu istituito il senato.
Un colpo energico fu dato da Pietro al vecchio ordinamento scolastico quasi interamente costruito su basi teologiche; senza lasciarsi troppo spaventare dalla mancanza quasi totale di un adatto corpo di insegnanti, Pietro istituì delle scuole primarie in cui si insegnavano i primi rudimenti; infine dette incremento allo studio dell'ingegneria, della chirurgia, della geometria. Numerosi giovani furono inviati all'estero affinché vi approfondissero lo studio delle scienze.
Estraneo a ogni considerazione di problemi religiosi e teologici, Pietro richiedeva dalla chiesa ortodossa quella stessa funzione di "utilità" per lo stato che chiedeva all'esercito e alla scuola. Secondo Pietro la religione era "utile", perché senza religione non concepiva una "moralità" dei vasti strati popolari; nei preti egli non poteva concepire che dei funzionarî di stato: invece egli li aveva veduti continuamente coinvolti nelle congiure degli strelcy, sempre disposti ad attribuire ogni sciagura allo sdegno d'Iddio contro l'empio imperatore. Nel 1700 Pietro abolì il "patriarcato"; nel 1721, con la costituzione del "santo sinodo" lo zar trasformò il clero in un autentico organo di stato: i membri del sinodo, con giuramento, dovevano riconoscere in lui il supremo giudice; i vescovi venivano trasformati in veri delatori dei loro sottoposti. Queste riforme religiose di Pietro il Grande acquisteranno un'enorme importanza anche per i due secoli successivi, allorquando il medesimo asservimento del clero allo stato verrà richiesto da imperatori russi i quali non vedranno tale "dipendenza" in funzione di grandiose trasformazioni, ma soltanto di un'immobile conservazione dell'ordine esistente.
Nel complesso, dunque, una politica di energico rinnovamento della vita interna russa, anche se non sempre così totalmente nuova, così priva di legami col passato come si è molte volte supposto. A questo rifacimento interno dello stato moscovita corrispose una politica estera di grande stile, che fece veramente e definitivamente della Russia una potenza europea.
La politica estera di Pietro il Grande. - Alla fine del sec. XVII, era infatti ancora incerta la posizione della Russia in Europa. Mentre l'espansione ad est, nella steppa siberiana, aveva nel corso di un secolo circa fatto progressi tali che sulla fine del '600 già la Russia era padrona degl'immensi territorî settentrionali dell'Asia e già era venuta a contatto diretto con la Cina (il primo trattato fra i due imperi è del 1689); mentre l'opera di colonizzazione procedeva con pieno successo e mentre sorgevano, l'una dopo l'altra, le città che avrebbero anche in seguito costituito i nuclei centrali dell'impero russo nell'Asia (fondazione nel 1587 di Tobolsk, nel 1652 di Irkutsk), l'espansione verso il Mar Nero e il Baltico - i due sbocchi dell'impero - era rimasta interrotta. Gli sforzi di Ivan IV per assicurarsi il dominio del Baltico orientale erano falliti; l'ultimo tentativo contro la Crimea, effettuato nel 1687-1689, si era concluso pure con un insuccesso. E fu precisamente il compito di Pietro il Grande l'aprire alla Russia le vie del sud e dell'ovest.
In un primo tempo, la sua attenzione era stata rivolta esclusivamente alla lotta contro i Turchi e i Tatari, e in modo specifico alla conquista di Azov. Iniziata in tal modo l'offensiva verso il sud, Pietro cerca di accordarsi con la corte di Vienna, dove si reca anzi, nel corso dei suoi viaggi europei, nel 1698. Ma le trattative non riescono e i progetti di coalizione contro i Turchi sfumano. Invece, sia da parte dell'elettore di Brandeburgo, sia da parte dell'elettore di Sassonia e re di Polonia, Augusto II, vengono incitamenti e offerte per un'alleanza contro la Svevia, che, con i suoi possessi a sud del Baltico, e con il suo predominio nel Baltico ha eccitato contro di sé l'ostilità degli altri stati rivieraschi. Particolarmente importanti, al riguardo, i colloquî di Pietro col re di Polonia, a Rawa, nell'agosto del 1698, subito dopo che lo zar, a Vienna, aveva dovuto convincersi dell'impossibilità di una coalizione contro i Turchi: da essi, Pietro uscì definitivamente persuaso della necessità di una lotta contro la Svezia. Un anno più tardi, l'11 novembre 1699, seguiva il trattato d'alleanza fra Russia e Polonia (preceduto a sua volta, il 24 agosto, da un'alleanza Russia-Danimarca); nel 1700 cominciava la guerra nordica che vedeva in campo, contro la Svezia, la triplice russo-polacco-danese.
Pietro, che nell'agosto 1700 aveva concluso la pace coi Turchi, iniziava sulla fine dello stesso mese le operazioni, assediando la città di Narva.
La prima fase della guerra non fu felice: Carlo XII di Svezia, che già aveva costretto la Danimarca alla pace, si volgeva contro l'esercito russo, a cui infliggeva, il 20 novembre 1700, una piena sconfitta davanti a Narva. E negli anni seguenti, se gli eserciti di Pietro riuscirono ad ottener chiari successi nella Livonia e nell'Estonia, poco prosperamente si mettevano le cose nel settore polacco, dove pure combattevano truppe russe a fianco di quelle di Augusto II: nel 1705 un grosso corpo di spedizione russo, venuto in soccorso del re di Polonia, era costretto a retrocedere; nel 1706 la Polonia era costretta a concludere la pace con la Svezia (Altranstädt) e Pietro il Grande rimaneva solo, contro Carlo XII che, nel dicembre 1707, iniziava l'attacco diretto contro la Russia. Ma già la campagna del 1708 rappresentò un successo di Pietro (vittoria di Lesnaja, 28 settembre), che riuscì nel contempo a domare la ribellione dell'etmanno Mazepa (v.) e a rimaner padrone della Piccola Russia; e finalmente la campagna del 1709 condusse al pieno trionfo russo: il 27 giugno, a Poltava, l'esercito svedese era completamente sbaragliato, e Carlo XII doveva salvarsi, rifugiandosi presso i Turchi.
La battaglia di Poltava ebbe ripercussioni enormi. Contro la Svezia insorsero nuovamente Danimarca e Polonia; e Pietro il Grande - al quale pure era riuscita sfavorevole una nuova campagna contro la Turchia, nel 1711, tanto che la Russia fu allora costretta (1712) a cedere Azov nuovamente alla Sublime Porta - poteva preparare la conquista della Finlandia, che veniva effettuata nel 1713-1715. Finalmente nel 1721 la pace di Nystad veniva a por termine al lungo conflitto: per essa, la Russia, se rinunziava alla Finlandia, otteneva tuttavia la Livonia, l'Estonia, l'Ingria e la Carelia.
Pietro il Grande era così riuscito ad aprire al suo impero la via dell'ovest, a farne una grande, anzi ora la più grande potenza baltica, a inserirlo definitivamente nel cosiddetto sistema dell'equilibrio europeo. E valore di simbolo acquistava pertanto la fondazione, da lui effettuata nel 1703, di Pietroburgo, che doveva divenire capitale dell'impero moscovita: simbolo del gravitare dell'impero verso occidente, della sua "europeizzazione" effettuata sia attraverso le riforme interne sia attraverso una politica estera che aveva per diretta conseguenza l'allacciamento politico e diplomatico della Russia con le grandi potenze europee. La guerra nordica infatti, a prescindere anche dai più diretti legami con la Sassonia-Polonia, la Danimarca e il Brandeburgo, per il fatto stesso di essersi intrecciata con la guerra di successione spagnola aveva determinato un più vivo interessamento delle grandi potenze occidentali nei riguardi dell'impero moscovita; e specialmente s'era mossa la diplomazia francese la quale, preoccupata del conflitto che rischiava di annientare il suo "sistema dell'est", il sistema cioè di amicizie e di alleanze con cui essa aveva cercato di creare a oriente una barriera contro gli Asburgo e l'Impero e ch'era basato su Svezia e Polonia, preoccupata che la Polonia cadesse sotto il pericoloso influsso della Russia, aveva prima di Poltava cercato di riavvicinare Svezia e Polonia, e, dopo Poltava, aveva, d'accordo con Carlo XII, eccitato i Turchi alla guerra contro la Russia (la già ricordata campagna del 1711).
Ma era intervenuta, specialmente dopo la morte della regina Anna, avvenuta nel 1714, e l'ascesa al trono di Giorgio di Hannover, anche l'Inghilterra la quale, preoccupata del predominio russo nel Baltico, minacciava invece una coalizione anglo-danese-olandese-hannoveriana (e in più l'Impero) contro Pietro, e creava grossi ostacoli alle operazioni in Germania e nel Baltico. (Per vincere l'ostilità generale contro di lui, Pietro si recò nell'aprile 1717 a Parigi, per proporre alla Francia un'alleanza: senza risultato d'altronde, ché il governo francese, legato allora con l'Inghilterra, non aderì all'offerta).
Tanto forte anzi era divenuto l'intervento delle potenze occidentali nella questione nordica, dopo la pace di Utrecht, che se nella fase finale della guerra Pietro si trovò nuovamente solo, senza alleati, ciò fu dovuto in larga parte all'azione dell'Inghilterra, la quale anzi inviava, nel 1720, la propria flotta nel Baltico (v. nordica, guerra).
Cosicché, se con la pace di Nystad Pietro aveva aperto alla Russia "la finestra sull'Europa", ciò significava non puramente acquisto di nuove terre a occidente, sbocco sul Mare Baltico, acquisto d'influenza e forte penetrazione nella Polonia, ma anche che d'ora in poi la politica russa si sarebbe dovuta attuare in stretta connessione con la generale politica europea.
La Russia dopo Pietro il Grande. - Nell'autunno del 1724, Pietro il Grande era riuscito a salvare una ventina di marinai di una nave che stava affondando presso la foce della Neva. Quello che da principio sembrò un raffreddore, conseguenza dell'eroica impresa, si trasformò in una grave malattia che condusse l'imperatore alla morte (28 gennaio 1725).
Dopo la morte di Pietro, apparve in tutta la sua acutezza il problema della successione. La moglie di Pietro, Eudossia Lopuchina, era stata rinchiusa dallo zar in un monastero; Pietro si era innamorato di una certa Marta Skavronskaja originaria di Marienburg, donna energica e robusta, di famiglia ignota; accettando la religione ortodossa, costei assunse il nome di Caterina; lo zar che aveva avuto da lei due figlie, Caterina ed Elisabetta, finì per sposarla e concederle il titolo di zarina. Ma dal primo letto era nato il principe Alessio: era costui un ragazzo intelligente, ma lento e più portato a una tranquilla vita di studî che al continuo mettersi allo sbaraglio, al continuo ardimentoso sperimentare di suo padre. Alessio divenne in breve l'esponente di tutte le forze conservatrici, di tutti gli avversarî di Pietro il Grande, di tutti i "tradizionalisti" sdegnati dell'abolizione delle vecchie usanze e della cosiddetta esterofilia dello zar.
Frattanto, nell'anno 1715, erano nati a Pietro e ad Alessio due figli i quali si chiamarono ambedue Pietro. Convinto che Alessio avrebbe cercato di render vana la grande opera di trasformazione della Russia, Pietro ordinò ad Alessio di rinunciare al trono; Alessio obbedì e, temendo guai peggiori, si rifugiò all'estero. Con promesse di perdono venne poi fatto tornare in Russia, dove, accusato di ribellione, fu torturato e condannato a morte. Il figlio minore di Pietro era morto ancora fanciullo. Capovolgendo tutta la tradizione, nel 1722, Pietro si era attribuito con un editto la facoltà di nominare un successore. Tuttavia la morte aveva colto lo zar prima che avesse avuto il tempo di applicare l'editto.
Anche se per vincoli di sangue la successione sarebbe spettata a Pietro, figlio di Alessio, ancora bambino, una rivoluzione di palazzo portò invece al trono Caterina. In realtà il vero dominatore della Russia era divenuto il favorito di Caterina, Menšikov. Allo scopo di premunirsi contro un dominio illimitato di questo favorito, numerosi dignitarî erano riusciti a far istituire (1726) il cosiddetto supremo consiglio segreto (primo, se pur tenue, vincolo al potere autocratico), il quale di fatto limitava il potere sovrano in materia di politica estera, nel campo dell'amministrazione, delle finanze, ecc. Ma Menšikov era troppo intelligente per tendere la corda fino all'estremo: egli si rendeva conto dell'opposizione di vasti strati contro l'"usurpatrice" e, con mossa indiscutibilmente abile, ottenne che Caterina (la cui salute si era fatta cagionevole) nominasse suo successore Pietro, figlio di Alessio. Contemporaneamente il giovane Pietro fu obbligato a fidanzarsi con Maria, figlia dello stesso Menšikov. Una congiura contro questi progetti fu scoperta e repressa severamente.
Morta Caterina nel maggio del 1727, Menšikov ebbe per qualche mese il dominio assoluto della Russia, ma una nuova congiura, di cui i principali ispiratori erano i principi Dolgorukij, questa volta riusciva: Menšikov venne esiliato ed in breve morì in un lontano luogo di deportazione.
Nonostante le sue ambizioni personali e le sue insufficienti capacità per dominare di fatto un grande impero, Menšikov continuava in certo qual modo talune linee riformatrici di Pietro il Grande.
Con la sua caduta, i principi Dolgorukij divennero i nuovi padroni. La corte tornò a Mosca e riprese su tutta la linea un "tono" conservatore. Ma il giovane Pietro II morì già nel 1730, frustrando in tal maniera parecchi piani accuratamente studiati. Il potere era nelle mani del senato, del sinodo e del supremo consiglio segreto.
La corona fu offerta ad Anna, duchessa di Curlandia, nipote di Pietro il Grande. Ma il supremo consiglio segreto le aveva imposto delle "condizioni" (divieto di conceder feudi, di dichiarare la guerra, di imporre contribuzioni, ecc.,) che avrebbero quasi interamente esautorato l'imperatrice e dato di fatto il potere allo stesso supremo consiglio. Sennonché la maggioranza della nobiltà era a sua volta contraria al supremo consiglio segreto, nel quale - invece di una rappresentanza dei nobili - vedeva un'oligarchia. Anna seppe approfittare di questo dissidio, strappò i patti firmati, riprese la tradizione autocratica, concedendo dall'alto privilegi veramente notevoli alla classe nobiliare (compresa la media e bassa nobiltà). Energica, ma ignorante, crudele, piena di curiose superstizioni, Anna cedette sempre più le redini dello stato a un suo favorito, Biron, pure curlandese, per influsso del quale l'elemento tedesco delle regioni baltiche prese un deciso sopravvento nelle alte cariche. Le casse dello stato risentivano ancora gli effetti delle guerre di Pietro il Grande, la corte menava una vita dispendiosa, varie carestie avevano aggravato la situazione: un sistema fiscale concretantesi in feroci spedizioni punitive contro i contribuenti morosi aveva esasperato contadini e proprietarî terrieri. La simpatia iniziale di vasti strati della piccola e media nobiltà venne così gradualmente meno.
Alla morte di Anna, venne dichiarato erede al trono un suo parente, il neonato Giovanni. Con un rescritto, Anna aveva nominato reggente Biron. L'odio contro Biron era accentuato in vasti strati di popolazione dal fatto che l'ex-favorito era di nazionalità tedesca. Inoltre le correnti di opposizione - generalmente più o meno discordi tra di loro - avevano fissato i loro sguardi su Elisabetta, figlia minore di Pietro il Grande. A una certa distanza oramai dalla morte del grande zar, del quale di più in più si ricordavano soltanto le qualità e i meriti, Biron fu rovesciato da un complotto militare, al quale seguirono altre più o meno importanti rivolte di palazzo. Elisabetta stessa, profittando della congiuntura per lei favorevole, si proclamò imperatrice alla fine del 1741.
Elisabetta e Pietro III. - Vivace, ma superficiale e futile, Elisabetta non cambiò il tono di vita della corte: dominavano i favoriti, si susseguivano spese folli. Ai gusti tedeschi di Anna subentrò con Elisabetta un più raffinato stile francese, non disgiunto da una nota spiccatamente russa, anzi proprio moscovita, della nuova imperatrice. Se Anna e il suo favorito Biron avevano nutrito il più vivo disprezzo per le tradizioni popolari russe (in fondo essi vedevano nella Russia solo un immenso territorio capace di dare occupazione e prebende a numerosi Tedeschi), Elisabetta amava istintivamente queste tradizioni autoctone. Anche gli uomini a cui affidava incarichi importanti erano russi.
La pena di morte fu sostituita in molti casi da punizioni corporali; sorse un'Accademia di belle arti (Pietroburgo), fu fondata la prima università (Mosca, 1755), fu dato dall'imperatrice un indirizzo generale nel quale non a torto si notarono alcuni tratti di assolutismo illuminato.
Alla morte di Elisabetta (25 dicembre 1761-5 gennaio 1762), le succedette al trono il nipote Pietro (Pietro III). Nato nel Holstein, educato luteranamente per salire un giorno al trono di Svezia, egli mostrò fino dall'inizio disprezzo e avversione contro la Russia di cui il destino lo aveva messo alla testa. Grossolano e puerile, era ammiratore di Federico II, di tutto ciò che era tedesco e svedese e non nascondeva a nessuno, nemmeno per misura di prudenza, la sua antipatia per il popolo russo. Il suo atteggiamento cinico e buffonesco dimostrato in varie occasioni, per esempio in occasione dei funerali di Elisabetta, avevano rafforzato le voci che l'imperatore fosse un pazzo. La sua mentalità tirannica, mai uscita da uno stadio infantile, e la sua educazione luterana lo spinsero a prendere gravi provvedimenti contro la chiesa ortodossa. Non solo si prendeva continuamente beffa dei riti ortodossi, ma arrivò addirittura a dare ordine che le "cappelle private" venissero chiuse; inoltre tentò di far togliere le immagini sacre dalle chiese russe e di obbligare il clero a vestirsi in abito civile. Lo sdegno di tutti i ceti contro Pietro III cresceva rapidamente. La moglie dell'imperatore, Caterina, vittima ella stessa delle stranezze e delle grossolanità di Pietro, lo detronizzava (alla testa di vari reggimenti) il 28 giugno (9 luglio) 1762.
La politica estera russa dalla morte di Pietro il Grande all'avvento al trono di Caterina II. - La stretta connessione tra politica estera russa e politica generale europea caratterizzava, come s'è visto, alla morte di Pietro il Grande l'azione del governo di Pietroburgo. Ai suoi successori, sino a Caterina II, mancò il senso politico, l'abilità e risolutezza di manovra del fondatore della nuova Russia; e quindi i risultati furono o scarsi o addirittura negativi: ma non mutò, anzi si accentuò quel vivere della Russia nella generale atmosfera europea, che costituiva forse il massimo risultato dell'opera di Pietro e che doveva rappresentare un evento d'importanza fondamentale per la storia dell'Europa. Talché, dall'inizio del secolo XVIII in poi, la stessa questione dello sbocco nel Mar Nero, della lotta contro i Turchi - che prima il governo di Mosca aveva cercato di affrontare e risolvere per conto proprio - s'innesta su di un piano generale europeo: sorge la questione d'Oriente, nella quale la Russia si trova, d'ora in poi, sino al 1914, - affiancata alleata o nemica - l'Austria.
E lo si vide chiaramente nella nuova guerra contro la Turchia, iniziata nel 1736, condotta a termine nel 1739: guerra condotta in un con l'Austria (l'alleanza austro-russa contro i Turchi risaliva già al 1726) contro la Sublime Porta, contrassegnata per i Russi da una grande vittoria ottenuta il 17 agosto 1739, in seguito a cui l'esercito russo entrava in Iaşi, e chiusa per l'Austria con la pace di Belgrado, per i Russi con la pace di Costantinopoli. La quale però non costituì certo un gran successo per il governo russo: infatti Azov, pur già occupata, veniva costituita in zona neutrale di frontiera. Insuccesso finale - simile a quello dell'Austria - ch'era dovuto in gran parte all'azione diplomatica francese, sempre patrona della Turchia contro Russia e Austria.
Ma la stessa guerra contro la Turchia era sorta in stretta connessione con un'altra questione: la questione polacca.
Il deciso intervento di Pietro il Grande nella vita del vicino stato, la sua aspirazione a far della Polonia uno stato vassallo, si continuava infatti, sotto l'imperatrice Anna, nel 1733, alla morte di Augusto II, nell'intervento armato dell'esercito russo per costringere la dieta polacca a eleggere re il figlio, Augusto III, al posto del polacco Stanislao Leszczyiński, suocero del re di Francia Luigi XV, che i nobili polacchi già avevano designato come capo dello stato.
L'atto di forza del governo di Pietroburgo determinò lo scoppio della guerra di successione polacca, sulla quale appunto doveva innestarsi, nel 1736, la guerra contro i Turchi. E se quest'ultima doveva concludersi sostanzialmente a svantaggio della Russia, la guerra polacca, terminata già nel 1735, dava invece ai Russi virtualmente mano libera in Polonia, che da allora rimase per tutto il regno di Augusto III, sotto la tutela effettiva del governo russo (v. polonia).
Ma la questione polacca aveva ancor più avvicinato Russia e Austria; l'intervento russo nel 1733 in Polonia era avvenuto previo accordo con l'imperatore, che aveva con ciò voluto assicurarsi l'alleanza russa contro la Turchia e si era anche assicurata l'approvazione del governo di Pietroburgo alla "prammatica sanzione". Così all'inizio della guerra di successione austriaca la Russia era impegnata con l'Austria; mentre d'altra parte v'erano i legami con la Prussia - legami originati dalla comune ostilità e lotta contro la Svezia -, la quale Prussia si univa proprio allora con la Francia contro l'Austria.
Ne derivarono e l'azione mediatrice e conciliatrice fra Berlino e Vienna che il governo russo cercò di esplicare e l'azione della Francia per immobilizzare la Russia: azione che conduceva alla guerra della Svezia - la grande vassalla nordica della corte di Parigi - contro la Russia (1741-1742).
Tale la situazione internazionale al momento dell'ascesa al trono della zarina Elisabetta e della caduta dei "Tedeschi". Il rivolgimento interno pareva dovesse ripercuotersi fortemente sulla politica estera, data l'attiva partecipazione della diplomazia francese al colpo di stato: ma la guerra contro la Svezia impedì tuttavia in un primo momento che l'influsso francese a corte determinasse un diverso orientamento della Russia nei riguardi della guerra continentale. Solamente quando la pace di Abo (giugno 1743) ebbe posto fine alla guerra svedese (la Russia acquistò in Finlandia il distretto di Kymmenagor), riprese diretto l'interesse per gli affari europei.
Continue e insistenti furono le manovre diplomatiche attorno a Elisabetta per accaparrarsene l'aiuto: ma ciò nonostante la politica russa finì con il rimanere sostanzialmente inattiva: ora orientandosi in senso nettamente antiaustriaco; ora invece preoccupata dei successi di Federico il Grande di Prussia, orientandosi in senso antiprussiano. In ultimo, le preoccupazioni per il pericolo prussiano finirono però con l'avere il sopravvento: nel maggio 1746 veniva infatti stipulato un trattato di alleanza austro-russo, a cui seguiva, nel 1747, un nuovo trattato russo-inglese; alla fine del '47 finalmente la zarina Elisabetta inviava un esercito sul Reno e nei Paesi Bassi.
La rapida conclusione della pace (Aquisgrana, 1748) fece sì che la partecipazione russa alla guerra non avesse effetto concreto: ma dall'alternativa di atteggiamenti e di opinioni che avevano caratterizzato la politica russa nella prima fase della guerra si era ora passati ad una ferma constatazione: la Prussia costituiva un pericolo, e per l'equilibrio europeo in genere, e in particolare per la Russia, data la questione polacca. Questo principio guida la politica russa nel periodo 1748-1761.
Ché se subito dopo la pace di Aquisgrana il contrasto russo-prussiano si ripercuote immediatamente in senso sfavorevole nelle relazioni con la Francia, ancora amica di Federico il Grande, quando avviene il "capovolgimento delle alleanze" (1756), quando cioè avviene il riavvicinamento austro-francese, la Russia è, per forza di cose, condotta ad unirsi anch'essa con la Francia: ne derivano la coalizione antiprussiana e la guerra dei Sette anni (v.). La quale, iniziata dai Russi nel 1757 con la vittoria non sfruttata di Grossjägerdorf, si proseguiva con l'occupazione di Königsberg (1758); nell'agosto 1758 la sanguinosa sconfitta di Zorndorf toglieva ai Russi le possibilità offensive, ma nel 1759 riprendevano i successi, con la grande vittoria di Kunersdorf, e nell'ottobre 1760 le truppe russe invadevano il Brandeburgo, occupando la stessa Berlino. Ma la morte della zarina Elisabetta (5 gennaio 1762) e l'ascesa al trono russo di Pietro III pose bruscamente fine alla lotta. Pietro infatti, ostilissimo a Francia e Austria, d'altro lato fanatico ammiratore di Federico II, interruppe le operazioni militari e concluse la pace con la Prussia.
L'imperatrice Caterina II. - Tedesca, nata a Stettino nel 1729, Sofia Augusta Federica, chiamata Caterina dopo l'accettazione della religione ortodossa, all'età di quattordici anni andò sposa al quindicenne Pietro. Vivace e irrequieta, amava le partite di caccia e leggeva con interesse Madame de Sevigné, Montesquieu, Voltaire; si capisce quindi il suo sdegno contro il marito sciocco, infantile e crudele, si capisce anche come fino dai suoi giovani anni le idee di tolleranza religiosa, di avversione all'"oscurantismo", il desiderio di riformare la giustizia, di curare (con atteggiamento sempre da benefattrice) il benessere del popolo, fossero opinioni e atteggiamenti ormai penetrati abbastanza profondamente nella sua visione della vita. Ciò non esclude naturalmente la superficialità e il dilettantismo delle sue letture, né significa che l'illuminismo e umanitarismo (riflesso tipico di letture francesi) dell'imperatrice Caterina non si trasformasse assai radicalmente allorquando la rivoluzione francese (e qualche eco che tale rivoluzione aveva avuto in Russia) mostrarono il "pericolo" latente in certi libri.
Pietro III, poco dopo la sua detronizzazione, veniva ucciso in una lite tra ubriachi. Ciò facilitava certo la posizione di Caterina, anche se in varî circoli si mormorava di una sua complicità. Ma nei primi tempi le difficoltà non mancarono: rivolte di contadini, complotti contro il favorito Gregorio Orlov, tentativi di detronizzare la stessa "usuripatrice". Le congiure di palazzo, gli arbitrî di ogni genere, le usurpazioni del potere, lo sperpero del denaro statale, le repressioni sanguinose, erano oramai divenute una tradizione dell'impero russo.
In breve però si poté notare che, se l'avvento al potere di Caterina era avvenuto col tradizionale sistema del complotto militare, le sue intenzioni di governo erano certamente nuove: Caterina viaggiava nelle provincie più remote dell'impero per vedere sul luogo i bisogni delle popolazioni, partecipava direttamente alle riunioni del senato, rinunciava a perseguitare chi in passato le era stato contrario.
L'autocrazia andava prendendo un diverso stile: e si rafforzava proprio in quanto assimilava (in parte almeno) idee e sistemi nuovi - che, nel loro ulteriore, logico sviluppo, dovevano naturalmente minare a loro volta le basi dell'autocrazia.
Caterina si mostrò così la continuatrice in certo qual modo dell'opera di Pietro il Grande, anche se, a differenza dell'integrale empirismo di Pietro, l'imperatrice non voleva esperimenti, ma si ispirava invece alle idee sviluppatesi nel paese di Descartes: tutti i suoi progetti di riforme non erano che un tentativo di applicare conseguentemente i pensieri degli enciclopedisti e degli illuministi. Filosoficamente agli antipodi di Pietro, Caterina era ad ogni modo dopo di lui la prima dominatrice della Russia che avesse una visione coraggiosa e integrale dei bisogni di un grande stato: anche in quanto difenderà i proprî interessi e gli interessi egoistici di quei ceti su cui prevalentemente poggerà il potere imperiale, lo stato non le apparirà mai solo come un mezzo per soddisfare odiosi arbitrî e meschini capricci.
Nel suo famoso nakaz, anche se attenuato grandemente dal primitivo progetto dopo le critiche dei suoi guardinghi consiglieri, si afferma senza dubbio l'ideologia di un'epoca nuova. Illuminismo umanitarismo, interessamento reale per il benessere del popolo: ma tutto viene concesso dall'autocrate; gl'interessati non hanno che da accettare con gratitudine i favori concessi né saranno mai concepiti come soggetti di postulati, di richieste, di desiderî d'innovazione. Si va formando così un abito mentale che si attacca anche a molti "riformatori" dell'intelligencija, i quali vedranno sempre ogni cambiamento come opera dello zar o degli intellettuali: il "popolo" per cui si pensa, si lavora, si soffre, è l'eterno bambino al quale si contrappongono gli "adulti". Timore dell'intrapresa individuale, timore di iniziative indipendenti: né si dimentichi appunto la quasi totale assenza di una borghesia di tipo francese e inglese (questo dato di fatto rendeva molto astratta l'applicazione alla Russia delle idee che erano concrete e attuali nella Francia del Settecento).
Autocrazia dunque, ma autocrazia che obbliga il sovrano a fare ogni sforzo per il bene dei sudditi; rispetto, almeno nelle enunciazioni, di tutte le religioni dell'immenso impero; la tortura viene ritenuta non solo un procedimento giudiziario barbaro, ma inadatto allo scopo che si prefigge; la libertà dell'uomo, l'aspirazione all'uguaglianza vengono proclamate dall'alto: e nonostante il tono estremamente vago e astratto di queste enunciazioni, è evidente l'immenso significato che hanno. Anche attenuato dai prudenti consiglieri, il nakaz di Caterina rappresenta dunque un'affermazione estremamente importante nella vita della Russia: le idee del Settecento francese prendono piede in mezzo all'élite intellettuale, scacciando vecchie abitudini e vecchi pregiudizî d'impronta asiatica, o, molto più spesso, fondendosi curiosamente con quelle abitudini e con quei pregiudizî.
Il nakaz era stato scritto per una "commissione", la quale se ne doveva ispirare per i lavori necessarî alla realizzazione delle riforme: infatti nell'estate del 1767 la "commissione" fu inaugurata; vi partecipavano quasi seicento rappresentanti dei varî ceti; assai caratteristico il fatto che il clero non vi aveva la sua rappresentanza; senza rappresentanza era naturalmente anche la massa dei servi della gleba. I lavori della "commissione" mostrarono in breve che le idee riformatrici di Caterina erano realmente riuscite ad accelerare il ritmo della vita russa, a svegliare idee ed interessi, a creare differenziazioni; ma mostrarono altresì l'astrattismo di quelle idee, l'impossibilità di decretare dall'alto formule "illuminate" accettabili per tutti i ceti, capaci di impedire l'urto ormai inevitabile di forze concrete che avevano cambiato l'antico rapporto tra di loro, le vecchie posizioni, e cercavano necessariamente nuovi rapporti, nuove posizioni di stabilità. La nobiltà (non sempre unita, perché gl'interessi dei grandi proprietarî non coincidevano naturalmente con quelli dei piccoli proprietarî) richiedeva però in blocco maggiore severità penale contro le continue fughe dei servi della gleba, cercava di ottenere il dominio più o meno completo nella polizia provinciale, soprattutto voleva "proteggersi" contro la concorrenza dei borghesi nel commercio. I mercanti, a loro volta, volevano l'esclusione della nobiltà dal commercio: in poche parole, accanto all'aristocrazia del sangue volevano costituire gradualmente un'aristocrazia del denaro; essi erano anche contrarî alle richieste dei contadini, i quali desideravano di poter esercitare marginalmente il commercio, accanto ai lavori agricoli.
La Russia venne divisa in cinquanta governatorati; finanze, giustizia e amministrazione furono separate; le posizioni della nobiltà si trovarono però nonostante questi cambiamenti ad essere di fatto rafforzate: nella nobiltà Caterina vedeva sempre più il principale appoggio del trono. Ai nobili era aperta la scelta tra esercito e burocrazia, essi soli potevano possedere contadini, non erano gravati da imposte, potevano in ogni circostanza rivolgersi al sovrano per mezzo dei loro rappresentanti: e questi erano soltanto alcuni dei privilegi principali della nobiltà. In tal modo agli effetti pratici l'illuminismo di Caterina andava sempre più assumendo l'aspetto di un mutuo appoggio fra trono e nobiltà: per la massa dei contadini le enunciazioni umanitarie erano certo di assai tenue utilità. Tutte le volte che l'appoggio integrale dei nobili sembrava indispensabile a Caterina (non si dimentichino le circostanze della sua conquista del trono), ella non esitava a minacciare col massimo di severità eventuali velleità autoliberatrici dei contadini. Varie ordinanze dell'imperatrice peggiorarono anzi (specialmente in talune regioni) la situazione delle masse contadine, le quali, di fatto, dovevano integralmente pagare con il loro sudore e col loro sangue i vastissimi privilegi ottenuti dai nobili, saldo presidio oramai dell'autocrazia illuminata.
Il malcontento era diffusissimo tra i servi della gleba, come tra i "contadini di stato"; si aggiungeva l'ostilità di popolazioni non russe espropriate a vantaggio della colonizzazione russa ed obbligate ad abiurare la propria fede, in netto contrasto con le affermazioni di tolleranza. Emeljan Pugačev fu l'uomo che diede forma concreta d'insurrezione al malcontento delle masse contadine. Ai popoli non russi egli garantiva il possesso delle terre, a tutti i contadini prometteva la liberazione dalle iniquità e dai soprusi dei proprietarî; ai Cosacchi prometteva terre e abolizione di tributi. Nel suo programma, decisamente rivoluzionario per la Russia del Settecento, s'inserivano alcune rivendicazioni per il ripristino di vecchie usanze; egli sperava inoltre di poter contrapporre la "corona" ai nobili. Nel 1773 gli Urali erano in piena rivolta, nel 1774 la rivolta si era estesa alla regione del Volga; grandi città erano cadute nelle mani degli insorti; molti nobili furono trucidati dai rivoltosi. Caratteristico il fatto che gli strati popolari della stessa Mosca simpatizzavano, come risulta da documenti del tempo, assai palesemente per Pugačev e le sue bande. La repressione si fece particolarmente energica e spietata nel 1774; dopo una grave sconfitta dei ribelli presso Caricyn il movimento poteva considerarsi sostanzialmente domato. Lo stesso Pugačev venne giustiziato non molto dopo.
L'insurrezione di Pugačev, per l'enorme estensione che aveva preso, per le evidenti simpatie destate da essa tra vasti strati di popolo anche in regioni rimaste tranquille, per la concretezza di molti postulati del capo della rivolta, non era ormai una delle solite ribellioni locali di contadini. Superficiale e leggiera, ma senza dubbio intelligente, Caterina capiva che certi libri di moda in Francia erano non soltanto interessanti, ma anche pericolosi. Le enunciazioni illuministiche cominciarono ad apparirle in grado sempre maggiore sotto un'altra luce dopo una così formidabile ribellione "dal basso". E doveva seguire relativamente presto la rivoluzione francese, che rafforzò nell'imperatrice la convinzione della perniciosità di quei libri che ella stessa aveva oramai su così vasta scala diffuso in tutta la Russia.
Ciò spiega come l'autore di un famoso libro, il Viaggio da Pietroburgo a Mosca (1790), Radiščev, venisse per ordine di Caterina deportato in Siberia. Il libro del Radiščev era una spietata disamina delle condizioni di vita in cui viveva l'immensa maggioranza dei contadini. Il Radiščev si ispirava a quelle identiche fonti illuministiche a cui si era per tanto tempo ispirata Caterina, ma, nonostante varie contraddizioni spicciole e assai forti speranze nell'opera di sovrani illuminati, c'era già un tono rivoluzionario nel suo libro. I principali postulati del pensiero liberale si trovano affermati nel Viaggio del Radiščev; a questo non cambia nulla la superficialità tutta settecentesca di molte sue pagine: ma accanto a idee liberali si afferma pure intensamente il "problema sociale": questo fatto è forse caratteristico per gli ulteriori sviluppi del liberalismo in Russia, sempre compresso tra l'autocrazia e la latente insurrezione delle masse popolari, non abbastanza forte per trasformare la prima, incapace di guidare il "popolo" incerto sempre sui mezzi da seguire.
Nonostante l'allontanamento negli ultimi tempi dai suoi ideali giovanili, il "periodo di Caterina" significa un grande sviluppo in senso illuministico della cultura russa: anche i borghesi furono ammessi in numerose istituzioni culturali; grande incremento fu dato all'istruzione popolare; sorsero numerose scuole superiori, furono scientificamente studiate regioni attardate della Russia, fu fomentata l'attività scientifica tutta quanta, le pubblicazioni giornalistiche ed erudite ebbero un formidabile incremento.
La politica estera di Caterina II. - Come nella politica interna, così anche nella politica estera il regno di Caterina II ebbe importanza fondamentale nella storia russa. Quei piani di espansione verso ovest e verso sud, che Pietro il Grande aveva formulato, riuscendo egli stesso ad eseguirne la prima parte - lo smantellamento del predominio svedese nel Baltico -, e ponendo le basi del predominio russo in Polonia, vennero ora ripresi con continuità di metodo e abilità diplomatica, sì che ad opera di Caterina veniva ripresa la marcia verso gli Stretti e risolta totalmente la questione polacca.
Fu appunto quest'ultima a determinare l'orientamento politico generale della zarina e dei suoi consiglieri nei primi anni di regno: ché, apertasi nel 1763 la successione al trono polacco per la morte di Augusto III, la Russia si accordava con la Prussia (trattato di alleanza dell'aprile 1764). L'alleanza russo-prussiana, che significava il deciso abbandono della politica di accordo stretto con l'Austria, iniziata sotto la zarina Anna e sviluppata nel periodo della regina Elisabetta, assicurava il consenso di Federico il Grande all'elezione a re di Polonia del candidato voluto da Pietroburgo, Stanislao Poniatowski; e Caterina, prima riluttante, vi si era dovuta piegare. E in realtà l'accordo significava nel complesso un successo per la Prussia, che vedeva, a sua volta, riconosciuto dal governo di Pietroburgo un diritto d'intervento nelle questioni polacche, e si assicurava in tal modo una compartecipazione agli utili, nel caso ormai già ben previsto, di mutilazioni territoriali della Polonia; che, soprattutto, si vedeva assicurata contro ogni ritorno offensivo franco-austriaco e consolidava così definitivamente la sua posizione di grande potenza dell'Europa centrale.
Il problema polacco, che aveva condotto Caterina sulla via degli accordi russo-prussiani, determinava così tutto un orientamento della politica estera russa che sarebbe sostanzialmente sopravvissuto, anche dopo la fine della questione polacca, e avrebbe influenzato largamente lo svolgimento della storia europea sino agli ultimi decennî del secolo XIX.
Vero è che, approfittando dei disordini interni della Polonia (v.), Caterina cercava di forzare la situazione a proprio esclusivo vantaggio, imponendo nel 1768 alla Polonia quel trattato di alleanza che significava la completa sottomissione della Polonia alla Russia: ma, a questo punto, come già nel terzo decennio del sec. XVIII, e nuovamente anche in seguito all'abile lavorio della diplomazia francese sulla questione polacca s'innestò la questione turca: la Turchia scendeva nuovamente in guerra contro l'impero moscovita (ottobre 1768). La guerra - importante anche per il primo apparire di una flotta russa, proveniente dal Baltico, nel Mediterraneo e per una grande vittoria navale russa (4 luglio 1770) - procedeva felicemente per le armi russe, che nel 1770 erano padrone della Moldavia e della Valacchia; in Polonia i confederati di Bar erano ridotti all'impotenza.
Ma, a questo punto, Caterina si trovò di fronte Federico II. Con un serrato ed abilissimo giuoco diplomatico, il re di Prussia si riavvicinava all'Austria; e riusciva ad imporre alla zarina, preoccupata delle intenzioni austriache (era imminente un'alleanza austro-turca), l'accordo a tre, russo-austro-prussiano, per la prima spartizione della Polonia (v. polonia: Storia).
Il piano di Caterina, di rimaner sola padrona nella pianura polacca, era così fallito. E tuttavia la Russia otteneva, in virtù del trattato di spartizione del 1772, la Russia Bianca; mentre, nel 1774, col trattato di Kücük Kainarge, che poneva fine alla guerra contro la Turchia, otteneva, non soltanto Azov e alcuni altri territorî, ma soprattutto il diritto di libera navigazione nel Mar Nero e il libero passaggio nell'Egeo, e, sostanzialmente, la protezione dei cristiani di rito ortodosso viventi entro le frontiere dell'impero ottomano. Grosso successo dunque, che compensava ad usura la Russia della rinunzia ad un totale controllo sulla Polonia e che assegnava alla Russia la parte preponderante nella "questione d'Oriente".
Con l'accordo per la spartizione della Polonia e il riavvicinamento austro-russo era definitivamente tramontato il "sistema" che Caterina II e il suo ministro Panin, per ispirazione dell'ambasciatore russo a Copenaghen, barone Korff, avevano voluto porre a base della politica estera russa: cioè il cosiddetto "accordo del nord".
L'accordo era stato concepito, nel 1764, come alleanza fra la Russia, la Prussia, l'Inghilterra, l'Olanda, la Svezia, la Danimarca, la Sassonia e la Polonia, per contrapporre un blocco compatto di forze al raggruppamento franco-spagnolo-austriaco. Era poi praticamente rimasto allo stato di puro progetto, per la recisa opposizione di Federico II di Prussia.
Il periodo che seguì alla pace di Kücük Kainarge fu sopra tutto caratterizzato dall'accordo austro-russo circa la Turchia. L'iniziativa partì, anche questa volta, come per la spartizione della Polonia, non da Caterina II, la quale anzi, sotto l'influsso ora di Potemkin, meditava la conquista dell'impero turco, e accarezzava, nel 1779, l'idea della ricostituzione dell'impero bizantino, con a capo un principe russo, bensì dall'altra parte in causa, cioè da Giuseppe II imperatore. Sebbene nella guerra di successione di Baviera l'atteggiamento russo fosse stato non favorevole all'Austria, la corte di Vienna si decise a cercar l'allenza russa: Giuseppe II si recava a visitare Caterina II nel 1780; nel maggio 1781 i due stati concludevano il trattato che poneva così, accanto all'alleanza russo-prussiana, l'alleanza russo-tedesca. Anche questa volta, dunque, ai primitivi sogni di una conquista totale per conto proprio, si sostituì, al momento della realizzazione, il progetto di spartizione dell'impero turco.
Così Caterina II, che già nel 1779 con la convenzione di Ainali Kawak aveva strappato alla Turchia altre concessioni, poteva nell'aprile 1783 proclamare l'annessione della Crimea, del Taman e del Kuban′ all'impero russo (riconosciuta dalla Turchia l'anno appresso).
Ma sulla via di Costantinopoli Russi e Austriaci trovarono l'Inghilterra, che cominciava a sostituirsi alla Francia nella protezione dell'impero ottomano contro le due potenze continentali. E poiché anche la Prussia era ora preoccupata sia dell'amicizia austro-russa, che aveva una nuova, palese manifestazione quando Giuseppe II accompagnava Caterina II nel suo viaggio in Crimea nel 1787, sia di un aumento di potenza dell'Austria in seguito a conquiste nei Balcani, così la situazione internazionale si complicò in senso non favorevole agli interessi russi (alleanza anglo-prussiana del 1788). Cosicché, quando sulla fine del 1787 si riaccese la guerra fra Russia e Austria da una parte, e Turchia dall'altra, la prima si vide assalita dalla Svezia (dietro a cui ora stava non più la Francia ma l'Inghilterra) e implicata in una nuova guerra nordica (1788-1790). Le armi russe riportarono bensì brillanti successi (controbilanciati d'altronde dagli insuccessi austriaci): ma la pressione anglo-prussiana divenne ad un certo punto così netta e forte, che Caterina II, lasciata sola d'altronde all'ultimo, perché l'Austria concludeva per prima la pace con la Turchia (Sistova, 1791), doveva decidersi ad accettare la battuta d'arresto nei suoi piani d'espansione: la pace di Iaşi (1792) riconosceva alla Russia i confini del Dnestr, ma per tutto il resto non faceva se non confermare i precedenti trattati.
