RUNE
Caratteri grafici particolari al mondo germanico che compaiono inizialmente presso i Goti sul Mar Nero verso l'anno 300 d. C., raggiungono la massima diffusione tra la fine dell'antichità e l'inizio del Medioevo (400-1100), e restano ancora in uso, assai trasformate certo, ma in tradizione ininterrotta, sino alla fine dell'Ottocento in un paese isolato della campagna svedese.
L'archeologia ci fornisce la base solida per la datazione dei più antichi documenti runici, per la conoscenza delle vie sulle quali le rune migrarono presso varî popoli germanici, e per la soluzione del problema, sempre vivamente discusso, della loro origine.
Via via che la civiltà latina della tarda età classica e postclassica, specialmente per mezzo del cristianesimo, procedeva da un popolo all'altro da una classe sociale all'altra, le rune dovevano cedere il posto ai caratteri latini, e persino in Scandinavia, ov'esse resistettero più a lungo e furono più largamente usate, verso la fine del Medioevo il loro uso si ridusse, a poco a poco, a casi rarissimi.
I più antichi documenti runici che l'archeologia possa sicuramente datare provengono dalle parti meridionali e sud-occidentali del territorio scandinavo. Esse compaiono ivi in una civiltà la quale, dalle regioni a N. e NO. del Mar Nero, durante il sec. III d. C. si spinge verso il N., attraversando il continente europeo, fino nella Germania nord-occidentale e nella scandinavia meridionale. Questa corrente di civiltà ha lasciato traccia di sé in iscrizioni runiche ritrovate in Romania, Volinia e nel Brandeburgo. Ma soltanto in Scandinavia esse furono più frequenti, seppure non numerose, e pare che appena qui la scrittura runica si sia veramente acclimata e svolta ulteriormente. Dalla scrittura caratteristica di cui il grande missionario dei Goti, Ulfila, si servì per la sua traduzione della Bibbia e ch'egli foggiò basandosi sulle rune e sull'alfabeto greco, possiamo comunque inferire che all'inizio del sec. IV al più tardi i Goti conoscevano e usavano i caratteri runici.
Le prime iscrizioni runiche venivano incise su armi, ornamenti e altri oggetti mobili (fig. 1). Di regola esse sono brevissime e, nella maggior parte dei casi, contengono uno o alcuni nomi che indicano il proprietario o il donatore dell'oggetto.
Un'idea dell'aspetto che in quei tempi più antichi aveva l'alfabeto runico è data dalla pietra di Kylver, proveniente dall'isola svedese Gotland nel Mar Baltico (concorda con esso, nei punti principali, la serie runica della fig. 2). Troviamo qui un alfabeto di 24 segni, come il greco, e con caratteri in parte assai simili ai greci (spesso nella loro forma corsiva), come avviene, ad es., delle lettere e á l o. D'altra parte si trovano rune che con certezza provengono dall'alfabeto latino, p. es., r k h. Non è possibile però dedurre la serie delle rune nella sua interezza dall'alfabeto dell'epoca romana imperiale, come fece a suo tempo il linguista danese L. Wimmer, oppure da un alfabeto nord-etrusco molto latinizzato, come fa ai nostri giorni il celtologo C. Marstrander, seguito da alcuni filologi, tedeschi in ispecie; ce lo vieta non solo l'ambiente storico-culturale in cui le rune, come s'è già accennato, compaiono per la prima volta, ma anche la costruzione interna del sistema di segni runici. Le lingue italiche e celtiche possedevano bensì i suoni j e w, ma non avevano segni distinti per questi suoni, che invece erano resi rispettivamente con i e u. Soltanto entro l'ambito linguistico greco, dove in ogni modo mancano i suoni j e w in principio di parola, fu naturale che si cercassero segni speciali per questi suoni, molto caratteristici per le lingue germaniche. Le rune posseggono inoltre due segni per il suono e, e un segno speciale per il suono ng: il greco ha ugualmente due segni per e, e rende graficamente il suono ng non già, come il latino, con n, bensì con g. La scrittura runica ci appare dunque come un insieme di caratteri greci e latini, fusi in modo da rendere un sistema fonetico germanico. Effettivamente la serie runica nella sua forma più antica corrisponde particolarmente bene al fabbisogno di segni nel gotico quale ci si presenta presso Ulfila.
