ruminare (rugumare)
Col valore proprio di " richiamare dal ventricolo alla bocca il cibo non ancora perfettamente masticato ", nella similitudine di Pg XXVII 76 Quali si stanno ruminando manse / le capre, state rapide e proterve / sovra le cime avante che sien pranse / ... tali eravamo tutti e tre allotta, / io come capra, ecc., richiamata al v. 91 Sì ruminando e sì mirando in quelle [stelle], / mi prese il sonno, dove il verbo allude però analogicamente al tornar del pensiero di D. alle cose trascorse: " cioè così pensando " (Vellutello).
Nel passo di Pg XVI 99 la forma rugumar, ben toscana, è preferita dal Petrocchi, sulla scorta della '21 e per suggerimento del cod. Trivulziano e di altri testi toscani, al ruminar del gruppo dei Cento, preferito invece dal Casella: Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? / Nullo, però che 'l pastor che procede, / rugumar può, ma non ha l'unghie fesse.
L'espressione dantesca si connette a una prescrizione della legge mosaica che vietava agli Ebrei di mangiare la carne di quegli animali che non ruminassero e non avessero lo zoccolo diviso: " Omne, quod habet divisam ungulam et ruminat in pecoribus, comedetis. Quidquid autem ruminat quidem et habet ungulam, sed non dividit eam, sicut camelus et cetera, non comedetis illud et inter immunda reputabitis " (Lev. 11, 3-4; v. anche Deut. 14, 3-8). Tra le varie interpretazioni del passo (s. Ireneo Adv. haereses V VIII 3; Agost. Sermo CXLIX III 4; s. Gregorio Hom. in Ezechielem I; Hom. III 4; s. Bonaventura Opusc. XII II) D. tenne forse presente quella di s. Tommaso (Sum. theol. I II 102 6 ad 1), secondo la quale " fissio ungulae significat distinctionem duorum testamentorum; vel Patris et Filii; vel duarum naturarum in Christo; vel discretionem boni et mali ", mentre la ‛ ruminatio ' " significat meditationem Scripturarum, et sanum intellectum earum ".
Se ne deduce che per D. papa Bonifacio VIII poteva ben avere una giusta conoscenza teorica della legge divina, ma certo mancava della ‛ discretio boni et mali ' necessaria al governo pratico dei popoli e prerogativa unica dell'imperatore. In tal modo D. prendeva netta posizione contro le rivendicazioni ierocratiche dei pontefici, sostenute da alcuni canonisti e dai decretalisti (cfr. M. Maccarrone, La teoria ierocratica e il canto XVI del Purg., in " Rivista di Storia della Chiesa in Italia " IV [1950] 3, 365-369).
A una visione più circoscritta ci portano le glosse di Pietro e Benvenuto, miranti a definire la fissio ungulae come distinzione tra il potere spirituale e il temporale: " Et de rei ventate - precisa Benvenuto - Bonifacius, qui tunc erat papa, bene sciebat leges et Sanctam Scripturam et scripsit in iure canonico, sed non divisit potestatem temporalem a spirituale; imo utrumque officium confudit in unum ".