Fermata sulla via dei Balcani, Caterina II cercava il compenso in Polonia: la seconda spartizione della Polonia (1793), fra Russia e Prussia, aggiungeva all'impero moscovita la Volinia, la Podolia e il territorio di Minsk; la terza e ultima spartizione, avvenuta nel 1795, fra Russia, Austria e Prussia, dava a Caterina II la Lituania e la Curlandia. Per tal modo, alla fine del suo regno, Caterina II aveva portato a compimento, verso occidente, l'espansione russa.
Lo zar Paolo I. - Figlio di Pietro III, Paolo era convinto che la morte del padre fosse stata causata da Caterina. Perciò egli vedeva in Caterina l'usurpatrice di un trono che avrebbe dovuto spettare a lui. A somiglianza del padre, Paolo aveva una grande passione per le uniformi militari, per i pennacchi e le parate. Era grossolano ed eccitabile, altre volte cupamente depresso e trasognato; reazionario per istinto, dissentiva profondamente dalle ideologie di Caterina; fatti personali acuivano il dissenso: per esempio Caterina si era presa l'incarico di educare lei i due figli di Paolo, Alessandro e Costantino; il padre aveva dovuto cedere. Questa continua dipendenza dalla volontà di Caterina aveva forse contribuito ad esasperare il carattere di Paolo nei suoi rapporti con le altre persone; sospettoso, irritabile, vendicativo, egli si fece ben presto odiare da quanti lo avvicinavano.
Morta Caterina il 6 novembre 1796 (un tentativo da lei fatto per fare abdicare dal trono Paolo in favore del figlio Alessandro era fallito), Paolo divenne zar. L'autocratica imperatrice Caterina, aperta a idee nuove, sempre disposta a elaborare progetti e riforme, mai ristretta nei suoi orizzonti politici e coraggiosa spesso nelle iniziative, aveva dovuto lasciare il trono a un imperatore che nell'autocrazia introduceva una mentalità meschina e vendicativa, che nei "sudditi" vedeva altrettanti ribelli potenziali da tenere buoni con la minaccia continua di punizioni. Un'altra volta era cominciata un'era nuova nella storia della Russia.
Nell'esercito Paolo introdusse ridicole uniformi e ridicoli passi di parata; in tutti i campi egli si sforzava di abolire quanto era stato fatto sotto Caterina; un'etichetta sempre più servile e assurda fu introdotta a corte; punizioni crudeli si susseguivano per trasgressioni insignificanti o per supposte trasgressioni; fu vietata l'introduzione di libri in Russia; chi oggi sembrava il favorito era deportato domani. Nelle stesse repressioni mancava una logica, una linea continuativa.
La politica estera di Paolo I. - Il breve regno dello zar Paolo fu, in politica estera, contrassegnato soprattutto dal suo atteggiamento di fronte alla Francia e a Napoleone. Già sin dal 1792 la madre, Caterina II, aveva assunto un atteggiamento di netta ostilità nei riguardi della Francia rivoluzionaria, ostilità non smentita nemmeno in seguito. Sennonché nella concezione dell'imperatrice, che rimaneva sempre ostinatamente avvinta ai due sogni della sua vita, la conquista della Polonia e quella dell'impero turco, la lotta contro la Francia non doveva servire che da mezzo per concentrare sul Reno l'attività dell'Austria e della Prussia, e poi anche per assorbire le forze del governo inglese, sì da lasciare alla Russia mano libera sia nella pianura polacca (la seconda e terza spartizione della Polonia avvengono - è bene rammentarlo - proprio in questo periodo) sia nella pianura moldavo-valacca. Come una volta la Francia monarchica aveva eccitato Svezia e Turchia contro la Russia di Pietro il Grande, così ora la Russia di Caterina II cercava di addossare sulla Francia le potenze dell'Europa centrale e continentale: la grande imperatrice cercava di sfruttare una situazione generale favorevole per svolgere il proprio particolare programma politico. Pertanto, la partecipazione effettiva russa alle guerre di coalizione sino al 1795 era stata nulla.
E anche nei primi tre anni di regno dello zar Paolo la situazione non mutò: ma questa volta non per un ben calcolato piano, per cui l'inazione contro la Francia significasse invece azione decisa contro i Turchi. Più semplicemente, la Russia rimase inerte. Solo quando la politica estera del Direttorio assunse chiaramente scopi offensivi, nei riguardi della stessa Russia (progetto Sieyès del 1798, di ricostituire la Polonia sotto gli Hohenzollern, e di spingere la Prussia verso oriente), e quando l'occupazione di Malta da parte dei Francesi e la spedizione d'Egitto di Napoleone Bonaparte fece palese il pericolo che gli interessi russi correvano nello stesso Oriente, solo allora Paolo I si decise alla guerra effettiva, a partecipare alla coalizione del 1799, con l'Inghilterra, l'Austria, il regno di Napoli e la stessa Turchia. Ma quel che mancava a Paolo I era precisamente il senso politico della madre Caterina, la capacità di sfruttare la situazione generale europea per il raggiungimento dei fini specifici della Russia, l'accortezza del giuoco diplomatico: donde le delusioni ch'egli doveva subire e il brusco rovesciamento, nel corso dello stesso anno 1799, della sua politica. Anch'egli infatti mirava ad approfittare del momento per accrescere la potenza russa, sempre s'intende verso sud; anzi, oltre che all'impero turco vero e proprio, progettava un più lato accrescimento di influenza nel bacino del Mediterraneo, sognando di rendersi padrone di Malta, del cui ordine era stato nominato protettore nel 1797 e gran maestro nel 1798 (di qui lo sdegno di Paolo I quando seppe che i Francesi s'erano impossessati dell'isola, nel 1798). Di qui la parte attiva presa dai Russi nella lotta nel Mediterraneo, con l'occupazione di Corfù e delle isole ioniche (1799) e con gli aiuti dati al re di Napoli. Sennonché quel che Caterina aveva sempre evitato, Paolo non evitò: egli s'impegnò cioè a fondo con gli alleati e il suo sforzo massimo fu compiuto, militarmente, nell'alta Italia e nella Svizzera, dove se dapprima l'esercito russo comandato dal Suvorov ottenne brillanti successi, in unione con quello austriaco (vittorie dell'Adda, della Trebbia e di Novi), in un secondo tempo subì, fra il Gottardo e Zurigo, un rovescio tale da esser costretto ad abbandonare l'impresa. Non meno disastroso l'esito finale della spedizione effettuata, con truppe anglo-russe, in Olanda (battaglia di Bergen). Questi fatti e il malcontento contro il governo austriaco, accusato di aver lasciato soli i Russi in Svizzera, indussero Paolo I ad abbandonare la coalizione. Poco dipoi, l'irritazione contro l'Inghilterra, impossessatasi di Malta, e per converso l'abile diplomazia di Napoleone, che riesce a cattivarsi l'animo dello zar, e ad avvincerlo con offerte seducenti, conducono alla rottura dei rapporti anglo-russi, alla formazione di una nuova lega nordica contro l'Inghilterra (Russia, Prussia, Svezia e Danimarca, dicembre 1800) e al riavvicinamento franco-russo. Sopravvenne allora la congiura contro lo zar e la sua morte (la pace fu tuttavia conchiusa solo l'11 ottobre 1802).
Ucciso Paolo I nella notte dall'11 al 12 marzo 1801 da un gruppo di ufficiali che avevano organizzato un complotto, gli successe al trono il figlio Alessandro.
Il regno di Alessandro I. - La brusca fine di Paolo, odiato in tutti i ceti della popolazione, ebbe per conseguenza una clamorosa ondata di entusiasmo in tutta la Russia. Il paese sembrava liberato da un incubo. I primi atti dell'imperatore Alessandro consisterono nell'abrogazione delle misure più odiose prese da suo padre: i numerosi deportati furono rimessi in libertà, le relazioni personali e culturali con l'estero ripresero più liberamente. Sotto varî aspetti fu ripreso lo "stile" della grande Caterina e ripetutamente venne sottolineata la volontà di dare una organizzazione strettamente legale a tutta la vita dello stato, che rendesse impossibili i soprusi e gli arbitrî, o, almeno, fosse in grado di scoprirli e punirli. Furono istituiti otto ministeri, il senato ottenne maggiori diritti. Qualche garanzia giuridica fu concessa anche ai servi della gleba: ma su questo terreno si procedeva più che con circospezione. La proprietà della terra fu concessa anche ai non nobili e questo fatto segnava un'affermazione non priva d'importanza per il ceto borghese. Furono create numerose scuole medie, un'abbastanza notevole libertà d'insegnamento poté affermarsi nelle università, la cultura tutta quanta si sviluppò assai.
Tra i collaboratori di Alessandro merita di essere citato in prima linea Michele Speranskij, figlio di un modesto pope, autore di un tentativo di riforma costituzionale. Si ispirava il suo progetto a un'accentuata divisione dei poteri legislativi, esecutivi e giudiziarî; per la prima volta vi si parla di "volontà della nazione" come base del potere. Il ceto borghese doveva - così come i nobili - possedere diritti politici e civili; però un'aristocrazia "all'inglese" avrebbe mantenuto una posizione praticamente dominante. In due momenti successivi i servi della gleba dovevano essere "emancipati". Ma il progetto di Speranskij, come già gli anteriori tentativi di Caterina, peccava di astrattismo, era permeato dall'illusione che con enunciazioni teoriche, lascianti invariato il rapporto delle forze sociali, gli ostacoli sarebbero stati sormontati. L'imperatore, e con lui vasti strati di nobili e di intellettuali, erano ben volentieri disposti a conversare teoricamente sui "diritti dell'uomo", non così a rinunciare alle basi stesse dello stato autocratico, su cui poggiava la loro forza economica e la loro autorità. Le correnti più decisamente e conseguentemente conservatrici approfittarono intanto dell'invasione napoleonica per affermare non soltanto (come sempre avevano fatto) che le riforme facilitavano da un lato le insurrezioni tipo Pugačev e le rivoluzioni come quella francese, ma per insistere sul fatto che Speranskij voleva introdurre in Russia quelle stesse leggi di cui era banditore il "nemico" Napoleone. Un'ondata di patriottismo si era riversata sulla Russia: l'idea di nazionalità proclamata dalla rivoluzione francese, si affermava ora con un significato nuovo anche in Russia; questo risultato si doveva - anche se indirettamente - al nemico contro cui si combatteva. La guerra contro Napoleone accentuò però nell'imperatore tendenze religiose e mistiche che lo allontanarono dal generico liberalismo degli inizî del suo regno. Le forze conservatrici esaltavano "l'eroico popolo" che fronteggiava Napoleone; ma sotto a vaghe promesse per l'avvenire e sotto a un'esaltazione più coreografica che concreta del mužik russo, c'era la volontà di opporsi a ogni riforma sostanziale a ogni penetrazione delle idee di "marca francese". Non soltanto il progetto di Speranskij non fu realizzato, ma il suo autore venne mandato in esilio.
La politica estera di Alessandro I. - Se anche Alessandro I, come Paolo I, cominciò il suo regno in senso pacifico (la lega delle potenze nordiche fu spezzata, i progetti di lotta contro l'Inghilterra messi da canto) l'indirizzo di governo seguito da Paolo I negli ultimi tempi del suo regno fu completamente abbandonato. E quando la politica del nuovo zar divenne politica d'intervento attivo, lo fu in senso antinapoleonico.
Anche ora, come già per l'innanzi, nei progetti di lotta contro la Francia si vedono rifluire le vecchie aspirazioni della politica russa sull'impero turco, ampliatesi ora in aspirazioni addirittura mediterranee (costante, per esempio, sarà d'ora in poi l'interesse russo per il regno di Napoli); ma anche ora, come già nella politica di Paolo I, al motivo schiettamente politico si frammischiano elementi ideologici, di una mistica religioso-monarchica, parte sincera, parte affettata per ricoprire precisamente il calcolo d'interesse. Paolo I aveva in un primo tempo preso sotto la protezione propria Luigi XVIII e s'era atteggiato a capo del fronte unico monarchico contro la Francia; e nel giovane Alessandro già si fanno avvertire (p. es., nella violenta protesta per l'uccisione del duca di Enghien) quei motivi che poi condurranno all'idea della Santa Alleanza. Per ora, almeno, è certo tuttavia che lo zar agiva sopra tutto in base al calcolo politico, fisso nel miraggio dell'oriente, di Costantinopoli: per questo, preoccupato dei progetti di Napoleone sulla Turchia, iniziò sin dal 1803 le trattative con l'Inghilterra e l'Austria per una nuova alleanza antifrancese. Il risultato di questa azione, fu la coalizione del 1805.
La guerra, svoltasi su territorio tedesco-austriaco, culminò nella battaglia di Austerlitz (2 dicembre 1805): piena sconfitta degli Austro-Russi. Ma dei due vinti di Austerlitz solo l'Austria fu costretta alla pace: Alessandro I, ritiratosi in Russia, dopo aver esitato un momento e proposto la pace a Napoleone, si univa in alleanza con la Prussia, rifiutava di ratificare il trattato di pace che il suo inviato, d'Oubril, aveva firmato con Napoleone (20 luglio 1806), riprendeva le armi. Ché se anche il nuovo alleato piegava rapidissimamente (la potenza prussiana era annientata in un sol giorno, a Jena e ad Auerstädt), ben diversa resistenza offrivano, all'avanzata dell'esercito napoleonico, i Russi: a Eylau (8 febbraio 1807) le sorti della sanguinosissima battaglia rimanevano indecise. Solo a Friedland (14 giugno) la sorte delle armi era nettamente sfavorevole: ma a questo punto sopravvenne, a chiuder la partita, il brusco rivolgimento di Alessandro I, il quale, presa l'iniziativa di trattare col vincitore, ottenuto l'armistizio, si incontrava con lui a Tilsit (25-26 giugno). I negoziati si conclusero rapidamente: già il luglio era firmata la pace tra Francia e Russia (questa abbandonava Corfù e Cattaro, occupata nel 1806); di più, lo stesso giorno i due imperatori si univano in alleanza segreta, diretta contro l'Inghilterra. Alessandro I aderiva al blocco continentale. Si è detto che a Tilsit i due monarchi si fossero pienamente accordati, nel senso che Napoleone si riservava l'egemonia sull'Europa centro-occidentale (Germania e Italia in modo specifico), abbandonando ad Alessandro l'Oriente. In realtà, al disotto di tutte le belle parole e le grandi dimostrazioni di amicizia, di cui i due uomini furono prodighi in quei giorni, sussistette un voluto equivoco, e precisamente nei riguardi di Costantinopoli: Tilsit fu soprattutto una tregua, alla quale specialmente Alessandro fu indotto dalla situazione del momento. Napoleone non aveva in realtà nessuna intenzione di abbandonare l'impero turco alle mire ambiziose dello zar.
Il periodo che segue a Tilsit, mentre vede la Russia, ora aperta nemica dell'Inghilterra, impegnarsi in una guerra contro la Svezia - alleata dell'Inghilterra - che le frutta l'acquisto della Finlandia (1808-1809), vede infatti nel contempo palesarsi le prime, immediate crepe nell'accordo di Tilsit in riferimento alla questione d'Oriente. Vero è che con la nuova convenzione di Erfurt (ottobre 1808) la Russia riusciva ad assicurarsi la Valacchia e la Moldavia, già occupate nel 1806; ma in quella stessa convenzione non riusciva invece a far riconoscere le sue mire su Costantinopoli; e, alla prova del fuoco, i patti di Tilsit e di Erfurt dimostrarono la loro scarsa efficacia: nella guerra di Napoleone contro l'Austria, del 1809, la Russia, sebbene fosse giuridicamente costretta a intervenire a lato dei Francesi, temporeggiò, limitandosi a sorvegliare la Galizia; al momento della pace di Schönbrunn si oppose all'ingrandimento - voluto da Napoleone - del ducato di Varsavia con la quasi totalità della Galizia, riuscendo invece a ottenerne essa stessa una parte.
E proprio la questione della Polonia - cioè del granducato di Varsavia - uscito ingrandito d'assai con la pace di Schönbrunn, diventava uno dei motivi profondi di quel contrasto che doveva fatalmente condurre a lotta aperta i due alleati di Tilsit. Contrasto certo inasprito poi da varî altri fattori, e palese in quel graduale distacco della Russia dal sistema del blocco continentale, che si sarebbe concluso con la pace del luglio 1812 fra Inghilterra e Russia; inasprito anche dal punto di vista personale dalle tergiversazioni - velati rifiuti - di Alessandro I quando Napoleone I, deciso ormai il divorzio con Giuseppina Beauharnais, chiese la mano della sorella dello zar, Anna: ma sostanzialmente imperniato sulla questione polacca. Alessandro I cerca di controbattere l'influenza francese nel granducato di Varsavia, facendo allettanti profferte ai patrioti polacchi: e Napoleone passa al contrattacco e comincia a raccogliere le sue forze verso la Germania orientale.
Si giunge così alla guerra del 1812. Per assicurarsi le spalle al sud, Alessandro I, che nel 1809 aveva ripreso a guerreggiare contro i Turchi, conclude con il trattato di Bucarest (28 maggio 1812) la pace con la Sublime Porta, rinunciando alla Moldavia e alla Valacchia e accontentandosi della Bessarabia; nell'aprile 1812 si è già accordato con la Svezia; nel luglio si accorda con l'Inghilterra. La guerra, che si svolge sul suolo russo fra il giugno e il dicembre del 1812, e che è contrassegnata in un primo tempo dall'avanzata di Napoleone sino a Mosca, ma che in un secondo tempo si risolve nella disastrosa ritirata dei Francesi (v. napoleone: Le campagne di Napoleone), segna l'inizio del crollo del dominio napoleonico. E Alessandro I esce dal suo stato per proseguire la campagna antinapoleonica, nel 1813, e 1814, in Germania e in Francia, ora alleato nuovamente della Prussia e dell'Austria.
Per un momento egli appare l'arbitro dell'Europa: specialmente a Parigi, nell'aprile 1814, ma anche a Vienna, durante il congresso. E legislatore di un nuovo ordinamento di pace egli poté apparire quando, a Vienna, redasse e fece sottoscrivere all'imperatore di Austria e al re di Prussia il manifesto della "Santa Alleanza", questo singolare documento in cui i tre monarchi affermavano la loro volontà di porre a base della propria azione politica i principî della religione cristiana (v. alleanza, santa).
In realtà, il vero vincitore era Metternich e non lo zar di Russia. Alessandro I, infatti, aveva sì ottenuto la maggior parte del granducato di Varsavia, ma aveva dovuto abbandonare - contro i suoi progetti di acquisto totalitario - alla Prussia la Posnania, all'Austria la Galizia; e aveva già dovuto rinunciare alla Moldavia. E quando poi dai puri acquisti territoriali si trascorresse alla valutazione politica della situazione generale europea, qual'era determinata dalla pace di Vienna, evidente era che l'iniziativa d'azione era passata nelle mani dell'Austria, col Metternich, e dell'Inghilterra, con il Castlereagh.
Lo stesso sacro patto dell'Alleanza, con quel miscuglio di misticismo umanitario derivato dall'illuminismo e di confuse rimembranze bibliche, doveva finir con convertirsi soprattutto in uno strumento di azione del Metternich. Non che Alessandro, nel proporre il manifesto, non si fosse mosso anche per calcolo pratico, cioè per coonestare con solenni affermazioni certe sue aspirazioni: ma alla resa dei conti chi più e meglio seppe valersi dell'ordine di cose nuovo e della stessa Santa Alleanza fu il Metternich.
Per vero, nel periodo classico della Santa Alleanza e del concerto delle grandi potenze europee, nel periodo cioè dei congressi, da Aquisgrana a Verona, lo zar fu, praticamente, in secondo piano; la direzione della vita europea, da lui vagheggiata, era in altre mani. Anzi, proprio sul finir della sua vita, la sua politica doveva subire un grave scacco.
Lo scoppio della rivoluzione in Grecia veniva a offrire alla Russia un'improvvisa occasione per riprendere il suo giuoco balcanico e la sua lotta contro i Turchi: e Alessandro cercò, sin dal 1821, di farsi riconoscere dai suoi alleati, quel diritto d'intervento ch'egli riconosceva all'Austria in Italia, alla Francia in Spagna; ma qui si urtò, prima nel 1821, nell'ostilità decisa dell'Austria, dell'Inghilterra e della Prussia, poi, nel 1825, dell'Austria e della Francia: e il risultato finale fu il completo insuccesso della sua politica proprio nella questione che più gli era stata a cuore, cioè la questione d'Oriente.
Gli ultimi anni del regno di Alessandro I. - Intanto un lungo periodo di reazione incomincia in Russia: l'istruzione viene quasi interamente sottoposta al controllo della chiesa ortodossa; nelle università come nell'amministrazione statale si rafforza sempre più il sistema della delaziore; viene accentuata in tutto il paese una rigida disciplina militare. Tutto ciò non impediva che l'imperatore, a Parigi, nel 1814 si desse ancora, dinnanzi agli occhi del mondo, qualche atteggiamento liberaleggiante. Tuttavia le idee più o meno illuministiche e liberali penetrate in Russia al tempo di Caterina e nei primi anni del regno di Alessandro, anche se sembravano scomparse completamente dopo alcuni anni di reazione, avevano oramai una tradizione e continuavano a vivere nel cosiddetto "sottosuolo"; inoltre gli ambienti più colti - che con entusiasmo avevano combattuto contro l'invasore Napoleone - cominciavano a concepire la Russia come una nazione vivente di vita sua propria: allo stato settecentesco e autocratico identificantesi con la volontà (magari illuminata) del sovrano, si contrappone di più in più il nuovo concetto di patria, di nazionalità; e, sia pure vagamente, il "popolo" non appare più come massa amorfa, cui norme di ragione e di morale obbligano di fare la beneficenza. Sia che con visione vagamente "francese" e democratica si veda nel popolo la base legale di ogni potere, sia che con mentalità mistica e profetica si attribuisca al popolo russo la "missione" di recare un nuovo messaggio all'umanità intera, il "popolo", la "nazione" sono oramai concetti con cui l'autocrazia deve fare i suoi conti. Né si dimentichi che moltissimi giovani ufficiali, accorsi entusiasticamente sotto le armi per liberare la patria dallo straniero, avevano avuto occasione di conoscere l'Europa. In Europa (specialmente in Francia) essi avevano avuto occasione di conoscere da vicino le idee "progressiste", la civiltà derivata dalla grande rivoluzione e dall'opera napoleonica. Non per ottenere questi risultati essi si erano - sia pure senza idee precise - gettati nella mischia.
Si andarono così formando varie società segrete, in cui si voleva preparare la monarchia costituzionale (qualche isolato sognava la repubblica), e con la mentalità ormai tradizionale delle "riforme dall'alto" si parlava di abolire per decreto la servitù della gleba. Giovani aristocratici pieni di nobili idealità e di spirito di sacrificio; concreti interessi di ceti borghesi che cominciano a farsi sentire; sordo malcontento delle masse contadine: ecco in pochi tratti il quadro della Russia di quegli anni. Ma i progetti degli aristocratici più "progressivi" e degli intellettuali sottovalutano la forza dell'apparato statale autocratico ed essi non vogliono o non sanno mettere in moto le vaste masse di popolo, specialmente di contadini. Si trovano in tal modo isolati e, anche se la adesione di parecchi ufficiali può contribuire a fornire delle armi, la repressione non è difficile; una volta compiuta la repressione, tutto il movimento è liquidato. La rivolta del dicembre 1825, nota (dal nome russo del mese in cui ebbe luogo) come rivolta dei "decabristi", fu sanguinosamente ma con relativa facilità repressa, appunto per queste ragioni.
Il regno di Nicola I. - Morto Alessandro il 19 novembre 1825, avendo Costantino rinunciato alla corona, l'ascesa al trono del nuovo imperatore comincia con la spietata punizione dei decabristi. A differenza del fratello Alessandro, Nicola aveva avuto una educazione più integralmente militaresca: egli non conobbe neppure i transitorî entusiasmi liberali del fratello. Profondamente radicata in lui era l'idea che la forma autocratica di governo corrispondesse alla tradizione e alle necessità della Russia, e che la volontà d'Iddio gl'imponeva di non toccare a quella tradizione. Sospettosissimo verso la nobiltà per la partecipazione da questa avuta alla rivolta dei decabristi, egli rafforzò sempre più l'apparato burocratico e poliziesco: impiegati e poliziotti divennero un vero e proprio "nuovo ceto". In realtà l'apparato di forza dell'autocrazia fu rafforzato molto seriamente; nessuna ribellione avrebbe oramai potuto realizzarsi con un minimo di probabilità di riuscita. Ma la situazione del paese non era più quella dei tempi di Paolo I: la cultura si era diffusa, gl'intellettuali erano cresciuti notevolmente di numero; tra nobili come tra borghesi aumentava la simpatia per le idee liberali, l'interesse per i problemi sociali, il desiderio di partecipare alla vita della Russia. Se alla superficie il dominio dell'autocrazia appariva incontrastato, quasi tutto il mondo della cultura era, almeno nel suo intimo, avverso al regime di Nicola I. Di più in più si sentiva l'impellenza che il problema della servitù della gleba venisse affrontato. Nelle intraprese industriali di recente fondazione si sentiva il bisogno di una mano d'opera "libera". Ma anche su questo scottante problema, Nicola si limitò a qualche vaga promessa, verso la fine del suo regno.
Una severa censura inceppava fino nelle più timide manifestazioni l'indipendenza di giornali e riviste; venne fondata qualche scuola media e superiore, ma contemporaneamente fu raddoppiata la vigilanza contro le idee "pericolose"; fu compiuta un'importante riforma finanziaria: il rublo d'argento divenne l'unità monetaria; fu fatta una raccolta delle leggi dell'impero.
La vita politica si sviluppava nel sottosuolo o in cenacoletti che avevano aspetto filosofico-letterario. Aspetto di cenacolo hanno da principio anche i gruppetti di "slavofili" e di "occidentalisti": i primi ritengono che lo sviluppo della Russia sarà tutto diverso da quello dell'Europa, esaltano l'ortodossia come la forma più pura di cristianesimo, prendono varie idee in prestito agl'idealisti tedeschi, sognano un'autocrazia paternalistica; i secondi si ispireranno ben presto a idee più o meno materialistiche, ritengono che la Russia dovrà civilizzarsi accettando il progressismo dell'Europa e la scienza europea. C'è molta ingenuità presso gli uni e gli altri, ma gli uni e gli altri rappresentano (in misura diversa) un soffio di vita nuova, limitata per molto tempo ai cenacoletti, quindi più che altro vita potenziale.
Occidentalisti e slavofili sono avversarî, il che non esclude che tra gli ingegni più notevoli dei due campi non vi siano varî punti di contatto.
La politica estera di Nicola I. - La questione d'Oriente costituì il fulcro di tutta la politica estera del nuovo zar, che aprì il suo regno con l'intervento nella lotta greco-turca, lo chiuse con la guerra di Crimea. E furono dapprima indubbî successi: forzando la situazione diplomatica, che aveva ereditata dal fratello Alessandro, riusciva a costringere il Canning ad accettare il principio di un intervento comune anglo-franco-russo nel conflitto fra Greci e Turchi; dopo la vittoria di Navarino, nell'aprile 1828 entrava direttamente in guerra contro la Turchia, verso l'Armenia. I suoi eserciti occupavano Kars ed Erzerum, da un lato; dall'altro (giugno 1829), sconfitti clamorosamente i Turchi, occupavano Adrianopoli; mentre in Grecia, grazie all'opera di Capodistria, la Russia acquistava rapidamente un'influenza decisiva riprendendo tutto il terreno perduto fra il 1821 e il 1825. La pace di Adrianopoli (15 settembre 1829), oltre all'attribuire alla Russia le isole alla foce del Danubio e la riva sinistra del fiume, il litorale del Mar Nero dalla foce del fiume Kuban′, la regione di Achalcych, le accordava libertà di commercio in Turchia e apriva il Bosforo e i Dardanelli al transito delle navi di tutte le potenze alleate; ma soprattutto poneva i principati di Moldavia, Valacchia e Serbia sotto il protettorato russo, e, di fatto, metteva anche la Grecia alla dipendenza del governo di Pietroburgo.
Quattro anni più tardi, nel 1833, il trionfo russo parve delinearsi completo. La guerra del viceré d'Egitto, Mehemet-Alì, contro la Turchia offriva allo zar nuovo modo di intervenire, formalmente come alleato del sultano, e di far nuovi passi innanzi per l'assoggettamento della Turchia: la convenzione di Unkiar-Skelessi (8 luglio 1833) poneva la Turchia per otto anni sotto il protettorato russo, e, in un articolo segreto, statuiva l'impegno per il sultano di chiudere i Dardanelli alle navi da guerra delle altre potenze. Subito dopo i Russi iniziavano lavori di fortificazione sui Dardanelli. Due mesi dopo, nel settembre 1833, gli accordi di Münchengrätz, tra Russia, Austria e Prussia, stabilendo il diritto di intervento - qualora richiesto - di un sovrano a favore di un altro sovrano, e legando nuovamente in stretto accordo le tre potenze, garantiva alla Russia un solido appoggio alla sua politica. Nasceva in tal modo la cosiddetta "Santa Alleanza delle corti del Nord".
Sennonché la posizione di assoluto predominio che Nicola I s'era assicurato, nell'Oriente, fra il 1829 e il 1833, non doveva esser di lunga durata. L'immediata, tenace se pur nei primi tempi coperta controffensiva inglese, che trovava terreno adatto nella Turchia, attenta a sfruttare le occasioni per svincolarsi dalla tutela russa e a giovarsi dei contrasti fra le grandi potenze per salvare la propria indipendenza, doveva infatti condurre, nella nuova crisi turco-egiziana del 1839 (guerra fra la Sublime Porta e Mehemet-Alì), a un completo capovolgimento della situazione sancita dal trattato di Unkiar-Skelessi: l'atteggiamento della Francia, quello stesso dell'Austria (nonostante Münchengrätz), facilitavano allora il giuoco inglese: la convenzione di Londra del 13 luglio 1841 stabiliva il rispetto, da parte delle potenze europee, dei diritti sovrani del sultano, e la chiusura dei Dardanelli a ogni nave da guerra straniera, rovesciando così, ai danni della Russia, la situazione del 1833.
Era il primo grosso scacco che la politica di Nicola I doveva subire, nel settore su cui erano appuntate tutte le mire dello zar e del suo popolo. E proprio il fatto che le aspirazioni sui Balcani fossero non esclusivo dominio di un ristretto cerchio di uomini di governo, bensì di larghi strati della popolazione russa, eccitati dall'idea panslava; che dunque nella questione fossero in giuoco ragioni di prestigio, anche all'interno, doveva tener viva la ostinata volontà di rivincita. Questa sboccava nella crisi d'Oriente del 1853-56 e nella guerra di Crimea.
Al momento d'impegnare quest'ultima guerra, lo zar poteva ritenersi diplomaticamente in posizione sicura: l'aiuto decisivo che egli aveva dato all'Austria nel 1849, soffocando con le armi russe la rivolta dell'Ungheria, legittimava in lui la speranza, poi rivelatasi vana che, in cambio, il governo di Vienna avrebbe appoggiato la sua iniziativa contro Costantinopoli. Sotto la pressione anche dell'opinione pubblica - che, ora come poi sempre fino al 1914 acquista importanza determinante nei riguardi della politica balcanica del governo, pure autocratico, di Pietroburgo - Nicola I il 31 maggio 1853 inviava un ultimatum al sultano; ai primi di luglio iniziava le ostilità.
Ma la guerra (v. crimea, guerra di), che d'altronde si concludeva solo sotto il suo successore Alessandro II - Nicola I moriva il 2 marzo del 1855 -, doveva invece costituire un nuovo e più grave scacco per l'impero russo. Col trattato di Parigi (marzo 1856) la Russia dovette rinunziare al protettorato sui principati danubiani; il Mar Nero venne dichiarato neutro, ciò che significava impossibilità per la Russia di tenervi una flotta da guerra; la navigazione sul Danubio venne dichiarata libera, e sottoposta al controllo di una commissione internazionale; infine le calusole dei trattati di Kücük Kainarge e di Adrianopoli, relative al protettorato russo sui cristiani abitanti nell'impero turco, vennero soppresse. Territorialmente, la Russia riebbe Sebastopoli, ma dovette retrocedere ai Turchi Kars.
La politica estera della Russia dal regno di Alessandro II alla guerra mondiale. - Lo scacco subito dalla Russia nella guerra di Crimea e il momentaneo arresto della sua politica d'espansione verso gli Stretti e l'Egeo, determinano, nel periodo successivo alla pace di Parigi del 1856, uno spostarsi del centro di gravità della politica estera russa verso l'Asia.
Si comincia così a verificare ora quel movimento a pendolo - si potrebbe dire - che caratterizza la politica russa sino allo scoppio della guerra mondiale: movimento che consisteva nell'accentrare lo sforzo ora verso i Balcani, ora verso l'Asia Centrale e l'Estremo Oriente, alternativamente.
Nel quindicennio che segue la guerra di Crimea, lo sforzo in Asia è coronato da pieno successo. Nell'Asia centrale, fra il 1858 e il 1868, il dominio russo si estende su tutto il Turkestan: i khānati musulmani di Ferghana e di Buchara furono occupati e fu occupata così la vallata del Syr-Darja. E poiché contemporaneamente veniva pure compiuto l'assoggettamento del khānato di Chiva, sulla riva sinistra dell'Amu-Darja, tutta la regione dal Caspio al Pamir, sulla frontiera settentrionale della Persia, dell'Afghānistān e dell'India, si venne a trovare sotto il dominio russo, mentre gli interventi russi nelle questioni interne dell'Afghānistān sembravano annunziare una ancora ulteriore marcia in avanti: grossa minaccia per il dominio inglese dell'India, replica immediata all'azione antirussa svolta dal governo di Londra nel 1853-1856; questa espansione della potenza moscovita nell'Asia centrale, che gl'Inglesi cercavano di fronteggiare, riorganizzando e fortificando l'India settentrionale, doveva costituire, da allora e fino al primo decennio del sec. XX, il motivo fondamentale del grave contrasto fra Londra e Pietroburgo.
Non meno notevoli i progressi russi nell'Asia settentrionale e nell'Estremo Oriente. Con un'opera di penetrazione continua e abile, essi riuscivano in pochi anni ad ottenere dalla Cina anzitutto la cessione definitiva delle regioni situate sulla riva sinistra dell'Amur (trattato di Aïgouen, 16 maggio 1858), poi le regioni del fiume Ussuri e la costa del Pacifico dalla foce dell'Amur sino a quello che fu poi il porto di Vladivostok. In tal maniera la Russia si apriva la via della Manciuria ed entrava nella gara, sino a quel momento ristretta a Francesi e Inglesi, per il predominio sull'impero cinese.
E se nel 1867 essa cedeva agli Stati Uniti, per la somma di 7.000.000 di dollari, la penisola dell'Alasca, il quasi contemporaneo acquisto dell'isola di Sachalin (accordi con la Cina del 1858 e 1860; accordo col Giappone del 1876) le assicurava maggiormente il controllo della costa asiatica.
Ma dopo il 1870 la politica russa è nuovamente attratta verso l'Europa. La situazione creata nel continente dalla guerra francoprussiana e dal sorgere, a contatto immediato con la frontiera occidentale russa, di un potentissimo impero come quello germanico, che poi, sin dal 1872, si riavvicinava saldamente all'Austria, costringeva gli uomini politici russi a seguire con estrema attenzione il giuoco politico europeo; e sebbene alcuni atti, quali il convegno dei tre imperatori d'Austria, Germania e Russia, a Berlino nel settembre del 1872 e le visite tra i monarchi nel 1873, potessero dar l'illusione di un completo accordo fra le tre potenze, in realtà la Russia - specialmente il cancelliere Gorčakov - sospettosa di un'eccessiva potenza germanica, cominciava a svolgere un'azione rivolta a mantenere un equilibrio complessivo di forze e quindi, in più d'un momento, un'azione favorevole più alla Francia che alla Germania (tale, per esempio, l'intervento russo a Berlino nel maggio 1875, per dissipare le voci e i progetti di una nuova guerra contro la Francia).
Nel 1875 poi si determinava una situazione che avrebbe nuovamente convogliato, come un ventennio prima, tutte le forze russe verso i Balcani. La "questione d'Oriente" si riapriva infatti in seguito alla rivolta della Bosnia e dell'Erzegovina e poi della Bulgaria contro il dominio turco e all'entrata in guerra, contro la Turchia, della Serbia e del Montenegro. Il governo russo, che già, approfittando della guerra franco-prussiana, si era dichiarato sciolto (31 ottobre 1870) dai vincoli statuiti nella pace di Parigi del 1856 che interdicevano alla flotta russa il Mar Nero neutralizzato, e che aveva fatto riconoscere la sua decisione nella conferenza di Londra del gennaio-marzo 1871, vedeva così presentarsi l'occasione per riaprirsi la via verso gli Stretti. Ed era a ciò spinto anche dalla pressione dell'opinione pubblica, che, agitata dai panslavisti, commossa dalle sofferenze dei "fratelli" slavi del sud, esigeva l'intervento.
Il governo russo cominciò pertanto col proporre al governo austriaco, sin dall'agosto 1875, un intervento comune presso il sultano, per invitarlo a riforme eque nei suoi dominî; poi, dopo i massacri bulgari, intimò al sultano (ottobre 1876) di cessare la guerra e le persecuzioni; infine nell'aprile 1877 iniziava le operazioni militari nei Balcani, dopo essersi assicurata via libera da parte dell'Austria, con la convenzione del 15 gennaio 1877 che garantiva all'Austria la Bosnia-Erzegovina.
La guerra sul primo momento ebbe parvenze trionfali per i Russi che, guidati dal generale Gurko, giungevano ai primi di luglio sin presso Adrianopoli; ma in un secondo momento le prospettive divennero assai meno favorevoli: due volte sconfitti, gli eserciti russi già alla fine di luglio erano costretti a ripiegare. E solo facendo appello a tutte le sue forze la Russia, aiutata dalla Romania, riusciva nel novembre ad ottenere una decisiva vittoria sotto le mura di Plevna, ch'era stata eroicamente difesa da Osmān pascià; pochi giorni appresso anche l'offensiva russa nel settore armeno - offensiva ch'era pure stata per certo tempo contenuta - riusciva al successo, occupando la piazzaforte di Kars e aprendosi la via su Erzerum.
Nel gennaio 1878 i Russi erano ormai alle porte di Costantinopoli: ma, proprio nel momento in cui potevano illudersi di farvi il loro ingresso trionfale intervenivano le altre potenze europee. Prima fra tutte l'Inghilterra che, facendo passare alla sua flotta i Dardanelli (22 gennaio), dimostrava chiaramente la sua intenzione di impedire il trionfo russo. I Russi si affrettavano a concludere col sultano l'armistizio di Adrianopoli (31 gennaio), seguito poco dopo dalla pace di Santo Stefano (3 marzo 1878) che distruggeva praticamente l'impero turco in Europa: la creazione di un grande stato bulgaro, che andava dall'Albania al Mar Nero, dal Danubio a Salonicco e Adrianopoli, significava il sorgere nei Balcani di un forte vassallo della Russia e costituiva l'elemento essenziale del trattato di Santo Stefano (v.). Ma proprio questo doveva determinare la reazione dell'Inghilterra e dell'Austria: la prima richiese la revisione del trattato di pace e, spalleggiata dal Bismarck, riuscì ad imporre alla Russia la partecipazione a quello che fu il Congresso di Berlino (v. berlino, VI, p. 735). Vincitrice sui campi di battaglia, la Russia dovette subire uno scacco diplomatico tanto più grave quanto più grandi erano state le speranze degli Slavi, russi e balcanici: lo smembramento della Bulgaria, le amputazioni territoriali fatte al Montenegro e alla Serbia - nei confronti di quello ch'era stato stabilito nel trattato di Santo Stefano - e, per converso, la Bosnia-Erzegovina e il sangiaccato di Novi Pazar occupati dall'Austria, Cipro in possesso dell'Inghilterra, ancora l'Inghilterra protettrice del sultano nelle questioni armene: tutto ciò costituiva un duro colpo per la politica russa, che era rimasta completamente isolata, e che perdeva naturalmente assai del suo prestigio di fronte agli stessi popoli balcanici. Ne derivò uno stato di tensione nei rapporti austro-russi e anche russo-tedeschi, che assunse forme preoccupanti nel 1879-80: la stretta unione austro-tedesca trovava la sua espressione nell'alleanza del 1879, e la Russia veniva tagliata fuori.
Il periodo critico nelle relazioni fra la Russia e la Germania e l'Austria, determinato dalla crisi del 1878, parve superato quando, assassinato lo zar Alessandro II (1° marzo 1881), salì al trono Alessandro III. Le tendenze nettamente conservatrici e reazionarie del nuovo sovrano avevano immediatamente le loro ripercussioni nel campo della politica estera, nel senso che la preoccupazione di fronteggiare i movimenti liberali e, peggio, sovversivi, rafforzava nel sovrano il sentimento di solidarietà dinastica con Asburgo e Hohenzollern, e lo induceva a cercar la collaborazione dei due imperi centrali, conservatori, preoccupati anch'essi di mantenere in Europa l'ordine politico-sociale esistente. Nacque così l'alleanza dei tre imperatori (18 giugno 1881), la quale, nel campo della politica estera, comportando il rispetto dello statu quo nei Balcani e il reciproco riconoscimento della (eventuale) annessione della Bosnia-Erzegovina all'Austria e della (eventuale) unione della Bulgaria con la Rumelia orientale sotto il protettorato russo, significava che l'influenza austriaca rimaneva dominante ad ovest, mentre la Bulgaria era lasciata pienamente nell'orbita d'azione russa. Nel 1884 l'accordo del 1881 veniva rinnovato per altri tre anni; e il convegno dei tre imperatori a Skierniewice (settembre) costituì una nuova, clamorosa prova della momentanea unità d'intenti fra le tre potenze e della volontà d'intesa austro-russa nei riguardi dei Balcani, da cui si cercava invece di tenere lontana l'Italia.
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Ma proprio la questione bulgara doveva, quasi subito, far crollare, e questa volta definitivamente, l'alleanza dei tre imperatori. La grave crisi bulgara del 1885-1887 (v. bulgaria), come sottraeva la Bulgaria all'influenza russa, così determinava un nuovo, aperto contrasto fra Austria e Russia. L'alleanza del 1881 non fu più rinnovata; il Bismarck cercò ancora di mantenere una certa solidarietà almeno fra Russia e Germania, col firmare il patto di controassicurazione (1887), ma poiché questo, dopo la caduta del Bismarck (1890), non fu più rinnovato, così all'inizio dell'ultimo decennio del sec. XIX la possibilità di un'amichevole collaborazione fra la Russia e i due imperi centrali era gravemente compromessa. E si ebbe invece l'alleanza della Russia con la Francia, che sostanzialmente abbozzata già nel 1891 assumeva forma definitiva e precisa il 27 dicembre 1893 (v. duplice alleanza): sorgeva così quel blocco franco-russo, da tempo paventato dal Bismarck, che doveva modificare profondamente la situazione europea.