Archeologia, storia dei segni grafici e linguistica, sembra dunque che conducano alla stessa conclusione: è presso i Goti sul Mar Nero che la scrittura runica si formò, in un ambiente fortemente influenzato dalla civiltà che, nelle provincie dell'Impero Romano sul Danubio inferiore, fu costruita di elementi culturali greci e latini. Le forme delle rune, provengano esse sia dall'alfabeto greco, sia da quello latino, rivelano che il punto di partenza di esse è soprattutto la forma piuttosto volgare della scrittura classica (il corsivo). E ciò è perfettamente naturale, poiché in primo luogo i barbari dovettero venire in contatto con le classi inferiori dell'Impero romano.
Non ci può dunque essere dubbio che le rune provengano dalle scritture classiche, e che non si tratta menomamente, come qua e là si va fantasticando, di qualche antichissimo fenomeno autoctono sul suolo germanico. Ma l'alfabeto runico mostra una divergenza evidente dagli alfabeti classici, e cioè per quanto riguarda l'ordine dei singoli segni. Mentre l'alfabeto latino si presenta nell'ordine a, b, c, d, e, ecc., il greco α, β, γ, δ, ε, ecc., le 24 rune germaniche venivano disposte nell'ordine che risulta dalla fig. 2. Il linguista svedese S. Agrell mise questo part1colare ordine in rapporto col fatto che le rune, come anche i caratteri classici, venivano usate, oltre che come segni fonetici, anche a scopi magici. La magia runica, come pure l'antica magia dalla quale trasse la sua origine, fu una magia di numeri. Ogni runa aveva un valore numerico, e questi numeri erano connessi con delle potenze (spiriti) che il mago voleva asservire ai proprî scopi. Le rune avevano, come i caratteri greci e semitici, dei nomi, il cui suono iniziale doveva essere possibilmente il suono che la runa rappresentava. Ma allo stesso tempo il nome doveva designare la potenza magica con cui la runa stava in rapporto per il tramite del suo numero. Le rune venivano così messe, secondo il loro valore numerico, nell'ordine dall'i al 24, ma (probabilmente per prevenire che il segreto venisse nelle mani di non iniziati) si cominciava a contare dall'u, che dunque era = 1, e si andava avanti fino al d = 23. La runa f che pure ha il primo posto nella serie runica (fupark) aveva dunque il valore 24.
Ecco alcuni esempî di questi nomi, del pari sommamente caratteristici, dati alle rune: p col numero magico 2 si chiamava in gotico pauris "(cattivo) demone" (2 era un numero demoniaco, tristo e di malaugurio); a col n. 3, il numero del divino, del bene e della felicità, era detto ansus "dio"; n col n. 9, numero dell'onnipotente destino, si chiamava naups "fato, necessità"; t (teivs "dio celeste") aveva il valore numerico 16, che era il numero del "deus invictus" - il giorno di Mitra nel calendario mitriaco - e via dicendo.
Dai Goti che, da quanto c'insegna l'archeologia, avevano ancora rapporti con le stirpi consanguinee sul Baltico meridionale, le quali, alcune generazioni prima, erano state loro vicine, le rune migrarono verso la metà del secolo III nella Scandinavia. Ed è qui, soprattutto in Danimarca e nella Norvegia meridionale, ch'esse compaiono per la prima volta (innanzi il 300 d. C.). In queste regioni sono bene documentate durante il sec. IV e V. Dalla Danimarca verso l'anno 500, come è attestato dall'archeologia, ma pure dalle forme delle rune, esse passano anche presso i Germani occidentali sul continente e in Inghilterra (Tedeschi, Frisoni e Anglosassoni). Le iscrizioni tedesche, che ammontano a una ventina, sono sparse sopra un territorio che si stende dalla Vestfalia al N. alla Svizzera al S., dalla Borgogna all'O. all'Ungheria all'E. Un graffito isolato fu recentemente riscontrato fino nella Bosnia. Sono di regola molto brevi, contengono uno o pochi nomi di persone, e sono per lo più incise sulle fibbie (fig. 3). Già intorno alla metà del sec. VII sembra che le rune cadessero in disuso fra le stirpi tedesche. Quanto al numero, alla forma e al valore fonetico, queste rune continentali corrispondono alle rune di Danimarca intorno all'anno 500 e presuppongono quella lieve trasformazione nelle forme esterne di certi segni, che aveva avuto luogo la prima volta in quest'ultimo paese.