Tuttavia nel primo periodo successivo all'alleanza, e precisamente nel decennio 1895-1905, il centro di gravità della politica estera russa fu, più che non l'Europa, nuovamente l'Estremo Oriente, dove si affermava una nuova potenza, il Giappone, con pericolo evidente per quell'espansione russa verso la Manciuria, che s'è vista da tempo in atto. La guerra cino-giapponese del 1894-1895, terminata con la completa vittoria del Giappone che otteneva, nella pace di Simonosaki, la penisola di Liao-Tsung con la fortezza di Port Arthur, e la Manciuria meridionale, determinava pertanto l'immediato intervento della Russia che, spalleggiata da Francia e Germania (quest'ultima cercava allora, come poi nuovamente nel 1905, di riavvicinarsi alla Russia per giungere a un blocco franco-tedesco-russo), riusciva a imporre al Giappone la revisione del trattato di pace. Con questa recisa azione, che racchiudeva in sé i germi del prossimo conflitto, la Russia, imponendo al Giappone uno scacco diplomatico simile a quello ch'essa stessa aveva subito, nella questione balcanica, diciassette anni innanzi al Congresso di Berlino, affermava chiaramente la sua volontà di considerare la Manciuria e la Cina settentrionale campo riservato alla propria azione. La quale, negli anni immediatamente seguenti, si fece in effetti pressante e risolutiva: con modificazioni di tracciato della grande ferrovia transiberiana, che venne fatta passare per la Manciuria settentrionale (linea Nerčinsk-Vladivostok) e con la creazione di una banca russo-cinese, venivano date larghe basi all'espansione economica russa nell'Estremo Oriente; mentre, nel campo politico, un'alleanza russo-cinese per 15 anni, conchiusa nel 1896, ribadiva i vincoli con cui l'impero moscovita cercava di legare a sé la Cina contro il Giappone.
Poi quando nel 1897 la Germania ebbe occupato Kiao-Chow, il governo russo, che aveva appoggiato il governo tedesco nella sua azione, contraria all'impegno preso dalle potenze di rispettare l'integrità territoriale della Cina, si fece cedere dalla Cina Port Arthur e la parte meridionale della penisola di Liao-Tsung (convenzione russo-cinese del 15 marzo 1898: affitto per la durata, rinnovabile, di 25 anni), e il diritto di collegare Port Arthur, attraverso Mukden, a Harbin e alla transiberiana.
Pertanto, nonostante il trattato di Seul (febbraio 1897) con cui Russia e Giappone cercavano una base d'accordo, impegnandosi a rispettare l'indipendenza della Corea, l'attrito fra le due potenze si acuì sempre più. Quando poi la rivolta dei boxers (1900) e l'intervento militare delle grandi potenze in Cina fornirono alla Russia il pretesto per occupare, con le proprie truppe, la Manciuria, non recedendo dall'occupazione nemmeno quando la rivolta dei boxers fu domata, la situazione mutò profondamente, in senso sfavorevole alla Russia, per effetto dell'alleanza anglo-giapponese del 1902. L'urto anglo-russo nell'Asia centro-occidentale, urto ravvivato ancora in quegli anni per effetto dell'accresciuta influenza russa in Persia (trattato di commercio russo-persiano del 1900), si conglobava così con l'urto russo-giapponese, col risultato di isolare, ancora una volta, la Russia.
La situazione precipitò rapidamente: il governo russo si era impegnato bensì ad evacuare la Manciuria entro l'8 ottobre 1903; ma ancora alla fine del 1903 nulla era stato fatto al riguardo, sia perché attorno ai capi militari e politici russi nell'Estremo Oriente si muovevano uomini d'affari che cercavano di sfruttare nel proprio interesse l'occupazione russa della Manciuria e ostacolavano, quindi, la promessa evacuazione; sia anche perché nella stessa Russia, più d'un uomo politico, a cominciare dallo stesso ministro degl'interni Plehve, vedeva in una guerra nell'Estremo Oriente, ritenuta di esito sicuro e rapido, il migliore dei diversivi per fronteggiare l'oscura situazione interna della Russia e per stroncare i movimenti rivoluzionarî. Soprattutto fu decisiva la persuasione che il colosso moscovita avrebbe avuto facilmente ragione del Giappone, le cui qualità militari e morali erano allora ancora misconosciute dall'opinione pubblica russa come d'altronde anche dall'opinione pubblica mondiale.
Di fronte alla perentoria richiesta del Giappone (la Manciuria alla Russia, la Corea al Giappone), il governo russo tergiversò, condusse in lungo le trattative: quando si decise ad accedere alle richieste giapponesi era troppo tardi. Incoraggiato da ambienti inglesi, forte della sua preparazione militare, il Giappone, colto il pretesto della mancata risposta russa, ruppe le trattative, e nella notte dall'8 al 9 febbraio 1904, senza dichiarazione di guerra, iniziava le operazioni militari, attaccando la flotta russa nella rada di Port Arthur e mettendo fuori combattimento varie grandi unità.
La guerra che ne seguì (v. russo-giapponese, guerra) costituì, fra la sorpresa del mondo intero, un grosso colpo inferto alla potenza e al prestigio della Russia la quale, battuta per mare e per terra, nella pace di Portsmouth (5 settembre 1905) dovette rinunziare alla penisola di Liao-Tsung, cedere al Giappone Port Arthur, la parte meridionale dell'isola di Sachalin, ed impegnarsi ad evacuare la Manciuria.
Le ripercussioni sulla politica estera russa furono profonde. Nuovamente ricondotta verso l'Europa, essa abbandonò il suo programma massimo nell'Estremo Oriente, solo cercando di garantirsi la situazione di fatto, mediante l'accordo del 1907 col Giappone, che assicurava "l'integrità territoriale di ambedue le potenze in Asia"; e sul terreno europeo, fallito il tentativo dell'imperatore di Germania, Guglielmo II, di un'alleanza russo-tedesca, preludio a un vasto aggruppamento continentale in funzione antinglese (Bjørkø, luglio 1908), grazie agli sforzi della diplomazia francese le riuscì finalmente di giungere a un riavvicinamento con l'Inghilterra.
Il diminuito pericolo russo in Asia e, per converso, l'accresciuta tensione anglo-tedesca in Europa (si era all'indomani della crisi marocchina del 1905) permisero la stipulazione di quella serie di accordi anglo-russi circa la Persia e l'Afghānistān (1907), che, mettendo, almeno momentaneamente, fine alla rivalità anglo-russa, davano vita alla Triplice Intesa.
La prima prova fu tuttavia poco felice sia per il nuovo aggruppamento europeo sia in particolare per la Russia: e fu la crisi provocata dall'annessione della Bosnia-Erzegovina all'Austria (ottobre 1908). Nei riguardi della questione balcanica, la politica russa nel periodo 1895-1905 era stata caratterizzata da una rinnovata collaborazione con l'Austria (accordo del 1897 e specialmente convenzione di Mürzsteg nel 1903): i due paesi avevano cercato, specie nella questione macedone, d'imporre le proprie direttive alle altre potenze.
Ora il nuovo ministro russo degli esteri, Izvolskij, ansioso di trovare in Europa il compenso alle sconfitte russe in Manciuria e voltosi così nuovamente al problema degli Stretti, decise di accordarsi con l'Austria nel senso di consentire a quest'ultima l'annessione della Bosnia-Erzegovina per avere mano libera a sua volta nella questione del Bosforo e dei Dardanelli. Il 15 settembre 1908 ebbe luogo un colloquio a Buchlau fra il ministro degli esteri austriaco, Aehrenthal, e il ministro degli esteri russo, Izvolskij: colloquio il cui tenore preciso non è noto, ma che fu invocato dall'Austria come riconoscimento russo del diritto austriaco all'annessione. Certo è che l'immediata azione del governo austriaco sorprese il governo russo come gli altri governi europei; e l'impressione fu aggravata ancora dal fatto che Ferdinando di Bulgaria proclamava l'indipendenza bulgara (5 ottobre) e assumeva il titolo di re. Il tentativo dell'Izvolskij di provocare la riunione di un congresso europeo fallì di fronte al reciso rifiuto dell'Austria spalleggiata dalla Germania; e anche quando nel marzo 1909 il governo di Vienna impose con un ultimatum alla Serbia di riconoscere il fatto compiuto, il governo russo cedette.
Altro grosso scacco diplomatico per la Russia, ormai irrimediabilmente nemica dell'Austria: ed essa pertanto oltre che rafforzare i suoi vincoli con la Francia e l'Inghilterra, si riavvicina anche all'Italia, che era invece stata minacciata nei suoi interessi balcanici dalla politica d'intesa austro-russa del periodo immediatamente precedente (soprattutto dalla convenzione di Mürzsteg): il 22 ottobre 1909 l'imperatore Nicola II s'incontra con re Vittorio Emanuele III a Racconigi, e due giorni dopo viene concluso un accordo segreto fra Italia e Russia. Per esso, si riafferma il principio del mantenimento dello statu quo nei Balcani, oppure, qualora lo statu quo non possa essere mantenuto, il principio dell'applicazione del diritto di nazionalità e dell'esclusione di ogni dominio straniero; inoltre viene stipulata la mutua, benevola considerazione per gli interessi italiani in Tripolitania e Cirenaica e per gli interessi russi nella questione degli Stretti (il riavvicinamento italo-russo non fu tuttavia di lunga durata: tanto è vero che durante le trattative che condussero al patto di Londra nel 1915, la potenza più intransigente contro le rivendicazioni italiane fu proprio la Russia).
La rivincita dello scacco del 1908 il governo russo l'ebbe nel 1912. La lega balcanica fu in grandissima parte l'opera di Pietroburgo, i cui agenti, ufficiali e segreti, spiegarono un'attività febbrile per riavvicinare i governi di Belgrado, Sofia e Atene: e il vittorioso esito della guerra contro l'impero turco (v. balcaniche, guerre) significò la piena rivincita dello slavismo, protetto e fomentato dalla Russia, contro l'umiliazione del 1908-1909. Meno favorevole al governo russo fu invece il corso degli eventi nel 1913, sia per la rottura della lega balcanica e la guerra greco-serbo-romena contro la Bulgaria che, sconfitta, fu tratta di nuovo nell'orbita dell'Austria, la grande nemica della Serbia; sia anche perché nella questione albanese, a cui erano così strettamente interessati Montenegro e Serbia, il governo russo fu costretto ad abbandonare le pretese dei suoi due protetti di fronte all'atteggiamento austro-italiano: specialmente di fronte al Montenegro, per cui nella questione di Scutari il governo di Pietroburgo dovette associarsi all'ultimatum contro il re Nicola II, del maggio 1913.
Ma ormai la situazione internazionale, profondamente scossa dall'urto fra i due grandi raggruppamenti rivali (quello austro-tedesco, da un lato, quello franco-anglo-russo dall'altro) stava per precipitare. E a ciò contribuì indubbiamente non poco l'azione del governo russo, il cui atteggiamento, ad opera sia del suo ministro degli esteri, Sazonov, sia specialmente del suo rappresentante a Parigi, Izvolskij, sia degli alti comandi militari, aveva acquistato carattere sempre più nettamente ostile all'Austria e alla Germania, e proposito fermissimo di impedire - occorrendo con la forza - ogni ulteriore mossa austriaca nei Balcani, riuscendo ad assicurarsi in ciò il pieno appoggio francese.
Le vicende del luglio 1914 (v. guerra mondiale) dovevano dimostrare come ormai anche in Russia il partito della guerra avesse preso il sopravvento.
Alessandro II e l'era delle riforme. - Con l'ascesa al trono di Alessandro II (1855) l'opposizione all'autocrazia - che sotto Nicola I assumeva ancora una forma del tutto clandestina e si manifestava principalmente mediante l'attività di circoli di intellettuali relativamente esigui di numero, come per es., il circolo fourierista di Petraševskij, disciolto nel 1849 - si manifesta d'improvviso come una corrente diffusa in tutta la Russia. Da un lato per volontà del nuovo zar l'apparato repressivo dell'autocrazia viene rallentato, l'appoggio ufficiale al sistema della delazione viene quasi meno, si fanno balenare grandi progetti di riforme, dall'altro lato l'intelligencija russa, tradizionalmente abituata ad attendere riforme dall'alto, faceva grande credito all'imperatore e ne sopravalutava la volontà e la capacità d'iniziativa. La guerra di Crimea, così infelicemente terminata, aveva contribuito a scuotere la fiducia nell'autocrazia; ritenendo oramai di non correre alcun rischio, vasti strati di popolazione affermano decisamente ciò che non avevano fino allora avuto il coraggio di pronunciare ad alta voce: desiderio di riforme legislative, di riforme sociali, di una più libera vita culturale.
Anche se non venne l'era del "liberalismo", così come tanti avevano auspicato, l'autocrazia oramai era stata indebolita: tutti i suoi ritorni offensivi, anche quelli violenti, nei decennî successivi, avranno un aspetto transitorio, contraddetto dall'opposta necessità di venire a un compromesso con gli elementi più moderati dell'opposizione.
Invece di diventare, come i seguaci dell'autocrazia avevano sperato, un continuatore dell'opera di Nicola, invece di diventare il grande rinnovatore, come si erano illusi taluni degli stessi "rivoluzionarî", Alessandro II cercherà di battere una guardinga via di mezzo, disposto sempre a realizzare qualche eclettico progetto di riforme (per la realizzazione troppo rapida del quale parecchi avversarî dello zarismo, non meno eclettici in fin dei conti, di Alessandro, dovranno invece pagare di persona con lunghi anni di prigione).
La tanto attesa liberazione dei contadini (1861) suscita una vera ondata d'entusiasmo, cui fa eco lo stesso Herzen, dall'esilio. Circa venti milioni di contadini furono infatti liberati e ottennero il "diritto alla terra" a prezzo di riscattarla con denaro; data la grave situazione economica dei contadini, lo stato volle favorire l'operazione con un immediato anticipo che i "liberati" avrebbero risarcito in quarantacinque anni. Inoltre ha luogo (1864) una riforma amministrativa: si crea lo zemstvo, organismo destinato a curare gl'interessi locali: scuole elementari e bibliotechine per il popolo, agricoltura, tasse, igiene, ecc. La riforma giudiziaria (1864) vuole realizzare una netta separazione del potere giudiziario da quello amministrativo, la pubblicità delle sedute, una maggiore possibilità di difesa per l'accusato; infine introduce nella procedura i giurati. Contemporaneamente fu dato impulso all'educazione femminile e fu fatta una riforma militare (1874) che aveva per base il reclutamento generale.
Ma, se queste riforme - in un'atmosfera di libertà di discussione che in passato non era conosciuta - sprigionano energie nuove, tuttavia hanno il difetto di venire spesso in ritardo o di fermarsi a mezza strada. Soprattutto l'emancipazione dei contadini, da cui uomini di tutte le correnti avevano atteso miracoli, mostra in breve effetti del tutto diversi da quelli preveduti: il contadino "libero" peggiora in molti casi la propria posizione economica e sociale, la nuova legislazione agraria non diminuisce, ma aumenta invece le cause di conflitti cruenti tra contadini e padroni.
È in questi anni che si va rafforzando in Russia il medio ceto: sono proprio le riforme di Alessandro che gli dànno un notevole impulso; giornalisti, medici, agronomi, insegnanti, giudici, acquistano rapidamente coscienza della forza derivante dal loro aumentato numero. Questa cosiddetta intelligencija vive in un paese in cui una gran parte del regime feudale è tuttora in piedi: combatte quindi intorno al 1870, in condizioni tuttavia diverse, battaglie che ricordano quelle combattute dalla borghesia occidentale nel 1789 e nel 1848. Le idee in voga nell'Occidente giungono nelle loro forme più sempliciste e grossolane; l'illuminismo settecentesco si fonde al materialismo di Moleschott, dall'altra parte della barricata Hegel e Schelling vengono fusi dai seguaci dell'autocrazia al mito del bizantinismo. Le università si popolano di studenti in gran parte estremamente poveri, desiderosi di conoscere le ultime scoperte della scienza, energici e volitivi nella richiesta dei loro postulati economici e politici: in tal modo le università (e poi anche i ginnasî) diventano focolai di continui tumulti che, con brevi pause, dureranno fino alla guerra mondiale. Questa intelligencija sente il dovere morale di combattere per i diritti del "popolo", sia che lo voglia guidare alla liberazione, sia che disprezzi la "folla" e attribuisca a sé soltanto il compito di condurre la lotta rivoluzionaria.
La generazione detta "nichilista" (la definizione è di Turgenev, e non fu mai accettata da nessun gruppo rivoluzionario) vuole fare piazza pulita del passato: sono studenti e studentesse, accesi da un entusiasmo di neofiti e di primitivi che oltrepassano talvolta i loro maestri, Černyševskij, Bakunin, Nečaev, Dobroljubov, Pisarev, ecc. Dalla sola "scienza", dal solo empirismo ci si attende la "veritȧ"; con atteggiamento ingenuo l'arte e la filosofia vengono messe al bando come inutili; la grossolanità di modi è spesso ritenuta prova di "progressismo" e di affinità col popolo. La "pratica" viene staccata dalla "teoria"; ma nella "pratica" rivoluzionaria, l'individuo ritrova almeno in parte quella libertà che un materialismo volgare e un determinismo superficiale negano; il concetto della libertà, confuso e astratto nelle menti di molti "nichilisti" acquista una concretezza e una serietà attraverso i sacrifici sopportati. Alessandro Herzen cercherà di gettare un ponte tra l'occidentalismo e la necessità di adattare idee occidentali alla Russia; cercherà di lottare contro il grossolano empirismo richiamandosi al libero arbitrio; affermerà un equilibrio, una serietà di studio e di cultura che i suoi più giovani avversarî "nichilisti" non posseggono: ma vi è presso i "nichilisti" un'assenza di compromessi che dà loro forza e capacità di proselitismo; Herzen spera nelle riforme dell'imperatore e contemporaneamente lavora tra gli emigrati per la diffusione della stampa clandestina in Russia, arrivando a scontentare col tempo rivoluzionarî e moderati. Poco dopo Herzen, Lavrov e Michajlovskij - prendendo numerosi spunti dallo stesso Herzen - svilupperanno la teoria del populismo (narodničestvo): la primitiva comunità agraria (obščina), i numerosi elementi di economia arcaica sopravvissuti sembrano loro un grande vantaggio per la realizzazione del "socialismo"; non riescono a far sentire il problema vivo di una libertà che continuamente si sviluppi e si rinnovi; con mentalità da fisiocrati in ritardo (campagna" contrapposta alla "città") parlano di un socialismo che confondono poi di continuo con residui di economia primitiva o comunque precapitalistica; mescolano Hegel a Darwin, Kant a Comte, senza che da questo lavorio intellettuale escano molte idee originali e nuove, neppure per l'ambiente russo di allora.
Ma è tutto un fermento di vita più intensa che la Russia non aveva ancora conosciuto. Migliaia di studenti vanno tra il popolo (specialmente tra i contadini) per "spiegargli la verità": ma in tutta questa attività propagandistica appena di straforo il "popolo" appare come soggetto della propria liberazione della quale sembrano volersi prendere l'incarico gli intellettuali. A migliaia questi propagandisti vengono arrestati. Sono non soltanto studenti poveri e di origine piccolo-borghese, ma figli e figlie di generali, di governatori, ecc., che partecipano alla "crociata". Sono ancora inesperti nel "mestiere": l'indifferenza delle masse contadine verso una predicazione troppo astratta nonché la repressione energica della polizia mettono presto fine alla "crociata" di cui sempre più appare l'ingenuità e l'inutilità.
Nel 1876 parecchi intellettuali (i quali ritenevano che l'assenza di organizzazione fosse stata causa dei numerosi insuccessi) formano l'associazione zemlja i volja (Terra e libertà). Incomincia un nuovo periodo nella storia della rivoluzione russa.
La reazione sotto Alessandro II. - Se nei suoi primi anni di regno, Alessandro II oscillava tra un conservatorismo moderato e un liberalismo guardingo, di anno in anno la tendenza conservatrice andava prendendo in lui il sopravvento. L'imperatore si allarmava di più in più dei disordini studenteschi, degl'incendî nella capitale che la polizia attribuiva quasi sempre ai "rivoluzionarî"; infine scoppia nel 1863 l'insurrezione polacca che ha per effetto l'alleanza dei Polacchi con i rivoluzionarî russi più accesi e l'avvicinamento, d'altra parte, dei liberali russi allo zar ed ai conservatori (appena l'integrità dell'impero era minacciata, tra liberalismo e autocrazia sembrava diluirsi o sparire ogni divergenza). Come se tutto ciò non fosse bastato, nell'aprile 1866 uno studente, un certo Karakozov, commise un attentato (tuttavia non riuscito) contro l'imperatore. La polizia seppe servirsi molto abilmente del fatto che un contadino aveva sventato l'attentato ordito da un "signore" e cercò con tutti gli sforzi, riuscendoci anche in parte, di contrapporre il popolo sano" agli intellettuali, considerati causa di tutti i perturbamenti politici e sociali.
L'attività degli zemstvo viene minutamente sorvegliata dalla polizia, lo stesso succede per l'insegnamento, ai "marescialli della nobiltà" vengono assegnati nuovi diritti, si dà ampio sviluppo agli studî classici (considerati come base di una educazione conservatrice, come il contrappeso alle "scienze" e all'interesse troppo vivo per i "fatti contemporanei"); l'ondata di reazione si fa pure sentire nella giustizia e in tutto l'apparato amministrativo; numerosi giornali liberali e indipendenti vengono soppressi.
La speranza di A. Herzen che un ponte potesse essere gettato tra l'imperatore e il "popolo" sembra oramai definitivamente tramontata. La guerra d'Oriente (1877-78) sveglia una forte ondata di patriottismo; anche tra le correnti più radicali taluni si fanno assertori della "liberazione degli Slavi balcanici"; tuttavia si tratta di un episodio che non cambia nulla al rapporto concreto delle forze che stanno oramai di fronte, decise a combattersi a fondo.
Numerose manifestazioni di piazza vengono organizzate dall'associazione "Terra e Libertà": all'inizio del 1878 la giovane rivoluzionaria Vera Zasulič, tipica rappresentante della "nuova gioventù", ferisce gravemente il generale Trepov che si era distinto nei maltrattamenti agli arrestati politici. L'attentatrice viene in seguito liberata dai suoi compagni di fede. Gli attentati si vanno oramai facendo di più in più frequenti e vengono sempre meglio organizzati.
Intanto avviene una scissione nell'organizzazione di "Terra e libertà" (1879): i seguaci più decisi del terrorismo fondano la nuova associazione Narodnaja Volja (Volontà del popolo), mentre sotto il nome di Černy peredel (letteralmente: "Suddivisione nera") si riuniscono gli assertori della rivoluzione agraria e dell'attività propagandistica tra le masse.
Almeno in embrione si hanno dunque già le due grandi correnti di estrema sinistra che faranno tanto parlare di sé negli anni successivi: i socialisti-rivoluzionarî ed i socialdemocratici (marxisti). Dinnanzi all'accresciuta e temibile attività terroristica, il regime zarista accentuerà da un lato la repressione, mentre dall'altro tenterà con piccole concessioni parziali di cattivarsi la simpatia o almeno la neutralità delle correnti liberali.
Temendo appunto la conclusione di un compromesso tra autocrazia e liberalismo, i seguaci della Narodnaja Volja concentrano gli sforzi per sopprimere l'imperatore: infatti il 4 (16) marzo 1881 Alessandro II viene ucciso in un duplice attentato organizzato dalla rivoluzionaria Sofia Perovskaja.
Il regno di Alessandro III. - Alessandro III, già al tempo in cui era principe ereditario, raggruppava intorno a sé gli elementi più retrogradi dell'aristocrazia e quelli più reazionarî tra gl'intellettuali. Mentre taluni suoi consiglieri e ministri (in prima linea il Loris-Melikov) volevano continuare la politica di severa repressione dell'attività rivoluzionaria, non disgiunta però da qualche affermazione liberale, allo scopo di rafforzare le basi dell'autocrazia mediante l'aspettativa benevola delle correnti "progressive" più moderate, Pobedonoscev invece (divenuto frattanto procuratore generale del Santo Sinodo e quindi membro del consiglio dei ministri) riteneva che per la salvezza della Russia e per la salvezza della casa regnante occorresse al più presto fare macchina indietro su tutta la linea e rinunciare a ogni sia pure timida concessione in senso liberale.
La vittoria di Pobedonoscev segna l'inizio di un nuovo periodo di reazione. Con la stessa superficialità e rozzezza con cui i "nichilisti" avevano preso in prestito alle loro fonti illuministiche e materialiste di Occidente gli spunti in fin dei conti più marginali, Pobedonoscev si ispirerà alle dottrine di De Maistre, senza neppure intuire la visione del De Maistre dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, o l'atteggiamento assai originale di lui verso l'illuminismo. Pobedonoscev (come i suoi seguaci, tra cui in prima linea il noto giornalista Katkov) parla spesso della "missione universale" della Russia e si richiama quindi agli slavofili: mentre però presso gli slavofili la "missione" russa era sempre concepita in maniera prevalentemente spirituale e la conoscenza diretta dell'idealismo tedesco (spesso frainteso) portava a un livello di discussione sempre abbastanza elevato, per Pobedonoscev la "missione russa" può sembrare praticamente affidata all'opera della polizia. In questa visione di misticismo reazionario, al popolo russo dovrebbe spettare il compito "divino" di redimere altri popoli della terra: ma Pobedonoscev non ha d'altro lato nessuna fiducia in questo "popolo eletto", non intende concedergli nessun diritto. L'Occidente gli sembra definitivamente caduto in balia delle forze demagogiche e plebee, del materialismo: affinché nulla di simile possa mai avvenire in Russia, occorre secondo lui mantenere le masse nell'ignoranza, affinché non si sentano tentate a dubitare della religione e delle tradizioni avite. La civiltà dei paesi occidentali gli è nota solo attraverso deformazioni.
Nel 1885 viene creata una "Banca per la nobiltà", con lo scopo di difendere la minacciata situazione economica dei latifondisti nobili; vengono soppressi i giudici di pace; il ministro degli interni, Tolstoj, introduce di nuovo in pratica le norme tradizionali della vecchia burocrazia; agli zemstvo ed ai municipî si cercano di togliere gli ultimi diritti rimasti; si accentua con estrema brutalità il tentativo di russificazione delle minoranze nazionali.
La Polonia e la Finlandia esperimentano in modo particolare i soprusi della snazionalizzazione dall'alto; l'antisemitismo si toglie ogni velo: agli Ebrei viene permesso di abitare soltanto in determinate regioni, si stabilisce nelle università il numerus clausus, ecc.; viene accentuata anche in coreografiche manifestazioni pubbliche la stretta alleanza fra il trono e l'altare; il clero penetra sempre più nella scuola elementare; si cerca di restringere al minimo possibile l'accesso ai ginnasî; i resti di autonomia universitaria vengono aboliti: i professori verranno eletti dal ministro, ogni tentativo di agitazione studentesca deve esser represso sul nascere; le riviste indipendenti vengono pressoché interamente ridotte al silenzio; si potrà procedere a termini di legge contro i braccianti che abbandoneranno il loro lavoro presso i latifondisti, prima che il contratto sia terminato; si cerca di impedire con pratiche poliziesche l'inurbamento dei contadini (per timore di una troppo rapida proletarizzazione); si cerca di gettare un accordo tra gl'interessi dei latifondisti e quelli della giovane classe industriale (proprio durante il regno di Alessandro III l'industrializzazione della Russia si sviluppa assai rapidamente: l'industria russa, debole in confronto ai paesi industrializzati dell'Occidente, presenta tuttavia il vantaggio di un macchinario moderno, in qualità di "ultima venuta").
Il Regno di Nicola II. - Nicola II succede il 20 ottobre (10 novembre) 1894 a suo padre, morto di malattia in Crimea. Educato dal Pobedonoscev, abituato ad accettare fin da giovinetto come cosa sacra ogni volontà di suo padre, la conoscenza delle principali lingue straniere e di tutte le buone regole della società aristocratica non basta certo a controbilanciare l'assenza di ogni intelligenza viva, di ogni decisa volontà personale. Convinto del carattere sacro dell'autocrazia, non vuole su questo punto accettare compromessi con il pensiero liberale, "non russo" secondo i teorici della reazione: ma è tuttavia disposto a compromessi su molte questioni "secondarie" appena l'acqua mostra di salire alla gola; la concessione giunge quindi quasi sempre troppo tardi, mentre una concessione minore fatta per tempo avrebbe potuto probabilmente ancora valere qualcosa per rialzare il suo prestigio personale.
Deciso a non concedere una "costituzione", nel senso "occidentale" della parola, non trova poi il coraggio di palesare pubblicamente le sue opinioni ai ministri più o meno "progressisti", ma colpisce alle spalle chi credeva, dopo un colloquio con lui, di averne l'approvazione e l'appoggio.
Tra gl'influssi di vario genere ch'egli subisce, sono particolarmente forti quello dell'imperatrice Aleksandra Fedorovna e in seguito quello del monaco Rasputin (v.), che doveva fare tanto parlare di sé nel corso della guerra mondiale. La sua diffidenza verso ogni personalità, che mostri sia pure un minimo di indipendenza e di franchezza, sarà continuamente sperimentata dai suoi consiglieri e ministri, in prima linea forse dal ministro delle finanze, S. Witte (semplice funzionario delle ferrovie, salito poi di grado per le sue non comuni qualità; alla testa del Ministero delle Finanze, dal 1892 al 1903, egli diede un grandissimo impulso allo sviluppo della rete ferroviaria, all'industria tessile e metallurgica, si sforzò soprattutto di ridurre e sopprimere i continui "deficit" del bilancio statale).
Il processo d'industrializzazione della Russia si accelera infatti sempre più, specialmente grazie all'affluire di capitali stranieri; resterà certo una stridente sproporzione tra l'aspetto fondamentalmente agricolo del paese e la giovanissima organizzazione industriale: tuttavia durante il regno di Nicola II il "problema operaio" entra in primo piano; nei grossi centri industriali sorti da poco gli scioperi e le agitazioni operaie si aggiungono alle agitazioni contadine, ai tumulti studenteschi, alla fronda oppure all'opposizione palese di gran parte dell'intelligencija. Si cerca alla meglio di combinare una legislazione operaia, si fissa a undici ore e mezzo la giornata lavorativa per gli adulti; nonostante il divieto legale di scioperare si chiude un occhio se lo sciopero è soltanto economico; si fanno talvolta pressioni sui datori di lavoro affinché facciano qualche concessione: ma nonostante questi provvedimenti, le agitazioni operaie, momentaneamente soffocate, riprendono dovunque.
Accanto a questa rapida industrializzazione (che cambia interamente l'aspetto di certe regioni: per esempio la regione del Donec), la rete ferroviaria russa raddoppia tra il 1894 e il 1905 la sua lunghezza: questo fatto promuove naturalmente a sua volta l'industria nazionale e giova anche ai grandi proprietarî di terre che esportano il loro grano all'estero, in misura sempre crescente. Il corso del rublo viene stabilizzato da Witte; viene creato inoltre il monopolio statale sulla vodka.
Le forze dell'opposizione si vanno intanto sempre più organizzando (legalmente o illegalmente) fra tutti gli strati della popolazione.
Il liberalismo, giunto in ritardo in Russia, senza una tradizione e senza un ceto medio abbastanza forte su cui far leva, aveva già mostrato la sua debolezza ideologica nel 1863, durante l'insurrezione polacca: di fronte ai postulati dei Polacchi, i liberali russi non sanno che accettare in pieno la repressione zarista, così come in altri momenti erano stati una guardinga retroguardia dei rivoluzionarî. Con il sorgere di un'industria moderna, con il sorgere di un capitalismo industriale e finanziario, i cui interessi non sempre coincidono con quelli dei latifondisti e dell'apparato statale semifeudale, il liberalismo sembra guadagnare terreno: e si assiste in Russia a un liberalismo dall'aspetto talvolta ben più "a sinistra" che non nei paesi europei, i quali avevano avuto il loro 1848. Ma il rafforzarsi del liberalismo appare assai presto come qualcosa di effimero: se il ceto industriale ha interesse a un sollevamento del tenore di vita delle masse russe e quindi a una maggiore capacità di consumo, se ha tutti i motivi di chiedere una costituzione all'europea che limiti o abbatta i residui feudali che impediscono lo sviluppo dell'industria e - tenuto conto di tutto ciò - appoggia certe agitazioni operaie, calcolando sull'ala più moderata del socialismo, appena poi le agitazioni cominciano a diventare minacciose sul serio, gl'industriali fanno appello a quello stesso apparato statale che in un primo momento avevano - senza valutare in pieno le conseguenze - combattuto. Calcolando sempre su concessioni dello zar e sull'appoggio dell'ala più moderata del movimento operaio, ben più che sulle proprie forze, i liberali saranno sempre presi alla sprovvista da qualunque situazione nuova. Allorquando sarà concessa la Duma, i liberali di sinistra (i "cadetti") costituiranno un'opposizione sempre disposta a collaborare col governo, mentre i liberali di destra (gli "ottobristi") rappresenteranno nel governo zarista il ponte verso l'opposizione. Agli albori della rivoluzione del 1917 i liberali saranno ugualmente incerti tra "democrazia coronata" e repubblica.
Sotto il nome di "partito socialista rivoluzionario" si organizzano intanto varî gruppi rivoluzionarî seguaci del populismo (narodničestvo). Questo partito avrà una notevole importanza dal 1900 al 1917: in certi momenti sembrerà quasi monopolizzare il movimento insurrezionale contro l'autocrazia. Intermediarî tra l'intelligencija e i contadini, i socialisti rivoluzionarî si distinguono profondamente dai marxisti perché dai populisti accettano in gran parte l'opinione tradizionale che la Russia avrà uno sviluppo molto diverso dall'Europa occidentale: quindi essi fanno leva soprattutto sulle masse contadine; inoltre i socialisti rivoluzionarî si riconnettono alla tradizione del terrorismo (costituendo anche uno speciale battaglione di combattimento"): si susseguiranno infatti senza pausa gli attentati organizzati da loro contro i principali esponenti del regime zarista; sul terreno economico l'eclettismo della loro visione appare palesemente, nonostante gli sforzi molto intensi di far convergere gl'interessi di gruppi sociali assai eterogenei più che su questioni economiche, sul terreno della loro politica rivoluzionaria contro l'"autocrazia". All'eclettismo di molte loro formule come al terrorismo audace e formidabilmente organizzato, i socialisti rivoluzionarî dovettero il fascino grandissimo che in certi momenti poterono esercitare; tuttavia nel loro eclettismo si può anche vedere la causa del rapido tramonto (1917); saranno infatti incerti e indecisi sull'interpretazione da darsi alla guerra, sulla maniera di condurla sino in fondo, sulla collaborazione con altri aggruppamenti, sul senso da dare alla parola "socialismo"; quindi si spiega che talune formazioni di base si accodassero in momenti decisivi ai marxisti, mentre numerosi esponenti assai in vista finirono col trovarsi tra le cosiddette "guardie bianche".
Il marxismo si affaccia in Russia intorno al 1890, mescolato ancora nei primi tempi a qualche frammento marginale d'ideologia "populistica"; in quanto esso si oppone al populismo e afferma che la Russia s'industrializzerà ed europeizzerà, che quindi gli operai e i tecnici saranno gli "uomini russi del futuro" (non i contadini, come affermavano i socialisti rivoluzionarî sulle orme dei populisti), esso afferma che questo sviluppo (e quindi le sue conseguenze politiche) sarà "inevitabile". Il determinismo si afferma insomma qualche volta nelle sue forme più semplicistiche ed antistoriche. Per questi "economisti" lo sciopero (economico) sarà in ogni occasione l'arma più valida per sollevare il tenore di vita della massa operaia. Lo stato futuro sarà un miscuglio di elementi socialistici e di capitalismo di stato. Sono le ideologie del "revisionismo" di Bernstein che trionfano, anche se in forma abbastanza diluita. Più acuta è invece la critica rivolta da questi "economisti" alle ingenuità del vecchio populismo.
Plechanov e Akselrod, poi Martov e Lenin accentuano la lotta contro l'"economismo"; si tratta, secondo loro, invece che di ottenere graduali concessioni economiche, di conquistare il potere. Lenin combatte ad un tempo contro populisti ed economisti: ritiene che l'ideologia del proletariato vada separata nettamente da ogni influsso liberale e democratico: le forze "democratiche" dell'intelligencija e dei contadini dovranno raggrupparsi intormo al proletariato cui spetta la funzione di guida nello sviluppo della rivoluzione. L'antica tradizione degl'intellettuali russi è addirittura capovolta. Rigidamente antiidealista come rigidamente antideterminista, il marxismo intransigente vuole fare scaturire un'affermazione autonoma dal basso e si preoccupa poco se la Russia sia un paese economicamente attardato: la rivoluzione verrà, secondo costoro, prima nell'anello più debole del mondo capitalistico che nei paesi in cui i deterministi conseguenti vedevano tutte le "condizioni favorevoli" all'avvento del socialismo.
Il partito socialdemocratico russo viene fondato il 1° (13) marzo 1898; contro la rigida centralizzazione del partito, affermata specialmente da Lenin, si manifesterà nel corso degli anni una nuova opposizione, che assumerà ben presto l'aspetto di opposizione di destra (Akselrod, Martov). I rappresentanti della maggioranza (bol′šinstvo) verranno comunemente chiamati bol′ševiki (bolscevichi), i rappresentanti della minoranza (men′šinstvo), più propensi al riformismo, furono detti men′ševiki (menscevichi).
Sotto la pressione delle agitazioni nel paese, sotto la pressione dei varî partiti, di moltissimi intellettuali, degli zemstvo, Nicola II è incerto se debba seguire a fondo la linea dei "reazionarî integrali" come Pobedonoscev e Plehve (Pleve), oppure se debba concedere qualche riforma che, pur non potendosi confondere con la "costituzione", tranquillizzi per un certo tempo gli ambienti moderati che con il loro malcontento permanente creano una specie di alone di vaga simpatia intorno ai rivoluzionarî. Con un ukaz del 14 (25) dicembre 1904 l'imperatore si dichiara finalmente disposto a concedere dei "cambiamenti", anche se viene riaffermato che egli non pensa affatto di modificare le leggi "intangibili" dello stato.
La guerra con il Giappone scuote profondamente l'economia russa, mentre il prestigio dell'autocrazia resta ancor diminuito dalle sconfitte militari. Il 9 (22) gennaio 1905 (la cosiddetta "domenica rossa") ha luogo a Pietroburgo la più grande manifestazione operaia che la Russia avesse mai veduto. Guidati dal prete Gapon, il quale godeva di grande simpatia tra la massa operaia (gli operai non sapevano che Gapon era a servizio della polizia segreta), diecine di migliaia di lavoratori pietroburghesi in sciopero da parecchi giorni si dirigono verso il Palazzo d'inverno per sottoporre allo zar una petizione in cui si chiedeva l'amnistia per gli arrestati politici, l'introduzione di una maggiore libertà politica e sindacale, ecc. La manifestazione era così imponente che la polizia se ne allarmò; essa aveva tutto l'interesse che una parte importante del movimento operaio si trovasse nelle mani di uomini come Gapon e comprendeva quindi benissimo l'ineluttabile necessità di qualche concessione economica che facilitasse il compito a questi "dirigenti". Tuttavia fra le masse in movimento e forti reparti di truppa cominciò improvvisamente un conflitto; la forza pubblica sparò ripetutamente sui dimostranti e molto numerose furono le vittime. La speranza che lo zar potesse sul serio difendere gli "umili" si spense bruscamente in vastissimi strati di popolazione non solo pietroburghese, ma di tutta la Russia. Gli elementi piccolo-borghesi e intellettuali sentirono d'improvviso che avevano acquisito un nuovo alleato, un alleato però che sotto varî aspetti cominciava fin da principio ad apparire scomodo e pericoloso.
Gli attentati ricominciano frattanto ad aumentare in modo impressionante; almeno momentaneamente l'unità di tutti gli avversarî dell'autocrazia sembra essere stabilita; tra gli operai si costituiscono associazioni di lotta e di difesa; centinaia d'intellettuali, ringagliarditi dal fermento di così vasti strati di popolo, firmano energici manifesti di protesta contro l'autocrazia. In tutta la Russia si verificano tumulti e disordini, mentre lo zar è incerto se, e in quale misura, occorrerà fare delle concessioni. Perché si va facendo sempre più chiaro che i timidi progetti di riforme, avanzati in certi momenti gravi e poi ritirati a metà, non possono assolutamente più bastare. Anche tra gli elementi più moderati e "legalitarî" raggruppati intorno agli zemstvo si sente con sempre maggior insistenza la richiesta di una costituzione, anche se per prudenza si evita spesso questa parola particolarmente invisa allo zar.
Le rivolte di operai, contadini, soldati e marinai si vanno facendo sempre più gravi nel corso dell'anno 1908: nel Mar Nero si rivolta l'equipaggio della corazzata Potemkin; i contadini in molte regioni s'impadroniscono dei raccolti e momentaneamente delle terre, incendiando spesso le ville e i castelli dei latifondisti; formidabili scioperi si susseguono e da economici diventano spesso politici; si costituiscono dei sovieti (consigli) di operai e in certi casi anche di soldati; a Mosca si ha una grande insurrezione operaia che viene energicamente repressa, sia pure con notevoli difficoltà e in lungo spazio di tempo.
Witte cerca di far capire sempre più chiaramente allo zar che se una reazione integrale non è più possibile, occorre dunque decidersi a concedere al più presto e garantire seriamente delle libertà civiche che non siano soltanto apparenti, come si era tentato precedentemente. Il 17 (30) ottobre lo zar si decide finalmente a lanciare un manifesto in cui si promette libertà di coscienza, di riunione e di associazione, infine che nessuna legge potrà in avvenire essere valida senza l'assenso della Duma. Il manifesto dello zar incontra l'approvazione di strati assai vasti. I soli reazionarî integrali lo deplorano, mentre d'altra parte i socialisti battono di più in più una via propria che, pur non essendo restia a servirsi di vantaggi costituzionali, non ha più per scopo essenziale il parlamentarismo "borghese".
Lo zar, nonostante la sua avversione per Witte, si vede obbligato a nominarlo presidente del consiglio. Ma contemporaneamente il reazionario Trepov diviene sempre più l'uomo di fiducia di Nicola II: insomma lo zar segue la sua vecchia abitudine di pentirsi dopo poco delle riforme che ha dovuto concedere e cerca di sabotarle, appena il momento di estrema necessità sembra passato. Frattanto, nel paese, la grande ondata rivoluzionaria, non essendo riuscita a rovesciare l'autocrazia, subisce la sorte di tutte le rivoluzioni non riuscite (o riuscite solo parzialmente); gli scioperi si vanno facendo più rari e più stanchi; gli arresti, le repressioni, le fucilazioni hanno decimato i rivoluzionarî; la polizia si sente rafforzata; in molte città avvengono violente manifestazioni controrivoluzionarie, organizzate con il più o meno velato appoggio del Ministero degl'interni. Nella lotta contro la rivoluzione si distingue l'"Unione del popolo russo" e fanno particolarmente parlare di sé le cosiddette "centurie nere" che svolgono un'attività terrorista contro i rivoluzionarî e soprattutto cercano di spingere il popolo contro gli Ebrei. Numerosi e spesso sanguinosissimi sono in questo periodo i pogrom antisemiti. Le formazioni di estrema destra vedono negli Ebrei i principali fomentatori della rivoluzione; "levati, sorgi, o popolo russo" suona un loro noto inno: nonostante i legami che queste formazioni hanno con l'"autocrazia ufficiale", esse contano più che altro sulla propria forza; negli ambienti responsabili si cerca infatti certe volte di evitare che queste organizzazioni prendano il sopravvento in modo assoluto.
Durante gli ultimi mesi del 1905 e i primi mesi del 1906 il governo lavora alla preparazione di una costituzione larvata: contro la volontà degli stessi liberali più moderati, viene deciso che le elezioni alla Duma si svolgeranno "per classi"; era ovvio che le correnti più conservatrici speravano soprattutto sulle masse contadine, disposte, è vero, ad abbandonarsi facilmente a tumulti e insurrezioni, ma prive di una chiara coscienza politica e in gran parte sotto l'influsso della chiesa ortodossa. Inoltre allo zar era riservato il diritto di dirigere la politica estera, di curare la difesa dello stato, di proclamare in certe regioni lo stato di guerra; i ministri erano soltanto responsabili dinnanzi allo zar. Alle correnti progressiste sembrò che le promesse anche più moderate, fatte balenare in momenti di estremo pericolo, fossero state violate in pieno; l'estrema destra invece, pur riconoscendo che si era lontani da una costituzione all'europea, temeva che l'ingranaggio parlamentare sarebbe riuscito ad estorcere col tempo una concessione dopo l'altra.
Nonostante tutti questi contrasti la Duma fu inaugurata il 27 aprile (10 maggio) 1906. Le correnti "progressiste", che avevano complessivamente la maggioranza, insisterono fin dalle prime sedute che venisse abolito il Consiglio di stato, che venisse soppressa la pena di morte, che i ministri fossero responsabili dinnanzi alla Duma, che le future elezioni non si svolgessero più per classi; dall'altra parte l'estrema destra, ora che l'agitazione rivoluzionaria nel paese sembrava assai diminuita, faceva pressioni sullo zar perché le concessioni fatte venissero revocate. Fu battuta una via di mezzo; nell'estate del 1906 la prima Duma venne disciolta e le nuove elezioni furono indette per il 20 febbraio (5 marzo) 1907. I partiti dell'opposizione ritennero illegale lo scioglimento della Duma: siccome le leggi restrittive vigenti in Russia non si estendevano che parzialmente in Finlandia, i dirigenti dell'opposizione - colpiti poi da severe punizioni - si riunirono appunto in Finlandia (a Vyborg) e in un manifesto al popolo russo esortavano quest'ultimo a rifiutarsi di prestare il servizio militare e a non pagare le tasse.
Nella seconda Duma l'estrema sinistra usciva addirittura rafforzata. La tensione col governo si fece anche più grave. Avendo la maggioranza della Duma rifiutato l'autorizzazione di arresto per cinquantacinque deputati socialisti accusati di complotto, il 3 (16) giugno 1907 anche la seconda Duma venne disciolta. Le elezioni alla terza Duma si svolsero sotto una pressione governativa che si cercò appena di nascondere. Il risultato di avere un parlamento più addomesticato fu certamente ottenuto dal governo, ma intanto si accentuava il distacco tra la burocrazia reazionaria da un lato, l'opinione pubblica di tutte le sfumature dall'altro. Le minoranze nazionali (Polacchi, Finlandesi, Ebrei, popoli baltici e caucasici), vedendo continuamente minacciati i proprî diritti o vedendo soppresse poco dopo concessioni ottenute nell'ora del pericolo, erano in continuo fermento e il loro malcontento si aggiungeva all'attività dei partiti rivoluzionarî russi.
La terza Duma durò dal 1907 al 1912; se la vita parlamentare poteva ormai dirsi quasi normale, nel paese gli attentati terroristi (specialmente da parte dei socialisti rivoluzionarî) aumentarono. Tra le vittime si deve annoverare lo stesso presidente dei ministri Stolypin, il cui nome si riconnette a un'importante riforma agraria, mirante sostanzialmente a creare una solida borghesia di carattere agricolo, in cui con notevole acume lo Stolypin vedeva un baluardo contro ulteriori assalti rivoluzionarî. Ma il tentativo di riforma venne tardi e soprattutto lo stato non aveva i mezzi sufficienti per aiutare la grandissima maggioranza dei contadini poveri che dallo sgretolarsi della vecchia obščina vedevano se mai peggiorata la loro situazione. Il sorgere di uno strato di nuovi ricchi non fece che aumentare la tensione nelle campagne.
La quarta Duma, eletta nel 1912, fu soppressa dalla rivoluzione del 1917.
La guerra mondiale e la rivoluzione. - La guerra mondiale ebbe come effetto di creare un'improvvisa atmosfera di unione sacra. Tutti i partiti politici, ad eccezione dei bolscevichi, erano decisi a condurre fino in fondo la lotta contro "l'imperialismo germanico"; ma sugli scopi della guerra, sul modo di condurla, sulla maniera di comportarsi dinnanzi al governo, le opinioni divergevano, anche se in pubblico i dissensi non erano messi in mostra, affinché non ne approfittasse il nemico. Gli elementi reazionarî erano soddisfatti di vedere d'improvviso la calma nel paese (le stesse organizzazioni bolsceviche erano numericamente molto ridotte e disorganizzate dagli arresti) e credevano quindi che un'epoca nuova fosse cominciata, in cui le richieste dei democratici avessero perduto ogni attualità e probabilità di potersi realizzare. Le correnti liberali, decise a condurre la guerra fino in fondo, mancavano di una linea sufficientemente chiara: da un lato chiedevano Costantinopoli per la Russia, dall'altro volevano che la guerra assumesse l'aspetto di "guerra democratica" contro Guglielmo II. Numerose furono del resto le adesioni alla guerra anche di anarchici come il Kropotkin e di socialdemocratici come il Plechanov.
Trascorsi i primi mesi di entusiasmo quasi generale, le difficoltà militari cominciarono a farsi sentire: la Polonia era stata sgombrata, affluivano masse di profughi verso l'interno, il fronte si avvicinava a Pietroburgo, i viveri cominciavano a scarseggiare. Alcuni tumulti di piazza si dirigono in un primo tempo contro i negozî che hanno proprietarî tedeschi o ritenuti tedeschi: ma le lunghe "code" dinnanzi ai magazzini di viveri diventano nel corso del tempo un ambiente molto favorevole alla propaganda rivoluzionaria. Le truppe al fronte hanno l'impressione di essere guidate male, di essere sacrificate per puri motivi di prestigio; gli approvvigionamenti d'ogni genere lasciano sempre più a desiderare.
Corrono insistenti le voci che taluni ambienti reazionarî intorno a Rasputin, temendo un disastro militare e nuovi tumulti rivoluzionarî all'interno, vogliano influenzare lo zar per una pace separata con gl'Imperi Centrali. Sotto la pressione degli ambienti liberali, rafforzati da gruppi menscevichi e socialisti rivoluzionarî, che avendo aderito all'"unione sacra" hanno ottenuto maggiore libertà di parola, il governo si decide a convocare per pochi giorni la Duma (febbraio 1915). Nonostante la continuazione dell'unione sacra, il dissidio tra il governo e gli ambienti progressisti si accentua. Reazionarî decisi come Goremykin e Suchomlinov non riescono dai banchi del governo a consolidare lo stato d'animo di un'unione nazionale, che le correnti democratiche desiderano. Dopo una nuova riunione della Duma il 19 luglio (1 agosto), si viene formando tra i parlamentari il cosiddetto "blocco progressista", comprendente tutte le sfumature liberali e democratiche (nel senso più largo): scopo del blocco progressista era in prima linea di assicurare gli approvvigionamenti all'esercito, infine di trasformare la Duma in un vero parlamento, il quale impedisse che dietro alle sue spille si organizzasse da parte di elementi irresponsabili la pace separata. Il blocco progressista insisteva pure per un'amnistia generale, per una politica che venisse incontro alle richieste dei Polacchi, degli Ucraini e delle altre minoranze nazionali, per un'abolizione dei più gravi provvedimenti limitanti la libertà degli Ebrei, per un maggiore sviluppo da darsi all'attività degli zemstvo. Di fronte al blocco progressista, le correnti reazionarie e il governo oscillano, secondo la vecchia tradizione, tra una stretta di freni e qualche piccola concessione.
Lo zar e la famiglia imperiale si trovano sotto l'influsso completo del dissoluto monaco Rasputin: chiunque vuole ottenere dei favori o delle promozioni di grado deve oramai cattivarsi la benevolenza di Rasputin. Alla stessa presidenza del consiglio viene messo un protetto del monaco, il reazionario Stürmer (Štjurmer). La Duma viene ormai convocata solo per brevissime sedute. Di più in più si ha la sensazione nel paese che si vada preparando dietro alle spalle della Duma ciò che alcuni chiamano la pace separata, altri il tradimento.
Nel dicembre 1916 il principe Jusupov e il deputato Puriškevič uccidono Rasputin in maniera drammatica. Fino a oggi è difficile stabilire con esattezza se il tentativo di pace separata con la Germania avesse assunto lineamenti concreti: certamente vastissime masse erano stanche della guerra, gli elementi più reazionarî speravano di evitare la rivoluzione con una rapida pace, i grandi esportatori di grano speravano che gl'intoppi gravissimi al commercio cessassero con la fine delle ostilità.
Il 27 febbraio (12 marzo) 1917, mentre i deputati erano riuniti per discutere un ukaz dello zar che aveva sospeso i lavori parlamentari, giunse la notizia che i soldati di parecchi reggimenti avevano occupato la fortezza di Pietro e Paolo, l'arsenale, le caserme. Il blocco progressista, che fino allora aveva prospettato più che altro la possibilità di ottenere con un'intensa pressione delle riforme dall'alto, si trovò, quasi contro voglia, nella necessità di prendere il potere, colto alla sprovvista dall'insurrezione. Nei primi giorni molti deputati sperano che con l'abdicazione di Nicola II possa essere salvata la monarchia. Ma gli avvenimenti precipitano: il 4 (17) marzo avviene l'abdicazione dello zar e suo fratello Michele rinuncia a salire al trono. Di fatto la Russia è oramai una repubblica.
Il governo provvisorio viene costituito dal "moderato" principe L′vov, presidente dei ministri: nel ministero siedono progressisti, cadetti (tra cui Miljukov e Nehrasov), ottobristi (Gučkov), l'"indipendente" Tereščenko, il "laburista" Kerenskij, ecc. Il nuovo governo promette subito la continuazione della guerra a fianco degli Alleati, un migliorato approvvigionamento alle truppe combattenti, la prossima convocazione d'una Costituente; immediatamente si proclama un'amnistia generale. Ma intanto la pressione operaia si fa sentire sempre più fortemente. I menscevichi e i socialisti rivoluzionarî devono accentuare i loro postulati perché le masse non passino ai bolscevichi: questi ultimi rafforzano, con l'improvvisa legalità, le loro organizzazioni. Lenin ritorna in Russia dall'esilio ed anche Trockij (Trotzki) si è di recente unito ai bolscevichi. Di fianco al governo provvisorio si sviluppano sempre più i sovieti dei soldati e degli operai, che divengono quasi un secondo governo, anche se per parecchi mesi vi prevarranno menscevichi e socialisti rivoluzionarî. Il governo provvisorio e i socialisti favorevoli alla guerra cercano di dare alle truppe un nuovo slancio rivoluzionario ma gli approvvigionamenti peggiorano, le masse contadine non vogliono più combattere e vogliono invece subito la terra, tra gli operai aumenta il malcontento contro il governo provvisorio a mano a mano che quest'ultimo rimanda le fondamentali riforme sociali al dopoguerra. Tra le minoranze nazionali più sviluppate e coscienti, alla volontà di autonomia subentra sempre più la volontà di autodecisione, fino al distacco dalla Russia. Gli Alleati che avevano visto di buon occhio il cambiamento di regime, sperando che la pace separata fosse definitivamente tramontata, si allarmano e cominciano a prevedere una prossima catastrofe del fronte.
Continue crisi interne del governo provvisorio rafforzarono l'autorità di fatto dei sovieti (in cui i bolscevichi sono ancora una minoranza). Sotto la pressione crescente delle masse, i bolscevichi si vedono obbligati, sia pure contro voglia, a sferrare un'offensiva nel mese di luglio: la situazione per i bolscevichi è grave; restar passivi significa per loro perdere una buona parte delle masse decise ad agire; i dirigenti del movimento capiscono invece che per l'insurrezione generale ancora è troppo presto. I disordini di luglio hanno per effetto un rafforzamento delle forze antibolsceviche. In seguito alla repressione dei moti bolscevichi e alla nuova offensiva sul fronte iniziata da Kerenskij avvengono in varie città della Russia numerose dimostrazioni nazionaliste: vi partecipano anche le forze liberali, ma chi dà il tono e il colore a queste dimostrazioni sono le organizzazioni di estrema destra.
Kerenskij era stato alla testa della repressione antibolscevica di luglio; sentendo che la posizione dei bolscevichi era indebolita, che le destre - per quanto momentaneamente ringagliardite - non potevano avere speranze in un prossimo futuro, egli si pose alla testa di un nuovo raggruppamento ministeriale, che, secondo le sue parole, aveva lo scopo di salvare la rivoluzione. I rappresentanti degli aggruppamenti marcatamente "borghesi" uscirono dal ministero, che, nonostante la sua azione antibolscevica, finiva con l'assumere un aspetto socialisteggiante. Poco dopo, Kerenskij unisce nella sua persona le funzioni di primo ministro con quelle di ministro della guerra e della marina. Apparentemente Kerenskij è l'uomo più potente della Russia: in realtà, le masse operaie dei grandi centri, passato il disorientamento della fallita sommossa di luglio, si raggruppano in modo sempre più deciso attorno ai bolscevichi; l'offensiva in Galizia, voluta da Kerenskij, è fallita e le diserzioni e manifestazioni d'indisciplina aumentano di giorno in giorno. Le correnti conservatrici e nazionaliste, pur essendo disposte in un momento così pericoloso e incerto a non toccare le principali conquiste della rivoluzione, non hanno più fiducia in Kerenskij e sperano in una dittatura militare, appoggiata dalle formazioni di destra.
Il 28 agosto (10 settembre) il generale Kornilov tenta infatti di occupare Pietrogrado allo scopo di sciogliere il soviet e d'instaurare una più o meno larvata dittatura. L'atteggiamento di Kerenskij è dei più incerti, equivoco addirittura secondo i suoi avversarî di destra e di sinistra. Il governo legale, le forze "democratiche", i menscevichi e i socialisti rivoluzionarî non possono impedire che i bolscevichi si mettano alla testa della lotta contro Kornilov. Il tentativo militare fallisce in breve tempo e la conseguenza ne è che i bolscevichi sono di gran lunga più fortificati che prima del loro insuccesso di luglio. Infatti, poche settimane dopo, il 25 ottobre (7 novembre) 1917, i bolscevichi passano all'attacco e s'impadroniscono di Pietrogrado. La lotta è molto più lunga e accanita a Mosca, ma dopo alcuni giorni anche questa finisce per cadere nelle mani dei bolscevichi.
La disorganizzazione causata dalla guerra, dai disordini, dalla rivoluzione, sembrano per qualche tempo creare al nuovo regime una situazione insostenibile. In Ucraina, in Siberia, ecc., si organizzano gli avversarî del bolscevismo. Il potere sovietico si estende su una zona importante, perché comprende i principali centri urbani, ma relativamente piccola.
Immediatamente il nuovo regime concede ai contadini il diritto d'impadronirsi delle terre; il controllo operaio viene imposto all'industria privata, che non viene per allora nazionalizzata; solo nel corso di alcuni anni sono nazionalizzati il commercio interno e gli stabilimenti industriali privati. Nel marzo del 1918 la pace venne intanto firmata con gl'Imperi Centrali: in seguito a ciò gli Alleati appoggiarono attivamente i governi locali antibolscevichi, assai diversi tra di loro e continuamente cambianti nei loro orientamenti politici, sorti un po' dovunque, nelle più differenti regioni; anche le legioni cecoslovacche formatesi in Russia durante la guerra mondiale (per combattere contro l'Austria) parteciparono attivamente alla lotta contro i bolscevichi. L'intervento straniero giovò al vettovagliamento delle cosiddette armate bianche, ma forse contribuì anche a screditarle. Le legioni cecoslovacche provenienti dagli Urali si spinsero il 25 luglio 1918 sino a Ekaterinburg, dove il 16 luglio dello stesso anno, prima che arrivassero i Cecoslovacchi, i bolscevichi avevano ucciso la famiglia imperiale. Le truppe alleate in alcuni punti della Russia erano relativamente scarse e non volevano impegnarsi a fondo, avendo sperato da principio che il solo loro apparire avrebbe prodotto il voluto effetto intimidatorio. Le forze controrivoluzionarie vi avevano fatto eccessivo assegnamento: inoltre se i "rossi" erano minacciati da mancanza di approvvigionamenti e di ufficiali capaci, dalla difficoltà delle comunicazioni, "bianchi" erano discordi tra di loro e solo momentaneamente i fautori della monarchia e della dittatura militare riuscivano a mettersi d'accordo con i liberali e i socialisti antibolscevichi. Tra queste forze eterogenee si sviluppava infatti di continuo una lotta per il predominio. L'una dopo l'altra, le armate bianche di Kolčak, di Denikin, di Wrangel (Vrangel′) furono sconfitte dall'esercito rosso. Una gran parte della vecchia classe dirigente russa andò nell'emigrazione; nel maggio del 1920 l'esercito rosso scaccia i Polacchi da Kiev: in luglio i "rossi" giungono dinnanzi a Varsavia, ma sono ricacciati da una grande controffensiva polacca. Il 18 marzo 1921 viene firmata la pace tra la Polonia e la Russia.
Intanto nel congresso tenuto a Mosca dal 2 al 6 marzo 1919 viene organizzata la Terza internazionale, raggruppante in grandi linee le frazioni di estrema sinistra della Seconda internazionale. Il cosiddetto "comunismo di guerra", a cui il regime sovietico era ricorso durante l'intervento straniero e la guerra coi "bianchi" aveva gravemente disorganizzato la produzione agricola e industriale. Nell'estate del 1921 viene infatti promulgata la cosiddetta Nuova politica economica (nep; v.), la quale ristabiliva parzialmente e transitoriamente la libertà di commercio e talune prerogative capitaliste.
Lenin morì il 21 gennaio 1924 e alla sua morte si accende nel partito bolscevico una violenta discussione sulla possibilità della costruzione del socialismo in un solo paese. Questa lotta, personificata in prima linea dai nomi di Stalin (v.) e Trockij (v.), termina con la vittoria del primo. Con il luglio del 1923 la Russia si era trasformata in "Unione delle repubbliche socialiste sovietiche". Di anno in anno l'organizzazione militare viene rinforzata, specialmente da quando la situazione politica in Estremo Oriente diviene tesa. Con il 1928 cominciano il primo e poi il secondo "piano quinquennale", i quali hanno per scopo di costruire in un paese prevalentemente agrario e in gran parte primitivo una potente industria socialistica e di organizzare tutta l'agricoltura su basi collettive (v. kolchoz).
Per il periodo più recente, v. U.R.S.S.
Bibl.: Fonti, documenti: Ikonnikov, Opyt russkoj istoriografii (Saggio di storiografia russa), voll. 2, Kiev 1891-92; Polnoe sobranie russkich letopisej (Racc. compl. delle cronache russe), a cura della Commissione archeografica, 1841 segg.; Akty otnosjaščiesja k istorii jugo-zapadnoj Rossii (Atti riguardanti la storia della Russia sudoccidentale), voll. 16, 1861-76; F. F. Martens, Sobranie traktatov i konvencij zaključennych Rossiej s inostrannymi deržavami (Racc. di trattati e convenzioni concluse dalla Russia con stati stranieri), voll. 13, Pietroburgo 1878-1902.
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Per la storia dell'Ucraina: M. S. Hruševskij, Istorija Ukraini-Rusi, voll. 9, Kiev-Leopoli-Mosca 1904-28. Per la storia biancorussa: U. Pičeta, Gistoryja Belarusi, I, Mosca 1924.
Lingua.
Per quanto la differenziazione dialettale dei parlari slavo-orientali (v. slavi) non sia molto pronunziata, pure si riscontrano oggi, sul territorio russo, tre lingue letterarie: il russo, nel senso ristretto del termine, o grande-russo; l'ucraino (detto anche, ma sempre più raramente, piccolo-russo, e anche ruteno); il bianco-russo. Ma conviene notare subito che fra queste tre lingue letterarie non vi ha parità assoluta e che tanto di fronte all'ucraino, quanto, e più ancora, di fronte al bianco-russo, il grande-russo ha una posizione predominante. Infatti la tendenza verso l'autonomia linguistico-letteraria, comune più o meno a tutti i popoli slavi, non ha potuto che parzialmente intaccare la supremazia del grande-russo, basata su condizioni politiche e letterarie. Ciò non toglie che sia da reputarsi erronea l'opinione di coloro i quali, fondandosi soprattutto sul passato, vorrebbero anche ora riservare il termine di "lingua" al solo grande-russo e continuare a considerare "dialetti" sia l'ucraino sia il bianco-russo.
A chiarire il rapporto, in realtà complesso e mal definibile, fra i tre sottogruppi linguistici dello slavo-orientale (o russo nel senso ampio della parola) può servire il confronto con le relazioni analoghe, ma non identiche, in cui, specialmente in questi ultimi anni, sono venuti a trovarsi lo slovacco di fronte al cèco, o il catalano di fronte allo spagnolo.
Parecchie caratteristiche distinguono abbastanza nettamente lo slavo orientale dallo slavo occidentale e dallo slavo meridionale. Le principali di esse sono le seguenti: il "suono pieno" (polnoglasie) oro, ere, olo per il protoslavo or, er, ol, el (p. es., moloko "latte" di fronte a bulgaro, serbo, polacco e cèco mleko; russo bereg "sponda", ucr. bereh, berih, contro bulg. breg, serbo breg, cèco břeh, pol. brzeg; russo golos "voce", ucr. holos, contro bulg., serbo, sloveno glas, cèco hlas, pol. glos; russo gorod "città", ucr. horod, di fronte a bulg., serbo, slov. grad, cèco hrad, pol. gród); il protoslavo e- dinnanzi a i e e passa ad o-: russo odin, ucr. odyn, contro: serbojedan, cèco e pol. jeden; i riflessi delle due semivocali ĭ, ŭ, in quanto non soggette al dileguo, sono nettamente distinti (ĭ > e, ŭ > o); l'uso costante e generale del genitivo plurale per l'accusativo plurale nei generi animati.
Meno netta è la differenziazione del grande-russo di fronte al biancorusso e all'ucraino. Da notare: nella fonetica, la conservazione di -v (pronunzia -f) e -l (pronunzia -l velare) finali che nell'ucr., e nel b.-russo assumono il valore di -u̯ (secondo elemento di un nuovo dittongo): per es., russo krov, ucr. krov (pr. krou̯), b.-russo krou̯; pošel (pr. pašoł) "andò", ucr. pišov (pr. pišou̯), b.-russo pašou̯; nella morfologia, l'assenza, nel grande-russo, della desinenza -ov nei genitivi plurale dei temi femminili in -a.
Anche i confini fra il grande-russo d'una parte, e il biancorusso e ucraino dall'altra, non possono essere tracciati con precisione; specialmente numerosi sono i parlari misti nelle zone limitrofe tra grande-russo e bianco-russo. Con qualche approssimazione tale confine può essere tracciato nel modo seguente: da Leningrado lungo il mare ad ovest fino al confine dell'Estonia, da qui al sud costeggiando il lago di Pejpus fino a Pskov dove si entra in una zona mista che piegando a est si abbandona nei pressi di Vjazma. Qui il confine volge quasi nettamente al sud, lasciando nel territorio grande-russo Brjansk (di fronte a zone bianco-russe) e Kursk (di fronte a zone ucraine). Al nord di Charkov il confine prende la direzione nord-est senza raggiungere però Voronež, nei cui pressi la linea di separazione tra grande-russo e ucraino ripiega al sud passando nelle immediate vicinanze di Novočerkesk e Stavropol′. Tutto il territorio ad est e nord di questo confine, in quanto slavo, è grande-russo.
Il territorio dei dialetti grandi-russi è abbastanza omogeneo. Le differenze che, data l'amplissima zona che esso occupa, pur vi si notano, non sono né forti né numerose: l'abitante di Astrachan può agevolmente intendere quello di Archangelsk, e il contadino dei dintorni di Leningrado può farsi capire bene dal colono del più orientale lembo della Siberia. Tuttavia si usano distinguere due sottogruppi dialettali: i parlari settentrionali e i parlari meridionali. Il confine fra questi due gruppi può essere approssimativamente tracciato da una linea che, partendo una cinquantina di chilometri ad est di Pskov (dove il grande-russo passa impercettibilmente nel bianco-russo) pieghi a sud-est (lasciando Tver′ e Mosca nel gruppo meridionale) fino ai pressi di Čeboksary e da lì volga direttamente al sud sino a Stalingrad (già Caricyn). Per entro il territorio dei parlari settentrionali, e precisamente a nordest di Kostroma e intorno a Samara, si trovano forti nuclei di popolazioni parlanti il dialetto meridionale. Alcuni studiosi separano i gruppi settentrionale e meridionale da una larga striscia di parlari transitorî (detto gruppo medio-grande-russo). In questa striscia si trovano, per non citare che i centri più importanti, Tver′, Mosca e Penza. La differenza principale, o per lo meno più sensibile, tra il gruppo del nord e quello del sud è costituita dalla diversa pronuncia dell'o atona: nel nord questa o resta intatta (okan′e), nel sud essa ha il valore approssimativo di un a (akan′e): la parola voda "acqua" si pronuncia vadá nel sud, vodá nel nord. Questa modificazione dell'o non è, per altro, che uno degli aspetti di una tendenza più generale per cui, nel gruppo meridionale, tutte le vocali atone vengono pronunziate in maniera meno chiara e spesso fortemente ridotta.
La lingua russa letteraria si basa in buona parte sul parlare direttivo di Mosca, ed ha quindi in sé, accanto a elementi meridionali (akan′e) anche, e non pochi, elementi settentrionali. In generale anche in Russia, come altrove, è sensibile l'influenza esercitata dalle vicende politiche sulle sorti linguistiche. Il territorio dei dialetti grande-russo-meridionali, corrisponde in buona parte a quello dello stato moscovita; la zona grande-russa-settentrionale corrisponde invece, nel suo nucleo originario, al territorio della repubblica di Novgorod, e rispecchia nell'enorme ampiezza della sua estensione, le successive colonizzazioni e annessioni dell'impero russo.
Lingua ufficiale e letteraria non solo nel territorio grande-russo, ma fino a poco tempo fa esclusivamente, ed ora parzialmente, anche nel territorio bianco-russo e ucraino, il russo riflette, sopra tutto nella sua struttura lessicale, una duplice eredità: quella dei dialetti popolari sui quali poggia, e quella dell'antica tradizione ecclesiastico-letteraria che, risalendo alla cristianizzazione e alla organizzazione ecclesiastica della Russia antica, ci riporta al paleoslavo, sempre più infarcito di elementi indigeni, ma mai completamente eliminato. Si può anzi dire che sino alla seconda metà del sec. XVIII non esiste una lingua letteraria veramente nazionale e che solo dopo questo periodo (importantissima è stata, fra l'altro, l'opera del Karamzin), gli scrittori russi si emancipano consapevolmente dalla ingombrante tradizione del paleoslavo russificato. Ma oggi ancora non poche sono le parole che recano, nella struttura fonetica, palesi tracce del paleoslavo (antico bulgaro). Istruttivi sono specialmente i numerosi doppioni: grad (in: Leningrad, ecc.), glava "capitolo", strana "regione, paesi", bremja "fardello", ecc., hanno un'impronta fonetica nettamente paleoslava - e dal paleoslavo derivano; gorod (per es., in Novgorod), golova "capo", storona "parte, lato"; beremennaja "gravida" sono forme popolari, russe.
Bibl.: Dizionari: N. I. Dal′, Tolkovyj slovar' živago velikorusskago jazyka (Vocabolario esegetico della viva lingua grande-russa), 3ª ed. a cura di J. Baudouin de Courtenay, Pietroburgo-Mosca 1903 segg.: Slovar′ russkago jazyka, a cura dell'Accad. delle scienze di Pietroburgo, 1895 segg. (tuttora incompiuto); J. Pawlowsky, Russisch-deutsches Wörterbuch, 3ª ed., Riga 1900 (ottimo); Makaroff, Dictionnaire russe-français, Pietroburgo (varie ediz.); Russko-italjanskij slovar′ (Dizionario russo-italiano), a cura di B. A. Grifcov, Mosca 1934. Grammatiche pratiche: R. Gutmann-Polledro e A. Polledro, Grammatica russa teorico-pratica, 3ª ediz., Torino 1933; Motti, Grammatica russa, nella coll. Gaspey-Otto-Sauer, Heidelberg, varie ediz.; E. Bernecker, Russ. Grammatik, in Sammlung Göschen, 3ª ediz., a cura di M. Vasmer, Berlino 1927 (ottima; con alcune osservazioni di carattere storico-scientifico); L. Tesnière, Petite grammaire russe, Parigi 1934. - Opere scientifiche: K. H. Meyer, Historische Grammatik der russ. Sprache, I, Bonn 1923; A. Sobolevskij, Lekcii po istorii russk. jazyka (Lez. di storia della lingua russa), Mosca 1907; A. Šachmatov, Očerk drevnejšago perioda istorii russkago jazyka (Disegno del periodo antico della storia della lingua russa), Pietroburgo 1915; id., Očerk sovremennago russkago literaturnago jazyka (Disegno della lingua lett. russa contemporanea), Leningrado 1925; N. Durnovo, Očerk istorii russkago jazyka, Mosca-Leningrado 1924; id., Vvedenie v istoriju russk. jazyka (Intr. alla storia della lingua russa), I, Bruna 1927; R. Jakobson, Remarques sur l'évolution phonologique du russe comparée à celle des autres langues slaves, Praga 1929; S. Karcevski, Système du verbe russe, ivi 1927; N. Durnovo, N. Sokolov e D. Ušakov, Opyt dialektologičeskoj karty russkago jazyka v Evrope s priloženiem očerka russkoj dialektologii, (Saggio di una carta dialettale della lingua russa), Mosca 1915; N. Trubetzkoy, Einiges über die russ. Lautentwicklung und die Anflösung der gemeinrussischen Spracheinheit, in Zeitschr. f. slav. Phil., I (1925), pp. 287-319.
Etnografia e folklore.
Nel corso dei secoli il popolo russo ha subito sconvolgimenti tutt'altro che trascurabili, specie nelle regioni sud-orientali. Nei ricchi territorî agricoli dell'Ucraina si sviluppò una fiorente e varia cultura popolare, influenzata dalle civiltà orientali e occidentali. I Grandi Russi durante il Medioevo si estesero dai territorî di Mosca e di Novgorod verso nord e verso sud, da cui furono talvolta respinti dai bellicosi nomadi delle steppe e dalle popolazioni pastorali di origine asiatica. In queste regioni che, con il clima più mite delle steppe e delle nude pianure, offrirono agli abitanti condizioni di vita differenti da quelle dei Russi Bianchi o settentrionali abitanti zone boscose, si notano particolarmente penetrazioni della civiltà orientale e bizantina. Inoltre le regioni settentrionali da Novgorod ad Arcangelo erano sotto l'influenza politica e culturale dei Variaghi scandinavi. Nel territorio del Volga si sono conservate anche forme della cultura popolare finnica, mentre altri gruppi finni subirono un processo di quasi completa slavizzazione.
La forma più primitiva di civiltà si incontra nelle zone boschive. La caccia essendo stata, tuttavia, sino dal Medioevo, privilegio feudale, non ha grande importanza per la cultura popolare. Notevole invece tuttora la produzione data dall'allevamento delle api selvatiche. Introducendo una scure o un berretto nell'albero in cui sono raccolte, oppure incidendo detto albero, si stabilisce la proprietà del miele. Vengono anche posti sugli alberi favi artificiali, scavati in un ceppo, raggiungibili con scale di corda. Dal miele si ricava una bevanda inebriante (med). Con incisioni praticate in primavera nelle betulle e negli aceri si ottiene in gran quantità la linfa usata come bevanda medicinale; la scorza dei tigli vien adoperata per confezionare sandali, recipienti e oggetti di ogni genere. La pesca nei grandi fiumi viene praticata con grandi chiuse di legno, su cui vengono fissate delle nasse, con reti, nelle quali i pesci sono cacciati spaventandoli con rumori, e anche con la fiocina. I pesci vengono seccati all'aria, preferibilmente però posti in salamoia in grandi botti. La preparazione dei campi coltivati si ottiene con l'abbattimento dei tronchi e con l'incendio dei rami e delle erbe, mentre le ceppaie non vengono tolte e il terreno vien grattato con arnesi in legno a forma di zappa o con un aratro a uncino. Quando le ceppaie ributtano dopo alcuni anni, si prepara un nuovo dissodamento. Il bosco mantiene poco bestiame e spesso mandrie vi diventano selvatiche, specie quelle di maiali. I pastori, che generalmente sono persone estranee alla località, sono considerati come esperti nelle arti magiche e in stretto contatto con le forze della natura.
Ben diverse le cose nelle pianure senza bosco dell'Ucraina e della Russia meridionale. Ivi nel sec. XV, seguendo un antico tipo di economia collettiva, probabilmente ispirata a modelli tedeschi, si è costituita una comunità rurale con sorteggio, regolarmente ripetuto, del terreno da dissodare. Vi è in uso la rotazione triennale. Anche qui vien usato per il dissodamento un aratro a forma di zappa con due o tre appuntiti raschiatoi; solo nei grevi terreni dell'Ucraina si è diffuso il coltro che intacca profondamente il terreno. Il bestiame non essendo molto vigoroso, venivano attaccati sino a 16 buoi, prestati in parte dai vicini. Il taglio del grano con il falcetto fu sostituito sin dal sec. XIX, anche nella Grande Russia, dal taglio con la falce, secondo l'uso lituano. Per asciugare il grano venivano usati nel nord essiccatoi simili a quelli in uso nel Canton Ticino. Nei distretti paludosi e boscosi settentrionali si costruiscono invece, per asciugare il grano, forni sotterranei, coperti da una soprastruttura conica, e su questa, in una gabbia in legno o una rozza capanna di travi, vengono portate le spighe. Per la battitura si adoperano molto gli animali e nell'inverno, quando i fiumi sono gelati, queste superficie di ghiaccio fungono da aia. Nel mezzogiorno vengono trascinate sul frumento carrozze, slitte o tavole trebbiatrici armate di pietre acuminate, come nei paesi mediterranei. Nella regione del löss in Ucraina vengono usati per conservarvi il grano fosse sotterranee (silos). Oltre ai molini ad acqua, considerati con un certo preconcetto dai contadini che li giudicano invenzioni dell'Occidente, numerosissimi i molini a vento; in molti luoghi esistono ancora i molini a mano. L'orzo e l'avena vengono anche pestati in mortai e in truogoli piatti, il pestello venendo mosso col piede. Nel settentrione il pane viene generalmente fatto con la farina nera di segala; nelle regioni ove vien coltivato il frumento, anche con farina bianca. Utensili per impastare e pani festivi hanno grande importanza, specie nelle feste nuziali, ove stanno a simboleggiare il lavoro muliebre e la prosperità casalinga. Pappe di farina salmistrata e pezzi di pane messi a macerare nell'acqua salata, talvolta malto, fermentando dànno una birra leggiera (kvas) che costituisce un importante alimento del popolo. Il tè, preso sempre con pane, serve da colazione. Bevande alcooliche si ottengono in Ucraina anche facendo fermentare frutta selvatica disseccata. Nel sud crescono zucche e meloni. Nel nord, specie in primavera, si verifica un gran consumo di legumi freschi; venivano talvolta consumate crude diverse specie di aglio, acetosella, ecc. I freschi virgulti e le radici di equiseto e di altre piante servono da alimento di fortuna a intere famiglie. Zuppe acidule vengono preparate con l'erba orsina, con cavoli e, in Ucraina, con barbabietole. Tutte queste minestre, il kvas e anche l'acqua per il bagno vengono spesso ancora scaldate con pietre roventi. Il fuoco è preferibilmente mantenuto acceso l'intero anno e un tempo veniva rinnovato con una cerimonia rituale. Per preservare il bestiame da epidemie si accendono fuochi rituali fregando due pezzi di legno o strofinando un ceppo con una cordicella. Nella boscosa Russia settentrionale domina l'abitazione costruita in travatura. Essa comprende una sottostruttura, usata come magazzino o anche come camera da letto, alla quale si discende dalla stanza principale di soggiorno attraverso una botola. A questa si accede attraverso un atrio non riscaldato; vi si trova anzitutto una enorme stufa in muratura, nella quale si fa la cucina e sulla quale si dorme. Vi si trova inoltre un soppalco posto circa un metro al di sotto del soffitto. I mobili dipinti rivelano influenze stilistiche occidentali. All'infuori dell'abitazione, sono caratteristici i solidi granai di travi, sollevati su pali, come nelle Alpi, e le capanne per il bagno a vapore. Il vapore viene ottenuto buttando acqua su stufe roventi di sassi: segue la flagellazione con scope di betulla, dopo di che i bagnanti si rinfrescano buttandosi, d'estate nel fiume e sulla neve d'inverno. Questi bagni, che in certe circostanze festive rivestono carattere rituale, hanno pure scopo igienico. Nel sud i bagni a vapore si prendono nella casa. Nell'Ucraina le case hanno generalmente un'armatura in legno e pareti di graticciati, spalmati d'argilla, o sono costruite tutte in argilla. I tetti sono coperti di paglia, solo nei territorî boschivi del nord di assi o assicelle. In queste ultime regioni si usano ancora per illuminazione schegge resinose di betulla e di pioppo. Una fiorente industria casalinga è quella dei recipienti in legno tornito, tra i quali i bicchieri per le bevande alcooliche tramandano nelle loro forme ad uccello rappresentazioni preistoriche. Recipienti per liquidi vengono preparati anche con scorza d'albero e sottili schegge di legno; l'arte del bottaio, introdotta dall'Occidente, segue modelli tedeschi. Nella ceramica, l'Ucraina produce vario vasellame invetriato, assai superiore a quello della Grande Russia ove non si produce che vasellame nero. I tegami vengono affumicati all'aperto o anneriti esternamente con acqua di farina o catrame.
Il lino viene preparato con scardassi e maciulle a forma di forbici, come nell'Europa centrale; caratteristica invece la preparazione della canapa, pestata in mortai o battuta con martelli e clave di legno per liberare la fibra. Le conocchie sono generalmente decorate di un coronamento artisticamente lavorato a forma di pettine e sono munite in basso di una traversa, su cui si può sedere, giacché la filatura è lavoro fatto in casa. I giovanotti regalano alle ragazze delle mazze graziosamente decorate per battere il bucato. Nella Russia occidentale sono diffusi i telai meccanici, sull'esempio europeo, ma gli artistici intagli delle parti lignee stanno a testimoniare la parte importante ancora tenuta dall'industria tessile nella vita casalinga. Nell'Ucraina il lavoro femminile sta in primo piano; vengono confezionati, oltre alle stoffe per il vestiario della famiglia, panni decorativi, coperte e tappeti in gran numero, e sono usati in casa per ricoprire panche, cassoni e altri mobili o anche appesi alle pareti. La tecnica è quella dei vecchi arazzi, ma i disegni sono generalmente motivi geometrici regionali o di stile asiatico. In alcuni centri della Grande Russia e dell'Ucraina venivano eseguiti sin nel sec. XIX tappeti annodati secondo l'uso orientale.
La vita economica e sociale si compie nei villaggi secondo costumanze tradizionali tramandate dal lontano passato. Nei villaggi delle regioni occidentali tra Mosca e Leningrado è comune un tipo di fattoria, le cui costruzioni strette l'una all'altra sono disposte in profondità; altrove si predilige una regolare costruzione con cortile chiuso da due o tre lati. I grandi villaggi della Russia meridionale contano talvolta dalle 6 alle 8 mila anime.
I lavori tessili, cardare, filare e tessere il lino e la canapa, la preparazione delle stoffe di lana e la lavorazione del cuoio servono in gran parte alla confezione del vestiario. Per l'uomo esso consta di un camice in lino, che il grande russo porta da secoli con calzoni aderenti, mentre l'ucraino l'accompagna con ampî calzoni in lino di foggia orientale, e di sandali in cuoio o a scorza d'albero. Per soprabito sono usate corte giubbe tagliate in sbieco e lunghi cappotti simili a caftani, foderati di pelliccia o confezionati con pelli di pecora. Oltre al noto berretto piatto russo venivano usati anche cappucci di pelo cilindrici o emisferici, considerati come emblema della dignità del portatore. D'estate in Ucraina si portano prevalentemente cappelli di paglia.
Le donne portano un largo camice riccamente ricamato che, specie in Ucraina, serve anche da sottoveste: le fanciulle vi aggiungono solo la cintura; si portano inoltre, quando lo richieda la stagione, soprabiti a foggia di giacca o di cappotto. Nella Russia meridionale solo con il matrimonio si ha la solenne vestizione della fanciulla, con una sottana a foggia di grembiule; sottana comunemente costituita da due o tre pezze cucite insieme. Nella Grande Russia è venuta già da tempo in uso una sottana pieghettata stretta fin sotto le ascelle e trattenuta da tiranti o cucita a un corpetto (sarafan). Particolarmente vario e ricco il copricapo muliebre. Nella Russia occidentale e in Ucraina il capo vien avvolto da un lungo panno bianco, secondo l'uso invalso nel Medioevo nell'Europa occidentale. L'alto copricapo foggiato a due corna, delle donne russe, risponde probabilmente a concetti apotropaici. Prima erano in uso anche in campagna ricche stoffe seriche e ornamenti a forma di diadema secondo la foggia bizantina. Nell'arte popolare si conservano numerosi vecchi motivi provenienti dall'Oriente: gli animali affrontati presso l'albero della vita, uccelli a forma di sirene, uccelli acquatici usati per contenere bevande alcooliche. Di origine antico-europea sono le decorazioni geometriche degli intagli e dei ricami degli scialli, specie nella Grande Russia. Influenze occidentali si palesano pure nei ricami della biancheria casalinga, nella decorazione policroma dei mobili e della suppellettile a motivi floreali, scene di genere, ecc., e nella produzione di giocattoli in legno.
Nel folklore della Russia una serie di riti si riconnette al cambiamento delle stagioni. Così, p. es., in marzo viene "evocata" la primavera da fanciulle arrampicatesi su un tetto o un piccolo poggio; la primavera viene talvolta raffigurata come a cavallo su di un aratro; nei canti primaverili (vesnjanki) si esprime la preghiera che la nuova stagione porti i suoi abituali doni. In certi luoghi le fanciulle evocano la primavera stando nell'acqua fino alla cintola, oppure stando in cerchio attorno a una buca fatta nel ghiaccio. Nei canti primaverili è fatto pure assai spesso cenno all'amore e vi si sbeffeggiano talvolta giovani e ragazze di altri villaggi. Si cuociono panini in forma di uccelli (che i bambini gettano poi in aria) allo scopo di accelerare la venuta della primavera e degli uccelli di transito.
Per Pasqua vengono dipinte le uova, specialmente in colore rosso; le uova vengono scambiate come dono e in tale occasione ci si bacia tre volte. In certe regioni, il sabato o la domenica dopo Pasqua i ragazzi cantano sotto le finestre dei novelli sposi e ottengono in cambio dei dolciumi.
Per l'Ascensione si cuociono delle scale di pasta che vengono messe in mezzo al grano, affinché cresca alto. Per S. Giovanni ha luogo, tra altre cerimonie, un corteo di fanciulle intorno ai campi. Quando vengono accesi i fuochi, vengono spesso anche cantati dei versetti contro le streghe. La gioventù si comporta in quella notte in maniera assai libera; coppie di giovani e di fanciulle saltano talvolta sopra il fuoco: se si tengono per mano vuol dire che si sposeranno tra non molto.
Caratteristica per l'autunno è la sepoltura magica delle mosche, nel mese di settembre. Alcune mosche vive vengono messe nell'interno scavato di una rapa per essere poi sepolte sotto terra. In tal modo si vuole raffigurare la cacciata delle mosche e di altri insetti molesti dalla casa.