Lo stesso si dica delle rune in Inghilterra. Ma le rune anglosassoni (sebbene soltanto una quarantina d'iscrizioni sia nota) hanno avuto evidentemente un impiego più vasto e molteplice che le tedesche. In Inghilterra iscrizioni runiche venivano incise non solo su ornamenti, armi e altri oggetti mobili, ma anche su monumenti di pietra, taluni di dimensioni cospicue. L'alfabeto runico anglosassone ha persino ricevuto un adattamento speciale alla lingua e un conseguente ampliamento tale che, per trovare alcunché di corrispondente, dobbiamo trasportarci nel settentrione scandinavo e in un periodo di tempo notevolmente posteriore. In seguito a ciò l'alfabeto runico venne a contenere prima 28, e più tardi fino a 33 segni, che rendevano molto bene la ricchezza fonetica dell'anglosassone. Le rune anglosassoni debbono essere state in uso fino al 1000 (fig. 4).
In primo e ultimo luogo però le rune sono la grafia particolare del settentrione scandinavo. In Scandinavia riscontriamo i primi documenti runici databili. Qui anche la conoscenza delle rune sopravvive più a lungo che in qualsiasi altra parte del mondo germanico. La lunga storia delle rune in Scandinavia ha portato seco trasformazioni più profonde delle loro forme, del loro valore fonetico e del loro impiego, che in qualunque altro luogo.
In Danimarca, culla della scrittura runica del settentrione, sembra che le rune, dopo una fioritura nel sec. IV e V (fig. 5), per parecchio tempo cadano in disuso, poco dopo essersi propagate da lì nel continente e in Inghilterra (intorno al 500). Nella Norvegia meridionale, dove furono conosciute presto come in Danimarca, esse trovarono rapidamente un impiego più esteso, in quanto venivano incise anche su monumenti elevati in pietra e su lastre incastrate nelle tombe (figura 6). In Norvegia, dopo l'anno 600 circa, l'antico alfabeto runico di 24 caratteri subì una radicale trasformazione, tanto nell'aspetto quanto nel valore fonetico, che ebbe come risultato un alfabeto runico di soli 16 segni. Poiché la lingua possedeva un numero assai maggiore di suoni, molte rune dovevano renderne due o anche più. Considerate come segni fonetici, le cosiddette rune seriori di 16 caratteri erano assai inferiori alla più antica serie runica di 24 caratteri. La causa principale di questo peggioramento delle rune quali segni fonetici deve in realtà essere stata questa: che la lingua nello stesso tempo subì, specie grazie alla metafonesi vocalica, un grande ampliamento della sua ricchezza fonetica. Si dovette quindi ricorrere all'espediente di fare rendere a un unico segno parecchi suoni affini, ma chiaramente tra di loro distinti; abitudine questa, che poi addirittura si sistematizzò e condusse a una riduzione del numero dei segni.
Malgrado il peggioramento del sistema grafico, le rune, per quanto possiamo giudicarne dai monumenti conservati, ebbero senza confronto maggiore impiego in questa forma ridotta. Parecchie migliaia d'iscrizioni, sparse in Norvegia, in Danimarca e soprattutto in Svezia, sono incise con queste rune seriori. In Norvegia la serie runica di 16 caratteri compare in due tipi alquanto diversi tra loro, per quel che riguarda la conformazione esteriore di una parte dei segni. L'uno, che ha forme alquanto più ampie, già nel sec. VIII trasmigra in Danimarca, e durante i secoli immediatamente seguenti è usato molto su monumenti elevati di pietra (alcune centinaia d'iscrizioni): le cosiddette rune danesi (figg. 7 e 8). L'altro tipo con forme più ridotte, le cosiddette rune norvego-svedesi, compare, oltre che nella Norvegia, sopra pochi monumenti di pietra nelle antiche provincie svedesi sul Baltico (figg. 9 e 10). Queste iscrizioni svedesi appartengono per lo più al sec. IX e X. Le rune norvegosvedesi si conoscono solo da qualche diecina di documenti, ma in compenso offrono l'iscrizione più lunga e certo più notevole dei tempi antichi: la pietra di Rök, proveniente dalla provincia svedese dell'Östergötland. Questa pietra, alta 3 m., è letteralmente coperta di rune da tutti i lati, compresa la superficie superiore. Per quanto ancora scarsamente documentate, sembra che le rune norvego-svedesi abbiano avuto in Svezia un impiego tutt'altro che scarso. Ciò si può inferire tra l'altro dal fatto che da esse ebbe origine una specie di stenografia runica, che è caratterizzata da una riduzione straordinariamente forte dei tratti, tanto principali quanto secondarî, della lettera. È tolto qui tutto quello che praticamente si poteva togliere, e i singoli segni si distinguono tra loro in gran parte secondo la loro disposizione nello strato superiore, medio o inferiore della superficie d'incisione. Queste rune vengono di solito chiamate rune di Hälsingland, ma potrebbero anche denominarsi rune svedesi (fig. 11).