Per Natale vengono mangiati dei cibi che ricordano l'antico culto degli antenati. In certe regioni vengono accesi dei fuochi di paglia affinché gli avi morti si possano riscaldare. Si cuociono anche dei dolciumi in forma di animali: in tale usanza si è voluta vedere una sostituzione dell'animale vivo che in tempi antichi veniva sacrificato. Talvolta l'animale in pasta viene anzi appeso sopra la porta della stalla. In occasione del Natale viene anche predetto assai spesso l'avvenire: p. es., qualche settimana prima di Natale viene tagliato un ramo di ciliegio e messo nell'acqua, in casa: se il ramo fiorisce per Natale ciò significa che la fanciulla andrà sposa. Molto spesso le predizioni dell'avvenire si congiungono a cerimonie magiche, talune delle quali hanno carattere estremamente osceno.
Anche i cibi che vengono consumati per carnevale ricordano antichi riti funebri. L'allegria per carnevale è assai grande; in certe regioni le fanciulle, armate di bastoni, salgono su una panca e si difendono contro i giovanotti che cercano di "prenderle d'assalto"; chi riesce a conquistare una di queste "fortezze" ha il diritto di baciare tutta la fila delle ragazze. Con il carnevale terminava il periodo degli sposalizî.
Gli spiriti abbondano un po' dovunque. Il domovoj è lo spirito della casa; in esso si è voluto vedere una fusione del culto degli antenati con il culto del focolare: risiede generalmente sotto la stufa. Il chlevnik è lo spirito della stalla. Anche la foresta e l'acqua hanno i loro spiriti; lo spirito della foresta è ritenuto buono e modesto: somiglia all'uomo, ma non ha ombra e ha il sangue azzurro; assume anche la forma di animali e fa spesso degli scherzi. Lo spirito dell'acqua protegge mugnai e pescatori; gli affogati diventano suoi operai, o, se donne, si trasformano in una specie di ninfe. I figli dello spirito dell'acqua saltano fuori dai buchi fatti nel ghiaccio e cercano di entrare nelle case: contro di loro si disegnano croci alle porte e alle finestre. Allo spirito del mezzogiorno si attribuisce il colpo di sole. Le ninfe si considerano generalmente come donne libidinose che cercano di attrarre i giovani; si comportano in modo ostile verso il genere umano. Il vampiro, di provenienza occidentale, è ignoto nella Grande Russia, ma si trova tra i Biancorussi e gli Ucraini. Le streghe si trasformano in cani, serpenti, rospi, ma qualche volta anche in oggetti.
Le donne partoriscono assai spesso nella stalla oppure nella stanza da bagno; spesso succede pure che i bambini vengano al mondo in piena campagna, durante i lavori di mietitura. Le levatrici intervengono in genere a parto già avvenuto: devono essere possibilmente donne che hanno già avuto dei figli. Quando il parto è difficile, si aprono simbolicamente porte e cassetti, si fanno mangiare alla futura madre dei pidocchi per produrre il vomito.
Il neonato viene talvolta messo su una specie di staccio che deve proteggerlo da future disgrazie. Alla giovane madre si mette un coltello sotto il guanciale, contro le potenze demoniche; allo stesso scopo si suole anche avvolgere di fumo il piccolo. Affinché il bambino non venga colpito da malattie infettive, la levatrice nuda porta il neonato nudo attorno alla stanza da bagno, recitando degli scongiuri. I dolori del parto vengono attribuiti a potenze demoniache; in talune regioni il marito, mentre la donna soffre del parto, si attacca un nastro ai genitali: quando ella soffre molto, tira il nastro e allora anche il marito geme insieme a lei (v. anche: covata).
Per il battesimo tutto il villaggio viene invitato a pranzo, ma soltanto alcuni intervengono; in certe regioni soltanto i bambini fino a otto anni (dello stesso sesso di chi è stato battezzato). Prima e dopo il battesimo il bambino viene avviluppato in una pelliccia, simbolo di ricchezza. Durante il pranzo battesimale un cucchiaio viene gettato all'indietro: se esso cade per terra con la schiena all'insù, la madre avrà ancora un maschio; in caso opposto una femmina. Generalmente il piccolo viene allattato fino alla nuova gravidanza. Per disabituare il bambino dal latte materno, si insudiciano talvolta le mammelle con senape o con pece.
Quando il piccolo fa i suoi primi passi, qualcuno deve con un coltello far finta di tagliare qualcosa in terra, affinché il bambino si liberi presto da ogni impaccio nel camminare. Verso il settimo anno le bambine devono già condurre al pascolo le pecore e le oche e i maschi gli animali più grandi. A partire dal dodicesimo anno i ragazzi cominciano a fare il lavoro degli adulti.
Le cerimonie riferentisi direttamente o indirettamente al matrimonio sono estremamente complicate e molteplici. Se la fanciulla che convola a nozze appartiene a un altro villaggio, il fidanzato deve offrire assai spesso dell'acquavite per ottenere in tal modo un "lasciapassare"; quando il corteo nuziale raggiunge la casa della fidanzata, trova la porta chiusa: si svolgono allora trattative apparenti con la madre della sposa e con giovani del villaggio armati di bastone. Il lavaggio rituale dei nuovi sposi è dovunque diffuso. Presso i Grandi Russi interviene al matrimonio un incantatore, (storož kletnik, ecc.) che deve tener lontani gl'influssi maligni.
Il morto viene lavato con acqua calda e gli si indossano vestiti nuovi. In certe regioni si ritiene che una lunga agonia indichi rapporti avuti in vita con potenze malefiche. In altre regioni viene messa in mano al moribondo una candela accesa. Dovunque si chiudono gli occhi del morto.
L'acqua con cui il morto è stato lavato, viene spesso versata in luoghi dove nessuno cammina, p. es. nello spazio molto stretto interposto talvolta tra due capanne. Il pettine con cui il morto è stato pettinato si suole talvolta mettere nella bara. Molte persone si fanno già in vita gli abiti mortuarî e li indossano in certe circostanze, p. es. durante temporali violentissimi. Le fanciulle vengono vestite col massimo lusso possibile e tale funerale si considera in certo qual modo come uno sposalizio tragico. Quando il morto viene condotto fuori di casa si suole talvolta fare uscire il bestiame dalle stalle, affinché possa accomiatarsi dal padrone defunto.
La cerimonia della fondazione della prima pietra di una casa è assai importante: per assicurarsi da influssi diabolici o comunque malefici, la nuova casa non deve sorgere dove un tempo esisteva una strada oppure una stanza da bagno. Inoltre si compiono riti estremamente complicati per stabilire se il luogo in cui la nuova casa dovrà sorgere è favorevole o no. Un estraneo non deve assistere a questa cerimonia; in certe regioni prima di entrare nella nuova casa si decapita un galletto che non viene mangiato. Contemporaneamente all'inizio dei lavori della casa nuova si suole anche piantare un albero. In una grossa trave si sogliono inserire delle monete oppure dei semi di grano o minuzzoli di pane, come auspicio di futuro benessere. Si entra nella nuova casa generalmente nella notte prima del plenilunio. Nella prima settimana, in certe regioni si fanno pernottare nella casa nuova soltanto animali, che si alternano. Si entra in casa nuova portando il fuoco dal vecchio focolare. Subito al mattino seguente si offre un lauto banchetto a un buon vicino, affinché una persona buona sia la prima a varcare la soglia.
La stufa sostituisce nelle varie manifestazioni del rituale l'antico focolare.
Le malattie sono considerate come esseri animati che si annidano nel malato oppure che percorrano l'aria e i laghi. Le malattie si trasmettono in modi curiosi: p. es., talvolta respirano di notte sopra i bambini che dormono; anche gli oggetti possono trasmettere malattie. Si cerca talvolta di scacciare la malattia con violenti colpi contro la parete, in vicinanza del malato, o contro il malato stesso. La stanza da bagno era considerata come una necessaria misura di carattere igienico.
Il sec. XIX, con l'estendersi delle vie di comunicazione, delle ferrovie, delle scuole, del servizio militare, dell'urbanesimo, ha fortemente contribuito a spegnere o a trasformare vecchie abitudini, vecchie credenze, vecchie fogge di vita e di vestiario.
La guerra mondiale, avvicinando gente delle contrade russe più diverse, ha accentuato questo processo di livellamento. Infine la recente collettivizzazione delle aziende di campagna sembra portare il colpo di grazia a numerose "tradizioni" sopravvissute: da un lato è cambiato il modo di vita, in molti casi il tipo stesso dell'abitazione; numerosa popolazione di campagna è attratta in città, e la campagna in certo qual modo si industrializza. Mentre il potere statale cerca di mantenere in vita talune peculiarità etniche (lingua, canti popolari, danze, rappresentazioni sceniche), esso combatte tutte quelle tradizioni che gli sembrano un ostacolo alla realizzazione dei suoi piani.
Bibl.: K. Rhamm, Germanische Altertümer aus der slawisch-finnischen Urheimat. Die altslawische Wohnung, Brunswick 1910; A. A. Bobrinsky, Volkstümliche russische Halzarbeiten, Lipsia 1913; D. Zelenin, Russische Volkskunde, Lipsia 1927 (con bibl.).
Arte.
L'arte russa, per i caratteri assunti nel corso del suo svolgimento, può essere suddivisa (e non occorre avvertire che la suddivisione ha valore puramente pratico e didascalico) in tre periodi nettamente distinti: 1° periodo, bizantino (secoli X-XVI); 2° periodo, nazionale (secoli XVI-XVII); 3° periodo, europeo (secoli XVII-XX).
Architettura. - La storia dell'architettura russa non è solamente quella dell'evoluzione e dell'adattamento delle forme architettoniche d'origine straniera sul suolo della Grande Russia. Una base nazionale, una mentalità e un'immaginazione sui generis, trasformano e uniscono i diversi elementi in un insieme omogeneo. Con una rara forza d'assimilazione, l'arte russa assorbe gli elementi venuti dal difuori e, talvolta, opposti nei loro caratteri, e li trasforma in sostanza nazionale. Due sorgenti opposte, due forze differentissime e quasi contrarie, hanno contribuito alla creazione dell'architettura russa. Una è la corrente più raffinata e più evoluta, forse, dell'arte mediterranea: l'arte bizantina. L'altra è la corrente nordica con i suoi diversi tipi di costruzioni in legno, ancora poco studiata dagli storici dell'arte e molto lontana dall'ispirazione che diede vita alla civiltà mediterranea. La sue rare vestigia si devono ricercare nella Russia del nord e nella Siberia. In un certo senso, la storia dell'architettura russa non è altro che quella della collaborazione o della lotta di queste due correnti con l'elemento indigeno; l'uno e l'altro elemento prendono a vicenda il sopravvento e si fanno sentire in modo particolare.
Le prime opere monumentali nella Russia meridionale (a Kiev, Černigov, ecc.) furono create dai Greci o almeno influenzate dalla loro arte, ma, invece di servili copie, l'architettura russa produsse qualche cosa di diverso. Nella Russia meridionale le chiese bizantine subiscono parecchie modificazioni: le colonne, ad esempio, vengono sostituite da pilastri; i pilastri centrali non sono più uniti da archi e i nuovi materiali impiegati dànno un nuovo aspetto alle costruzioni (p. es., la cattedrale di Santa Sofia di Kiev costruita nel 1037). Nelle regioni di Vladimir e di Suzdal′ e, nel nord, a Novgorod e a Pskov, lo stile bizantino, o più esattamente la base bizantina dell'architettura, si sviluppa e si orienta diversamente: le tradizioni, le forme prebizantine, le cui tracce si potrebbero trovare nelle vestigia e nei derivati dell'antica architettura in legno, esercitano la loro azione; e ne sopravvive almeno il ricordo nelle decorazioni geometriche degli antichi monumenti del nord e del centro che nella pietra e nel mattone hanno l'aspetto d'intagli eseguiti sul legno. Al principio del sec. XII si distinguono in queste regioni due tipi architettonici: quello del centro, e quello del Settentrione. Nel primo le forme primitive, fortemente influenzate da quelle bizantine e più tardi dalle occidentali, finiscono con l'unire il bizantino al romanico in uno stile che si vede formarsi a Černigov, e svolgersi nelle chiese di Vladimir, di Suzdal′, a Perjaslavl′ Zalesskij, a Jur′ev Pol′skij, nella chiesa dell'Assunzione della Vergine, a Nerl′ (1165) e altrove; fu arrestato per quasi due secoli dall'invasione dei Tatari. Nello stile settentrionale la penetrazione degli elementi costruttivi degli antichi edifici in legno fu molto più profonda e sensibile (monumenti di Novgorod, di Pskov, ecc.): le lontane città del nord, al riparo dalle invasioni mongole, poterono conservare l'eredità dello stile russo bizantino e svilupparne gli elementi in una evoluzione interna, che terminò con la creazione di nuove forme. Si è spesso notata la semplificazione che vi subì l'architettura. Una nuova concezione estetica presiedette alla messa in opera degli elementi artistici importati: i monumenti architettonici mirarono alla chiarezza, alla nettezza e alla semplicità della pianta, della ripartizione delle masse e delle forme. Lo schema è un cubo con una o tre parti sporgenti, di forma semicilindrica verso levante, corrispondenti all'altare, o agli altari, dell'interno della chiesa, e quattro pilastri sostenenti la cupola. L'importanza data alle cupole e alla loro massa conferisce alle chiese un carattere e un'originalità particolare. Il tamburo delle cupole è sprovvisto degli ornamenti proprî ai tamburi bizantini, cioè di colonnette, ciò che non impedisce agli artisti di accentuare tale o tal'altra voluta importante dal punto di vista artistico, con una decorazione geometrica, rara e sobria, ma più efficace. Le grandi finestre sono sostituite da strette aperture, per la mancanza del vetro e per il rigore del freddo. Il tamburo è più alto di quello delle chiese bizantine, ed è di forma rotonda, mentre la cupola che lo sovrasta è di un ovale più pronunciato, altra conseguenza delle condizioni climatiche. I tetti sono inclinati in due direzioni opposte e s'incrociano; essi traggono la loro origine dalla forma popolare e settentrionale dell'izba: nel mezzo si erge la cupola.
La semplicità di pianta e di forme caratterizza quest'architettura settentrionale. La creazione di spazî e di volumi elementari di superficie nude, coperte da un intonaco dai grani appena visibili; l'eliminazione di ogni forma che non sia imposta da necessità costruttiva; rapporti equilibrati fra parti intenzionalmente asimmetriche: questa è l'arte che domina dal sec. XIII al XV. Al principio del sec. XVI è soprattutto il centro che si impone all'attenzione. Le costruzioni settentrionali rimangono come cristallizzate e sembrano incapaci di svilupparsi. L'importanza politica spostata verso il centro, la sottomissione del nord, influiscono grandemente sullo sviluppo delle arti. Solamente l'abilità degli operai decoratori di Novgorod sta a testimoniare per molto tempo ancora la prosperità artistica che il nord aveva avuto. Nei secoli XVI e XVII si osserva una notevole attività nel centro della Russia a Vladimir e a Suzdal′ e quindi a Mosca. Gli edifici cambiano d'aspetto, la cupola si fa molto più piatta e viene infine sostituita da una "tenda", la base da quadrata diventa ottagonale per mezzo di piccoli archi disposti su parecchie file (chiesa di Spas-Preobraženie nel villaggio d'Ostrovo, vicino a Mosca); verso la metà del sec. XVI un sistema particolare di aggetto caratterizza questi monumenti. Le superficie sono coperte da rivestimenti di pietra bianca ornata o di mattoni. Le masse monumentali cedono ai particolari decorativi: l'elemento ornamentale prende il sopravvento sul problema puramente costruttivo. La signorilità sobria di questo stile di Suzdal′ e di Vladimir (si vedano la chiesa della Trasfigurazione a Perejaslavl′ Zalesskij, del 1152, la cattedrale della Dormizione di Vladimir, del 1158, la chiesa dell'Intercessione della Vergine sul fiume Nerl′, del 1165, quella di San Demetrio a Vladimir, 1165; la cattedrale di Suzdal′, 1222; la chiesa di San Giorgio a Jur′ev Pol′skij, 1230) è ben presto soppiantata dalla decorazione sempre più ricca e pesante, eseguita generalmente in mattoni intagliati che rivestono interamente le superficie delle chiese di Mosca. Questo stile decorativo che s'incontra ora a Mosca, a Jaroslavl′, a Rostov, a Romanovo-Borisoglebsk, a Kargopol′, ecc., e dovunque penetri l'influenza politica e artistica della capitale, è nettamente opposto alla semplicità monumentale dell'antico stile di Novgorod e di Pskov. L'arte ornamentale a Mosca ebbe uno sviluppo straordinario: tutte le forme venute dall'Occidente vi lasciarono la loro traccia in epoche differenti, a cominciare dalle copie della decorazione romanica, gotica o del Rinascimento o anche orientale, fino al tardivo barocco e alla reazione classica. I motivi stranieri attraversarono l'Ucraina e misero infine le radici nella grande pianura russa amalgamandosi con gli ornamenti di carattere spesso geometrico, che erano di tradizione nazionale. A questa solo l'arte della provincia dell'alto Volga rimase più fedele opponendo più resistensa alle influenze dell'arte occidentale (a Jaroslavl′, Rostov, Romanovo-Borisoglebsk, Uglič, ecc.). Quanto all'architettura, essa è in gran parte la trasposizione in pietra delle forme dell'architettura nazionale in legno, che subì tutte le influenze menzionate con le quali fu a contatto. Differenti costruzioni la caratterizzano: le chiese-izba, le chiese "tende", a piramide; le chiese a cupole multiple (sec. XVII); le chiese a piani (forma ucraina). Nel sec. XVI subentra l'influenza italiana: i principali architetti di Mosca sono italiani (A. Fioravanti, Alevisio Novi, Marco Ruffo, P. A. Solario, ecc.). Le costruzioni civili (il "palazzo a faccette" il palazzo dei Terem, le mura fortificate) o religiose (cattedrali: della Dormizione, dell'Annunciazione, dell'Arcangelo Michele, ecc.) serbano l'impronta di quest'influenza italiana, soprattutto milanese. Accanto a queste costruzioni e combinandosi con quest'importante corrente dell'arte occidentale, il tipo nazionale di chiesa più caratteristico è quello a piramide (chiese di S. Giovanni Battista a D′jakovo, 1529; dell'Ascensione a Kolomenskoe, 1532; della Trasfigurazione a Ostrovo, 1550; di Vasillj Blažennyj a Mosca, 1555-60; la "Bella Chiesa" a Uglič, 1628; la chiesa della Natività di Putinki a Mosca, 1649-1652). Può darsi che modelli indiani abbiano esercitato anch'essi una certa influenza, come credette il Viollet-le-Duc e come crede ancora il Millet, benché le forme delle costruzioni in legno sembrino già spiegare sufficientemente la sua formazione. Quanto allo stile del Rinascimento, esso nella Moscovia non ha prodotto nulla d'originale ed è solamente sentito nel rivestimento decorativo. Invece il barocco italiano, trasmesso dalla Polonia e dall'Ucraina (Kiev), il cui stile non ha nessun legame con i monumenti bizantini, diede, subendo l'influenza dell'architettura in legno dell'Ucraina, un tipo popolare di chiese a piani, di cui non si trova l'equivalente in nessun altro paese d'Europa; ma il suo sviluppo fu arrestato dall'ukaz di Pietro il Grande del 9 ottobre 714, che riservava tutte le costruzioni alla nuova capitale Pietroburgo. In Ucraina questo stile barocco creò due tipi di chiese: le une, benché rivestite di ornamenti barocchi, conservano la pianta delle chiese bizantine, mentre le altre adottano la pianta basilicale delle chiese cattoliche polacche. Questo stile sovraccarico ("stile Mazepa") che lasciò un'impronta sulle chiese moscovite della fine del sec. XVII non produsse nessuna opera importante nell'Ucraina. Nella Moscovia il barocco moscovita, altrimenti detto "stile Naryškin", diede monumenti di grande interesse: la chiesa della Vergine di Georgia (1628-53) a Mosca; la cattedrale della Resurrezione del monastero della Nuova Gerusalemme (1657-85) presso Mosca; la chiesa della Trinità a Ostankino (1668); il Teremok del monastero di Krutickij (1670); la chiesa di San Gregorio di Neocesarea (1679) e la chiesa di San Nicola della Grande Croce a Mosca; la chiesa della vergine del Miracolo a Dubrovicy (1690); la chiesa a piani dell'Intercessione della Vergine a Fili (1693); la torre di Sucharev (1692-95) e la torre di Men′šikov (1705-07), ambedue a Mosca. Nel sec. XVIII la costruzione delle chiese a piramide fu interdetta dalle autorità ecclesiastiche e si ritornò quindi alla chiesa a cupola che assunse un'importanza puramente decorativa. Gli edifici diventano sovraccarichi di aggetti; le vòlte hanno costoloni. Con Pietro il Grande s'inizia il periodo pietroburghese: le costruzioni civili prendono il sopravvento sull'architettura religiosa. Fin dall'inizio si manifesta l'influenza dell'architettura germanica-olandese del sec. XVII e degli artisti stranieri; l'italiano D. Trezzini, il tedesco A. Schlüter e il francese A. Leblond sono a capo delle organizzazioni urbanistiche dell'imperatore. Il barocco dell'Europa centrale lascia una notevole traccia nelle costruzioni più importanti (le antiche parti del Palazzo di inverno, dei palazzi Razumovskij, conosciuti più tardi col nome di Aničkov, Stroganov, Voroncov, il convento Smol′nij a Leningrado, Sant'Andrea a Kiev). Il barocco pietroburghese dell'epoca di Pietro il Grande non ha colore locale; invece il rococò russo, Elisabettiano o Rastrelliano, si distingue nettamente dal rococò francese o tedesco per la colossale ampiezza delle proporzioni, per il ripristino delle cupole nell'architettura religiosa e per i colori variopinti delle facciate. L'arte rococò sotto Elisabetta Petrovna (a cominciare dal 1741) introdusse una corrente d'arte francese che sostituì l'influenza germanica. L'architetto e decoratore Bartolomeo Rastrelli (1700-1770) rappresenta meglio di ogni altro l'arte di quest'epoca. Il rococò, sotto Caterina II, cede il posto all'architettura neoclassica. Dapprima ebbe iniziatori architetti stranieri fra cui Vallin de la Mothe (palazzo dell'Accademia di belle arti a Leningrado), che riflette l'arte di Gabriel, Antonio Rinaldi (palazzo cinese a Oranienbaum, il Palazzo di marmo a Leningrado), di Cameron (palazzi a Carskoe Selo e a Pavlovsk), di Giacomo Quarenghi (palazzo inglese di Peterhof, palazzo Alessandro a Carskoe Selo) e dei loro emuli russi Starov (palazzo Tavričeskij o di Tauride), Baženov (palazzo Michailovskij o di San Michele terminato dal Brenna) precursori di Voronichin e Zacharov, i due grandi artisti del regno di Alessandro I. Sotto quest'ultimo imperatore la seconda fase del classicismo fu caratterizzata dalla reazione contro l'eccesso di ornamenti dello stile barocco. L'influenza del Palladio e di Vitruvio fece sostituire alle colonne corinzie dell'epoca di Caterina II le austere colonne doriche. Tommaso di Thomon (la Borsa marittima a Leningrado), Voronichin (la cattedrale di Kazan′ a Leningrado) e Zacharov (l'Ammiragliato di Leningrado) rappresentano l'epoca. L'arte di Zacharov in specie mirò a forme rettilinee e severe. Carlo Rossi fu l'ultimo rappresentante del neoclassicismo: egli s'interessò in modo particolare al vasto insieme di costruzioni della città e contribuì più di ogni altro a dare un aspetto definitivo alla capitale. Dopo di lui Riccardo di Monferrand (1786-1858), sotto i regni di Alessandro I e Nicola I, adottò uno stile eclettico (cattedrale di Sant'Isacco e colonna di Alessandro).
L'architettura classica lasciò tracce anche a Mosca ("abbellimenti barocchi" del Kremlino, costruzioni di Baženov e Kazakov) e nelle eleganti dimore moscovite, del tempo di Caterina II, dalle porte monumentali e dalle facciate decorate da colonnati, messi alla moda dallo Starov nel palazzo di Tauride (vedi anche i castelli Šeremetev, a Kuskovo e Ostankino, la proprietà Archangelsk dei Golicyn prima e quindi degli Jusupov). Anche a Mosca lo stile neoclassico trovò delle espressioni interessanti nell'opera del Gilardi e del Beauvais. Tutta l'architettura neoclassica in Russia fu improntata a grande vitalità e prosperità manifestando tale unità di stile che non si ritrova altrove. La seconda metà del secolo XIX non aggiunse nulla di notevole alla sua eredità. La reazione nazionalista non ha fatto che tentare inutilmente di sostituire al classico convenzionale un'architettura pseudo russa, già morta prima di nascere.
Al principio del secolo XX l'architettura in Russia è tornata al classicismo palladiano.
Pittura. - Lo stile nazionale russo nella pittura ha forma ben definita nel sec. XV. Il "periodo premongolico" e il sec. XIV non furono che periodi di preparazione e di esitazione; d'altra parte, i secoli che seguono il XV offrono già l'immagine di una lenta evoluzione verso forme differenti e anche verso la negazione assoluta delle forme anteriori. Nello stile russo le forme bizantine subiscono una trasformazione progressiva e radicale, sotto l'influenza puramente nazionale della coscienza religiosa. L'antica pittura russa non abbandona attraverso i secoli i tratti caratteristici attinti dallo stile bizantino: rimane per sempre un'arte a due dimensioni, fondata sulla linea e sul colore puro. Arte essenzialmente decorativa tendente verso la generalizzazione, essa pone innanzitutto il problema rigoroso della composizione e della ripartizione equilibrata degli elementi costruttivi, sia che si tratti di pittura murale (nel senso stretto della parola musaico o affresco) sia di pittura su quadri (icone), poiché fino alla fine del sec. XVIII ci fu uno stretto legame fra le pitture murali e le iconi, sebbene si invertissero alla fine del sec. XV i loro rapporti, e da allora le iconi abbiano avuto influenza sulle pitture murali, che perdettero così almeno in parte il loro carattere monumentale. L'antica pittura russa, essenzialmente idealista, come la bizantina, non conservava della realtà che i tratti necessarî perché l'immagine religiosa non si riducesse a uno schema astratto impotente ad agire sull'immaginazione e sul sentimento; essa tendeva a ravvicinare la concezione religiosa all'universo (concezione limitata e imperfetta dell'idea dell'assoluto) dando a quest'idea una forma artistica e poetica. Le particolarità del soggetto non interessano l'artista russo perché lo allontanano dallo scopo principale: quello della contemplazione spirituale dell'invisibile. Sono le immagini di stati morali immutabili che interessano il pittore e non già le espressioni di emozioni o di passioni. Tutta la composizione equilibrata e ritmica è subordinata a un principio direttivo; e ciò se per una coscienza religiosa è l'espressione della pienezza e dell'intensità dell'esistenza morale, per i non iniziati appare come una fredda cristallizzazione. Durante tutta la seconda metà del sec. XIV si assiste nella pittura russa alla contaminazione di due correnti artistiche principali di carattere locale, cioè delle scuole di Novgorod e di Mosca.
La scuola di Novgorod, formatasi nel sec. XIII, ha come caratteristica principale l'audacia delle ricerche, lo stile originale e indipendente. I secoli XI e XII le avevano lasciato un ricchissimo patrimonio artistico: gli affreschi delle chiese di Novgorod (Santa Sofia, la Natività della Vergine nel monastero di Sant'Antonio) e quelli delle chiese di Spas-Neredica e di S. Giorgio a Staraja Ladoga erano magnifici modelli di pittura decorativa, e nei secoli XIII e XIV facilitarono, ai pittori d'iconi di Novgorod, lo sviluppo della loro arte. La perfetta padronanza dello stile bizantino fu per i pittori di Novgorod la base dello sviluppo di una loro arte personale. Ridussero ancora più quello stile a due dimensioni; diedero al colorito un'importanza indipendente: crearono, inoltre, un'iconografia nazionale russa. Il greco Teofanio nella seconda metà del secolo XIV, col suo talento e il suo virtuosismo, esercitò a Novgorod una profonda influenza sui contemporanei russi, pur essendo, di essi, più realista. Recatosi a Mosca, venne a contatto con la scuola di quella città, erede delle scuole di Rostov e di Suzdal′, arrestate nel loro sviluppo e distrutte dall'invasione dei Tatari, verso la metà del sec. XIII. Verso la fine del sec. XIV contrastano fra loro la scuola di Novgorod e quella di Mosca, e in quest'ultima sullo stile nazionale s'innesta il contributo dell'ultimo Rinascimento bizantino dei Paleologhi, accompagnato forse da influenze italiane. Allora si cristallizza lo stile nazionale nell'opera di Andrea Rublev: e la sua tradizione dura ancora fino al 1500, come attestano gli affreschi di Dionisio nel monastero di Terraponte. La scuola moscovita nel sec. XVI mirò sempre più a un carattere popolare a tendenze realistiche. La composizione diventa complicata; si va alla ricerca del pittoresco, del colore locale, dell'ornamento; i colori diventano pesanti e smorti, la fattura negletta e volgare. Dal sec. XVI accanto ai soggetti religiosi si vedono apparire soggetti profani: "camera dorata" del Cremlino, a Mosca, con delle allegorie come la Verita, le Stagioni, la Ragione, dalle figure nude o quasi, e soggetti tratti dalla storia nazionale, risultato questo dell'influenza delle incisioni tedesche e fiamminghe. Alla fine del sec. XVI, per reazione contro l'influenza occidentale, si formano e si fissano i podlinniki, cioè gli schemi di soggetti religiosi che, resi canonici, arrestano l'evoluzione iconografica. Nondimeno nella seconda metà del sec. XVII la pittura esita fra le antiche tradizioni della pittura delle iconi e l'influenza della pittura occidentale. Il pittore che incarna meglio di tutti le aspirazioni confuse di quell'epoca è il contemporaneo Simon Ušakov. La sua arte è il compromesso fra la tradizione idealistica e il realismo venuto d'Occidente. Egli introduce fra gli artisti russi l'uso dell'acquaforte. Se fino allora la sola pittura importante era stata la pittura religiosa e in particolar modo quella murale, le nuove tendenze che si fecero sentire fino dal sec. XVI si conclusero verso la fine del sec. XVII in uno sdoppiamento di genere: la ikonopis′ (pittura d'icone, dominata dalla pittura murale), in auge dal sec. XI al XVIII, di origini bizantine, intenta a ricalcare i soliti schemi usando la tecnica dell'affresco e della tempera; e, portata da pittori occidentali, la pittura moderna, zivopis′, dedicata a soggetti profani, trattati per lo più con la tecnica a olio. Verso la fine del sec. XVII e il principio del XVIII i pittori stranieri introdussero in Russia l'arte del ritratto (Hans Detterson, Stanislao Lopucki, Daniele Wuchters, ecc.). Fra questi il marsigliese Luigi Caravaque (1716-54) esercitò una notevole influenza sui giovani russi. Andrej Matveev e i fratelli Nikitin (prima metà del sec. XVIII) furono i primi ad avere una borsa di studio per l'estero. La fondazione dell'Accademia di belle arti, sotto l'influenza di maestri stranieri, diede incremento alla formazione di bravi ritrattisti russi, sotto l'influenza dei pittori francesi del sec. XVIII (Legrenée, Doyen, Tocqué, Roslin, Vigée-Lebrun, ecc.) e degl'italiani (Rotari, S. Torelli, G-B. Lampi, ecc.). Il primo pittore russo di soggetto storico, A. P. Lossenko, risente del tirocinio fatto negli studî del Restout e di Vien; Argunov è allievo di Grooth, e Rokotov deve la sua arte a Rotari. Nel ritratto, rappresentanti più originali e più importanti sono il Levickij, il Borovikovskij, il Kiprenskij (v.), V. A. Tropinin a Mosca. Il paesaggio è legato ai nomi di Fedor Alekseev (allievo del Bellotto e di Hubert Robert), di Silvestro Ščedrin, del Lebedev. Contemporaneamente si hanno incisori come A. Zubov, Ivan Sokolov, il Vinogradov, E. Čemessov, il Bersenev, lo Skorodumov, N. H. Urkin. Al principio del sec. XIX l'accademismo classico diventa accademismo romantico; i pittori russi Brjullov e Ivanov si formano a Roma e non più, come i loro predecessori, sotto l'influenza dei pittori francesi. La loro influenza fu abbastanza diffusa nella Russia e anche all'estero. I pittori Bruni e Siemiradzki derivano dal Brjullov e dalle influenze tedesche dell'epoca. La pittura di genere mosse dal pittore francese J.-B. Le Prince. Sono da citare anche A. Orlovskij, A. G. Venecianov, il Fedotov. La fine del sec. XIX vede il formarsi di due secessioni contro l'Accademia e il risveglio del carattere veramente nazionale. Sono i pittori "ambulanti" o "peredvižniki" (1870-1890), con le loro esposizioni, e la società il Mondo Artistico o Mir Iskusstva (società che si formò nel 1899 intorno alla rivista dello stesso nome), che alla fine del sec. XIX e al principio del XX presentano fasi differenti di questa evoluzione. Gli "ambulanti", pongono il loro realismo a servigio di tendenze sociali, l'arte essendo nel loro spirito uno strumento di educazione popolare; e risentono talvolta dell'influenza dell'arte tedesca. Nella pittura religiosa tutti i legami tradizionali con le iconi vengono abbandonati: I. N. Kramskoj, N. Gay, il Palenov, sono a capo di questa nuova corrente. V. Vasnecov che ne fa parte rappresenta una tendenza un poco differente poiché cerca di far rivivere l'arte semi bizantina e semi francese dell'Ušakov. Un poco isolata appare la figura del Nesterev, pittore pieno di sentimento mistico e religioso, che subì l'influenza di fra Angelico e di Puvis de Chavannes. Fra gli "ambulanti" i più noti pittori di storia sono: I. E. Repin, V. I. Surikov, V. V. Vereščagin, il Rjabuškin, A. Vasnecov; fra i pittori di genere: V. G. Perov, Savickij, Mesoedov, Prjanišnikov, i due Makovskij; fra i ritrattisti la maggior parte dei pittori citati, e in particolar modo il Kramskoj, il Gay, il Repin; fra i paesisti Kuingi, C. Šiškin. Per reazione contro questa pittura a tesi, il Mondo artistico proclama l'arte per l'arte. Nell'arte religiosa eccelle uno dei più grandi pittori coloristi russi: M. A. Vrubel′. Gli altri generi dànno degli artisti nei quali l'arte nazionale si fa sentire più nella maniera che nel soggetto, e sono: I. I. Levitan, V. A. Serov, Somov, Borisov-Musatov, Bilibin, Dobuginskij, Golovin, Korovin, Grabar′, A. Benois; e la generazione più giovane: Sudeikin, Bakst, Jakovlev, Grigor′ev, Goncarova, Larionov, ecc. La maggior parte di questi pittori eccelse ed eccelle tuttora nell'arte decorativa e specialmente nella scenografia. La rivelazione dei balletti russi (1909) di Sergio Diaghilev (Djagilev) deve loro il suo più gran successo. Accanto alla pittura, l'illustrazione e l'incisione, malgrado la loro origine straniera (inglese, tedesca, francese), sono di un gusto decorativo molto sicuro e originale.
Scultura. - Nella seconda metà del secolo XVIII, nonostante l'interdizione della chiesa ortodossa, appare qualche piccolo saggio di scultura religiosa su legno, sotto l'influenza italiana e tedesca, penetrata attraverso la Polonia. Ma questo genere vien soffocato sul nascere. Quanto alla scultura profana, essa si mostra sotto il regno di Pietro il Grande.
Fra i primi artisti vanno citati gli stranieri: Schlüter, Osner, Carlo Rastrelli, Nicolas Pineau. Una scuola russa nacque solo nella seconda metà del sec. XVIII, dopo la fondazione dell'Accademia di belle arti, e rimase per molto tempo sotto la dipendenza esclusiva della scuola francese. Gli esempî di grandi artisti come il Falconet, chiamati a Pietroburgo (1766-78), l'insegnamento di professori francesi all'Accademia (N. F. Gillet, ecc.), la pratica dei "collegiali" mandati all'estero, ebbero una parte preponderante nello sviluppo della scultura russa. I primi scultori russi, lo Šubin, il Kozlovskij, allievi di Gillet, discendono dal Houdon e dal Pajou; così pure lo Šcedrin e il Gordeev, che risentirono entrambi del soggiorno e della pratica fatte a Parigi. Il più importante fra gli scultori del primo periodo fu I. P. Martos, la cui influenza dominò tutta la sua generazione, e si risente nel Sokolov, nel Halberg, nel Krylov, nel Pimenov, nell'Orlovskij, ecc., artisti del tempo di Alessandro I e di Nicola I. Sono anche da ricordare la scultura decorativa del sec. XVIII, e in modo particolare la manifattura imperiale di porcellana. La scultura che segue questo periodo classico non presenta che un interesse mediocre. Gli artisti più noti, Antokolskij, barone Clodt, Mikešin, Trubeckoj e i più giovani, Gunzburg, Bernstamm, Aronson offrono delle derivazioni dei loro maestri, per la maggior parte francesi: Rude, Barye, Carpeaux e Rodin. Il principe Trubeckoj della società Mir Iskusstva è forse il più originale. Di maggior interesse gli scultori che accanto alla pietra scolpiscono il legno, e cioè Konenkov, Sudbinin, Chana Orlova.
Le "arti minori" (miniatura, oreficeria, smalto, intaglio, ceramica, ricamo, ecc.) risentono fin dai tempi più antichi del predominio dell'estetica orientale. Gli artigiani russi del Medioevo subirono l'ascendente di Bisanzio (smalti di Kiev: secoli XI-XIII); più tardi i rapporti con il Caucaso introdussero correnti persiane, sassanidi, caucasiche, ecc. Le influenze occidentali ebbero una certa importanza solamente dal sec. XVIII. Nondimeno l'arte detta popolare dei kustari (lavoranti nelle industrie rurali) attesta ancora dell'eredità artistica del Medioevo. Fra le industrie artistiche nazionali sono da notare la già citata manifattura imperiale di porcellane (ora di stato) e quelle di Gardner e di Popov.
Arte contemporanea. Prima conseguenza della rivoluzione dell'ottobre 1917 in Russia fu anche nell'arte, come nella letteratura e nel teatro, la vittoria delle correnti d'avanguardia, del tutto indipendentemente dalla loro rispondenza all'ideologia trionfante nel campo sociale e politico. Queste correnti d'avanguardia erano derivazione più o meno diretta del cubismo francese e del futurismo italiano. I bisogni della propaganda rivoluzionaria le fecero accettare da principio quasi senza contrasti, ma non doveva tardare a rivelarsi l'equivoco insito nella loro valutazione, dato il loro carattere indiscutibilmente più individualistico che collettivo. Il loro dominio fu così di breve durata. Già nel 1919 l'affermazione della necessità di nuove forme per l'arte delle masse e di un nuovo contenuto di essa preannunziava quel che doveva essere ben presto la parola d'ordine nel campo artistico: la riproduzione della realtà viva rivoluzionaria, e non tanto per conservarne memoria nel futuro, quanto per educare i più larghi strati del popolo alla comprensione dell'arte attraverso i loro stessi interessi. In realtà la lotta fra i varî gruppi artistici che dominò il quinquennio 1922-1927 fu più che una lotta ideologica, una lotta tra gli artisti veri e proprî, intenti a conservare la loro personalità, e quelli che potremmo dire i "cronisti" della rivoluzione nel campo dell'arte, soprattutto per quanto riguarda la pittura e la scultura, più conservatrice naturalmente quest'ultima, più capace di adattarsi alle necessità immediate la prima. Ma questo periodo corrispose al periodo della "Nep" nel campo sociale politico ed economico e si comprende facilmente la relativa libertà di cui godettero gli artisti. Superato questo periodo con l'inizio della prima "pjatiletka" la parola d'ordine fu anche per l'arte "l'ordinazione sociale", la riproduzione cioè di determinati momenti della realtà quotidiana, come strumento di propaganda, o "di approfondimento del contenuto politico e ideologico" dell'arte.
In particolar modo la pittura, come in altro campo la letteratura, serve ad alimentare la coscienza della necessità della ricostruzione socialista del paese e il senso dell'avanguardia nell'arte si sposta sempre più dalle forme al contenuto. E la famosa esposizione "15 anni di arte sovietica", tenuta nel 1934, mostra chiaramente come nell'arte - pittura, scultura, arti decorative - la cosiddetta "lotta per la qualità" si riferisca più alla qualità politico - ideologica che non a quella artistica. La sua importanza appare maggiore dal punto di vista della quantità, rivelando come effettivamente al movimento artistico abbiano cominciato a partecipare sempre più elementi venuti dalle masse proletarie, ancora rozzi nella loro elementarità e primitività, ma ricchi di esperienze proprie e non più di imitazione. Ciò spiega come sia stato possibile parlare di una storia artistica dell'armata rossa, della industrializzazione e della collettivazione e così via, in base ai soggetti presi dai pittori per le loro opere, ma spiega anche come abbiano potuto avere campo di esplicarsi forze nuove ed originali, accanto a quelle affermatesi già prima della rivoluzione o durante la rivoluzione, e come queste stesse abbiano dovuto se non rinnovarsi, almeno rinfrescarsi a contatto della nuova realtà.
Così pittori già famosi come un Končalovskij, un Petrov Vodkin, un Nesterov della generazione prerivoluzionaria, un Dejneka e un Lebedev di quella affermatasi con la rivoluzione, continuano ad avere un posto di prim'ordine accanto ai giovani come Bogorodskij, Samochvalov, Odincov, Rjažskij, e ai giovanissimi come Bubnov, Mankov, e tanti altri.
Alla tendenza propagandistica dei primi tempi della rivoluzione si deve se, accanto alla pittura, si sono sviluppate così largamente arti minori come quella dell'incisione, all'inizio legata anch'essa all'avanguardismo cubistico, futuristico e suprematistico, ma proceduta rapidamente innanzi per vie proprie per merito di artisti originali come Gončarov, Kravčenko, Favorskij, nei quali la tecnica ha senza dubbio un'importanza maggiore che il contenuto, soprattutto là dove si tratta dell'illustrazione del libro. La stessa critica sovietica riconosce, e non soltanto per quelli su ricordati, ma anche per altri artisti come Labass, Pimenov, Kuzmin, Milačevskij, ecc., che, nonostante l'attenzione da loro rivolta ai soggetti nuoví, essi sono soprattutto preoccupati di problemi di stile e di forma.
Un posto a sé nell'arte pittorica sovietica ha il manifesto di propaganda rivoluzionaria, la cui diffusione non ha l'equivalente in nessun paese del mondo.
Alla sua dignità artistica, non sempre conservatasi, hanno contribuito pittori e disegnatori di prim'ordine con i loro mezzi tecnici e l'esperienza del colore, fondendo gli elementi del realismo con quelli dei più avanzati esperimenti di rappresentazione di concetti e astrazioni ideologiche, ottenendo spesso effetti del tutto nuovi, senza riscontro nel passato, data la mancanza di una tradizione del genere. Legate invece assai più alla tradizione debbono considerarsi la scultura e l'arte dei laccatori, detta di Palecha da uno dei suoi centri d'origine, Palecha, località della regione di Vladimir-Suzdal′, famosa per la sua secolare industria delle iconi.
Il carattere monumentale per cui vorrebbe distinguersi la scultura sovietica, sulla base dei suoi soggetti, non rappresenta nulla di caratteristicamente sovietico, ché esso risulta in fondo dalla fusione di elementi romantici ed eclettici di tradizione europea, con l'accademismo proprio della Russia prerivoluzionaria. Meno del resto che nella pittura e nelle arti minori ha potuto influenzare gli artisti la scelta dei soggetti come punto di partenza nella ricerca di nuovi mezzi di espressione stilistica, che caratterizza scultori come Bulakovskij, Kol′cov, Tavasseev, Korolev e soprattutto Šadre Čajkov. I migliori frutti della scultura sovietica sono da ricercarsi più nei busti che nel monumento.
Quanto all'arte dei laccatori che sembrava destinata a morire nei primi anni della rivoluzione, con la lotta contro la religione, essa si è ripresa dedicandosi a soggetti profani, nella cui rappresentazione ha recentemente ottenuto successi rilevanti con l'illustrazione del Canto della schiera d'Igor, del Ruslan e Ludmila di Puškin, ecc., con la pittura di nature morte e con i disegni cosiddetti "senza stile" che già del resto erano coltivati, accanto alla pittura d'icone, prima della rivoluzione.
Per quanto riguarda l'architettura i problemi della realizzazione si sono posti nella Russia sovietica con un certo ritardo in confronto delle altre arti, sia perché era in essa escluso l'elemento propaganda, sia perché l'opera ricostruttiva non ha avuto inizio se non quando il periodo rivoluzionario in senso stretto era già superato. Minore contrasto di questioni ideologiche e pratiche, dato il carattere prevalentemente pratico dell'architettura, ma maggiore preoccupazione di liberarsi dalle influenze straniere, data la diversità, almeno ideale, delle concezioni di vita. Ma bisogna subito dire che se la liberazione da quelli che possono dirsi gli stili "storici", "classici" o "tradizionali" è stata quasi completa, nella realizzazione degli edifici nuovi, monumentali o pratici, il legame con i rinnovatori occidentali, come Le Corbusier, Gropius e altri, è evidente anche nelle opere più recenti. Si può dire che, nonostante le numerosissime e spesso grandiose costruzioni di questi ultimi anni, l'architettura sovietica si trovi ancora in uno stadio sperimentale che potrà diventare definitivo quando il suo dinamismo teorico sarà diventato pratico nella composizione di insieme delle città o almeno di singoli quartieri. Il suo "razionalismo" è in fondo ancora statico, soprattutto per quanto riguarda la parte ornamentale e l'organizzazione interiore degli edifici. È da notare anzi a questo riguardo una certa resistenza teorica - e parzialmente anche pratica - alla sovrapposizione delle forme geometriche: cilindri, parallelepipedi e cubi, che caratterizza ancora l'avanguardia dell'architettura razionale europea.
V. tavv. LVII-LXXXII e tavv. a colori.
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Musica.
La nazione russa ha iniziato una sua importante partecipazione all'arte musicale del mondo soltanto in tempi recenti, dopo tutte le altre grandi nazioni europee. Potrebbe sembrare strano che essa abbia potuto giungere all'odierna ricchezza musicale in un secolo appena di sviluppo, se non si pensasse a un fatto di grande importanza: che la musica russa d'arte assorbì le linfe di due fecondissime sorgenti: quelle della musica popolare e quelle della musica liturgica, ambedue particolarmente fiorenti in Russia. Bisognerà quindi anzitutto esaminare, sia pure con la necessaria brevità, l'una e l'altra di queste sorgenti tanto più che, come accenneremo, la stessa arte dei musicisti russi recenti o contemporanei non si capirebbe appieno senza i precedenti popolari o liturgici.
Musica popolare. - Già presso gli scrittori bizantini del sec. VI si trovano notizie riguardanti prigionieri slavi, cui si attribuiva poco o nullo esercizio nelle armi, ma grande perizia nel suono delle gusli, il più antico strumento popolare slavo. È legittimo dunque pensare che già in quegli antichi tempi doveva esistere una diffusa e ben solida pratica musicale di popolo; ma quel che più importa è che essa non doveva estinguersi, di secolo in secolo, nonostante le fiere persecuzioni cui musica e musici popolari - considerati come scandalosi - più volte andarono soggetti da parte della Chiesa.
Queste persecuzioni s'iniziano nel sec. XII, s'incrudiscono nel seguente a opera del metropolita Cirillo di Kiev il quale nelle invasioni dei Tatari volle vedere un castigo scagliato dal Cielo contro i troppi che ancor si compiacevano, da empî, di tali svaghi proibiti. E due secoli dopo troviamo proibita ogni forma di musica laica, compreso il semplice canticchiare una qualunque canzonetta popolare. Dopo un periodo di tolleranza, dovuto alla musicofilia di qualche zar, nel 1636 appaiono nuovi divieti e s'applicano nuove pene, per volere della Chiesa. Soltanto nella seconda metà di quel secolo, con il penetrare di musiche europee a corte, si fecero meno duri i vincoli che opprimevano la musica nazionale.
I caratteri di questa musica popolare sono assai varî; e non è difficile rendersi ragione di ciò, pensando che l'impero russo venne a riunire, nel suo sviluppo attraverso i tempi, popoli e genti che avevano tradizioni e civiltà del tutto diverse tra loro. Tra le musiche reperibili nell'odierna zona russa si trova così un'immensa varietà, dalla figura primitiva e semplice a quella più ricca e complessa; nelle quali diverse figure - corrispondenti a diversi gradi di evoluzione formale - si ritrovano i caratteri delle diverse razze.
Nella zona stepposa che va dalla Russia asiatica fin davanti a Mosca e a Kiev la frase musicale mostra vigore ritmico e semplicità di struttura formale; si muove per toni interi, di solito su sistemi come: do-re-mi-sol-la (-do); o: mib-fa-sol-sib-do (-mib), o anche: fa-sol-la-do-re (-fa). Spesso la frase non usa che tre o quattro gradi, come si vede nella seguente danza votiaca (nord-est della Russia):
Nel sud, presso le genti caucasiche, si trovano parimenti forme primitive, ma d'un tipo del tutto diverso. Quivi abbiamo infatti una sorta di cantillazione su brevi formule basiche, presso i gruppi etnici più arretrati; anche presso i più evoluti (per es. presso i Mingrelî e gl'Imeritini) compare simile cantillazione, ma vi si nota una tendenza verso una figura melodica sempre più elaborata, come nel seguente canto imeritinico:
Fuori di queste simmetriche rispondenze vediamo però il canto dei Turco-Tatari preferire una melodia, assai libera ritmicamente, ispirata all'arabo-persiana (Magam-Principe), che si presenta attraverso una sorta di passaggi, ritorni e variazioni dalle sue formule basiche.
L'inizio di un canto dei Tatari della Crimea mostra come queste musiche siano vicine, anche sotto il riguardo specificamente melodico, a quelle dei Persiani e degli Arabi.
Assai più prossimo alla nostra sensibilità musicale è il canto popolare della Russia europea. Quanto alle basi tonali, se ne trovano di pentatoniche, venute dall'Oriente, ma più spesso quelle del nostro maggiore-minore moderno o quelle date dai modi di chiesa. Il popolo canta a 2, 3 e 4 voci, ma questo insieme non dà un processo armonistico propriamente detto: quel che si nota piuttosto è una sorta di libera imitazione che le voci secondarie (podgoloski) offrono alla melodia della voce principale, come si vede nel seguente esempio:
E l'esecuzione, alterna, in pratica, simili passi d'insieme con passi monodici: i monodici, che naturalmente possono essere cantati dal coro all'unisono o all'8ª, espongono la frase principale; segue il coro, che riprende e continua il canto; e quest'alternanza si ripete fin che abbia termine la canzone.
La singolare trattazione delle voci in concerto, la multiforme figura della melodia, la ricchezza delle figure ritmiche hanno fornito ai compositori professionisti di Russia un insieme di suggerimenti per la loro personale creatività. Ogni generazione trova in quel tesoro quel che le serve meglio; ed è da notare che soprattutto compositori drammatici trovarono colà il miglior colorito per le loro scene di masse; tanto che si può affermare che molto di ciò che nelle loro opere, da quelle di Glinka a quelle di Stravinskij, ci sorprende e ci incanta, altro non è in sostanza che la magistrale elaborazione armonica e strumentale di una sostanza melica interamente tratta dal canto popolare.
Musica liturigica. - Sui primi esordî della musica liturgica russa non abbiamo documenti diretti, dato che il più antico manoscritto che ce ne resti (una raccolta di inni in russo) data dal 1152. In via di induzione, si potrebbe annettere una certa importanza al fatto che il principe Vladimiro sia stato battezzato in Bulgaria, il che mostra la considerazione nutrita dai Russi per la Chiesa bulgara. Di qui la possibilità di pensare che il canto liturgico bizantino sia entrato in Russia non direttamente da Costantinopoli, ma attraverso la Bulgaria. Comunque, dato che la Bulgaria fu cristianizzata un secolo prima della Russia, e che lo fu da Bisanzio, è da ritenere che quella liturgia (e il suo canto) fossero in questa prima epoca ancora strettamente dipendenti dalla bizantina.
Ed è importante, specialmente per rendersi ragione degli sviluppi ulteriori, che i Russi abbiano ricevuto la liturgia cristiana in lingua slava, anche se interi passi e formule venissero cantati in greco e bizantini fossero i modi di cantare. La mescolanza di greco e di slavo si manifesta anche nelle cerimonie per le nozze di Vladimiro con la bizantina principessa Anna, e specialmente nel fatto che nel servizio russo di Kiev il coro di destra canta in slavo, quello di sinistra in greco. Tale costume si mantenne per tre secoli. È naturale, da quanto s'è accennato sinora, che in quel periodo il canto liturgico bizantino abbia esercitato una forte influenza sul russo. E in realtà ritroviamo in quest'ultimo le stesse tre maniere del primo: i canti dell'Oktoechos sono infatti in stile "irmologico" semplice; i Kontakia nel più ricco stile degli Sticherari, e il domestikos - del quale esistono notazioni manoscritte soltanto dalla fine del sec. XVII - si giova delle ricche fioriture del genere cosiddetto Kallofonos del canto tardo-bizantino.
La notazione, nei più antichi manoscritti slavi, mostra ancora grande affinità con la bizantina; più tardi (nel sec. XIV) se ne sviluppa una propria con caratteristici neumi: i cosiddetti krjuki. Queste notazioni mancavano però d'un modo siculo per indicare l'altezza dei suoni. Grande importanza assume, nel sec. XVI, la notazione introdotta dal cantore di Novgorod. Nel 1668 essa venne perfezionata e sempliata da Aleksandr Mezenec. Nondimeno ancora si mantenne a krjuki (dunque a neumi) nei manoscritti e si fece anzi, nel 1678, un tentativo di adattarla alle stampe. Ma la stampa non continuò, e questa notazione fu definitivamente tolta dall'uso con l'introduzione del sistema europeo a rigo.
Il canto liturgico antico, che mescolava così elementi bizantini, bulgari, serbi, e - più tardi - anche polacchi, dall'epoca di Pietro il Grande venne a soggiacere alle correnti italiane, ben presto ascendenti (con Caterina II) a egemonia. Non soltanto, però, italiani erano gli esponenti di questa tendenza (B. Galuppi, G. Sarti, ecc.), ma anche russi italianizzati come Massimo Berezovskij (1765-1777) e Dmitrij Bortnjanskij (1751-1825), che posero le basi della forma della nuova musica sacra russa.
Dopo di essi vanno ricordati Biardi, Heine, Allegri, Markov e Makarov. Nel sec. XIX bisogna ricordare A. L′vov (1799-1870), autore di Salmi, di uno Stabat e di altre opere, come la più vigorosa personalità del suo tempo in guesto campo. La sua opera principale è una raccolta di antichi canti sacri russi, armonizzati e disposti in 11 volumi.
Musica d'arte. - Nonostante le persecuzioni mosse contro la musica profana da parte della chiesa ortodossa, già in tempi assai lontani ci si occupò di musica alla corte degli zar. Così Ivan III fece venire a Mosca musici forestieri. Nel sec. XVI ambasciatori inglesi portarono allo zar Fedor Ivanovič alcuni clavicordi e organi, che destarono meraviglia a corte. Al principio del secolo seguente si formò sotto Dmitrij un'orchestra di fiati, e sotto Michail Fedorovič la musica si trovò ormai introdotta di regola nelle feste di corte e delle case patrizie. Sotto Pietro il Grande furono soprattutto gli ambasciatori stranieri che organizzando trattenimenti musicali spinsero lo zar a chiamare musici dei loro paesi a corte. Ma il vero grande slancio ebbe la musica dal tempo di Caterina II. Questa imperatrice chiamò specialmente musicisti italiani; dapprima B. Galuppi, il quale ottenne un grande successo con la sua opera Didone abbandonata; poi G. Paisiello, che rimase a Pietroburgo 10 anni, e G. Sarti, che venne a Pietroburgo nel 1784 e dapprima scrisse opere su testi italiani, poi - nel 1794 - La gloria del Nord su testo russo. L'interesse di Caterina per l'opera era tale, ch'ella stessa collaborò alla stesura di tre libretti, chiamò i più celebri cantanti e nulla trascurò perché si avessero splendidi allestimenti.
Sotto Paolo I la musica si ritrasse un poco nell'ombra, ma presto l'opera ritrovò favore, e tra l'altro si diedero Il flauto magico e Le nozze di Figaro di W. A. Mozart e l'Ifigenia in Aulide di C. W. v. Gluck.
Una vera vita concertistica non ebbe inizio a Pietroburgo e a Mosca se non al principio del sec. XIX, allorquando si fecero venire musicisti italiani, francesi e tedeschi a eseguire le composizioni dei maggiori maestri d'Europa. L'interessamento per la musica venne assai sorretto dalla nobiltà, ma con ciò non si può dire che la valentia del musicista costituisse un titolo importante per la considerazione in cui tenere la persona di lui: vediamo infatti che quei primi artisti russi (compositori come Dmitrij Kašin e Michail Matinskij, virtuosi come il violinista Ivan Chandošin, ecc.), vissero schiavi; e come schiavi erano comprati e venduti dai nobili, per le loro feste private, musicisti singoli o interi gruppi. Una prima ascesa a maggior considerazione poterono compiere quegli artisti con la costituzione della Società filarmonica di Pietroburgo, e alcuni poterono dedicarsi con regolarità alla composizione. D'istruzione musicale però non si parlava ancora, e infatti i compositori del tempo: Aljab′ev, Varlamov, Verstovskij, ecc., non possono che esser posti, tecnicamente, a un livello dei più bassi. Aljab′ev (1802-1852) compose 110 Lieder e alcune opere romantiche; Varlamov, che aveva studiato anche in Olanda, circa 225 Lieder; Verstovskij (1799-1862), il più dotato dei tre, ebbe grande successo con la sua opera La tomba di Askold. Il maggior contributo s'ebbe in questo periodo dell'opera russa dall'italiano C. Cavos che era in Russia dal 1798 e fu direttore di musica a Pietroburgo. Tra le sue 50 opere figurava anche un Ivan Susanin che poneva in scena lo stesso argomento poi trattato da M. Glinka nella Vita per lo Zar. Ma il Cavos, quando conobbe l'opera del Glinka, non solo ne concertò l'esecuzione, ma tolse dal repertorio la sua propria. La vita per lo Zar è la prima opera vitale che la Russia abbia dato alla musica europea. Dapprima accolta con riserva, essa diventò di anno in anno sempre più popolare. Michail Ivanovič Glinka continuava intanto con Ruslan e Ludmila nel tipo dell'opera nazionale cui La vita per lo Zar aveva aperto la via.
Da Glinka in poi si viene rapidamente sviluppando una scuola russa di grande valore. Al suo esempio si richiamano dapprima i più giovani contemporanei: Dargomyžskij e Serov. A. S. Dargomyžskij (1813-69) aveva avuto educazione francese, come era costume nelle famiglie nobili. Strettosi in amicizia con il Glinka, ne emulò presto le realizzazioni teatrali con le sue opere Esmeralda (1847) e Rusalka (1856), la quale ultima gli procurò gran nome. Ma superiore importanza storica è da attribuirsi alla terza: Il convitato di pietra, da Puškin, che - lasciata incompiuta per la morte del Dargomyžskij - venne completata dall'amico C. Cui. Quivi infatti il Dargomyžskij avvia l'opera verso la concezione drammatico-musicale che trionferà poi nel teatro di M. Musorgskij, e che si affida non all'espansione melodica ma al declamato continuo. Meno notevole di lui, A. N. Serov non riuscì a un'espressione molto originale, ma con la serietà del suo lavoro di operista (culminante in Iudith [1863], Rogneda [1866] e nell'incompiuta Forza nemica) e di critico contribuì efficacemente all'irrobustimento del teatro drammatico-musicale, cui egli apportava correnti wagneriane, presto rifiutate dai "Cinque" ma che intanto non erano state inutili.
L'eredità di questa prima generazione musicale veramente russa venne raccolta da alcuni giovani artisti, che riuniti da intenti in certo senso vicini in quel che fu detto "Gruppo dei Cinque", (o anche "Gruppo potente"), conobbero dapprima molte ostilità e derisioni. I loro nomi erano: Modesto Musorgskij, Cesare Cui, Nikolaj Rimskij-Korsakov, Aleksandr Borodin, Milij Balakirev; tutti appartenenti all'esercito o alla marina, tranne l'ultimo. Sosteneva le idee e le opere del gruppo il critico Vladimir Stasov. Il giovane gruppo novatore si riuniva dapprima intorno al più dotto in fatto di tecnica: il Balakirev. Presto si diffuse il loro nome: C. Cui, nel 1868, riportava un grande plauso con il suo Guglielmo Ratcliff, e componeva pezzi sinfonici e da camera, per poi dedicarsi con successo anche alla critica. M. Balakirev, autore di molta musica pianistica (celebre anche oggi la fantasia Islamey) e orchestrale (tra l'altro il poema sinfonico Thamar), fin dal 1866 per il primo diede impulso allo studio della musica popolare con una raccolta di canti russi. A. Borodin (1834-87), nelle rare soste della sua attività di chimico, riusciva a eccellenza anche nell'arte musicale, cui diede opere di genere: teatrali, sinfoniche, da camera, ecc., le quali brillano ancora oggi per il colorito (d'indole orientale) e la splendida orchestrazione. Il suo capolavoro, l'opera Il principe Igor (compiuto dal Rimskij-Korsakov) rimane - vicino ai drammi del Musorgskij - tra le vette del teatro musicale russo. Il Rimskij-Korsakov (1844-1908) conseguì in Europa maggior notorietà di tutti i "Cinque". Iniziò la sua attività con una sinfonia, che - composta nel 1865, quando egli era ancora in marina - era la prima sinfonia d'autore russo; diede poi un numero grandissimo di opere e balletti a carattere leggendario e decorativo, poemi sinfonici, pagine corali, ecc., nelle quali musiche egli si dimostra tecnico agguerrito più di ogni altro del suo gruppo (egli finì professore al conservatorio di Pietroburgo e scrisse opere teoretiche tra le quali ancora oggi son consultati i Principî d'orchestrazione) e magnifico pittore di quadri sonori raffinati quanto originali.
Il più geniale dei cinque era però il Musorgskij (1835-81), la cui importanza appare sempre più grande e internazionale, specialmente per quel che concerne il teatro. Nel suo Boris Godunov (1874) come anche nella Chovanščina, egli sa imporre la concezione drammatico-musicale intravveduta presso il Dargomyžskij presentandola in realtà artistiche di insuperata potenza. L'impressione destata dal Boris nell'ambiente russo fu abbastanza varia dapprima, vedendosi da molti nel Musorgskij un barbaro inconsapevole di musica, da altri il rivelatore d'una nuova verità artistica. E questi ultimi finirono per prevalere, tanto che oggi si riconosce in pieno, nel confronto tra la partitura originale del Boris e quella riveduta dal Rimskij-Korsakov, anche la sicurezza tecnica dell'autore. Il Musorgskij sapeva perfettamente realizzare concezioni musicali arditissime, prossime alla libertà del canto popolare nel melos e nel ritmo, obbedienti - in fatto d'armonia, orchestrazione, ecc. - non a scrupoli teorici ma all'intuito drammatico. Nella revisione del Rimskij, tipica della più vasta mentalità dei professionisti di musica, tutto ciò è corretto come errore.
Al gruppo dei Cinque, che aveva - per merito un po' di tutti - affermato nella musica europea importanti valori russi, destinati a sopravvivere non solo, ma anche a esercitare un influsso sulle altre scuole nazionali, si può dire fossero contrapposti due musicisti: Anton Rubinstein e Petr Čajkovskij, il cui pensiero musicale subiva forti influenze occidentali. La musica del primo di essi (pianistica, orchestrale, teatrale, nella quale ultima si distinse Il Demone, del 1854), piuttosto germanizzante, è oggi ormai caduta in ombra. Più vitale quella del Čajkovskij, che nonostante il suo eclettismo italo-franco-russo e la sua frequente enfasi retorica trova talvolta felici espansioni liriche. E infatti ancor oggi si eseguono spesso la sua VI sinfonia, il concerto per violino, ecc. Ma la celebrità dello stesso Čajkovskij, che per qualche tempo oscurò il nome d'un Musorgskij, è comunque caduta assai in paragone di quella oggi goduta non solo dall'autore del Boris, ma anche da un Borodin e da un Rimskij-Korsakov, nei quali il mondo ama le espressioni più genuine della gente russa.
Dopo la generazione dei Cinque, di Rubinstein e di Čajkovskij le due correnti tendono invece a confondersi, nell'opera di alcuni allievi del Rimskij-Korsakov, come A. Glazunov e N. Čerepnin, autori di musiche sinfoniche e di balletti di stile abbastanza composito. Più ligio alle tendenze dei Cinque l'altro allievo del Rimskij, Anatolij Ljadov, autore di molti pezzi pianistici e di delicati quadri orchestrali, ispirati a leggende popolari. Un altro centro musicale di grande importanza si era intanto sviluppato al conservatorio di Mosca sotto l'azione del Čajkovskij che vi tenne a lungo l'insegnamento, e poi del suo allievo Sergio Taneev (1856-1916) che, a sua volta divenuto maestro, insegnò musica a tutta una generazione: nella quale primeggia Alessandro Skrjabin (1872-1915), musicista di tendenze mistiche, concretate in musica orchestrale e pianistica di scrittura sempre più originale. La sua influenza è oggi assai diffusa in Russia. Forte contrasto con questa figura costituisce Sergio Rachmaninov (nato nel 1872), celebre pianista e compositore di molta musica, per il suo strumento, stilisticamente pura, originale e piuttosto elegante, ma non priva di serietà di pensiero e di forza nella realizzazione. Altri compositori di questa generazione moscovita sono giunti a notorietà: Reinhold Glière, Nikolaj Metner, Sergio Vasil′enko e Giorgio Catoire, quasi tutti stilisticamente prossimi alla posizione eclettica (tra vaghe nostalgie etniciste e prevalente accademismo germanizzante) di A. Glazunov. Con lo Skrjabin, i maestri più comunemente seguiti sono il Glazunov e il Metner.
Ben altra la via percorsa dal maggiore artista che la Russia abbia avuto dopo il Musorgskij: I. Stravinskij (nato nel 1882). Questo nome raggiunse la sua prima fama come esponente musicale del "Balletto russo" illustrato durante la sua suprema fioritura (dal 1909 circa all'epoca della guerra mondiale) dalla compagnia di Nižinskij, Fokin, la Fokina e la Karsovina. Ma l'arte di Stravinskij, iniziatasi sotto il segno delle raffinate preziosità armonico-timbriche che già presso il maestro Rimskij-Korsakov indorarono le flessuose frasi melodiche di popolare derivazione o aspetto (Oiseau de feu, Rossignol), prendeva inattesa forza e marcata personalità - specialmente nell'elemento ritmico - nel Petruška del 1911, fino a varcare ogni limitazione di valori nel Sacre du Printemps del 1913, che schiaccia definitivamente sotto una inaudita potenza d'urto le ultime barriere del formalismo. La danza popolare vi celebra il suo supremo trionfo avvicendandovi i suoi corti, incisivi temi e i suoi ritmi taglienti. Qui già i valori musicali dello Stravinskij superavano la contingenza del gusto contemporaneo nonché le sorti del teatro di Djagilev, e segnarono una nuova, ampia avanzata alla musica di tutto il mondo. Dal Sacre in poi il maestro continua a tracciare nuove strade: in Noces (1917) e nell'Histoire du Soldat (1918), usa ancora temi popolari, ma va assorbendone sempre più strettamente i valori essenziali per la linea struttiva. Egli cerca un'arte nuda e lineare, riduce l'orchestra, dalle masse gigantesche del Sacre, ai 4 pianoforti e percussione delle Noces, ai pochi strumenti dell'Histoire. Seguono composizioni da camera (o con mezzi fonici che da tempo erano proprî della musica da camera) in cui il tema popolare - insieme al "colorismo" folkloristico - viene abbandonato e in cui si cercano valori in certo modo extra-nazionali non solo, ma - nelle intenzioni dichiarate - extra-individuali, in una sorta di nostalgia dai valori formali delle epoche cosiddette classiche. La via è diretta, ormai, verso una concezione esclusivamente architettonica, da cui si credono esclusi i valori lirici dell'individuo. Stravinskij però viene a confermare - con la realtà lirica di composizioni come la Symphonie de Psaumes (1930) - le risorse artistiche del nuovo avviamento. Con lo Stravinskij la Russia ha dato al mondo una personalità storica di importanza centrale, la cui evoluzione è stata ed è seguita dalla maggior parte dei musicisti giovani di tutti i paesi e specialmente dei paesi occidentali; meno seguita, se mai, proprio in patria, dove s'è notata l'influenza prevalente di Skrjabin da una parte e dei Glazunov e Metner dall'altra. Il musicista russo più conosciuto all'estero è dopo Stravinskij, il fecondo quanto eclettico Sergio Prokofiev, le cui doti di potenza ritmica lo raccostano spesso allo Stravinskij del periodo "russo" mentre la grazia delle sue melodie, un poco "elegante", può ricordare il miglior Čajkovskij. Stilisticamente egli è instabile e da un'opera all'altra sembra mutar d'indirizzo quasi per diletto. Vicino a lui si può porre Aleksandr Čerepnin, figlio di Nikolaj Čerepnin dianzi ricordato, anch'egli stilisticamente incerto ma dotato di facilità e di sicurezza struttiva.
Nel periodo rivoluzionario hanno preso consistenza altre figure: N. J. Mjaskovskij, sinfonista assai fecondo (finora 10 sinfonie), il cui skriabinismo d'intenzioni e di struttura non riesce a nascondere un'intima nostalgia per Čajkovskii. Musica romantica, densa di travaglio e di toni angosciosi o cupi, non priva però d'una certa vigoria, e - ad avviso di molti - di reale grandezza. Nikolaj Roslavec, compositore di musica da camera assai ardita nelle basi tecniche, e Samuel Feinberg, le cui sonate per pianoforte portano avanti con energia le correnti skriabiniane.
Tra i nomi di giovani ricorrono spesso i seguenti: Aleksandr e Grigorij Krein, Leonida Sabaneev, Aleksandr Šensin, Adrian Šapošnikov, E. Pavlov, Aleksandr Boschmann, Sergio Euseiev, Ivan Šišov, Anton Djanov, Leonida Polovinkin, Vladimiro Krjukov, Vasilij Širinskiji V. Šebalin, Aleksandr Veprik, Aleksandr Abramskij e Aleksandr Mosolov, del quale ultimo è ovunque conosciuto tra le altre composizioni sinfoniche, il quadro orchestrale La fonderia di acciaio.
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Letteratura.
Dalle origini a tutto il sec. XVII. - È molto difficile, se non addirittura impossibile, segnare il momento d'origine della letteratura russa propriamente detta (la letteratura cioè della stirpe slava che fu detta grande-russa, per distinguerla dalle altre due formanti il gruppo slavo orientale: l'ucraina o piccolo-russa e la bianco-russa) perché nei primi secoli (XI-XIII) troppo intimi e indifferenziati sono i legami fra le produzioni letterarie (soprattutto di poesia popolare) delle tre stirpi e troppo ancora dominante è lo sfondo comune paleoslavo. La tendenza odierna degli studiosi ucraini di considerare più specificamente ucraini questi primi secoli di comunanza, darebbe alla letteratura russa propriamente detta (secondo cioè i confini territoriali della lingua grande-russa posteriore) un'origine assai tarda, senza una sufficiente giustificazione, perché se differenziazioni si notano in quest'epoca tra i varî gruppi linguistici, nessuno di essi domina effettivamente preannunziando con precisione l'indipendente sviluppo ulteriore. Noi consideriamo perciò i primi secoli come secoli di origine di una letteratura russa che diremo generale, con un ulteriore sviluppo del tronco centrale (granderusso o russo) e di due rami laterali (l'ucraino e il bianco-russo), con affermazioni più tardive in questi ultimi in confronto del primo.
La Russia ebbe la sua prima rudimentale letteratura con l'introduzione del cristianesimo. Il primo documento scritto, di questa letteratura di carattere strettamente religioso, è di parecchi anni posteriore alla conversione ufficiale (988) e cioè il cosiddetto Vangelo di Ostromir, scritto a Novgorod nel 1056-57, in paleoslavo di redazione russa. Più forte è l'elemento russo nelle cosiddette Cronache di Bisanzio del sec. XIII, e nella Storia della guerra giudaica di Flavio Giuseppe, in cui il materiale lessicale è anzi già così diverso da quello tradizionale da poter essere ritenuto specchio almeno parziale di quel che era la lingua parlata del tempo.
Letteratura fondamentalmente religiosa e prevalentemente di traduzioni, accanto a cui però abbastanza presto si andranno sviluppando, per mantenersi vive fin quasi al sec. XVII, anche una letteratura apocrifa e una letteratura agiografica relativamente indipendenti; importanti l'una e l'altra, la prima perché ad essa si può far risalire l'inizio della letteratura narrativa russa, la seconda perché, nonostante l'imitazione, su di essa si possono in buona parte ricostruire le concezioni morali della Russia primitiva. Accanto alla letteratura agiografica si debbono perciò ricordare le prime opere morali e didattiche di carattere indipendente, come per esempio la Vita e peregrinazione di Daniil del sec. XII, prima narrazione russa di un pellegrinaggio in Palestina, e l'Ammonimento ai figi, del principe Vladimir Monomaco, primo esempio russo di autobiografia a scopo edificativo e testimonianza della rapida evoluzione morale del popolo russo convertito al cristianesimo.
Il dominio dello stile religioso nei primi secoli non fu incontrastato, ché già durante il periodo di Kiev, anteriore alla dominazione tatara, e ancor più in seguito, anche la narrazione non del tutto religiosa, talvolta anzi senz'altro profana, ebbe vita e rigoglio con manifestazioni diverse, dal racconto didattico (Varlaam e Josaphat) al racconto storico (Alessandria), dal racconto di guerra (Il canto della schiera di Igor) al racconto di vita quotidiana (La preghiera di Daniii), ecc.; alle quali manifestazioni si possono aggiungere anche le Cronache, di cui la Russia antica fu assai ricca, dalla prima a noi nota, cioè il Racconto degli anni passati o Cronaca di Nestore, importante per la storia e per la letteratura russa, fino alle altre di carattere locale, dentro i grandi corpi in cui tutte le cronache sono oggi riunite, sotto il nome della città o del monastero in cui furono conservati (Novgorodskij Spisok, Lavrentevskij Spisok, Ipatevskij Spisok).
La Cronaca di Nestore e il Canto della schiera di Igor (v.) possono considerarsi i monumenti più importanti del periodo di Kiev, non solo per il loro valore intrinseco, ma anche per l'alto senso di dignità nazionale, civile nella Cronaca, guerresca nel Canto, di cui ambedue sono animati. Nonostante il suo isolamento il Canto presuppone una tradizione culturale di cui altre tracce ci conserva la letteratura orale, tramandata nei secoli e da essi alterata. Purtroppo un ulteriore sviluppo di questi prodotti letterarî della civiltà kieviana fu reso impossibile dall'invasione mongolo-tatara che doveva arrestare quasi totalmente per oltre duecento anni a partire dal primo terzo del sec. XIII la vita intellettuale del paese. Proprio là dove s'era avuto il preannunzio della nuova vita, con la conversione al cristianesimo, a Kiev, si addensarono le tenebre della servitù, e solo più a nord, a Novgorod, il solo centro fuori dell'influenza diretta degli invasori, poté conservarsi un terreno favorevole a una cultura, non importa se strettamente legata ad influenze di altre razze, dovute ai rapporti con le terre tedesche e scandinave. I due secoli XIII e XIV e buona metà del sec. XV non ci dànno quasi nessuna testimonianza di vita intellettuale, o almeno si sono conservati solo monumenti, come il Paterik di Kiev-Pečersk, le prediche del vescovo di Vladimir, Serapione, la Preghiera di Daniil Zatočnik, il Detto o Racconto della rovina della terra russa e il Racconto intorno a S. Mercurio di Smolensk, che provano il desiderio di dare espressione alle proprie sofferenze, e di trovare conforto ad esse nella fede cristiana, ma artisticamente non dicono nulla di nuovo. Se una cosa è da segnalare è la fioritura di racconti a fondo storico, prova forse di una continuità, almeno ideale, tra il periodo di Kiev e quelli susseguenti fino alla ripresa moscovita. I più rilevanti fra essi sono quelli della fine del secolo XIV, che hanno come centro la prima vittoria dei Russi contro i Tatari, la battaglia di Kulikovo del 1380, con i quali anzi da qualche storico si vuol far cominciare la letteratura moscovita propriamente detta.
Data l'importanza storica della lotta intrapresa dal principato moscovita, non deve sorprendere che la prima letteratura della ripresa nazionale sia una letteratura riflettente gli avvenimenti politici e sociali del tempo. Sia l'Unione fiorentina del 1439, per la quale l'autorità dell'ortodossia greca cadde agli occhi dei Russi sia la sottomissione dei due centri di Pskov e di Novgorod a Mosca ebbero riecheggiamenti letterarî di notevole rilievo nel racconto Del modo come il papa Eugenio riunì l'ottavo Concilio con i suoi partigiani, in quello della Fondazione e caduta di Cargrad (Costantinopoli), in quello Del bianco cappuccio monacale di Novgorod, e così via. Un posto a sé ebbero inoltre in questa stessa epoca (seconda metà del sec. XIV e principio del XV) gli scritti rivolti a combattere i movimenti settarî e quelli degli stessi eretici, in particolar modo dei cosiddetti "giudaizzanti". Il sec. XV vide altre manifestazioni del tutto nuove, quali le relazioni di viaggi, che, se sono prevalentemente descrizioni di pellegrinaggi, comprendono fra loro anche un originalissimo documento di intraprendenza e di spirito d'osservazione insieme, la relazione cioè del viaggio di A. Nikitin alle Indie orientali negli anni 1466-1472; e la letteratura polemica cosiddetta razionalistica che seguì ed ampliò la lotta contro gli eretici nei due campi che fecero capo a Nil Sorski (1433-1508) e a Josef Volockij. Questa polemica del secolo XV traboccò nel secolo seguente con la questione della corruzione dei libri sacri che si mosse intorno a un russo di adozione, Massimo il Greco (Maksim Grek, 1480-1556), che può essere considerato come un precursore di quell'avvicinamento spirituale all'Europa che doveva andar sempre più sviluppandosi, già prima delle riforme di Pietro il Grande.
Il sec. XVI ha già dei monumenti letterarî caratteristici che rivelano la possibilità di uno sviluppo se non originale, almeno rispondente allo spirito dei tempi. Ci riferiamo allo Stoglav o Libro dei cento capitoli, al Domostroj o organizzazione della famiglia, ai Četi-Minei o vite dei Santi secondo il calendario, alla Stepennaja Kniga (Libro dei gradi), alla polemica epistolare tra Ivan il Terribile e il principe Kurbskij. Lo Stoglav è un documento prezioso per lo studio della cultura russa nel secolo XVI con i suoi precetti di disciplina ecclesiastica, l'esposizione delle questioni poste dallo zar al Concilio e le relative risposte, dal cui complesso risulta un quadro abbastanza cupo di arretratezza spirituale e morale; nel Domostroj ai principî di disciplina ecclesiastica si aggiungono quelli di disciplina familiare, anch'essi specchio di un livello arretrato di costumi che l'autore del trattato mirava evidentemente a disciplinare, non a correggere e migliorare. Solo un po' più tardi, al principio del secolo XVII, troveremo riflesso letterariamente un altro aspetto della vita familiare e femminile nella commossa narrazione della Vita di Juliana Lazarevna. Con la corrispondenza tra Ivan il Terribile e il principe Kurbskij sui diritti del sovrano assoluto, si può dire prenda coscienza di sé la lotta che ai poteri costituiti conducono le correnti di vita nuova, alimentate non solo dal malcontento spontaneo e dalla formazione di un pensiero indipendente, ma anche dall'accentuarsi dell'influenza occidentale. Duplice fu la via di penetrazione di questa influenza fino a Mosca: la Polonia e la Russia meridionale-occidentale polonizzata. Kiev aveva ripreso nel secolo XVI una posizione d'avanguardia negli studi ecclesiastici con la fondazione di un collegio che fu poi trasformato in Accademia e divenne il centro anche di studî e di arte poetica teatrale. I diretti contatti con la Polonia dovevano anzi contribuire ad accentuare la tendenza profana della letteratura e fu questa che si volse verso Mosca, ormai anche essa, dopo gli avvenimenti che l'avevano sconvolta al principio del secolo, pronta a subire, se non a gradire, l'apporto degli stranieri propugnato da alcuni spiriti indipendenti.
Il sec. XVII a Mosca dovette essere, assai più di quanto non si sia ritenuto, campo di lotta fra la tradizione e le correnti nuove. Anche avvenimenti quali la fondazione per opera del patriarca Filarete dell'Accademia slavo-greco-latina, nella quale vennero insegnanti dell'Accademia di Kiev, e lo scisma (raskol) causato dalla correzione dei libri sacri, rientravano nel quadro di questo fermento non meno dell'amore che sempre più si diffondeva per la letteratura narrativa a sfondo realistico e talvolta satirico. Alla venuta di maestri di Kiev, Mosca dovette l'impulso al teatro, ché tra essi era infatti il dotto Simone Polockij (1629-1680), scrittore di drammi religiosi che furono rappresentati nel teatro di corte costruito dallo zar Alessio Michajlovič; allo scisma è legata una delle opere letterarie più personali e caratteristiche del tempo, l'autobiografia del protopop Avvakum (1620-81). È caratteristico il fatto che questo documento di umanità e d'arte venisse alla Russia da un uomo semplice che di far professione d'arte non aveva alcuna aspirazione. Del resto anche poco dopo è un'altra opera, composta senza intenzioni letterarie, ma interessante e viva, per la spontaneità e il calore da cui è animata, il libro cioè di G. Kotošichin (morto nel 1667) Sulla Russia durante il regno di Alessio Michajlovič, ove l'esattezza dell'esposizione storica si accoppia all'appassionata partecipazione dell'autore ai fatti narrati. Minor valore artistico hanno invece quei numerosi racconti che, riallacciandosi in parte agli apocrifi, formarono il nutrimento spirituale della classe colta del tempo: Il racconto di Savva Grudcyn, Il racconto di Frol Skobeev, Il racconto di Dolore-sventura (O Gore zločastij), in cui gli elementi fantastici tradizionali vengono solo parzialmente modificati da elementi realistici, soprattutto satirici.
La poesia popolare. - Il quadro della letteratura russa scritta non ci darebbe la visione totale delle possibilità creative del popolo russo in questi lunghi secoli della sua storia, se non fosse accompagnato da un cenno sull'origine ed evoluzione della poesia popolare. Questa poesia popolare, tramandata oralmente sino ai nostri giorni, può essere divisa in due gruppi principali, quella cioè epica, le cosiddette biline, i canti storici e i canti epico-religiosi da una parte, e quella lirica in buona parte legata ad usi e costumi tradizionali dall'altra. I cicli della poesia epica, la cui interpretazione ha dato luogo alla formazione di vere e proprie scuole diverse (quella mitologica, quella storica, quella delle influenze), offrono interesse folkloristico, etnografico, poetico e storico. Essi corrisponderebbero approssimativamente a un'epoca anteriore alla civiltà di Kiev e a quella di Novgorod; rispondenza però formale, in quanto che non è possibile fare una ben precisa determinazione delle interferenze, dovute al migrare dei varî canti dall'una all'altra regione in epoche diverse, nel moto generale che da sud va verso nord. Il ciclo più antico per la primitività del contenuto, il cosiddetto ciclo dei bogatyri (eroi, o addirittura semidivinità secondo alcuni) con le figure centrali di Svjatogor, Volga Vseslavič e Mikula Seljaninovič, nelle quali si potrebbe vedere anche la personificazione delle forze primordiali di un popolo, è cronologicamente di creazione posteriore sia a quello di Kiev che si muove intorno alla figura del principe Vladimir con i tre eroi Il′ja Muromec, Dobrynja Nikitič e Aleša Popovič che, appartenendo a tre classi diverse: la contadina, la principesca e l'ecclesiastica, indicano la partecipazione delle varie classi del popolo alla formazione dell'epos; sia a quello di Novgorod i cui eroi caratteristici, Sadko e Vasilij Buslaevič mostrano la differenza di cultura e di concezione della vita tra questa città borghese e di traffici e Kiev principesca e religiosa.
Al periodo moscovita si riferisce un nuovo tipo di canti epici, quelli cioè che trattano di personaggi storici ben determinati e che perciò vengono generalmente detti canti storici, anche se la rispondenza storica sia in essi molto problematica. Questi canti si muovono soprattutto intorno ad Ivan il Terribile, a Ermak, a Sten′ka Razin, a Pietro il Grande e ad avvenimenti storici memorabili, come l'assedio di Kazan′, la presa di Azov, ecc. Nel sec. XVIII questa poesia andò rapidamente decadendo. Un cenno a sé merita la poesia epico-religiosa che in parte si intrecciò e talvolta si fuse con l'epica propriamente detta, in parte ebbe uno sviluppo indipendente come in alcuni canti famosi quali la Golubinaja Kniga, il Pianto della terra, ecc., e nei cosiddetti duchovnye stichi (versi spirituali) che traducevano con semplicità non priva di bellezza le storie della Bibbia e degli Apocrifi, contrapponendosi talvolta alle narrazioni in prosa artisticamente assai meno riuscite.
La poesia popolare lirica, anch'essa come quella storica e religiosa, e quella epica propriamente detta, oggi in assai rapida decadenza, era in parte legata alle antiche tradizioni pagane conservatesi negli usi e costumi del popolo. Scomparendo negli ultimi tempi sono andati i canti delle feste legate alle varie fasi della vita agricola del popolo, ancora vive prima della rivoluzione bolscevica. Così anche quelli legati con varî usi e costumi, come i canti di fidanzamento e di nozze, le lamentazioni funebri, ecc. E scomparendo va anche un altro ricchissimo patrimonio popolare, in buona parte risalente ad epoca anteriore a Pietro il Grande, quello delle leggende e delle favole; da una parte perché la nuova educazione data alle masse va distruggendo quel senso del divino e del meraviglioso che è così caratteristico della creazione leggendaria popolare, dall'altra parte perché le favole si sono ormai trasformate in un genere letterario fisso scritto, non più come una volta suscettibile della spontanea ricreazione popolare.
Il secolo XVIII. - Con la salita al trono di Pietro il Grande (1682) la vita del paese cominciò a muoversi su nuove basi, quelle su cui s'era svolta la vita dell'Europa occidentale. Questa nuova vita era in fondo limitata ad alcuni strati soltanto della popolazione, ma, conquistati questi, l'ulteriore diffusione e penetrazione non poteva essere che questione di tempo. Il fatto che il grande riformatore si interessasse più di tutto alla cultura pratica non portò, è vero, subito un rinnovamento nei modi letterarî, ma, col desiderio della cultura, preparò tuttavia il terreno a seguire l'Occidente anche nell'arte e soprattutto diede un contenuto proprio a quella che sarebbe stata in caso contrario un'appropriazione esclusivamente formale.