La Svezia è nel mondo germanico il paese senza confronto più ricco di pietre runiche. Ma se prescindiamo dalle poche eccezioni sopra accennate, le iscrizioni della Svezia; oltre 2000, non recano rune norvego-svedesi o svedesi, ma danesi. Dalla Danimarca, infatti, l'uso d'innalzare pietre runiche penetrò nella Svezia all'inizio del secolo XI, e ciò probabilmente in rapporto con l'opera dei missionarî che doveva condurre alla cristianizzazione definitiva del popolo. Particolarmente frequenti sono le pietre runiche intorno al grande lago Mälar nel centro del paese. Qui se ne trovano, p. es. nell'Uppland, culla dello stato svedese, non meno di 1000. Quasi tutte appartengono al secolo XI e al tempo intorno al 1100 (figg. 12 e 13). Caratteristica per le pietre runiche svedesi, e più particolarmente per quelle dell'Uppland, è l'ornamentazione, spesso eseguita con gusto artistico, che incornicia l'iscrizione. Quest'ornamentazione assunse delle forme così caratteristiche che noi possiamo attribuire con sicurezza a un uomo dell'Uppland l'incisione su un leone di marmo proveniente dal Pireo, porto d'Atene (ora collocato dinnanzi all'arsenale di Venezia). Conosciamo i nomi di una serie di maestri incisori di rune che firmarono le loro opere: primo tra essi, tanto nel tempo come per abilità, Asmund Kareson.
Nel corso del sec. XI il cristianesimo si andò affermando mano a mano nell'intera Scandinavia, e quando pel tramite della Chiesa l'alfabeto latino fu conosciuto e presto anche usato per annotazioni in lingua nordica, si giudicò troppo imperfetto l'alfabeto runico di 16 caratteri. Secondo il modello dell'alfabeto latino adattato alla lingua indigena, si amplificò cosl l'alfabeto runico fino a 26-27 segni, spesso distinti per mezzo di un punto collocato nella runa o su di essa. Da tale procedimento questo genere di rune è stato denominato alfabeto runico punteggiato (fig. 14). Sembra che lo usasse di preferenza quello strato superiore della società che non venne in possesso della cultura clericale. Queste iscrizioni, non particolarmente numerose (se si prescinde dal Gotland), ma sparse per tutto il settentrione, si riscontrano principalmente su pietre tombali, ma non di rado anche su oggetti ecclesiastici, quando si desiderava che l'iscrizione parlasse anche alla collettività; su utensili casalinghi e su edifici. In qualche caso l'alfabeto runico punteggiato viene usato persino in manoscritti destinati ai laici.
Con la fine del Medioevo l'alfabeto divenne più raro. All'inizio del sec. XVI nei principali paesi del settentrione le rune sono interamente sopraffatte dalla forza espansiva dell'alfabeto latino, il quale col progresso della cultura divenne sempre più familiare, anche fuori degli ambienti dotti. Le rune però appaiono ancora talvolta in funzione di scrittura cifrata tanto in Danimarca quanto in Svezia. Soltanto in alcune contrade più lontane dalle strade maestre (nel Gotland, la grande isola svedese nel Baltico, nella Dalecarlia situata a nord verso il confine norvegese e nella Norvegia orientale) esse oltrepassano il limite del Medioevo. In una forma particolare e arricchite di lettere latine, esse hanno persino sopravvissuto, presso i contadini della Dalecarlia, fino verso i nostri tempi.
Bibl.: La letteratura si trova nell'opera Nordisk Kultur, VI, Rune, a cura di O. v. Friesen, Stoccolma, Oslo, Copenaghen 1933.