La stessa lotta a favore e contro le riforme portò a manifestazioni di carattere letterario come le prediche di Feofan Prokopovič (1681-1736) da una parte e quelle di Stepan Javorskij (1658-1722) dall'altra. Partendo dalle riforme nacquero inoltre i saggi dell'autodidatta Ivan Posoškov (morto nel 1726) sulle cause della povertà e della ricchezza, sulla situazione dei contadini, del clero e dei mercanti e la Storia della Russia di Vasilij Tatiščev (1686-1750), che raccolse e riordinò le antiche Cronache. Dallo spirito occidentale, propugnato dalle riforme, mossero i primi poeti, con i quali si suol dire cominci la letteratura russa moderna, A. D. Kantemir (1708-1744), V. K. Tred′jakovskij (1703-1769), A. Sumarokov (1718-1777), tutti e tre educati allo spirito francese. Senza dubbio colpisce l'immaturità, se non addirittura l'ingenuità, con cui questi difensori delle riforme di Pietro cercano di impadronirsi delle conquiste che l'Occidente ha compiuto in secoli di evoluzione, ma non è senza significato il fatto che tanto un Sumarokov, autore di tragedie pseudoclassiche, quanto un Tred′jakovskij, autore del lungo poema La Telemachide, le une e l'altra opere russe solo perché scritte in russo, gettarono le prime basi della lirica nazionale con poesie che solo il rapido fiorire della lirica nella prima metà del secolo seguente fece del tutto dimenticare. Ma il vero rappresentante dell'epoca di Pietro anche nel campo letterario fu un autodidatta, Michail V. Lomonosov (1711-65), che conquistò fama, oltre che nella poesia, anche in quasi tutti i campi dello scibile del suo tempo: per la sua Grammatica della lingua russa e anche per le altre opere teoriche, la Retorica e il Ragionamento sull'utilità dei libri ecclesiastici in lingua russa egli è da ritenere il primo scrittore conscio che il russo moderno era ormai il solo strumento di cui dovesse servirsi la letteratura.
Pur intenti tutti e tre alla medesima opera, la creazione di una letteratura russa moderna, Tred′jakovskij, Lomonosov e Sumarokov furono tra loro non solo nemici personali, ma anche rivali nel campo dell'arte, perché rappresentanti di tendenze opposte e inconciliabili. Eliminato il più debole, Tred′jakovskij, la lotta tra Lomonosov e Sumarokov si protrasse a lungo, con una sempre maggiore accentuazione dello stile maestoso solenne ed enfatico nel primo, la ricerca della sobrietà e della semplicità nel secondo, qualità tuttavia che non gli sono state riconosciute che di recente. Assai più che non nella sua lingua il Sumarokov fu ligio ai maestri stranieri nelle sue tragedie e commedie. In queste ultime tuttavia, nonostante i difetti e la pedissequa imitazione dei modelli, si può riconoscere quell'orientamento verso la satira di costumi che, attraverso Fonvizin, arriverà a Gogol′; la tendenza alla satira fu del resto caratteristica del tempo ed essa si servì non soltanto della satira propriamente detta (Kantemir), ma anche della favola (Sumarokov).
I singoli nomi da noi ricordati per quest'epoca in cui la vecchia letteratura russa legata alla tradizione va morendo e la nuova si muove per vie diverse, in tentativi ed esperimenti, stanno a rappresentare non tanto le varie personalità degli scrittori, quanto appunto questi nuovi tentativi di cui essi sono gli esponenti. Ed effettivamente, quel che importa è il fatto che con la sua letteratura, come con le sue aspirazioni scientifiche, come con la chiamata di artisti stranieri a ornare la sua capitale, la Russia è entrata nell'orbita degli interessi spirituali universali. Solo considerata da questo angolo visivo tutta la letteratura russa del sec. XVIII acquista il suo giusto e reale valore, disconosciuto per tutto il secolo seguente dagli stessi Russi, e dagli Europei all'oscuro del lungo e fruttifero travaglio.
Nel sec. XVIII abbiamo un periodo di fermento, che potremmo quasi dire rivoluzionario, e un periodo di evoluzione, anch'esso del resto mosso da un ritmo non comune: il mutamento dell'orientamento non era del resto un'iniziativa della nuova capitale, perché già nel secolo precedente Mosca ne aveva gettate le basi. Il processo di reciproca influenza tra i varî strati della popolazione e quindi tra le manifestazioni letterarie proprie di ciascuno mostra che l'orientamento verso Occidente è assai più che una moda o un capriccio delle classi dirigenti; è una vera e propria necessità nella ricerca di forme nuove per nuove aspirazioni, nuovi bisogni. Il fatto che tra i nuovi scrittori, non tutti provengono dalle classi alte, ma anche direttamente dal popolo, e portano con sé il patrimonio originale della propria terra; e il fatto che si va sempre più affermando un rapporto tra la poesia popolare e la letteratura scritta, sia questa degli strati medî, sia anche degli strati superiori (Tred′jakovskij e Lomonosov, accolti in questi, erano figli del popolo minuto), ne sono la prova sicura e convincente.
La letteratura, nello stesso tempo che si fa classica, che si piega cioè ai modelli stranieri, si volge al popolo e ne intravvede, se pur non ne comprende appieno, la natura: lo sviluppo della commedia, della satira, della favola, del giornalismo sono un sintomo: le forme stesse prese in prestito agli stranieri sono rivolte a mettere in caricatura, a biasimare, a rinnegare il contenuto che esse hanno portato con sé. La commedia che vien dalla Francia serve a colpire la gallomania del tempo; la tragedia, rigida nelle forme straniere, si sforza di sfruttarle per un contenuto russo; la filosofia illuministica, che diventa dominante sotto Caterina II, dà lo strumento ad una prima autocoscienza, che, per quanto goffa ed elementare, è un passo avanti verso una coscienza definitiva di sé, senza della quale non sarebbe comprensibile lo sviluppo della letteratura del secolo XIX.
Il centro di gravità della storia letteraria si sposta così dalla considerazione delle forme di imitazione a quella della possibilità che queste siano superate, nella coscienza di un proprio contenuto. L'opera di un Nikolaj Novikov (1744-1818), con le sue due riviste satiriche Il calabrone e Il pittore, in cui non si sa bene se il quadro delle piaghe russe serva a flagellare difetti e mali universali, o il quadro di questi sia piuttosto un pretesto per discendere a quelle, superando le difficoltà della censura; l'opera di un Aleksandr Radiščev (1749-1802) che, partendo da un modello così lontano dalla mentalità russa, come il Viaggio sentimentale di Steme, dà nel Viaggio da Pietroburgo a Mosca la spinta a tutto il movimento che nel sec. XIX doveva metter capo all'abolizione della servitù della gleba; l'opera poetica di Gavriil Deržavin (1743-1816), che doveva, attraverso Puškin, segnare la via di quella poesia a sfondo filosofico che caratterizzò la poesia russa fino alla soglia del sec. XX; le commedie di Caterina II e dopo di esse quelle di Denis Fonvizin (1745-1792) o di Vasilj Kapnist (1757-1824), rivolte a colpire i più radicali difetti della vita russa, che le favole di Ivan Chemnicer (1745-1784), precursore, accanto a Sumarokov, del grande favolista Ivan Krylov (1768-1844), mettono più leggermente, ma non meno efficacemente, in caricatura; considerate da un simile punto di vista tutte queste manifestazioni caratteristiche del secolo XVIII diventano comprensibili e naturali assai più che non avendo presente solo e nient'altro che l'aspirazione a imitare modelli stranieri.
Il secolo XIX. - Non a caso sulla soglia del nuovo secolo si leva la figura di Nikolaj Karamzin (1766-1826), anello di congiunzione tra le aspirazioni del sec. XVIII e tutti quei nuovi fermenti di idee e di sentimenti che caratterizzarono i primi anni del sec. XIX; e non a caso nella sua personalità si fusero il poeta, lo storico, il riformatore della lingua, il viaggiatore. Le sue Lettere di un viaggiatore russo mettevano in chiaro i mutamenti già avvenuti in Europa, la sua Storia dello stato russo gettava un ponte tra il passato e l'avvenire della Russia, che egli, affascinato dalla tradizione, vedeva assisa nel concerto delle grandi potenze europee del suo tempo; in una polemica asprissima che ebbe a sostenere per la riforma della lingua, egli affermava definitivamente quel principio, già intravveduto dal Lomonosov, dell'immediata rispondenza tra lingua scritta e lingua parlata.
Ma, perché tutto quel che era stato fino ad allora aspirazione confusa di spiriti eletti e impulso elementare del popolo diventasse una realtà viva nella creazione, occorreva la potenza del genio, e i due principali contemporanei di Karamzin, il favolista Krylov e il poeta Žukovskij, pur portando un ampio contributo di esperienza umana e di esperienza linguistica il primo, e di svariate esperienze poetiche il secondo, non avevano tale potenza. Le esperienze poetiche che Žukovskij compendiò, ebbero del resto anche singoli rappresentanti, sia che essi continuassero a richiamarsi al sec. XVIII, come nella commedia e nella tragedia in versi, nel poema scherzoso, nella favola, ecc., sia che aderissero alle correnti nuove romantiche, sia che, sulla base del nuovo gusto, cercassero di rinnovare l'antico, come nel neo-classicismo. V. Ozerov (1769-1816) col suo Edipo ad Atene e insieme col Dmitrij Donskoj; K. Batjuškov (1787-1855) con le sue mirabili rievocazioni della Grecia, di Roma e dell'Italia, non legate alle traduzioni care ad altri minori, quale il Gnedič (1784-1833) al quale la Russia dovette quella dell'Iliade, ma rivissute dal poeta attraverso i suoi eroi, come nel Tasso morente, sono fra tutti i più caratteristici rappresentanti della fede serbata al classicismo in un nuovo modo di intenderlo e di servirsene. Al classicismo del resto rese omaggio nella sua prima giovinezza tutta o quasi tutta la nuova generazione e lo stesso Žukovskij, accanto a Schiller, Byron, Goethe, tradusse l'Odissea e parte dell'Iliade.
Romantico anche quando si rivolgeva al mondo classico, Vasilij Žukovskij (1783-1852) vide il romanticismo raggiungere i suoi splendori massimi e declinare: accanto al suo individualismo lirico l'individualismo ribelle di un Bestužev-Marlinskij (1797-1837), propugnatore del culto delle nature superiori; il romanticismo nazionalistico di uno Zagoskin (1789-1852), come lui ispirato da Walter Scott e da Radcliffe, il romanticismo filosofico schellinghiano di un principe Odoevskij (1803-1869); quello patriottico di un Ryleev (1797-1826) spinto fino al sacrificio di sé stesso, ma soprattutto il romanticismo byroniano di un Puškin (1799-1837) e di un Lermontov (1814-1841); passeggiero nel primo per cedere il posto al suo caratteristico realismo poetico, da cui nacque il realismo di tutto il sec. XIX; più duraturo nel secondo per congenialità di temperamento artistico col poeta inglese, ma superato infine anche da lui per una maggiore profondità di tragedia spirituale e una più sincera, sebbene meno apparente, aspirazione alla libertà.
I semi del realismo russo erano certamente già nella più antica letteratura narrativa ed avevano germogliato anche nel sec. XVIII e nella letteratura narrativa e in quella teatrale, soprattutto nella commedia. Al teatro aveva tentato di portare le sue doti di osservatore anche il Krylov, ma anch'egli, se può essere considerato un precursore del realismo, lo è certamente di più nelle favole che non nelle commedie. I rappresentanti del realismo nella sua prima forma, anteriore a I racconti di Belkin di Puškin e a Le anime morte di Gogol′, furono piuttosto nel teatro Aleksandr Griboedov (1795-1829), nel romanzo Vasilij Narežnyj (1780-1825), il primo con la commedia Che disgrazia l'ingegno, il secondo con alcuni racconti che preannunziavano da varî punti di vista l'opera di Gogol′. La commedia di Griboedov è un prezioso documento storico oltre che artistico, per la precisione con cui vi è rappresentata la vita della società moscovita tra il 1810 e il 1820 attraverso la lotta tra le due generazioni ormai in urto; lotta che diventerà più tardi uno dei contenuti più caratteristici della letteratura russa.
Gli avvenimenti politici e le necessità dell'organizzazione sociale del paese saranno rappresentati infatti durante tutto il corso del sec. XIX nella letteratura, la quale non soltanto s'assumerà il compito di criticare lo stato di cose esistente, ma contribuirà a indicare e studiare le vie che la vita dovrebbe seguire. L'opera iniziata dal Novikov e dal Radiščev fu dunque continuata con alacrità, se non sempre apertamente, date le restrizioni della censura, sempre con efficacia, dato il riecheggiamento che gli avvenimenti d'Europa ebbero in Russia e dato altresì il carattere più o meno direttamente politico che ebbe il romanticismo, dominante nel primo trentennio del secolo.
Lo sviluppo della coscienza nazionale farà infine sì che dalle differenze negli spiriti di fronte all'Europa si svilupperanno i due avversi campi degli slavofili e degli occidentalisti, rispondenti nelle linee generali ai due concetti della necessità di appropriarsi la civiltà occidentale, oppure della necessità di attenersi alle proprie caratteristiche autoctone. La prima corrente fu originariamente rappresentata da Pietro Čaadaev (1794-1856) nel quale l'ammirazione per l'Europa non fu tuttavia così energica come negli scrittori dei decennî seguenti; la seconda da tutta la schiera di scrittori che, avendo come precursore lo storico Boltin, che già nel sec. XVIII aveva lottato contro le opinioni occidentali sulla Russia, difendendo il proprio orgoglio nazionale con le armi stesse dell'Europa, i giudizî cioè che sulle cose europee avevano dato Rousseau e Montesquieu, si mantennero ligi al nazionalismo ufficiale, fino a quando intorno al quaranta, per opera di Aleksej Chomjakov (1804-1860), di Ivan Kireevskij (1806-1855) e dei fratelli Konstantin e Ivan Aksakov (1817-1860 e 1823-1886), la dottrina non fu in un certo qual modo definita anche filosoficamente.
Lo studio dell'Occidente aveva portato del resto quasi tutta la letteratura nel campo avverso alla reazione, e ciò non fu un male neppure dal punto di vista nazionale, perché uomini geniali o di alto intelletto seppero ben presto liberarsi dall'imitazione o dall'adesione ai modelli, e mettere la Russia al livello delle più progredite nazioni europee. Da questo punto di vista l'importanza di A. Puškin appare in pieno.
Già il Belinskij aveva visto bene paragonando il poeta ad un grande fiume nel quale le acque di numerosi affluenti si confondono in un corso potente, ché il Puškin veramente non fu sordo a nessuna delle voci risuonanti nel mondo al suo tempo. Certo è che quelli che possono essere considerati i capolavori di Puškin, il Boris Godunov e l'Eugenio Onegin, sono al di sopra e al di fuori di ogni scuola di impostazione classica o romantica che sia, fondendo un contenuto storicamente russo ma psicologicamente umano in una forma perfetta d'equilibrio e d'armonia.
Se nel corso del sec. XIX vi saranno dei momenti di lotta per il superamento di Puškin e con lui dei poeti che si mossero nella sua orbita, come E. Baratynskij (1800-1844), N. Jazykov (1803-1846), A. Del′vig (1798-1831), Ryleev, ed effettivamente alcune forme della sua poesia, come il poemetto lirico narrativo, saranno superate, dopo aver riecheggiato ancora una volta in Lermontov, ciò fu dovuto non ad una inattualità di Puškin nei nuovi tempi, ma al fatto, non nuovo nella storia letteraria del resto del mondo, ma certamente unico in quella russa, della sua prematurità. Dovevano passare parecchi decennî perché, non questa o quella forma della sua poesia, ma lo spirito di essa si affermasse vittorioso, come rivelazione del genio della razza. Se l'altissima concezione che il poeta aveva avuto della poesia fu conservata solo da alcuni poeti della generazione a lui seguente, dai poeti della cosiddetta arte per l'arte o della pura poesia, alla quale del resto avevano dato impulso poeti di profonda sensibilità filosofica come Baratynskij e Venevitinov (1805-1827); anche i poeti che, come Kol′cov, Nekrasov, Nikitin, Pleščeev, nella cui poesia prevale il tono civile e sociale, non furono mai liberi, non diciamo dalla sua influenza, ma da quella realtà interiore che egli aveva per primo rivelata e consacrata.
È quasi un luogo comune nella storia della letteratura russa dire che l'eredità di Puškin fu raccolta da Lermontov. In realtà l'eredità puskiniana andava assai oltre la poesia, nella quale il Lermontov, col suo temperamento irrequieto, aveva apportato effettivamente elementi e accenti nuovi; e il cercarne in questo o quello scrittore la successione significherebbe forse restringerne l'importanza. Tanto più che la lotta delle tendenze letterarie si orientò quasi del tutto fuori della poesia, e dell'eredità puškiniana si parlò così a proposito della prosa, nel nome di N. Gogol′ (1809-1852), sia come autore della commedia L'ispettore generale sia come autore de Le anime morte. La polemica, viva ancor oggi, sul dominio puškiniano o gogoliano nella storia letteraria era però in sostanza risolta dallo stesso Gogol′ quando, in buona parte inconsciamente affrontava il problema della continuazione di quel che aveva formato il nucleo della creazione di Puškin, la rivelazione della Russia a sé stessa. Le sovrastrutture ideologiche, o mistico-trascendentali, dell'opera di Gogol′ dovevano cadere infatti con la scomparsa stessa dello scrittore, mentre l'impulso che egli aveva dato alla prosa narrativa realistica doveva essere ricchissimo di frutti. Certo, fino a quando L. Tolstoj, col suo riconoscimento della perfezione della prosa puškiniana, segnò un ritorno a Puškin anche nell'arte narrativa, il realismo gogoliano fu l'asse intorno a cui questa si mosse.
A spingere su questa via contribuì anche la critica letteraria, nella quale, con la comparsa di V. Belinskii (1811-1848), si può dire che il processo di affermazione del realismo si compia ancor più decisamente che nella stessa creazione. La critica letteraria si era gia rapidamente sviluppata con la penetrazione del romanticismo e della filosofia tedesca. Quando poi il Belinskij, attraverso le diverse fasi del suo pensiero, giunse al riconoscimento dell'indirizzo realistico della cosiddetta "scuola naturalistica" rappresentata da Gogol′, la critica russa ebbe segnato il suo cammino: il male fu che mentre per il Belinskij il passare in seconda linea dei problemi filosofici ed estetici di fronte a quelli sociali non significò eliminazione dalla critica della valutazione artistica delle opere, nella critica che lo seguì nell'indirizzo realistico la valutazione dei problemi sociali significò spesso indifferenza ed avversione alla critica estetica. Questa continuò ad esistere senza dubbio, ma ebbe scarsissima efficacia sulla formazione della coscienza letteraria russa, ormai ancorata al principio della socialità e dell'utilità dell'arte, con le tendenze moderate di un Valerian Majkov (1823-47), propugnatore di un'arte strumento di progresso sociale in senso occidentalista, e di un Apollon Grigor′ev la cui critica organica" si fondava in sostanza sull'affermazione che l'arte non deve limitarsi ad una semplice riproduzione della realtà, ma essere interprete e giudice di questa; e la tendenza estrema dell'utilitarismo di un Dmitrij Pisarev (1840-1868), preparata dagli studî social-letterarî di un Nikolaj Černyševskij (1828-1879) e di un Nikolaj Dobroljubov (1836-1861), affermante il primo che l'arte deve servire alla vita e a chiarire i risultati dell'indagine scientifica e l'altro che la letteratura rappresenta un fattore utile, la cui importanza è nella propaganda e il cui valore vien determinato da ciò a cui si fa propaganda e dal come questa propaganda si fa.
Uno solo di questi critici, il Černyševskij, rientra nella storia letteraria oltre che come critico, anche come autore col romanzo Che fare? documento importante per la storia dell'epoca che fu sua, e per la storia insieme di uno dei romanzi fondamentali di Turgenev, Padri e figli, mirando esso a contrapporre al "nichilista" Bazarov della realtà turgeneviana quel che nel campo radicale era considerato il vero nuovo uomo russo rivoluzionario. In questo romanzo di Černyševskij erano trattate alcune di quelle che i Russi chiamavano "questioni maledette" i problemi cioè della vita individuale nei suoi rapporti con la vita sociale. La letteratura si sostituiva così gradualmente come forma di attività intellettuale a quel che nei decennî precedenti erano stati i circoli filosofici, focolari efficacissimi di nuove idee. Di uno di questi circoli, era stato anima Aleksandr Herzen (1812-1870), la cui attività giornalistica, svolta in esilio, doveva avere così decisiva importanza per l'orientamento delle generazioni russe del 3° quarto del secolo. Anche Herzen del resto con un romanzo Di chi la colpa? e alcuni racconti aveva trasportata la sua attività, prima ancora del suo soggiorno all'estero, dalle quasi chiuse riunioni private nel campo più largo ed efficace della letteratura.
Alla letteratura sociale venne anche un contributo dalla poesia che per aver preso ispirazione direttamente dal popolo ed aver descritta la vita della gente semplice fu detta appunto sociale, anche là dove, come nei canti di Aleksej Kol′cov (1808-1842), le sofferenze dei contadini sono materia di espressione lirica, attraverso le sofferenze personali, non motivo o spunti di problemi cume in buona parte della poesia di Nikolaj Nekrasov (1821-1877), per esempio nel poema Chi vive bene in Russia?
La poesia di Kol′cov, che aveva avuto i suoi predecessori a cavaliere dei due secoli sia in alcuni poeti servi della gleba come Sibirjanov e Cyganov, sia in alcuni nobili come Dmitriev, Del′vig, Merzljakov, non ebbe successori, se non forse in Ivan Nikitin (1824-1861). La poesia di Nekrasov ebbe invece un riecheggiamento immediato nel gruppo dei poeti satirici del Sessanta che furono influenzati anche da poeti stranieri come il Béranger e il Heine.
Ma la poesia, come già s'è detto, anche se piegata alle necessità della dominante atmosfera non fu che uno strumento secondario dell'azione sociale esercitata dalla letteratura che si servì sopra tutto dell'arte narrativa. Anche a non voler sopravalutare l'efficacia dei racconti di Dmitrij Grigorovič (1822-1899; Il villaggio e Anton Goremyka), e dei Racconti di un cacciatore di Ivan Turgenev, non si può disconoscere che nella formazione dell'atmosfera nella quale l'abolizione della servitù della gleba si realizzò, entrò certamente la maggiore conoscenza delle condizioni della campagna, dovuta a quei racconti. Naturalmente la diversità di valore artistico ha fatto sì che mentre i Racconti di un cacciatore di Turgenev hanno conservato il loro fascino oltre il tempo della loro creazione, le opere del Grigorovič, e con le sue quelle di tanti altri minori, sono ormai dimenticate.
Sorte questa che ha colpito buona parte della letteratura cosiddetta etnografica, a cominciare dai racconti dell'etnografo e linguista Vladimir Dal′ (1801-1872), per arrivare alla numerosa schiera degli scrittori che rivolsero anche l'attività scientifica a far conoscere in tutte le sue manifestazioni la vita del popolo. Per quanto interessante, la letteratura che accompagnò questo movimento fu in sostanza una letteratura di secondo piano; in primo piano dominò sempre l'arte narrativa, realistica; l'arte cioè di un Turgenev, di un Gončarov, di un Leone Tolstoj, di un Dostoevskij, di un Ostrovskij.
Se un rilievo deve farsi, esso non riguarda la forma artistica dei singoli scrittori ma lo sfondo su cui essi lavorarono, sfondo di carattere sociale con manifestazioni complessive più che individuali. Una delle più caratteristiche fra queste manifestazioni è proprio il fatto che la letteratura cessa di essere monopolio di una classe, quella nobiliare o quella del popolo minuto, e diventa patrimonio del cosiddetto "raznočinec", del non nobile proveniente da strati diversi della popolazione, senza interessi legati ad una classe determinata. Dapprima letterariamente al seguito della nobiltà, poi in testa al movimento nel quale anzi sarà la nobiltà che si piegherà alle sue idee, fondate sulla democrazia e sul populismo (narodničestvo) in una reciprocità di rapporti che è quasi identità di origine e di scopi, il "raznočinec" diventerà addirittura dopo il 1860 l'elemento connettivo delle varie classi sociali nel campo della cultura e dell'arte. Il compito di conservare la più ampia memoria artistica (e documentaria, fin quanto possa esserlo l'arte) di questo periodo di fermento non toccò però a un "raznočinec" di origine, ma, diremo quasi, a un "raznočinec" di adozione, di fede: Ivan Turgenev (1818-1883). Egli aveva già prima del'60 segnate alcune tappe del processo con la rappresentazione di uomini non ancora nuovi, ma che avrebbero voluto e dovuto esserlo; e la sua opera letteraria soprattutto nei romanzi, è la testimonianza delle varie tappe del processo sociale russo, visto però quasi dal di fuori, non nel senso che l'autore non vi partecipi con le sue simpatie ed antipatie, ma nel senso che esso è proiettato, con la semplicità e l'equilibrio che son proprî della grande arte, nel corso della storia universale. Del resto non soltanto in Turgenev questa giusta linea tra la rispondenza, il riecheggiamento, diremmo quasi la passione, della realtà e la creazione artistica s'era affermata a cavaliere delle due epoche, anzi ancor prima che la Russia si avviasse verso le riforme, perché Sergej Aksakov (1791-1859), il padre dei due propugnatori dello slavofilismo, aveva pubblicata la Cronaca di famiglia, in cui il magistero dell'arte riesce a convincere e commuovere nonostante la sua tendenziosa idealizzazione del passato; Ivan Gončarov (1812-1891) aveva scritto il suo capolavoro, l'Oblomov, certamente anche opera di documentazione sociale per la pittura di una delle caratteristiche qualità russe del tempo: l'infingardaggine, conseguenza dolorosa della servitù della gleba; Fedor Dostoevskij (1821-1881) aveva suscitato l'entusiasmo di Belinskij con Povera gente e aveva segnato, sebbene per il momento solo a sé stesso, il proprio destino di creatore con gli altri racconti che precedettero il suo esilio, racconti rimasti incompresi, ma rivelatisi più tardi essenziali; Leone Tolstoj (1828-1910) aveva decisamente iniziato il suo cammino glorioso con Infanzia, Adolescenza e Giovinezza e con Sebastopoli; e infine anche quelli fra gli scrittori che dovevano restare nella storia della letteratura russa come i tipici rappresentanti del 3° quarto del secolo avevano iniziata la loro attività: M. Saltykov-Ščedrin (1826-1889) con gli Schizzi provinciali; A. Pisemskij (1820-1881) col romanzo Amaro destino, A. Ostrovskij (1823-1886) con le commedie Con i proprî ci si arrangia, Povertà non è vizio, L'Uragano.
Poche letterature del mondo presentano in un così breve spazio di tempo, quale è quello che va dalle riforme di Alessandro II fin quasi alla morte di Alessandro III, una così grandiosa messe di scrittori e di opere quale ci offre la letteratura russa. L'indebolirsi graduale dell'ultimo decennio di questo periodo, oltre che delle circostanze esteriori, parrebbe quasi una conseguenza dell'intensità precedente. Se un Saltykov′, col quale si apre e si sviluppa la cosiddetta letteratura "accusatrice", la letteratura cioè rivolta a rivelare le tare del regime politico e sociale, solo con un romanzo, I signori Golovev, supera la massa degli altri suoi racconti e schizzi, così strettamente legati all'epoca della loro origine da essere comprensibili solo in funzione di essa, in compenso un Ostrovskij crea e mantiene vivo per un buon trentennio un originalissimo teatro di costumi che, riallacciandosi solo parzialmente ai tentativi precedenti, doveva restare insuperato sia come pittura di ambienti e di tipi nazionali, sia come strumento di educazione psicologica e sociale, sia infine come teatro in quanto teatro. Se un Pisemskij non riesce a sollevarsi al disopra della quasi pedissequa riproduzione della vita quotidiana, resa tendenziosa dai preconcetti "accusatorî", in compenso un Leskov (1831-1895) sa superare il naturalismo della pittura della classe ecclesiastica, che rese famoso il suo romanzo Soborjane (Ecclesiastici), e anche il tono talvolta didattico di certe sue opere minori, con pagine di vitalità eterna per la profonda conoscenza dell'animo umano che rivelano. Se un Uspenskij (1840-1902) nella sua opera fondamentale sulla vita dei contadini, La potenza della terra, dalla descrizione artistica passa alla trattazione semiscientifica dei problemi politico-sociali, riuscendo solo a tratti a rivelare poeticamente la cupa tristezza spirituale degli stessi contadini, commercianti, borghesucci, operai, piccoli impiegati, che formano il formicaio umano dei suoi racconti (La rovina, I costumi della via Rasterjaevaja, ecc.), in compenso un Korolenko (1853-1921) su questo formicaio umano sa costruire racconti mirabili di equilibrio e soffusi di una delicatissima poesia (Il sogno di Makar, Il musicista cieco) e un Garšin (1855-1888), dagli stati d'animo del tempo, tragici e pessimisti, e in particolar modo dalle esperienze dolorose della guerra, trae pagine di potente poesia e di profondo pathos sulla responsabilità di ognuno per le sofferenze altrui, sulla necessità di un amore attivo e sul sacrificio di sé stesso.
Sopra tutti questi scrittori, nella loro grandiosa solitudine, si levano Tolstoj e Dostoevskij, tutti e due così umanamente legati al tempo che fu loro e nello stesso così fuori di esso nella loro universalità di genî. Più forse il secondo che non il primo legato alle vicende della terra russa, dal giorno in cui, a scontare un'illusione giovanile, dell'anima di questa terra conobbe le vibrazioni più dolorose (Memorie dalla casa dei morti), fino al giorno, in cui alla vigilia della morte, confermò in una famosa interpretazione di Puškin la sua fede nella Russia, maturata attraverso le esperienze spirituali, ideologiche ed artistiche che ci rivelano i suoi romanzi (da Umiliati ed offesi a I demoni, da Delitto e castigo a I fratelli Karamazov), in cui i problemi della Russia e degli uomini russi vivono nell'atto stesso della loro ricreazione artistica, come una materia incandescente in cui tutto si confonde mentre però al disopra di tutto è la fiamma che arde e crea. Apparente, e forse più che apparente, caos talvolta, ma il caos in cui si combattono pensieri, idee, sentimenti, impulsi diretti ad un solo fine: l'ossessionante necessità della verità, e con questa la necessità di Dio, solo in funzione della quale è possibile intendere non solo i personaggi di Dostoevskij ma Dostoevskij stesso. "Genio inesorabile" lo disse un critico, il Michajlovskij; ma inesorabile con sé stesso e con la realtà fu anche Tolstoj; solo che pel primo questa stessa realtà è arte nel suo dinamico turbinare; e pel secondo la realtà e l'anima umana sono oggetto dell'arte, della creazione, con un abbastanza netto distacco, dovuto all'equilibrio istintivo primordiale dell'artista osservatore (da Guerra e pace ad Anna Karenina) tanto che, avuta l'artista stesso coscienza del distacco, rinunziò all'arte per dedicarsi alla predicazione.
Morto nel 1881 Dostoevskij e allontanatosi Tolstoj nella stessa epoca quasi totalmente dalla creazione, gli avvenimenti esteriori sopraffecero la letteratura, e l'80 e il '90 furono quasi come il crepuscolo della luminosa giornata. Sopravvivevano a sé stessi alcuni di quelli che nel periodo del trionfo realistico avevano raccolta nella poesia l'eredità non solo di Puškin e di Lermontov, ma anche di un Tjutčev (1803-1873). Questi, che al realismo non s'era mai piegato, fino alla morte aveva prestata fede alla lirica pura in una comunanza con la natura, che, cantata quasi come un essere umano, poté attenuare ma non vincere il profondo senso della tragicità della vita che egli ebbe in comune con Dostoevskij e Tolstoj.
Con Tjutčev avevano formato la schiera dei poeti dell'arie per l'arte, Senšin-Fet (1820-1892), Aleksej Tolstoj (1817-1875), Apollon Majkov (1821-1897) e Jakov Polonskij (1820-1898) in contrapposizione al gruppo dei poeti sociali, come A. Pleščeev (1825-1893) e G. Nadson (1862-1887). La loro importanza è in ogni modo più complessiva che individuale, anche se alcuni di essi abbiano dato alla letteratura russa opere di indiscutibile valore e talvolta anche originali: così A. Tolstoj, il quale, animato, oltre che da un sentimento lirico della realtà, anche da una certa nostalgia per il passato della sua patria, lo celebrò in tragedie (in parte nella tradizione puškiniana), in un romanzo Il principe Serebrjannyj e in ballate popolari; così il Majkov che la realtà rivestì dei modi classici greci e latini nel Diario napoletano, negli Schizzi di Roma, e nei due drammi storico-lirici Tre morti e Due mondi.
La sorte dei due gruppi dei poeti doveva essere ben diversa nei decennî seguenti al periodo di depressione con cui si chiuse il regno di Alessandro III, ché mentre a un Nadson, cui aveva arriso un successo che solo può essere spiegato dall'immediata rispondenza della sua malinconia alla depressione degli animi nell'ottanta, toccò in sorte l'indifferenza della nuova generazione, indifferenza che travolse anche quelli che avevano condiviso il suo successo, come Aleksej Apuchtin (1841-1890) da taluni considerato un epigone della scuola puškiniana, Konstantin Slučevskij (1837-1904) e Konstantin Fofanov (1862-1911), che unico conforto al pessimismo aveva trovato nella fantasia e nell'illusione; ai poeti della scuola dell'arte per l'arte doveva invece richiamarsi questa stessa generazione entrata nella storia letteraria sotto i segni del cosiddetto "decadentismo" e del simbolismo.
Il nuovo movimento letterario si iniziò come reazione a quella depressione politica, sociale, spirituale che trovò il suo più efficace riecheggiamento in Anton Čechov (1860-1904), il "solitario fra due epoche", erede di virtù e ricchezze ma anche del peso e della stanchezza di esse, e nello stesso tempo profeta dei tempi nuovi di cui sentì il travaglio ed intravvide le nuove esigenze. Sia nei racconti che nei drammi di Čechov si possono sentire infatti risuonare e l'una e l'altra nota, ma l'importanza della sua opera non è tanto in questa rispondenza, negativa o positiva, al suo tempo, quanto nella caratteristica forma artistica in cui essa si riversa, e che giustamente fu detta trasfigurazione lirica della realtà quotidiana. A una trasfigurazione lirica della realtà sembrò procedere nei suoi primi passi anche un altro scrittore, Maksim Gor′kij (pseudonimo di A. Peškov, 1869) che rifletté quell'epoca di transizione e quasi solo fra i suoi compagni di strada è rimasto testimonio diretto di tutte le trasformazioni politiche, sociali, spirituali della Russia. Ma la differenza tra la trasfigurazione lirica della realtà di Čechov e quella iniziale di Gor′kij si vide quasi subito, perché quanto più quella si rivelava rivolta allo spirito, tanto più questa aveva di mira il mondo esteriore. E il passaggio al realismo tradizionale, anche se arricchito della nuova esperienza degli ultimi tempi, fu nel Gor′kij abbastanza rapido. Questa esperienza fondamentalmente psicologica, sia dell'individuo che dell'ambiente, fu per lui sempre o quasi sempre uno strumento in funzione della sua stessa personalità, così che non sarebbe errato dire che l'opera dello scrittore è un'ampia autobiografia, al cui centro sono le prime opere più strettamente autobiografiche, come La mia infanzia, Fra la gente, ecc., e al culmine quelle recentissime della rievocazione storico-psicologica come Gli Artamonov e La vita di Klim Samgin.
La letteratura contemporanea. - Gli elementi di rinnovamento che all'animo triste del Čechov avevano fatto intravvedere solo una lontana speranza, ma ad un "primitivo" come il Gor′kij avevano parlato un più chiaro linguaggio, maturarono rapidamente e al pessimismo dell'epoca di Alessandro III succedette, intrecciandovisi, un periodo che, detto di "rivalutazione di tutti i valori", doveva segnare l'inizio del secolo nuovo. Rivalutazione che, si riallaccia in buona parte alle nuove tendenze dell'Occidente, soprattutto a quel movimento che ha nome neoromanticismo e che, come il romanticismo, difficilmente si lascia piegare e riassumere nello schema di una definizione. Anche in Russia le nuove correnti si chiamano decadentismo, simbolismo, modernismo sintetico, futurismo, ma ad esse se ne aggiungono altre caratteristicamente russe, come il folklorismo artistico, l'acmeismo, ecc.
Notevole è la ripresa della poesia di fronte alla prosa, con un processo inverso a quello della seconda metà del sec. XIX. La schiera degli scrittori e dei poeti si fa numerosa e arduo sarebbe segnare le sfumature delle varie correnti, la vastità e l'intensità del contributo di ogni singolo artista; dai poeti K. Bal′mont (nato nel 1867), V. Brjusov (1873-1924), A. Belyj (1880-1934), Vjačeslav Ivanov (nato nel 1866), A. Blok (1880-1921) ai narratori D. Merežkovskij (nato nel 1866), L. Andreev (1871-1919), J. Bunin (nato nel 1870), F. Sollogub (1863-1927), A. Remizov (nato nel 1877), A. Kuprin (nato nel 1870), M. Arcybašev (1878-1926). Il successo di alcuni di questi scrittori fu dovuto certamenta al carattere suggestivo della loro creazione (Andreev), all'interesse delle nuove ricerche stilistiche (Remizov e Kuzmin [nato nel 1877]), alla speranza di un ritorno alla tradizione (Bunin), alla rispondenza dolorosa agli stati d'animo di dati momenti (Kuprin, Arcybašev, Sollogub), alla rievocazione di epoche storiche e di esperienze spirituali lontane (Merežkovskij) e così via; ma questi narratori e poeti apportano indubbiamente, nella storia della letteratura russa, anche nuove e ricche esperienze d'arte. Più che per i narratori, ciò può dirsi per i poeti, i quali se rapidamente passano talvolta dalla creazione spontanea ed immediata a quella di riflesso, che addirittura confina talvolta con l'artificio, come in Bal′mont, Brjusov, Belyj, rivelano tuttavia possibilità sconfinate dello spirito russo e della lingua russa. Maestri in questo senso Vjačeslav Ivanov e Aleksandr Blok, l'uno e l'altro lirici ineguagliabili, il primo fondandosi su di una cultura classica, così profondamente radicata da diventar quasi sofferenza nello sforzo di fusione con lo spirito nazionale, il secondo su di una sensibilità quasi morbosa, che, trasformandosi spesso in musica, trascina anche la ragione nel dominio del subcosciente.
Questo stesso carattere della sua concezione, che il Blok aveva ereditato in parte dal poeta-filosofo Vladimir Solov′ev, interpretato, attraverso la famosa poesia I dodici (riflesso soggettivo dell'irruzione rivoluzionaria nell'animo del poeta), come professione di fede nel castigo e nel perdono divino, confermava la concezione della generazione russa precedente la rivoluzione, che cioè il senso religioso della vita è da ritenere inseparabile dal suo senso lirico-musicale.
I drammi di un Andreev, i romanzi e le opere teoriche di un Merežkovskij o di uno Šestov (nato nel 1866) possono anzi considerarsi lo sfondo su cui la religiosità russa trovò la sua più adeguata espressione lirica con un poeta di profondo pathos come il Blok.
Ancora una volta, con la rivoluzione, la letteratura doveva muoversi come reazione al periodo precedente, servendosi nei limiti del possibile di quel filone che anche questa volta s'era mantenuto accanto alla tendenza trionfante. Come durante il periodo di trionfo della prosa realistica s'era conservato infatti il filone tradizionale della poesia, così durante il trionfo del neoromanticismo, che a quello si riallacciava (con innumerevoli legami con Puškin e Tjutčev), si era conservata la tradizione realistica che, dal contrasto con tutti i tentativi di novità, aveva acquistato anzi una sua disciplina ed una sua vitalità nuova. Accanto al Gor′kij e al Bunin, che ne sono i principali rappresentanti, e agli altri già ricordati, dobbiamo segnare qui i nomi dei prolifici Peter Boborykin (1836-1921), Aleksandr Amfiteatrov, Vasilij Nemirovič-Dančenko (nato nel 1845) i cui romanzi e novelle, abbraccianti oltre un mezzo secolo, sono una viva cronaca dell'epoca, e ancora E. Čirikov, V. Veresaev, S. Sergeev-Censkij, O. Dymov, B. Zajcev e, ancora più vicini alla nostra generazione, l'umorista Averčenko e I. Šmelev.
La rivoluzione bolscevica ha diviso la letteratura in due campi distinti: quella dell'emigrazione, che se ha rivelato qualche nuova forza come Aldanov, Ossorgin, Nabokov-Sirin, vive soprattutto dei legami del passato, e quella dell'Unione sovietica, nella quale questi legami non si sono del tutto spezzati, ma vanno sempre più indebolendosi con l'avanzare delle nuove generazioni.
Le due forme letterarie che più hanno servito la rivoluzione nei suoi inizî sono state il teatro e la poesia, nelle sue correnti più avanzate del futurismo e dell'immaginismo. Scomparsi nel turbine stesso della rivoluzione i soli poeti puri che la nuova Russia ha dato al mondo, Gumilev, Esenin e l'Achmatova, il primo fucilato il secondo suicida, la terza condannata al silenzio, la poesia russa si è trovata ad essere rappresentata ufficialmente dal capo riconosciuto del futurismo, Vladimir Majakovskij, ingegno fertile e bizzarro, che con V. V. Chlebnikov formò anzi l'ala del cosiddetto "cubo-futurismo" mentre il gruppo riunitosi intorno ad Igor Severjanin prendeva il nome di "ego-futurismo", l'uno e l'altro richiamantisi al famoso manifesto di F. T. Marinetti.
Cantore della vecchia Russia, più vicina, ma forse solo illusoriamente, al suo spirito individualista, Sergej Esenin (1895-1925) ha portato con sé nella tomba tesori di potenza lirica, di tecnica e di musica; a Nikolaj Gumilev (1886-1921) si è spezzato sulle labbra un canto di altissima umanità, la glorificazione del dolore nell'ora della crocifissione; Anna Achmatova (nata nel 1889) ha chiuso nel suo cuore semplice e buono quelle parole e quelle immagini con cui soltanto i grandi poeti sanno far risalire dal più profondo dell'animo umano la loro capacità d'amare e di intendere.
Anche della rapida fioritura di poeti occasionali dei primi anni della rivoluzione non è quasi rimasta traccia; di quelli che più promettevano si è serbato solo il ricordo, come per esempio dei due poeti di origine contadina come Esenin, cioè N. A. Kljuev (nato nel 1887) e S. A. Klyčkov (nato nel 1889); il gruppo della "Kuznica" (La fucina) fondato nel 1920, con V. T. Kirillov (nato nel 1889), M. Gerasimov (nato nel 1889), V. V. Kazin (nato nel 1898), si è totalmente disperso come disperso s'è il gruppo degli immaginisti, i cui due promotori Vadim Šeršenevič e A. Marienhoff hanno cessato di creare quando, morto Esenin, venne meno al gruppo l'unica forza poetica originale che esso aveva saputo attirare, e cessato del tutto è il gruppo degli acmeisti che, facendo capo al Gumilev, aveva tentato di trovare una via di uscita all'esauritosi simbolismo. Ed un solo vero poeta ha forse la Russia sovietica, Boris Pasternak (nato nel 1890), poeta rispondente alla tradizione ma nello stesso tempo maturo di esperienze nuove sulla base di un originale impulso creativo.
Quanto alla prosa, le varie fasi attraverso le quali essa è passata durante la formazione del regime sovietico hanno scarsa importanza storica; esse ci parlano piuttosto di un'epoca di assestamento: dopo le incerte ricerche dei primi anni, di cui fenomeno saliente quello de I fratelli serapionidi, teorizzato da Lev Lunc (1901-1924) morto giovanissimo e mirante a ridare all'arte narrativa il carattere individualistico che essa ha avuto in tutta l'Europa nel sec. XIX, strappandola alla tradizione sociale, il corso dell'evoluzione letteraria sovietica si mosse in direzione del tutto opposta. Solo durante la "Nep", con la schiera dei cosiddetti "poputčiki" (compagni di strada), i cui nomi L. Leonov (nato nel 1899), Vs. Ivanov (nato nel 1895), K. Fedin (nato nel 1892), L. Sejfullina (nato nel 1889), N. Nikitin (nato nel 1896), I. Nabel′ (nato nel 1894), B. Pil′njak (nato nel 1894), E. Zamjatin (nato nel 1884) sono ormai noti in tutta l'Europa con alcune opere rappresentative che resteranno, parve che l'elemento arte dovesse predominare. Cessata la "Nep" si è avuto un predominio totale della letteratura sociale, con una tendenza a riprodurre gli avvenimenti sociali, la quale non solo ha incontrato l'approvazione dei dirigenti ma ha avuto un forte impulso da essi con la teoria cosiddetta dell'"ordinazione sociale". Questa teoria parve anzi affermarsi così decisamente che alcuni degli scrittori più notevoli e caratteristici per coscienza artistica tacquero quasi del tutto, o si rifugiarono nel romanzo storico o biografico (non biografia romanzata, ma vero e proprio romanzo intorno a questa n quella grande figura della storia spirituale russa: es., Tynjanov, Aleksej Tolstoj iunior) o nel romanzo d'avventure (V. Kaverin, nato nel 1902). La teoria dell'"ordinazione sociale" ha avuto invece grande successo nel teatro, in cui la rievocazione delle lotte rivoluzionarie da una parte e l'esaltazione della ricostruzione socialista dall'altra poteva riuscire più efficace sulle masse. Ma, superata anche questa fase, la letteratura si muove ormai sopra una via, in cui i problemi della vita quotidiana sono rappresentati spesso con genialità sia psicologica sia artistica (M. Šolochov, M. Šaginjan, A. Fadeev, P. Panferov, G. Belych, F. Gladkov, N. Ognev, Tarasov-Rodjonov), alcuni di origine proletaria, altri "piccolo-borghese"; le distinzioni, tuttavia, nella formazione in atto di una nuova "intelligencija", vanno scomparendo.
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II. Opere di carattere generale di metodologia e di critica: Varî, Novejšaja russkaja literatura. Kritika-teatr-metodologija (La letteratura russa recentissima. Critica, teatro, metodologia), Ivanovo-Voznesensk 1927; N. Efimov, Svoebrazie russkoj literatury. Vvedenie v istoriju novejšogo russkogo slovesnogo iskusstva (Il particolare carattere della letteratura russa. Introduzione alla storia dell'arte letteraria russa contemporanea), Odessa 1919; N. N. Fatov, Naucnaja schema russkoj literatury (Schema scientifico della letterar russa), Mosca 1930; I. Ivanov, Istorija russkoj kritiki (Storia della critica russa), voll. 2, Pietroburgo 1898-1900; Očerki po istorii russkoj kritiki pod red. A. Lunačarskogo i Val. Poljanskogo (Saggi di storia della critica russa - Sotto la direz. di A. Lunačarskij e Val. Poljanskij), voll. 2, Mosca-Leningrado 1929-31; P. Miljukov, Očerki po istorii russkoj kultury (Saggi di storia della cultura russa), 3ª ed., Pietroburgo 1909-13 (nuova ed., Parigi 1930); K. Nötzel, Die Grundlagen des geistigen Russlands, Jena 1917; V. Peretc, Iz lekcij po metodologii istorii russkoj literatury (Dalle lezioni di metodologia della storia della letteratura russa), Pietroburgo 1890-92, voll. 4; P. Sakulin, Russkaja literatura i socializm (La letteratura russa e il socialismo), parte 1ª: Il primo socialismo russo, 2ª ed., Mosca 1924; V. Ja. Stojunin, O prepodavanii russkoj literatury (Dell'insegnamento della letteratura russa), 8ª ed., Pietroburgo 1913 (contiene oltre alcuni capitoli di carattere generale, esempî di analisi di opere letterarie); A. L. Volynskij, Russkie kritiki (Critici russi), Pietroburgo 1896; Critici russi, Antologia a cura di E. Lo Gatto, Foligno 1925.
III. Storie della letteratura russa di carattere generale: A. N. Pypin, Istorija russkoj literatury (Storia della letteratura russa), voll. 4, Pietroburgo 1898-99; P. N. Polevoj, Istorija russkoj slovesnosti s dvrevnejšich vremen do našich dnej (Storia della letteratura russa dai tempi antichissimi ai nostri giorni), voll. 3, ivi 1900-1903; V. V. Sipovskij, istorija russkoj slovesnosti (Storia della lett. russa), voll. 3, 2ª ed., ivi 1907-09; A. Brückner, Geschichte der russischen Litteratur, 2ª ed., Lipsia 1909; E.-M. De Vogüé, Le roman russe, 13ª ed., Parigi 1916; M. Hofmann, Histoire de la littérature russe depuis les origines jusqu'à nos jours, ivi 1934; J. Legras, La littérature en Russie, ivi 1929; P. Kropotkin, Russian Litterature. Ideals and realities, Londra 1905; nuova ed. 1916 (trad. it. dall'originale russo riveduto sulla 2ª ed. inglese a cura di E. Lo Gatto, Napoli 1921); E. Lo Gatto, Storia della letteratura russa dalle origini ai nostri giorni (pubblicati voll. 5), Roma 1927-35; A. Luther, Geschichte der russischen Literatur, Lipsia 1929; D. S. Mirsky, A History of Russian Literature. From the earliest Times to the death of Dostoyevsky, New York 1927; id., Contemporary Russian Literature, 1881-1925, Londra 1926; A. von Reinhold, Geschichte der russischen Literatur von ihren Anfängen bis auf die neueste Zeit, Lipsia 1886; P. N. Sakulin, Die russische Literatur, in Handbuch der Literaturwissenschaft, Potsdam 1927; A. Vesselovskii, Storia della letteratura russa, trad. di E. Damiani, Firenze 1926; K. Waliszewski, Littérature russe, 3ª ed., Parigi 1918.
IV. Letteratura popolare (si indicano solo alcune opere fondamentali, o di recentissima pubblicazione; cfr. anche bylina e, per la bibliografia fino al 1927, E. Lo Gatto, Storia della letteratura russa, I): Russkaja ustnaja slovesnost′ (La letteratura orale russa), voll. 2, a cura di M. Speranskij, Mosca 1916 e 1919; Skazki i predanija severnogo kraja (Favole e tradizioni della regione settentrionale), a cura di I. V. Karnauchova. Prefazione di Ju. M. Sokolov, Mosca-Leningrado 1934; N. Trubicyn, O narodnoj poezii v obščetvennom i literaturnom obichode pervoj treti XIX vjeka (Sulla poesia popolare nell'uso sociale e letterario del primo terzo del sec. XIX), Pietroburgo 1912: N. Kershaw Chadwick, Russian Heroic Poetry, Cambridge 1932; Canti popolari russi, scelti e ordinati da Boris Baumstein e recati in versi italiani da Luigi Orsini, Lanciano s. a. (con ampia introduzione).
V. Dalle origini al secolo XVIII incluso: A. S. Archangel′skij, Iz lekcij po istorii russkoj literatury: Literatura moskovskago gosudarstva (Dalle lezioni di storia della letteratura russa: La letteratura dello stato moscovita), Kazan′ 1913; Istorija russkoj literatury, a cura di E. V. Aničkov, A. K. Borozdin e D. N. Ovsjaniko Kulikovskij; V. A. Keltujala, Kurs istorii russkoj literatury, I: Istorija drevnej russkoj literatury, voll. 2, Pietroburgo 1911-13; A. S. Orlov, Perevodnye povesti feodal'noj Rusi i moskovskogo gosudarstva XII-XVII vekov (Racconti tradotti della Russia feudale e dello stato moscovita dei secoli XII-XVII), Leningrado 1934; I. Porfir′ev, Istorija russkoj slovenosti, voll. 2 (fino a Caterina II), Kazan′ 1886; P.N. Sakulin, Russkaja Literatura. Sociologo-sintetičeskij obzor literaturnych stilej (La letteratura russa. Sommario sociologico-sintetico degli stili letterarî), voll. 2 (fino a Puškin incluso), Mosca 1926-28; V. V. Sipovskij, Očerki iz istorii russkago romana (Saggi di storia del romanzo russo; sec. XVIII), voll. 2, Pietroburgo 1909; M. N. Speranskij, Istorija drevnej russkoj literatury. Posobie k lekcijam v universitete (Storia dell'antica lett. russa. Materiali per le lezioni all'università), 3ª ed., Mosca 1921; N. S. Tichonravov, Drevnjaja russkaja literatura (Lett. russa antica), in Opere, I, Mosca 1898; P.V. Vladimirov, Drevnjaja russkaja literatura kievskago perioda XI-XIII vekov (La lett. russa antica del periodo di Kiev dei secoli XI-XIII), Kiev 1900.
VI. Il secolo XIX: N. Engel′gardt, Istorija russkoj literatury XIX stoletija, voll. 2, Pietroburgo 1902-03; Istorija russkoj literatury XIX v., a cura di D. N. Ovsjaniko-Kulikovskij, voll. 5, Mosca 1909-1912; V. L′vov-Rogačevskij, Vvedenie v izučenie literatury doreformennoj Rossii (Introduzione allo studio della letteratura della Russia anteriore alle riforme), Mosca-Leningrado 1925; O. Miller, Russkie pisateli posle Gogolja (Scrittori russi dopo Gogol′), voll. 3, Mosca, varie ed., la prima del 1887; Ja. A. Nazarenko, Istorija russkoj literatury XIX veka (Storia della letteratura russa del sec. XIX), 9ª ed., Mosca-Leningrado 1931; A. N. Pypin, Obščestvennoe dviženie v Rossii pri Aleksandre I (Il movimento sociale in Russia sotto Alessandro I), 2ª ed., Pietroburgo 1885; A. N. Pypin, Charakteristiki literaturnych mnenij ot dvadcatych do pjatidesatych godov (Caratteristiche delle opinioni letterarie dagli anni venti agli anni cinquanta), Pietroburgo 1873; V. Savodnik, Očerki po istorii russkoj literatury XIX veka (Saggi di storia della lett. russa del sec. XIX), voll. 2, 11ª ed., Mosca 1917; I. I. Zamotin, Romantičeskij idealizm v russkom obščetsve i literature 20-30ch godov XIX stoletija (L'idealismo romantico nella società e nella letteratura russa degli anni venti e trenta del sec. XIX), Pietroburgo 1907; I. I. Zamotin, Sorokovye i šestidesjatye gody. Očerki po istorii russkoj literatury XIX stoletija (Gli anni quaranta e sessanta. Saggi di storia della lett. russa del sec. XIX), Pietrogrado-Mosca 1915.
VII. Letteratura contemporanea: G. Gorbačev, Ŏcerki sovremmenoj russkoj literatury (Saggi di letteratura russa contemporanea), Leningrado 1924; Ivanov-Razumnik, Russkaja literatura XX veka (1890-1915), Pietrogrado 1920; V. L′vov-Rogačevskij, Novejšaja russkaja literatura, Mosca 1922: E. F. Nikitina i S. V. Šuvalov, Belletristy sovremmeniki (Belletristi contemporanei), voll. 4, con bibliografia per ogni singolo scrittore, ivi 1928-31; V. Polonskij, Ŏcerki literaturnogo dviženija revoljucionnoj epochi (Saggi sul movimento letterario dell'epoca rivoluzionaria), 2ª ed., Mosca-Leningrado 1929; Russkaja literatura XX veka: 1890-1910 (La letteratura russa del sec. XX. Sotto la direzione di S. A. Vengerov), voll. 3, Mosca 1914-16; N. von Arseniew, Die russische Literatur der Neuzeit und Gegenwart in ihren geistigen Zusammenhängen, Magonza 1929; E. Lo Gatto, Letteratura soviettista, Roma 1928; V. Pozner, Panorama de la littérature russe contemporaine, Parigi 1929.
VIII. Antologie: Istoriko-literaturnaja chrestomatija (Crestomazia storico-letteraria), a cura di N. L. Brodskij, N. M. Mendel′son, N. P. Sidorov, voll. 3 (dalla letteratura popolare a tutto il sec. XVIII), Mosca 1922 segg.; Leo Wiener, Anthology of Russian Literature from the earliest period to the present time (con saggio critico-storici), New York e Londra 1902.
Diritto.
La storia del diritto russo va dagli inizî dello stato russo fino alla rivoluzione d'ottobre. Dopo il 1917 comincia la nuova storia del popolo russo: si pongono le basi del nuovo ordine sociale, si crea il nuovo diritto - il diritto sovietico o proletario che, abbandonata ogni tradizione storica, sorge in dichiarata antitesi a quello "borghese" dell'epoca imperiale.
Secondo la partizione comunemente accolta, la storia del diritto russo si distingue in tre periodi: 1. periodo della prevalenza delle consuetudini, detto anche, dalle condizioni politiche, periodo dei ducati o dei comizî (veče, dalle origini sino al principio del secolo XIV); 2. periodo della coesistenza delle consuetudini con le leggi, corrispondente, nella storia politica del paese, al periodo moscovita (dal principio del sec. XIV alla fine del sec. XVII); 3. periodo del dominio delle leggi scritte o periodo dell'impero (dalla fine del sec. XVII fino al 1917).
Fonti. - Monumenti giuridici dell'antichità. - Elementi del diritto consuetudinario si trovano in molte opere storico-letterarie, soprattutto dei primi secoli: negli Annali o Cronache (Letopisy), nelle Novelle e narrazioni (Povesti, Skazanija), nella corrispondenza tra il principe Kurbskij e lo zar Ivan il Terribile, nella letteratura religiosa, e in non pochi scritti sulla Russia, o sui Russi, di scrittori stranieri - bizantini, arabi, occidentali. Fonti dirette del diritto russo antico sono: 1. Contratti (dogovory) coi Greci degli anni 907 (se ne hanno solo pochi accenni negli annali), 911, 945 e 971 importanti per la conoscenza degli antichi rapporti politici e commerciali con Bisanzio. 2. Contratti coi Tedeschi, dalla fine del sec. XII sino al principio del sec. XVII: i più antichi riguardano soprattutto i rapporti commerciali tra le terre di Novgorod, Smolensk, Polock e le città anseatiche, l'isola di Gotlandia (contratto con Novgorod del 1195), la Livonia e la Svezia. 3. Regolamenti (ustavy) ducali e ecclesiastici. Dei primi, che regolavano, da principio oralmente, il rapporto tra i duchi e i sudditi, non ci sono giunte che notizie indirette; dei secondi, che concernono principalmente la determinazione delle decime a favore della chiesa e le competenze dei tribunali ecclesiastici, si sono conservati, sia pure in copie posteriori, alcuni esemplari antichissimi: e cioè dei principi Vladimiro, Jaroslav ed altri (secoli XI-XII). I regolamenti ecclesiastici rivelano, più fortemente degli altri ordinamenti giuridici, l'influenza del diritto bizantino cui si ricorre anche direttamente (così alle Egloghe e ai Prochiron, entrati a far parte dei Nomocanoni e della Kormčaja Kniga russa). 4. Russkaja Pravda (La Giustizia russa). È il più importante monumento giuridico dell'antichità russa. Fu scoperto, nel 1738, in un Annale di Novgorod, da V. N. Tatiščev e pubblicato dall'Accademia a cura di B. Schlözer nel 1767. Altre numerose copie sono state trovate successivamente. Il nucleo più antico della Pravda risale al sec. XI; ad esso si sono aggiunte, nei secoli XII e XIII, parecchie altre raccolte, contenenti consuetudini giuridiche, decisioni giudiziarie, leggi dei principi e norme di diritto bizantino, conosciuto quest'ultimo per mezzo dei Nomocanoni. 5. Sudnyja Gramoty (scritture - dal greco γράμματα - giudiziarie) di Pskov e Novgorod. Rappresentano il primo tentativo di codificazione ufficiale (la Russkaja Pravda ha piuttosto carattere privato) del diritto nelle terre russe. La gramota di Pskov, scoperta nel 1843 e pubblicata nel 1847, è stata compilata, a diverse riprese, nel sec. XV sulla base delle consuetudini e delle gramoty dei principi Alessandro Tverskij e Costantino Dmitrievič. Essa è soprattutto importante per la ricchezza di norme penali, civili e processuali che contiene. Più antica è la gramota di Novgorod, scoperta da Karamzin, di contenuto giuridico riferentesi ai tribunali di quella importante città. Se ne conoscono solo alcuni frammenti. 6. Legislazione dello stato lituano (v. polonia, XXVII, p. 781 b). 7. Legislazione dello stato moscovita. A Mosca si pensò per tempo a raccogliere le singole gramoty, emesse dai granduchi, in un corpo di leggi. Il primo Sudebnik (Il Giustiziere, ossia una sorta di codice) è quello di Ivan Vasilevič del 1497, conservato in un'unica copia, di contenuto soprattutto processuale e penale. L'insufficienza di questo codice indusse Iian Vasilevič IV a pubblicare nel 1550 un nuovo Sudebnik che in 100 articoli integra e corregge quello antico.
Successivamente, per un secolo intero, le leggi si pubblicano sotto forma di ukazy, che vengono inseriti nel Sudebnik senza nessuna preoccupazione di organica sistemazione della materia. Al principio del secolo XVII lo zar Alessio Michajlovič si induceva ad affidare a una commissione la compilazione di un nuovo codice. Redatto in un tempo brevissimo, questo codice, dopo l'esame e l'approvazione del Zemskij sobor fu pubblicato nel 1649 col nome di Sobornoe uloženie (nel significato di codice). Esso consta di 967 articoli, divisi in 25 capitoli. I primi nove capitoli contengono norme di diritto pubblico, i cap. X-XV racchiudono precetti di diritto privato; i cap. XVI-XX trattano dei diritti delle cose; i cap. XXI-XXII del diritto penale; gli ultimi tre capitoli contengono un supplemento al Codice. Fonti dell'Uloženie (in parte secondo le istruzioni impartite alla commissione e in parte secondo l'iniziativa della stessa) sono: 1. le raccolte del diritto bizantino, prese dalla Kormčaja kniga, dall'Egloga, dal Prochiron, e dalla novella di Giustiniano; 2. il Sudebnik, gli ukazy degli zar e le sentenze dei boiari; 3. lo statuto lituano del 1588, specialmente per il diritto pubblico e per il diritto penale. Nel campo del diritto ecclesiastico furono valide durante un secolo le norme contenute nello Stoglav (v. sopra: Letteratura).
Legislazione moderna. - Il sec. XVIII è per lo stato russo il secolo delle riforme. Le leggi hanno carattere profondamente innovativo: esse non vengono più create dallo zar, dalla Duma dei boiari e dallo Zemskij sobor (forme di rappresentanza popolare), bensì dal governo. La volontà personale del monarca, dichiarata nelle forme preventivamente stabilite, è legge. Quando il governo pubblica le leggi, non sanziona vecchie consuetudini ma crea nuove norme giuridiche. Le caratteristiche della nuova legislazione possono così riassumersi: riceve definitiva applicazione l'ukaz di Pietro il Grande, del 1714, per cui le leggi devono essere stampate; si dà pubblicità alle leggi, facendole leggere nelle chiese nei giorni festivi, e nei mercati nei giorni di fiera, prendendo nota degli assenti; salvo casi eccezionali la consuetudine cede il posto alla legge.
a) Leggi del sec. XVIII. - Dopo l'Uloženie dello zar Alessio Michajlovič, furono pubblicate innumerevoli leggi: più di 600 sotto la reggenza dello stesso zar Alessio, ben 5948 sotto Caterina II.
Per codificare l'enorme materiale che si era accumulato, furono nominate varie commissioni da Pietro il Grande, e successivamente da Caterina I, da Pietro II, da Elisabetta Petrovna, da Caterina II e da Paolo I, ma non si arrivò, nel sec. XVIII, a nessun concreto risultato.
Le leggi del sec. XVIII prendono nomi diversi: ustavy (leggi nel senso di testo unico); reglamenty (regolamenti); ukazy (leggi su determinati, particolari oggetti); manifesiy. Tra gli ustavy più interessanti sono da ricordare: quello militare, pubblicato nel 1716 da Pietro il Grande; quello della marina, pubblicato 4 anni dopo; quello sulle cambiali (già conosciute, ma per la prima volta, sul modello germanico, sottoposte a disciplina giuridica), pubblicato nel 1729 da Pietro II; quello di Polizia, del 1782, sotto Caterina II (particolarmente interessante per la storia del diritto penale e pubblico russo).
Pietro il Grande, procedendo alla riforma amministrativa, creò i Collegi" (specie di ministeri). Ciascun collegio ebbe il suo regolamento, ossia un corpo di leggi determinanti la propria competenza e organizzazione. Ma anche altri organismi ebbero i loro regolamenti. Da ricordare quello detto "spirituale" ratificato da Pietro il Grande nel dicembre del 1720. Esso spiega i motivi che consigliarono Pietro il Grande ad abolire il "Patriarcato" (patriarščestvo) e a creare il Collegio del Santo Sinodo. Tra gli ukazy del sec. XVIII meritano menzione: quello sulla successione dei primogeniti, del 1714; sulla tabella dei ranghi, del 1722; il manifesto del 1764 sulla secolarizzazione dei beni ecclesiastici, ecc.
b) Leggi del sec. XIX. - È riaffermato, in questo secolo, il principio che la legge è atto della personale volontà del monarca: ma il processo della creazione legislativa riceve una più completa elaborazione. L'iniziativa della legge, prima spettante al Santo Sinodo e ai ministri, ora appartiene all'imperatore. I ministri, o speciali commissioni, redigono il progetto; il Consiglio di stato lo esamina; l'imperatore lo sanziona. Anche la terminologia giuridica assume caratteri stabili e precisi. Si chiama uloženie ogni sistematica raccolta di leggi per singoli rami del diritto: Per učreždenie si intende ogni raccolta di leggi, determinanti l'ordine e la competenza degli organi pubblici. Tali: Učreždenie del senato, dei ministeri, ecc. L'ustav è ogni raccolta di norme per singoli rami dell'amministrazione (es., l'ustav della censura), ma assume spesso il significato dei due termini precedenti; il nakaz è la legge che determina l'attività degli organi direttivi (es., nakaz generale dei governatorati). Položenie è ogni raccolta di leggi pubblicata per determinati organi sociali o categorie di persone. Accanto a queste leggi, deliberate dal Consiglio di stato o dal comitato dei ministri, vi sono quelle che provengono direttamente dal monarca. Queste leggi assumono il nome di: ukazy; manifesty; reskripty, prikazy (questi ultimi sono ordini di servizio: ad es., sui gradi, sulle ricompense, ecc.). Divenuta improrogabile la necessità di codificare il materiale legislativo esistente, al principio del sec. XIX fu riformata l'ultima commissione nominata nel 1790: ma essa cominciò a dare concreti risultati soltanto al principio del 1826, quando, sotto Nicola I, fu trasformata in un'apposita "seconda sezione della can
celleria personale di S. M.". A capo di questa sezione fu posto Balugjanskij, ma, di fatto, era Speranskij che dirigeva i lavori. Però, mentre questi propendeva per la compilazione di un'opera legislativa nuova, lo zar volle che si procedesse anzitutto alla raccolta delle leggi fino allora promulgate. Fu composta così, sotto la direzione dello Speranskij, la "Prima raccolta completa delle leggi dell'Impero russo" (Pervoe polnoe sobranie zakonov), in 45 volumi: va dal Uloženie dello zar Alessio al 12 dicembre 1825. Una seconda raccolta completa contiene le leggi emesse dal 13 dicembre 1825 al 18 febbraio 1881, in 55 volumi. Subito dopo, nel 1881, s'iniziò la pubblicazione di una terza raccolta.
Alla "raccolta", seguì, a breve distanza, il "codice delle leggi" (Svod zakonov - pubbl. nel 1832 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1835) contenente, in 15 volumi, soltanto le leggi effettivamente in vigore, emanate fino al 1° gennaio 1832, ad eccezione di quelle riguardanti la religione, l'esercito e la marina e delle leggi di diritto civile vigenti nelle regioni baltiche, in Polonia e in Bessarabia. Ma la legislazione russa era in continuo sviluppo. La grande riforma del 1861 apportava uno sconvolgimento nei principî generali del diritto civile. Nel 1862 furono emanati i "principî fondamentali sull'ordinarnento giudiziario", e nel 1864 furono portate a termine la riforrna giudiziaria - che creava un tribunale eguale per tutte le classi - e quella relativa alle circoscrizioni territoriali (zemstvo). Sotto Alessandro III (1881-1894) furono emanate leggi importantissime sulla proprietà terriera - pagamento delle terre, istituzione di banche agricole per i contadini, ecc. - e sulla istruzione pubblica, scuole militari e stampa. Nel 1889 fu ultimata la riforma della giuria.
Le nuove leggi venivano pubblicate separatamente, man mano che erano sanzionate. Alcune di esse (statuti giudiziarî, organizzazione dei tribunali locali, ecc.) furono riunite in un unico libro che fu il 16°.
Ciononostante, nell'ultimo periodo la legislazione russa diventava sempre più farraginosa. Per assicurare alle nuove leggi, che si venivano creando, un posto armonico nel sistema dello Svod zakonov si rese necessaria, a partire dal 1863, la pubblicazione di un bollettino ufficiale (Šobranie uzakonenij i rasporjaženij pravitel′stva. - Raccolta delle leggi e disposizioni del governo) che riportava le aggiunte, le modifiche, le abrogazioni delle leggi vigenti. Tali nuove leggi vennero riunite in apposite appendici aggiunte allo Svod zakonov (Prodolženie svoda zakonov rossijsskoj imperii - Appendice del codice delle leggi dell'impero russo) con l'indicazione del volume cui si riferivano. Le "Appendici" agli otto codici esistenti furono, per comodità sistematica, negli ultimi tempi, riunite tutte in una specie di testo unico che si chiamò "raccolta delle appendici" (Svodnyja Prodolženija).
Diritto pubblico. - Sino al periodo più antico della storia russa risale la divisione della società in due classi: popolazione libera e popolazione priva di libertà. Dapprincipio solo di fatto ma poi, sempre più anche di diritto, la popolazione libera si differenzia in: boiari (nobili), cittadini (gorožane) e contadini (detti comunemente smerdy o čern′ e, a partire dal sec. XIV, per distinguerli da quelli tatari, krestjane, cristiani). La classe dei boiari si suddivide, a sua volta, in due gruppi, non sempre nettamente distinti: una parte dei boiari fa parte della compagnia, družina, del principe, l'altra parte invece si compone della nobiltà rurale (lučšije ljudi "viri meliores", ogniščane da ognišče, focolare). La družina del principe costituiva la casta militare; essa era, fino al sec. XI, d'origine prevalentemente straniera (Normanni, Polovcy, Chazari, ecc.) e veniva spesso reclutata, specie nei suoi strati inferiori, anche fra i non liberi. La slavizzazione progressiva della družina, la necessità per i principi di attrarre nella propria cerchia anche i più potenti tra i nobili rurali e infine la tendenza dei principi a rendere fisse le proprie sedi il che portava con sé l'acquisto di terre da parte dei knjažie muži - tutto ciò ebbe per conseguenza una meno netta distinzione tra le due classi dei boiari. Il servizio che i boiari prestavano ai principi era libero; essi potevano abbandonare il proprio principe, conservando ciò nonostante i proprî diritti di proprietà e la propria sudditanza al principe abbandonato. I cittadini erano in buona parte commercianti. Poiché il commercio nella Russia antica era fiorente, non pochi erano i mercanti che, diventati ricchi, acquistavano terre, ottenendo, così, il passaggio nella classe dei boiari. Nei grandi centri commerciali, come Novgorod, i commercianti-cittadini avevano una propria organizzazione e proprî tribunali. Parecchio più in basso nella gerarchia sociale stavano gli smerdy, coi quali, col nome di danskije ljudi (tributarî), venivano di solito accomunati i cittadini più poveri. Una parte soltanto di questa popolazione prevalentemente rurale, e comunque soggetta a tassazione, aveva terre proprie e non mancava fra essi la figura del mezzadro (polovnik). Ma tutti gli altri, sempre più numerosi per l'accentrarsi di proprietà terriere nelle mani di latifondisti, lavoravano su terre altrui. Una grande parte della popolazione della Russia antica era costituita dagli schiavi (cholopy, čeljad′, ecc.). Il loro numero aumentava per il fatto che a quelli che erano privi di libertà personale perché discendenti da schiavi, si aggiungevano prigionieri di guerra, alcune categorie di indebitati e delinquenti, i mariti delle schiave, ecc. Nei rapporti tra padroni e schiavi le leggi non avevano alcuna ingerenza; l'unico diritto degli schiavi, protetti del resto dalla chiesa, era dato dalla buona volontà dei padroni.
Importanti modificazioni nella società russa avvennero durante il periodo moscovita. Anzitutto il servizio prestato dai boiari divenne, da volontario, obbligatorio. L'obbligatorietà, imposta dapprincipio ai dvorjane (così venivano designati dalla fine del secolo XII i cortigiani), si estese nel corso del sec. XVI anche ai boiari. Gli uni e gli altri assieme vennero così a formare la classe degli služilye ljudi. Dato il grande numero di questi "servitori" che il principe aveva a sua disposizione, non tutti potevano servire a corte. Molti dovettero restare o tornare in campagna, ove a quelli che non avevano terre proprie furono distribuite, ma non in proprietà, delle pomestja (campagne). Sorse così accanto al bojarinvotčinnik (boiaro con patrimonio) il tipo del dvorjanin-pomeščik.
I granduchi avevano tutte le ragioni per favorire quest'ultimo, sicché la differenza tra le due classi nobiliari andò rapidamente scomparendo, e tutta la nobiltà, divisa ormai secondo i servizî che era tenuta a prestare e secondo le proprie ricchezze, fu sottoposta a una rigorosa dipendenza dai principi. Il resto della popolazione libera, a eccezione del clero, formava la massa dei tjaglye ljudi (uomini gravati, tassati), divisa a sua volta in posadskie ljudi (gente dei sobborghi, mercanti e mestieranti) e uezdnye (campagnoli, contadini) o krestjane. Questi ultimi, insediati su terre proprie, ducali, monasteriali o padronali, godevano fino alla metà del sec. XV della libertà di movimento, che però da allora in poi fu sempre più, per interessi soprattutto fiscali, ostacolata, finché si giunse, più per via consuetudinaria che legale, al loro completo asservimento alla gleba. La situazione giuridico-sociale dei contadini già liberi andò quindi sempre più avvicinandosi a quella degli antichi schiavi (la fusione avvenne verso la fine del sec. XVI).
Pur sempre profondamente differenziate le une dalle altre, tutte le classi sociali al principio del sec. XVIII avevano questo di comune, che erano tutte più o meno minorate nella loro libertà d'azione e tutte asservite alle autorità o alle classi superiori. Mentre però nel sec. XVIII continua da un lato il processo di asservimento, dall'altro si inizia anche il processo inverso: quello del graduale ripristino delle libertà. Col manifesto del 1762 la nobiltà fu esonerata, salvo il caso di guerra, dal servizio obbligatorio, e le fu riconosciuto il diritto del servizio all'estero e della libertà dell'educazione dei proprî figli. Nello stesso tempo sia Pietro il Grande sia Caterina II (regolamento del 1785) si studiarono di creare una vera classe borghese (graždane, meščane) precisandone i diritti (esenzione dalle pene corporali, dagli obblighi militari e da certi tributi) e affiancando alla corporazione nobiliare una corporazione borghese con proprie assemblee e con propria autonomia nel governo delle città. La sorte dei contadini subì invece nel sec. XVIII un ulteriore peggioramento. Eppure, sin dall'epoca di Caterina II, comincia a manifestarsi la tendenza verso un'emancipazione, prima parziale e poi totale, dei contadini. Rimasta infruttuosa per lunghi decennî, questa tendenza non fu tradotta in realtà che dopo la guerra di Crimea, con la riforma del 19 febbraio 1861.
Non vi ha concordia assoluta tra gli studiosi del diritto pubblico russo per quanto riguarda l'origine del potere ducale, i suoi rapporti con l'autorità del veče e le relazioni dei singoli principi fra di loro. La maggioranza però ritiene che il potere ducale, nei primordî, non appartenesse a singoli membri della famiglia, ma fosse riservato a tutta la famiglia ducale, intesa come collettività. Questo fatto, unito a quello della presenza, nel potere russo dei primi secoli, di elementi democratici, caratterizza anche il diritto di successione - non determinata rigidamente né dal principio della legale trasmissione, né da quello della libera elezione (vigente solo nelle "repubbliche" di Novgorod e Pskov), ma da un'integrazione di ambedue i principî; con questo di particolare però, che l'elezione (o conferma del potere esercitato di fatto) veniva estesa anche ai discendenti dell'eletto, favorendo il sorgere di dinastie e accrescendone l'autorità. Il principio monarchico poté, con relativa facilità, subentrare al principio piuttosto democratico dei primi secoli per il rapido declinare dell'unico istituto di rappresentanza popolare (il veče, parlamento, convocato sia per iniziativa del duca, sia per iniziativa dei principi, e al quale nel periodo kieviano partecipavano tutti gli uomini liberi dei singoli principati), per l'influenza dell'autocratico regime dei Tatari, e infine per la necessità di difendersi da esso con la creazione di potere fortemente accentratore. Infatti, a Mosca, i duchi avevano sin da principio un potere quasi assoluto sul quale la bojarskaja duma (organo aristocratico) e i sobory (organi rappresentanti gli ultimi residui del principio democratico) non avevano che un'influenza minima, quale continuazione dell'antico veče (rimasto vivo a Novgorod e a Pskov sino a tutto il secolo XV), e anche della duma knjažeskaja (consiglio del duca, scelto dal duca tra i più eminenti knjažie muži e boiari, che nel periodo delle invasioni tatare era subentrato, in parte, al veče).
A rinforzare l'autorità dello stato moscovita, che per le continue lotte coi Tatari aveva assunto l'aspetto di uno stato militare ove tutti erano al servizio del duca, capo dell'esercito, contribuì d'un lato il clero, specialmente dopo l'emancipazione da Bisanzio che condusse, nel 1589, alla costituzione del patriarcato russo, d'altro lato la tendenza di far prevalere, nella successione al trono, i diritti della primogenitura. Si giunse così, anche per il sovrapporsi della concezione monarchica bizantina a quella più antica e autoctona per cui lo stato era considerato proprietà della dinastia regnante, al potere illimitato di Ivan il Terribile. I ripetuti tentativi dei boiari di riottenere un'ingerenza negli affari dello stato non sortirono risultati positivi. E fallì anche il tentativo (principio del sec. XVII) di contrapporre al potere degli zar l'autorità ecclesiastica dei patriarchi. Ma la completa realizzazione - effettiva e giuridica - dell'autocrazia zarista si ebbe solo con Pietro il Grande. Fu l'apogeo dell'autocrazia, sorretta da una salda organizzazione burocratica, che fu modellata in parte su quella svedese. Ma sin dalla morte di Pietro hanno inizio tentativi oligarchici da parte del verchovnyj tajnyj sovet (consiglio supremo), rimasti, però, infruttuosi. Così pure non furono attuate che in minima parte le velleità costituzionali di Alessandro I. La grande riforma di Alessandro II significava invece un deciso progresso nella limitazione dell'autocrazia con l'istituzione dello zemstvo, organo di decentramento e di autonomia locale. Infatti gli zemstva furono uno dei fattori più attivi nella lotta per la Costituzione che fu concessa, dopo lunghe esitazioni, il 17 ottobre 1905.
Diritto penale - La vecchia concezione del male per il male domina il più antico diritto russo. La Russkaja Pravda comincia con le parole: "L'uccisione dell'uomo si vendica con la morte". Parimenti lo statuto lituano e l'Uloženie del 1649 insegnavano che la retribuzione è lo scopo della pena ("Chi appicca incendio ad una città o alle case, lui stesso sarà bruciato senza alcuna pietà"). In un secondo tempo il principio della vendetta viene inteso con criterî restrittivi, e si fa strada il concetto che sia possibile sostituire alla vendetta il riscatto pecuniario. I riscatti vanno a vantaggio sia dell'offeso sia del fisco. Ciò significa che in quest'epoca due scopi si vogliono raggiungere con la pena: la soddisfazione del leso ed il conseguimento di utili materiali da parte dello stato.
Nei monumenti giuridici degli stati di Mosca e della Lituania viene assegnato per la prima volta alla pena lo scopo della difesa della società dal delitto e dal delinquente. È nel periodo moscovita che lo stato si sostituisce ai privati nella valutazione dei delitti e nella determinazione delle pene; e soltanto dopo Pietro il Grande può dirsi che esso rinunci definitivamente al concetto di responsabilità collettiva, o familiare, fondando la propria pretesa punitiva sulla responsabilità personale. Col Nakaz di Caterina II si comincia ad assegnare alla pena un compito nuovo: quello della rieducazione del delinquente. Il Nakaz rappresenta, nella storia del diritto russo, il primo ed imperfetto tentativo di assorbimento del pensiero giuridico occidentale. L'Uloženie o nakazanjach del 1845 distingue le pene in: a) "capitali" (allontanamento definitivo del delinquente dalla società, con privazione di tutti i diritti politici, civili, patrimoniali e di famiglia), e b) "non capitali" (allontanamento temporaneo, privazione di alcuni beni e diritti, possibilità di emenda).
Un passo innanzi nell'evoluzione delle leggi penali venne compiuto sotto il regno di Alessandro II. L'abolizione della servitù impose, in materia penale e penitenziaria, una serie di riforme umanitarie. L'Ukaz di Alessandro II abolisce ogni genere di castighi corporali, mitiga l'asprezza di alcune pene per le donne detenute, e dichiara di sostituire l'imprigionamento al castigo corporale comminato dalla legge. Nel 1862 furono pubblicati i "principî fondamentali della riforma della giustizia", ed il 20 novembre 1864 i famosi "Regolamenti giudiziarî" (Sudebnye ustavy), comprendenti la legge sull'organizzazione della giustizia, i codici di procedura penale e civile, e lo statuto penale dei giudici di pace. Nello stesso tempo furono creati nuovi stabilimenti penitenziarî, case di arresto e istituti di rieducazione per i minori delinquenti. Nel 1866 l'Impero di tutte le Russie ebbe un altro "codice penale", che fu però rifatto nel 1885. Il 22 marzo 1903 si pubblicava una nuova legge penale (Ugolovnoe uloženie).
Diritto privato. - Per quanto riguarda il diritto privato, come del resto quello pubblico, occorre innanzi tutto rilevare la mancanza di unità e di uniformità delle fonti. La varietà di norme, spesso opposte, ȧventi vigore sullo sconfinato territorio russo, è conseguente alla struttura sociale e politica del vecchio stato russo, retto da una gerarchia di classi sociali, che si chiamavano "stati". Clero, nobiltà e borghesia erano gli "stati" ufficialmente riconosciuti; ma la base economica e sociale del paese era costituita dalle masse dei contadini, affrancati dal servaggio nel 1861.
Ogni classe sociale aveva un suo proprio statuto legale, diritti particolari, previsti e disciplinati da uno speciale "codice delle leggi sugli stati" (libro IX dello Svod zakonov). In ogni "governatorato" (la principale circoscrizione amministrativa) esisteva la "tutela nobile", ossia una istituzione corporativa per i nobili, presieduta dal maresciallo della nobiltà. Ogni città importante aveva il suo organo speciale per l'amministrazione della "tutela dei borghesi". La "tutela dei contadini" era esercitata secondo le norme del diritto consuetudinario. Soltanto ai tempi moderni risale il tentativo di creare un completo ed armonico complesso di leggi civili: i lavori furono iniziati sotto Alessandro III, e continuati da Nicola II, il quale ultimo però, con le sue alternative di liberalismo e di reazione, non poteva dar vita a quel diritto nuovo che gli spiriti più illuminati della Russia reclamavano.
La famiglia resta, attraverso i secoli, "patriarcale" nella sua costituzione. Il potere del "padre" è assoluto su tutti i membri del dvor, come quello del principe o dello zar sul popolo. Lo spirito di sottomissione è comandato, per il popolo, da una legge che emana da Dio. Contro l'autorità del "capo" i membri della famiglia possono ricorrere alle piccole giurisdizioni rurali (tribunali di volost′).
Riguardo al matrimonio, l'introduzione del cristianesimo fece ritenere la benedizione religiosa come una condizione essenziale per la sua validità. Nei tempi moderni, lo Svod accordava alla chiesa ortodossa una giurisdizione speciale, ed il diritto esclusivo di dar forma legale alle unioni - rispettando determinati obblighi. Il matrimonio conferiva alla donna i diritti e i privilegi inerenti alla condizione, al rango ed al titolo del marito. Il divorzio era ammesso, e non poteva essere pronunciato che dai tribunali ecclesiastici.
Nessun diritto era riconosciuto dalle leggi civilì ai figli naturali - e la sola legittimazione era quella autorizzata da una decisione imperiale. I contadini restavano fedeli alle loro consuetudini che conoscevano, in questa materia, ben poche restrizioni. In seguito però la posizione giuridica dei figli naturali migliorò: le leggi del 1891 e del 1902 arrivarono ad imporre ai genitori l'obbligo del mantenimento e dell'educazione dei figli naturali, anche se adulterini. Lo Svod non dichiarava nessuna incapacità della donna. Esso sanciva un'assoluta separazione di interessi tra marito e moglie. Così pure i genitori non avevano sui beni personali dei figli niente altro che obblighi di amministrazione, senza alcun diritto di usufrutto.
Il diritto successorio russo non ha ricevuto in nessun'epoca uno sviluppo proporzionato alla sua importanza. Nelle epoche più antiche esistevano incapacità a disporre dei proprî beni, inerenti allo stato personale; nei tempi più recenti ogni persona capace di diritto comune poteva disporre dei proprî beni sia in vita, sia per dopo la morte. Il diritto russo non conosceva l'istituzione degli eredi riservatarî. Il patrimonio poteva anche integralmente essere legato ad uno straniero. In caso di morte ab intestato, una quota parte dei beni era attribuita in proprietà al coniuge superstite, il resto ai figli: in difetto di figli succedevano i collaterali, senza alcuna limitazione di grado di parentela. Il sesso maschile godeva di alcune preferenze.
La proprietà immobiliare, dopo la riforma agraria del 1861, risultò regolata da due diversi sistemi di regole giuridiche. Le norme per i mobili e gl'immobili non facenti parte del "fondo agrario" erano contenute dallo Svod, nel vol. X. Invece, le "terre dei contadini" (ossia quelle terre che furono concesse ai contadini dopo la loro emancipazione) erano soggette alle disposizioni dei "Regolamenti sullo stato dei contadini", compresi anch'essi nello Svod, al vol. IX. I "Regolamenti" stabilivano un regime immobiliare essenzialmente diverso dal regime di diritto comune. L'importanza di questa legislazione speciale deriva dal fatto che essa si applicava a circa la metà della superficie totale delle terre russe.
Le norme di diritto comune, per quanto insufficientemente elaborate, si fondavano sulla proprietà individuale, e in questo senso non si scostavano molto dai principî di diritto civile accolti negli altri paesi. La giurisprudenza suppliva in gran parte alle deficienze della legge scritta. Il regime immobiliare dei contadini era basato invece sul concetto della comunità agraria. La proprietà delle terre, che gli antichi servi avevano ricevute dai bariny e dallo stato, all'epoca della grande riforma agraria dell'imperatore Alessandro II apparteneva alle "comunità rurali". I contadini membri delle comunità non avevano che un diritto di godimento sulle terre comuni. Il "fondo agrario" era inalienabile. Questo stato di cose fu parzialmente modificato da Stolypin (1906-10), nel suo tentativo di introdurre i concetti della proprietà privata nelle campagne russe.
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